Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei secoli centrali del Medioevo prosegue la scrittura di storie o cronache universali, o ristrette ad aree regionali. Con l’età gregoriana la storiografia ecclesiastica si fa polemica. Ma, accanto alla Chiesa, si moltiplicano i luoghi del potere, capaci di elaborare una memoria storiografica: l’impero, le città comunali dell’Italia centrosettentrionale, i regni normanni dell’Italia meridionale, della Normandia e dell’Inghilterra, i regni cristiani di Terrasanta. E nella teologia del XII secolo la Chiesa prende coscienza del divenire storico e del progresso della fede nel tempo.
Rodolfo il Glabro
Come la Carestia corrompa l’uomo
Storie
Poco tempo dopo in tutto il mondo la carestia cominciò a far sentire i suoi effetti, e quasi tutto il genere umano rischiò di morire. Il tempo diventò infatti così inclemente che non si riusciva a trovare il momento propizio per alcuna semina né il periodo giusto per il raccolto, soprattutto a causa delle inondazioni. Gli elementi sembravano essere in guerra tra loro […].
Quando non vi furono più animali o uccelli da mangiare, gli uomini, spinti dai morsi terribili della fame, dovettero risolversi a cibarsi di ogni tipo di carogne e di altre cose che destano ribrezzo al solo parlarne. Alcuni per scampare alla morte fecero ricorso alle radici degli alberi e alle erbe dei fiumi, ma inutilmente […].
I viandanti venivano aggrediti da gente più robusta di loro e i loro corpi, tagliati a pezzi, venivano cotti sul fuoco e divorati. Anche coloro che si spostavano da un paese all’altro nella speranza di sfuggire alla carestia, ospitati lungo il cammino, durante la notte venivano sgozzati e servivano da nutrimento a quegli stessi che avevano dato loro accoglienza. Molti poi, mostrando un frutto o un uovo ai bambini, li attiravano in disparte per poterli scannare e poi cibarsene. In molti posti i cadaveri dei morti venivano disseppelliti e servivano anch’essi a placare la fame.
R. il Glabro, Storie
Ottone di Frisinga
Elogio ai Crociati
Cronaca, VII, 9
In questi nostri tempi, mentre l’impero dei Romani si divide, per il desiderio spregiudicato di dominare, in lotte intestine non solo civili, ma anche familiari, alcuni, abbandonate le loro cose per Cristo, ritenendo di portare le armi da cavaliere non senza motivo, si dirigono verso Gerusalemme. Lì, abbracciando un nuovo genere di cavalleria, rivolgono le loro armi contro i nemici della croce di Cristo, portando ogni giorno la mortificazione della croce nel loro corpo, così da sembrare per la loro condotta di vita non cavalieri, ma monaci. Da qui fino ad oggi la severità è tornata a crescere tanto nell’ordine monastico quanto in quello clericale, così da far progredire, per giusto giudizio di Dio, i cittadini del regno dei cieli al sommo delle virtù per intervento della sua grazia, mentre i cittadini del mondo si imbrattano sempre più nella loro sporcizia.
Gioacchino da Fiore
I tre stadi del mondo
Libro della Concordia del Nuovo e dell’Antico Testamento
Tre sono dunque gli stati del mondo […]. Il primo si è svolto sotto il dominio della scienza, il secondo trascorre sotto quello della sapienza, il terzo usufruirà della pienezza dell’intelletto. Il primo è trascorso nella schiavitù, il secondo è caratterizzato da una servitù filiale, il terzo si svolgerà all’insegna della libertà. Il primo è contraddistinto dai flagelli, il secondo dall’azione, il terzo dalla contemplazione. Il primo è segnato dal timore, il secondo dalla fede, il terzo dalla carità […]. Il primo è stato illuminato dalla luce delle stelle, il secondo da quella dell’aurora, nel terzo splenderà il pieno giorno. Il primo corrisponde all’inverno, il secondo all’inizio della primavera, il terzo all’estate. Il primo ha prodotto le ortiche, il secondo le rose, nel terzo fioriranno i gigli.
