Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Preceduta dalla creazione della scuola medica di Salerno, tra il tardo XII e il XIV secolo in Europa occidentale si verifica un’innovazione decisiva per l’insegnamento e l’organizzazione professionale della medicina e per coloro che la praticano: si affermano le università. In gran parte associazioni spontanee di allievi e maestri, di impronta laica – nonostante la presenza significativa, fuori d’Italia, delle Facoltà di Teologia – gli studia sono il prodotto della rinascita e dello sviluppo dei nuclei urbani, così come del miglioramento delle condizioni sociali ed economiche.
Nella seconda metà del XII secolo vengono fondate le università di Montpellier, in Linguadoca, nel Sud della Francia, e quella di Parigi. In Italia, Salerno perde rapidamente di importanza a favore di Parma e soprattutto di Bologna: in entrambi i centri si affermano scuole mediche particolarmente competenti nel settore della chirurgia. Padova, che sarebbe divenuta nei secoli successivi il principale centro di insegnamento medico in Europa, segue dopo poco. Nel XIV secolo nuove fondazioni di università interessano soprattutto l’Europa centro-settentrionale, senza che diminuisca la capacità di attrazione delle istituzioni più antiche. La fondazione e l’affermazione delle università segnano un declino di altre istituzioni educative, come gli studia dei Francescani, i principali centri di istruzione extrauniversitari, che non offrivano – come tre secoli più tardi i collegi dei Gesuiti – un’educazione in campo medico. Per il primo periodo della loro esistenza non è facile stabilire con sicurezza quanti studenti giungessero nelle singole università, né da quali regioni. Tuttavia è indubbio che gli studia hanno rappresentato un fattore essenziale nell’affermarsi di una cultura omogenea a livello europeo, i cui rappresentanti si spostavano tra le diverse regioni e condividevano una lingua - il latino - e un bagaglio di terminologia e nozioni comuni. Le facoltà di medicina sono il luogo privilegiato di nascita e di sviluppo di una cultura scientifica e filosofica di notevole ampiezza, non limitata alla sola scienza o pratica della cura.
Vi sono facoltà di medicina in tutte le università fondate prima del 1500, ma con una distribuzione geografica molto varia, che si riflette nel peso della facoltà stessa all’interno dei singoli studia. Le facoltà di medicina, infatti, non sono le prime a essere aperte, e mantengono quasi sempre un carattere relativamente subordinato a quelle di giurisprudenza.
Tuttavia le modificazioni imposte alla cultura medica e scientifica dalla riorganizzazione del sapere nelle università si rivelano più forti e più durature di quelle avvenute nella cultura teologica o giuridica. Sullo sfondo di questi mutamenti stanno diversi fattori, tra i quali la maggiore disponibilità di testi in latino, tradotti o ritradotti dal greco e dall’arabo, ma anche e soprattutto la necessità di regolare le professioni della medicina nelle città, di nuovo popolate da ceti interessati al consumo di cure e alla regolazione delle attività di chi le somministra. Le università determinano infatti la creazione di una gerarchia di curanti non più affidata alla capacità di accesso dei singoli individui a testi o a tecniche, ma formalizzata in una struttura connotata dalla posizione di eccellenza del medico educato all’università e in grado di utilizzare il latino, il physicus. Se i primi tentativi di regolare le professioni mediche avvengono in uno stato centralizzato – come le Costituzioni di Federico II in Italia meridionale – la prerogativa viene presto attribuita alle università: nel 1271 la facoltà di Medicina di Parigi proibisce ai non physici di prescrivere cure e farmaci, perché non in grado di comprendere l’eziologia, cioè il sistema delle cause delle patologie. Non si tratta di un esempio isolato o eccezionale. I medici physici si trovano così al centro di un sistema professionale e sociale che se da un lato ne esalta la posizione, dall’altro ne accentua l’isolamento e l’identità ambigua, ad esempio rispetto ad altri curanti, come i barbieri-chirurghi o gli speziali, protetti e inquadrati dalle corporazioni di mestiere (Pelling). In Italia, dove il modello del rapporto tra educazione universitaria e sistema delle licenze viene elaborato per poi essere esportato in tutta Europa, il sistema universitario prevede un’universitas di studenti e lettori affiancata da un collegio dottorale, che rilascia i titoli, ma che include, oltre ai professori seniores della facoltà, anche medici che lavorano nella città. L’università è infatti in molti casi un’istituzione a forte carattere municipale, finanziata dalle città o dallo stato; ciò ne rafforza i legami con il tessuto urbano e il territorio e attribuisce all’autorità del medico un ruolo specifico sulla scena pubblica.
La cultura dell’età delle università è la scolastica, un metodo di ragionamento e una tecnica (analisi, critica) di organizzazione del sapere fondati sui testi di logica e di filosofia naturale di Aristotele, la cui reintroduzione in Occidente nel corso del XIII secolo rappresenta una delle grandi rivoluzioni intellettuali del tardo Medioevo. L’aspetto più vistoso della scolastica è l’adozione – a scopo didattico, ma non solo – di un sistema incentrato su quaestiones (dubbi o problemi su singoli punti) e disputationes (l’esercizio nella citazione e discussione delle fonti autoritative) che oggi appaiono libresche, ripetitive e del tutto lontane dall’esperienza della cura, e perfino contrarie alle dottrine di Ippocrate.
