Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dei tre musicisti assunti quali rappresentanti del “nazionalismo” musicale negli Stati Uniti dell’Ottocento, uno soltanto, – e non a caso il meno “classico” – vale a dire Foster, è un autentico anglo-americano, figlio di un irlandese e di un’inglese di vecchia immigrazione. Gottschalk proviene da una famiglia di origine in parte tedesca, in parte inglese, oltre che mezza creolo-francese ed ebrea e nasce nella Nouvelle Orléans, da poco passata dalla Francia agli Stati Uniti e divenuta New Orleans, mentre Heinrich è squisitamente boemo ed europeo non soltanto per nascita ma anche per educazione.
Anton Philipp Heinrich
Il boemo Anton Philipp Heinrich (1781-1861) è il primo compositore, negli Stati Uniti, a utilizzare, in opere sinfoniche e cameristiche, temi americani, vale a dire “simboli sonori” di un Paese nel quale il compositore si stabilisce, ormai quasi quarantenne, dopo averlo visitato negli anni precedenti.
Con alle spalle studi musicali incompleti e una carriera di affarista rovinata dalle guerre napoleoniche, Heinrich è sostanzialmente un autodidatta e questa sua condizione (si dovrebbe dire, nel suo caso, qualità) gli consente di sviluppare uno stile che, rifacendosi chiaramente a modelli classici e romantici – da Haydn a Beethoven – è sostanzialmente eccentrico e molto personale. Anche se le composizioni di Heinrich fanno chiaramente riferimento a clichés europei, è possibile cogliere nella sua musica alcuni di quei caratteri “americani” che determineranno poi lo sviluppo della musica americana in quel filone vitale – che giunge fino a George Gershwin da un lato e a John Cage dall’altro – che non soggiace alla dipendenza europea (soprattutto tedesca).
Una delle sue prime composizioni, The Dawning of Music in Kentucky (1820), raccoglie, in una forma assai libera, brani vocali e strumentali, con citazione delle melodie patriottiche più “americane”, da Yankee Doodle a Hail Columbia.
Un’altra raccolta, The Sylviad, include The Negro’s Banjo Quickstep, cioè lo stesso tema popolaresco che 30 anni più tardi sarà utilizzato da Gottschalk per il suo famoso The Banjo. Meno autonome dal modello romantico europeo, ma pur sempre ricche di citazioni “americane” sono le sue grandi e ambiziose composizioni sinfoniche, concepite sul modello della musica a programma europea, ma percorse da una vitalità tematica che ancora deriva dal contesto musicale degli Stati Uniti. Sono sufficienti i titoli (dal gusto eccentrico e divertente) per rivelare non soltanto le intenzioni descrittive, ma anche il “sentimento nazionale” delle composizioni di Heinrich; “sentimento” già esteso a comprendere gli Indiani e persino l’America meridionale: Pushamataha: a Venerable Chief of Western Tribe of Indians, The War of the Elements and the Thundering of Niagara, The Jubelee (per orchestra, solo e coro che “descrive” la storia americana dai padri pellegrini alla guerra d’indipendenza), Grand American Chivalrous, Indian Carnival or The Indian’s Festival of Dreams, fino a The Columbiad, or Migration of American Wild Passenger Pigeons e The Ornithological Combat of Kings, or Condor of the Andes and the Eagle of the Cordilleras, considerata la sua prova migliore, entrambe ispirate dal grande ornitologo americano James Audubon, amico del musicista.
Louis Moreau Gottschalk
Louis Moreau Gottschalk (1829 - 1869) nasce da una famiglia, anglo-tedesco-ebrea da una parte e creolo-francese-antillese dall’altra, cresce e si forma nella vitalissima New Orleans della prima metà dell’Ottocento, ancora percorsa dalle stimolanti esperienze francesi.
Già dal 1805 è presente nella capitale della Louisiana un teatro d’opera; nel 1823, per esempio, viene rappresentato in francese Il barbiere di Siviglia, due anni prima che a New York.
Inviato dalla famiglia a completare i suoi studi musicali a Parigi, Gottschalk si rivela presto un brillante e virtuoso pianista e compositore. Inizialmente Gottschalk si muove nella scia di quella pianistica moda “nazionale” – e anche esotistica che a metà Ottocento gode dei favori dei salotti parigini e ha in Chopin e Liszt i suoi più famosi rappresentanti, ma poi riesce a proporre un modello di musicista davvero “panamericano” e “democratico”. E questo non soltanto per merito dei suoi materiali musicali di così forte e prorompente “color locale”, di così trascinante latin sound e neppure per il valore non spregevole, ma sicuramente non eccelso, del suo comporre (ma noi oggi dobbiamo giudicarlo da quanto ci è giunto sulla carta e non possiamo che immaginare che cosa fossero le sue virtuosistiche, improvvisate e applauditissime esecuzioni), ma per quella sua capacità di essere, al tempo stesso, europeo e americano, forse soprattutto per quella rappresentazione “estesa” del continente, in un universo sonoro che non è soltanto yankee, ma comprende in sé anche la cultura latina, dai Caraibi, al Messico, al Brasile.