Nel pieno Medioevo continuano a essere scritte storie e cronache universali, il cui sguardo tuttavia si concentra su aree ristrette, locali o regionali. L’esempio più interessante di questa storiografia sono le Storie di Rodolfo il Glabro, monaco borgognone. Rodolfo descrive i terrori e le attese connesse con l’avvicinarsi dell’anno Mille, le carestie, le pestilenze, le eresie che sembrano sconvolgere il mondo; finché, passata la grande paura, la terra rifiorisce, la vita rinasce e il mondo si copre di un “bianco mantello di chiese”.
Con la seconda metà del secolo XI la Chiesa vive il fenomeno della riforma gregoriana, che ne mette in crisi la tradizionale commistione di potere con l’aristocrazia laica. A Milano, dove il fenomeno di contestazione popolare della pataria assume i toni violenti di una rivolta sociale contro l’aristocrazia vescovile, sia l’autore della Storia degli arcivescovi di Milano, Arnolfo, che l’autore della Storia Milanese, Landolfo Seniore, sono ecclesiastici conservatori nemici dei patarini e sospettosi verso le novità della Chiesa di Roma. In Germania gli anonimi autori degli Annali di Augsburg (973-1104) si schierano a favore della corte enriciana contro il papato. Gli storici, come gli altri autori di opere polemistiche del periodo, prendono posizione a favore di una delle due parti in lotta.
Nel secolo XII, passata la bufera della riforma e della lotta per le investiture, una vera novità storiografica nasce nei monasteri dell’Italia centromeridionale. A Santa Maria di Farfa, in Sabina; a Montecassino; a San Clemente di Casauria, in Abruzzo; a San Vincenzo al Volturno, in Molise; a San Bartolomeo di Carpineto, in Abruzzo, dei monaci archivisti raccolgono i documenti relativi alle proprietà del loro monastero e li uniscono tra loro entro un tessuto storico coerente, sulla base della successione dei re e degli imperatori. Nasce così la “cronaca roborata” o “cronaca-cartulario”: una pagina di storia consolidata da documenti d’archivio o, se si vuole, una serie di documenti d’archivio avvolti in pagine di storia; il tutto a difesa di una proprietà contestata e minacciata dalla prepotenza dei signori laici.
In Germania l’impero uscito dalla lotta per le investiture attraversa un’epoca di crisi fino all’avvento di Federico I Barbarossa.
A lui lo zio, il vescovo Ottone di Frisinga, dedica la sua Storia delle due città, uno dei capolavori della storiografia medievale. Ottone sfrutta l’eredità agostiniana, la contrapposizione tra città di Dio e città dell’uomo, leggendo la storia come una tragedia, come il continuo fronteggiarsi del Bene e del Male, ma con la coscienza che la Chiesa, operando in accordo con l’impero, conduca la città di Dio verso la libertà della fine dei tempi. In Ottone si leggono le più note teorie medievali della storia: dall’interpretazione delle profezie bibliche sui quattro regni allo schema agostiniano delle età del mondo, fino alla concezione della translatio imperii, del trasferimento provvidenziale del potere imperiale da est a ovest, dai Babilonesi ai Macedoni, ai Romani e ai Greci, fino ai Franchi che lo detengono attualmente.
L’opera storiografica di Ottone si conclude con un’esaltazione dell’impero, della sua presenza provvidenziale nella storia, ma è il canto del cigno del concetto di impero universale, in un mondo in rapida trasformazione. Nuove forze politiche emergono e affidano alla storiografia il compito di rappresentarle e di legittimarne la presenza nel mondo. In Italia centro-settentrionale la fine dell’XI secolo vede un po’ ovunque il sorgere dei Comuni, che lottano contro l’impero e contro le potenze vicine per affermare la propria autonomia. Quasi ogni città produce i suoi annali, nei quali si registrano i nomi dei consoli, dei podestà, i principali avvenimenti civici, dalle vittorie in battaglia alla costruzione di strade, piazze ed edifici pubblici. I risultati migliori dal punto di vista letterario sono raggiunti in questo periodo con la storiografica in versi (o epica storiografica) pisana (Carme sulla vittoria dei Pisani e Libro di Maiorca), in cui le imprese vittoriose dei Pisani contro i musulmani di Palermo e di Maiorca sono cantate secondo i toni classici, come i trionfi del popolo erede di Roma antica.