Al contrario, l’abitudine a utilizzare agilmente le fonti antiche, ed eventualmente a contrapporle l’una all’altra e a criticarle, così come la capacità di affrontare con sofisticati strumenti logici problemi di estrema complessità, non risultano estranee alla fioritura della medicina e della scienza prerinascimentali in centri come Padova, o in discipline apparentemente lontanissime dal metodo aristotelico, come la nascente ricerca anatomica. L’adozione di Aristotele come massima autorità scientifica, del resto, non è aproblematica, e la lettura degli autori antichi è spesso molto diversa da quella accettazione acritica che sarà poi rimproverata alle generazioni precedenti dai primi umanisti.
Esistono inoltre notevoli difficoltà nella conciliazione fra la tradizione aristotelica e quella ippocratico-galenica. La principale, forse, riguarda la gerarchia degli organi vitali: i testi aristotelici esibivano un deciso cardiocentrismo, mentre nel sistema galenico si propendeva per una tripartizione dei “centri” corporei, e si assegnava comunque un posto di preminenza al cervello. Questioni connesse e molto dibattute sono quelle dei nervi del cuore e del rapporto fra mente e sensi. Un altro punto controverso è quello del meccanismo della riproduzione: per Aristotele il seme maschile gioca un ruolo essenziale nella formazione dell’embrione, mentre per Galeno esistono un seme maschile e uno femminile. La difficoltà di tenere insieme dottrine diverse, se non in aperto contrasto, era già stata avvertita dagli autori arabi, e risolta con soluzioni originali e varie. Se Avicenna, ad esempio, insegnava ad affidarsi ad Aristotele per le verità scientifiche ma a seguire Galeno nella pratica diagnostica e terapeutica, Averroè, nel De corde, rifiutava le spiegazioni di Galeno ma non accettava completamente neppure quelle di Aristotele.
Il contrasto ha una sua cronologia: se nel Duecento, sull’onda della traduzione – peraltro tarda – dei Parva naturalia, e successivamente dei lavori biologici, prevalgono la lettura e interpretazione di Aristotele, nel Trecento vi è un modesto ritorno a Galeno, evidente ad esempio nel rinnovato interesse per l’anatomia mostrato da autori come Mondino de’ Liuzzi, che proprio sui testi del medico di Pergamo imparano che la morfologia del corpo umano e dei singoli organi è di vitale importanza per il medico. In ogni caso, lungi dal restare ingessati e immobili, i modelli antichi subiscono ogni sorta di modifica e innovazione, anche a carattere sincretistico, come è evidente nella discussione sulle facultates (Siraisi).
In Italia, dove le università sono tradizionalmente prive delle facoltà di teologia, si afferma poi un modello particolare di rapporto tra facoltà delle arti e facoltà di medicina: la propedeuticità della prima rispetto alla seconda, e il fatto che molti insegnamenti filosofici siano attribuiti a medici e rivolti a futuri medici, rafforzano il legame tra filosofia naturale e medicina e insieme danno all’insegnamento della filosofia una forte impronta “scientifica”. Il legame tra pratica di cura e mondo naturale è un’ovvietà per medici educati sui testi antichi: nell’insorgere delle patologie, nella prognostica e nella terapeutica, e nella stessa determinazione della costituzione corporea individuale, sono considerate centrali la relazione con le stagioni, i climi, la geografia, ma anche con i cieli. Il sapere astronomico e astrologico era tutt’altro che accessorio per il medico, così come quello dei fenomeni del mondo che aristotelicamente si definiva “sublunare”.
Il legame stretto con l’insegnamento nelle facoltà delle arti, e il “cemento” fornito dalla filosofia aristotelica, consentono inoltre un’uniformità dei curricula che rappresenta una delle fortune delle università italiane e un potente fattore di internazionalizzazione del dibattito scientifico. Nelle facoltà delle arti, soprattutto a partire dal XIV secolo, si insegnano logica, filosofia naturale, geometria, astronomia-astrologia. Le esigenze di una trasmissione uniforme del sapere, formalizzata nei curricula e controllabile sul piano sociale e politico, ha anche come conseguenza la creazione di un corpus testuale stabile, “manualistico” e sostanzialmente simile in tutta Europa, fondato sull’Articella e sul Canon di Avicenna. Nel XIII secolo i commentari all’Articella diventano il nucleo principale dell’insegnamento medico; a partire dal 1260 circa la raccolta nella sua forma standardizzata incluse infatti non solo i testi, ma anche i commenti, e in questa forma ampliata viene adottata da Taddeo Alderotti e Mondino de’ Liuzzi a Bologna, ma anche a Parigi e a Montpellier. Nella seconda metà del XIII secolo, del resto, la triangolazione e i rapporti intensi fra questi e altri centri minori di insegnamento non riguardano solo i testi didattici o prodotti per il vasto pubblico degli studenti. Circolano infatti anche opere e traduzioni di Galeno in edizioni lussuose, destinate a un consumo di alto profilo, al dibattito tra studiosi, anche se sempre contiguo all’ambiente degli studia.