Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La crisi della teoria aristotelica della materia è determinata dall’emergere all’interno dello stesso aristotelismo di un’interpretazione in termini corpuscolari della dottrina dei “minimi naturali”. Nel corso del secolo prendono forma due concezioni della materia alternative a quella aristotelica: la concezione ilozoistica, che afferma un’animazione della materia e di cui Telesio è il principale esponente, e quella atomistica, sostenuta da Giordano Bruno. Concezioni corpuscolari cominciano ad essere utilizzate nelle ricerche di metallurgia, come è mostrato dal De la pirotechnia (1540) del senese Vannoccio Biringuccio.
L’aristotelismo
Anche se la teoria aristotelica della materia è ancora generalmente accettata dai filosofi rinascimentali, in questo periodo essa subisce alcune trasformazioni, ossia l’introduzione al suo interno di concezioni di carattere corpuscolare, tradizionalmente estranee all’aristotelismo.
All’interno del pensiero aristotelico la teoria della materia si era definita in aperta antitesi all’atomismo. Secondo Aristotele, la sostanza, ossia l’essere di ogni cosa che esista individualmente, è costituita di forma (il principio interno che ne definisce le proprietà e la struttura) e materia, o sostrato. Ma forma e materia sono distinte solo nel pensiero, nel mondo fisico non esistono forme senza materia, né una materia priva di forma; tutti i corpi sono composti da quattro elementi, a ciascuno dei quali è associata una coppia di qualità: il fuoco è caldo e secco, l’aria è calda e umida, l’acqua è fredda e umida, la terra è fredda e secca. A differenza dell’atomismo, i costituenti ultimi dei corpi non sono determinati da proprietà quantitative, ma da qualità. Contrariamente agli atomi, che sono immutabili, gli elementi aristotelici non sono considerati immutabili, ma ciascuno può essere trasformato in qualsiasi altro attraverso il mutamento di una o di tutte e due le qualità.
Tra gli aristotelici emersero, già nel Medioevo, differenti punti di vista su uno dei più spinosi problemi della teoria della materia del maestro, ossia se in un corpo misto siano ancora presenti gli elementi a partire dai quali esso è stato formato e, in caso affermativo, in quale maniera.
Le differenti soluzioni sulla composizione del misto si basano essenzialmente su ragioni di carattere filosofico, non sperimentale. Gli aristotelici padovani, seguendo Averroè, affermano che nel misto gli elementi permangono con le loro forme, presenti in esso con intensità ridotta; per i tomisti, invece, sopravvivono solo le qualità degli elementi, non le loro forme. Secondo Fernel le forme degli elementi sussistono, ma sono inattive, in quanto imprigionate dalla forma superiore del mixtum.
Sebbene possano apparire dispute di carattere puramente verbale, le discussioni sul misto aprono la strada a una crisi della teoria aristotelica della materia; la filosofia aristotelica giunge infatti a un vicolo cieco, non emergendo alcuna soluzione del problema che sia compatibile con i principi aristotelici. È allora l’utilizzazione del concetto di “minimo naturale” nelle discussioni sul misto a introdurre elementi corpuscolari nell’aristotelismo cinquecentesco.
La dottrina dei minima naturalia viene presentata come una teoria ben definita della struttura della materia da Agostino Nifo. Prima di lui, i minimi sono per lo più soltanto dei limiti teorici della divisione, al di là dei quali una sostanza cessa di essere tale, non conserva cioè la propria forma. Nifo afferma invece che i minima hanno un’esistenza reale e che quando due sostanze agiscono chimicamente l’una sull’altra sono i loro rispettivi minimi a reagire, e in tal modo si formano i minimi del composto.
Giulio Cesare Scaligero compie un ulteriore passo verso un’interpretazione corpuscolare dei minimi, affermando che i minima delle differenti sostanze hanno differenti dimensioni.
Scaligero spiega lo composizione chimica (il mixtum) come il risultato del moto dei minima con la determinazione di un mutuo contatto. Toletus segue lo stesso orientamento di Scaligero e sostiene che un composto si forma quando i reagenti sono ridotti ai loro minima naturalia. L’interpretazione dei minima in termini corpuscolari, infine, è compiuta da Daniel Sennert all’inizio del secolo successivo.
Teorie ilozoistiche
La ripresa di tradizioni filosofiche diverse dall’aristotelismo come per esempio lo stoicismo conduce all’affermazione di dottrine ilozoistiche che attribuiscono alla materia un principio interno di azione e di vita. Uno dei principali sostenitori dell’ilozoismo è Bernardino Telesio, il quale afferma l’esistenza in natura di tre principi: due nature agenti (il caldo e il freddo) e una massa corporea. I tre principi non sussistono separatamente, ma sono presenti insieme nei corpi, e la materia non è pura passività, come volevano gli aristotelici, ma è attiva. La sua forma più sottile e attiva, secondo Telesio, è lo spiritus che plasma la materia più grossa ed è responsabile di tutte le generazioni che si determinano in natura. L’opposizione aristotelica di materia e forma scompare quindi in Telesio, per far posto a una materia che si differenzia in base ai vari gradi di attività.
L’idea telesiana di un’animazione generale dell’universo è poi ripresa da Campanella nel Del senso delle cose e della magia (scritto nel 1590), dove tuttavia non compaiono i risvolti materialistici, evidenti invece in Telesio.
Concezioni vitalistiche sono anche presenti nella filosofia della natura di Paracelso e dei suoi seguaci, che alla dottrina dei quattro elementi di Aristotele oppongono i tre principi chimici di sale, zolfo e mercurio, sostanze di cui tutti i corpi sono composti e nelle quali possono essere scomposti per mezzo del fuoco. Per i paracelsiani l’intera natura è animata dallo spirito, una materia finissima e attiva; la vita è diffusa in tutta la natura e relazioni di attrazione e repulsione sussistono tra i vari enti naturali.