Generalmente chi scrive storia comunale è, in una prima fase, un notaio o un cancelliere di sua iniziativa: la storiografia nasce per interesse privato. Ma quando il senso di identità raggiunto dall’organismo comunale è tale da costituire una vera e propria coscienza civica, avviene il passaggio da una fruizione privata a una fruizione pubblica del testo storiografico: questo diventa memoria collettiva, è recitato davanti alla folla e reso autorevole. Come avviene nel 1152 agli Annali del genovese Caffaro: sono ora i consoli del Comune che promuovono il testo a documento autorevole, da conservare nell’archivio del Comune e da aggiornare negli anni.
L’Italia meridionale cade nella seconda metà dell’XI secolo sotto l’egemonia dei Normanni, che fondano un regno. Anche qui la storia accompagna la conquista. Quella dei Normanni è descritta come un’epica crociata contro i Saraceni dai vari storiografi di “corte” (Goffredo Malaterra, Guglielmo Apulo, Amato di Montecassino). Il più grande cronista dell’Italia normanna è Ugo Falcando, la cui visione disperata e pessimista della vita si riassume nelle figure, di sapore sallustiano, dei nobili corrotti della corte normanna, contro i quali invano si oppongono pochi uomini buoni.
L’epopea normanna non si limita all’Italia meridionale: l’insediamento in Normandia, la successiva conquista del regno anglosassone da parte di Guglielmo il Conquistatore – battaglia di Hastings del 1066 – e la fusione tra Anglosassoni e Normanni sono descritte dai numerosi storici inglesi del periodo, il più noto dei quali è Guglielmo di Malmesbury.
L’altro grande evento della storia che muove gli storiografi è la conquista della Terrasanta. Il tono è generalmente molto personale, trattandosi di opere scritte da cavalieri e religiosi che parteciparono alle imprese o furono comunque spettatori dei fatti. L’opera più famosa di questo genere è la Cronaca di Guglielmo di Tiro, appartenente alla seconda generazione dei cristiani in Terrasanta.
La teologia del XII secolo compie degli importanti passi in avanti nella concezione della storia. Esegeti della Bibbia come Ruperto di Deutz, Ugo di San Vittore, Anselmo di Havelberg, Gerhoh di Reichersberg scrutano il Testo Sacro alla ricerca di analogie tra le epoche antiche e la moderna, di continuità e discontinuità nella storia della Chiesa. Con loro la Chiesa prende coscienza del suo essere nella storia come un divenire. Nasce l’idea di progresso, che era stata anticipata nel VI secolo da Gregorio Magno: la Chiesa cresce nel tempo e si perfeziona, comprendendo in modo sempre più pieno il suo deposito di fede. “Il cristianesimo prende coscienza, nel XII secolo, del suo divenire storico. È un aspetto fondamentale che, da solo, basterebbe a fare di questo secolo un grande secolo” (Marie-Dominique Chenu). Da qui il moltiplicarsi di periodizzazioni, analisi tipologiche di fatti e personaggi, il concetto di “modernità” che distingue i teologi di quest’epoca dai loro predecessori.
Chi porta a maturazione la coscienza del progresso della storia non è uno storico, ma un esegeta teologo, Gioacchino da Fiore. La sua teoria delle tre età supera quella tradizionale, agostiniana, nel dichiarare che l’umanità è già entrata nella terza fase, la fase definitiva, apocalittica, che preannuncia come imminente il giudizio universale. Per questo Gioacchino da esegeta si fa profeta di un rinnovamento universale, di un’età dello Spirito dopo quella del Padre e del Figlio, di un’età di libertà spirituale.