La biografia di S. Frederick Starr (1995) ha sfatato la leggenda di incontri diretti di Gottschalk con i balli e le cerimonie degli schiavi neri in Congo Square, a New Orleans, che ormai non hanno più luogo negli anni d’infanzia del compositore. Starr dimostra così come le fonti delle “ispirazioni” “negre” e creole della musica di Gottschalk – il famoso “Louisiana Quartet” formato da Bamboula, La Savane, Le Bananier e Le Moncenillier, composto a Parigi nel 1848 e subito divenuto di gran successo – derivassero non già, o non tanto, da diretti incontri con la vita popolare dei creoli e dei neri a New Orleans, ma piuttosto dal piccolo patrimonio di canzoni della sua agiata e borghese famiglia di varie origini, e da quanto probabilmente ascoltato dalla voce della balia – questa sì schiava e di colore – nonché da musiche già pubblicate nonostante la loro poco attendibile autenticità.
Togliendo a Bamboula e agli altri pezzi “creoli” di Gottschalk il preteso valore di documento di prima mano della New Orleans degli schiavi scatenati nella danza in Congo Square, Starr opera una più corretta collocazione dell’autore nel panorama della nascente musica americana, anzi panamericana. Inoltre Starr illustra, con la forza dei documenti, come Gottschalk pianista virtuoso ed emulo di Liszt, ammiratore ricambiato di Chopin, lodato da Hector Berlioz, ricercato nei salotti parigini, autore anche di sentimentalissime pagine pianistiche nel più banale romanticismo mortuario, assai più applaudite, per la verità, (e non soltanto dalle signore), delle composizioni “creole”, antillane, cubane e sud-americane – sia un personaggio fondamentale del processo di “americanizzazione” della musica “colta” delle Americhe.
Per gli obblighi della sua professione di virtuoso – ma anche per naturale curiosità e disposizione nonché per continui problemi economici – Gottschalk percorre non soltanto l’Europa e gli Stati Uniti, ma anche i Caraibi e il Brasile, attraversando contesti etnici, linguistici, culturali e sociali assai diversi che lasciano un segno nelle sue composizioni, a lungo dimenticate e soltanto negli ultimi anni riscoperte.
Anche per Gottschalk i titoli sono illuminanti: accanto al già citato “Louisiana Quartet”, dedicato a New Orleans, si possono ricordare altre pagine quali The Banjo e The Union e – in ambito americano, le pagine “caraibiche” e latino-americane – Ojos criollos, Souvenir de l’Havane, Souvenir de Cuba, La gallina, El cocoyé, Souvenir de Puerto Rico, Souvenir de Lima. Sono queste le composizioni di Gottschalk più significative, in un catalogo molto esteso che include anche pagine non etnicamente connotate, ma comprese nel gusto pianistico-mondano della Parigi del suo tempo.
Stephen Collins Foster
Stephen Collins Foster (1826 - 1864) occupa una posizione nella storia della musica molto diversa rispetto a Gottschalk e fuori dall’ambito della musica “colta”. Foster è certamente un compositore popolare, autore di alcuni motivi ancora oggi tra i più famosi della musica americana; basti ricordare Oh Susanna!, Nelly Bly, The Camptown Races, Beautiful Dreamer, Old Folks at Home, Old Black Joe, My Old Kentucky Home, destinati in parte agli spettacoli dei Christy’s Minstrels, che hanno l’esclusiva delle prime esecuzioni delle musiche di Foster, e in parte a una fruizione borghese, parallela a quella europea delle romanze.
Le canzoni scritte per gli spettacoli dei Minstrels hanno un forte colore americano, tanto da divenire simbolo sonoro di quel Paese ed essere considerate quasi canzoni popolari, ma anche le composizioni per i salotti borghesi – o comunque “sentimentali” – di Foster rivelano un loro “color locale”, lontano dal modello europeo presente invece in altre canzoni e romanze americane dello stesso periodo.
I Minstrel Shows sono un genere di spettacolo tipicamente americano; si tratta di rappresentazioni, che potremmo definire di varietà, che mettono in scena, in modo caricaturale, il mondo della gente di colore, le loro canzoni, i loro strumenti (il banjo, il tamburello, le ossa battute), i loro balli. Gli interpreti sono bianchi, con la faccia dipinta di nero e vestiti in modo pittoresco “alla moda dei negri”. L’eredità di questi attori arriva ben dopo la fine dei Minstrel Shows, negli anni Venti del Novecento, con Eddie Cantor e Al Jolson.
Non abbiamo testimonianze sonore di questi spettacoli, per i quali scrivono canzoni non soltanto bianchi, come Stephen Foster, ma anche neri, come James Bland.
Pur nella sua collocazione popolare, Foster rappresenta comunque un momento significativo nella formazione della musica americana, fuori dal filone di provinciale dipendenza europea.
Nel quadro dello sviluppo della musica americana, che nel Novecento troverà, la sua più completa definizione, da una parte, con il jazz e, dall’altra, con lo sviluppo di uno stile indipendente dalla grande tradizione “colta” europea, anche in ambito cameristico e sinfonico, fino a John Cage, si colloca anche la nascita del ragtime, proprio negli ultimi anni del XIX secolo.
Del 1897 è la pubblicazione di una composizione di un musicista di colore, Scott Joplin, che apre la strada alle fortune del ragtime, un genere pianistico, di musica scritta, che avrà una parte importante nello sviluppo del jazz e che giungerà, con rinnovato successo, fino ai giorni nostri: Maple Leaf Rag che possiamo ascoltare da un vecchio rullo a perforazione manuale per piano player, dei primi anni del Novecento.