Atomismo
La rinascita dell’atomismo antico ha luogo attraverso un duplice percorso: da un lato sul terreno filologico, dall’altro su quello medico. La traduzione latina ad opera di Ambrogio Traversari (1424-1433) delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio - la principale fonte per la conoscenza della filosofia di Epicuro – e la riscoperta ad opera di Poggio Bracciolini del De rerum natura di Lucrezio – poema che esercita un’influenza considerevole nel Cinquecento rendono disponibile ai filosofi rinascimentali una fisica basata sulla concezione atomistica della materia. In campo medico, teorie corpuscolari emergono nelle discussioni sulle cause del contagio; così, per Girolamo Fracastoro i focolai di contagio si diffondono attraverso semi, da lui concepiti come corpuscoli, che tuttavia non sono identificabili interamente con gli atomi epicurei, essendo questi ultimi dotati di proprietà puramente geometrico-meccaniche.
Giordano Bruno
Il minimo
Il minimo, Libro I, cap. II
Il minimo è la sostanza delle cose e sebbene sia espresso da un genere diverso da quello della quantità, costituisce il principio della quantità e della grandezza. È materia, ossia principio elementare, efficiente, determinazione, totalità ovvero punto nell’ambito delle grandezze a una o due dimensioni, atomo, nel senso più proprio del termine, in quelle entità corporee che costituiscono gli elementi originari e nel senso meno proprio del termine in quelle che sono tutte in tutto e nelle singole parti, come nella voce, nell’anima e entità simili; monade da un punto di vista razionale nei numeri; da un punto di vista essenziale in tutte le cose. Quindi il massimo altro non è che il minimo. Prescindi dal minimo e non ti rimarrà nulla. Togli la monade e non esisterà più numero, né alcunché di numerabile o numerante. Insomma, con il termine monade viene esaltato l’ottimo, il massimo, la sostanza prima e l’entità fondamentale presupposto di ogni ente particolare.
Praticamente e teoricamente si può dunque affermare che il soggetto e l’oggetto della natura e dell’arte, la sintesi e l’analisi si fondano sul minimo e ad esso si riconducono.
Non importa che siano molti i generi e le figure dei minimi, come, del resto, delle lettere, perché si possano comporre innumerevoli specie; del resto secondo Democrito e Leucippo le figure rientrano in un unico genere; infatti, per la differenza esistente tra il vuoto e il solido nonché tra le caratteristiche e l’ordine dell’uno e dell’altra, la diversità delle forme dipende necessariamente dagli atomi sferici; a noi non basta affermare l’esistenza del vuoto e degli atomi; occorre invece postulare l’esistenza di una materia che li unisca. Per caso anche costoro hanno scambiato l’aria con il vuoto, cosa che noi non ammettiamo.
Giordano Bruno, Opere latine (Il triplice, il minimo e la misura), a cura di C. Monti, Torino, UTET, 1980
La teoria atomistica è sostenuta in modo esplicito da Giordano Bruno, per il quale tutti i corpi sono composti da atomi, unità fisiche indivisibili e indistruttibili.
Gli atomi, secondo Bruno, sono di numero infinito, sono tutti della stessa grandezza e della stessa forma (sferici), e sono composti da un’unica materia omogenea. Ma l’aver adottato gli atomi come costituenti ultimi dei corpi non implica un’adesione totale da parte di Giordano Bruno all’atomismo epicureo. A differenza dell’atomismo antico, quello di Bruno non assume l’esistenza del vuoto; nell’universo bruniano, l’etere, che è definito come una sostanza finissima, semplicissima e continua, riempie tutti gli spazi tra i corpi. Secondo il pensiero di Bruno, inoltre, l’etere svolge anche il ruolo di principio di coesione dei corpi che i soli atomi, a causa della loro forma sferica, non garantirebbero.
Teorie corpuscolari e indagini metallurgiche: Biringuccio
Concezioni corpuscolari cominciano a emergere già nell’alchimia medievale, in particolare nella Summa perfectionis, dello pseudo Geber, che risale alla fine del secolo XIII. L’opera ha ampia circolazione nel Rinascimento, sia nella versione manoscritta che a stampa. L’ingegnere e metallurgista senese Vannoccio Biringuccio (1480-1537) tratta della struttura dei metalli nel De la pirotechnia (1540) e, ispirandosi allo pseudo Geber, interpreta le proprietà chimico-fisiche dei metalli in termini corpuscolari. Le teorie di Biringuccio costituiscono un compromesso tra la dottrina degli elementi e la concezione atomistica. I quattro elementi aristotelici (terra, acqua, aria, fuoco) sono concepiti come particelle di materia determinate qualitativamente; essi si compongono in diverse proporzioni dando luogo alle proprietà che caratterizzano i vari metalli. Le proprietà dei metalli non derivano dalle forme sostanziali aristoteliche, ma dal moto e dalle modalità di aggregazione dei corpuscoli costitutivi, nonché dalla proporzione tra questi ultimi e i pori. L’oro ha una struttura compatta, le particelle che lo compongono sono tra loro in equilibrio e per questa ragione non subisce processi ossidativi. Questi si riscontrano invece negli altri metalli, la cui struttura è meno omogenea e le cui particelle sono dotate di mobilità. L’aumento del peso dei metalli sottoposti a calcinazione è spiegato in termini di corpuscoli e pori: se si sottopone a riscaldamento un metallo, i pori presenti nella sua struttura sono dilatati, permettendo così l’uscita delle particelle d’aria che – secondo la concezione aristotelica – sono leggere e partecipano alla composizione delle sostanze diminuendone il peso.