La maschera del demonio
(Italia 1960, bianco e nero, 87m); regia: Mario Bava; produzione: Massimo De Rita per Galatea/Jolly; soggetto: dal racconto Il Vij di Nikolaj Gogol; sceneggiatura: Mario Bava, Ennio De Concini, Mario Serandrei, Marcello Coscia; fotografia: Mario Bava; montaggio: Mario Serandrei; scenografia: Giorgio Giovannini; costumi: Tina Grani; musica: (edizione italiana) Roberto Nicolosi, (edizione americana) Les Baxter.
Moldavia, 1630. La bellissima principessa Asa, accusata di stregoneria, e il suo amante Yavutich vengono messi a morte dal fratello di Asa: nel supplizio, la donna è costretta a indossare una maschera con chiodi conficcati all'interno. Duecento anni dopo, il dottor Chomà Kruvajan e il suo assistente Andrej Gorobek, viaggiatori che attraversano la regione mitteleuropea, penetrano nella cripta e riportano casualmente in vita la strega con il sangue che il medico perde dopo una ferita accidentale. Le sembianze di Asa sono identiche a quelle della sua pronipote Katia, che vive in un castello nelle vicinanze. La strega cerca di impadronirsi del suo corpo, anche se la discendente non è dedita all'adorazione del male. Asa inoltre fa resuscitare l'antico amante e con il suo aiuto miete vittime per soddisfare la sua sete di sangue: via via cadono il padre e il fratello di Katia, presto raggiunti nel mondo dei morti dal dottor Chomà. Sarà Gorobek, che si è innamorato di Katia, a salvare la giovane sconfiggendo per sempre la strega e ponendo fine alla maledizione che ha colpito la regione.
Esordio alla regia per Mario Bava, che trasse spunto da una novella russa trasfigurando completamente la storia e le situazioni a vantaggio dell'aspetto visivo, confermandosi in questo il più moderno tra i cineasti popolari italiani di quel periodo. Sfruttando sapientemente ogni possibile sfumatura del bianco e nero, Bava costruì una vicenda dai passaggi logici spesso incomprensibili. Eppure lo spettatore resta affascinato dal grande talento con il quale vengono proposte immagini ambigue, che non esauriscono mai la propria complessità. Il doppio ruolo, positivo e negativo, ricoperto da Barbara Steele lascia sempre incerti su quale dei due personaggi sia in scena in quel particolare momento; e questa incertezza è ancor più sottolineata dal continuo gioco di luci e di ombre che entra in campo ogni volta che la macchina da presa si concentra sul volto bello e irregolare dell'attrice, che è per la prima volta protagonista di un film e inizia in questo modo una carriera che in poco tempo la vedrà regina assoluta del cinema horror. Il gioco di luci e ombre riguarda anche altri personaggi, in particolare il perfido Yavutich, interpretato da Arturo Dominici, un caratterista specializzato in parti di cattivo ambiguo: il suo volto esangue, sempre inquadrato e illuminato dal basso, diventa spettrale, rispecchiando perfettamente la natura del personaggio.
Tutte le riprese furono realizzate in uno studio dalle risorse ridottissime, dove Bava poté dare fondo alle sue grandi capacità di creare trucchi scenografici e visivi a basso costo. In particolare, la cripta venne interamente realizzata in uno spazio di nove metri quadrati, le scenografie erano tutte di cartapesta ma venivano opportunamente coperte dalla grande quantità di fumi che conferiscono quella dimensione irreale al complesso della storia. La trasformazione a vista della strega prevedeva una serie di filtri colorati posti davanti all'obiettivo: sfilandoli a uno a uno, venivano evidenziati i trucchi sul volto dell'attrice, che prima erano invisibili perché dello stesso colore dei filtri.
Il film nacque da una formula produttiva e distributiva che coinvolgeva anche gli Stati Uniti, e si trattò di uno dei primi esperimenti di questo tipo per quanto riguarda il basso costo (tale formula era invece fino a quel momento piuttosto comune per i kolossal storico-mitologici). L'idea fu di Nello Santi, il proprietario della Galatea Film, che aveva già avuto la possibilità di espandersi sul mercato americano grazie all'enorme successo di Le fatiche di Ercole, diretto nel 1958 da Pietro Francisci con la collaborazione proprio di Bava per trucchi e fotografia e di Ennio De Concini per quanto riguarda soggetto e sceneggiatura. La maschera del demonio trionfò sul mercato internazionale (negli Stati Uniti è noto come Black Sunday) e dimostrò che era possibile costruire le storie horror con un'estetica diversa da quella gotico-vittoriana tipica dell'inglese Hammer Film, all'epoca di grande successo. In particolare, l'horror italiano fu poi caratterizzato dalla presenza di Barbara Steele e da storie nelle quali il personaggio femminile è costantemente al centro della vicenda, in ruoli ora positivi ora negativi: questi ultimi si sarebbero rivelati però di gran lunga prevalenti e la donna fu molto spesso il male impersonificato, infine distrutto dalle forze del bene.
Interpreti e personaggi: Barbara Steele (Asa/Katia), John Richardson (Andrej Gorobek), Ivo Garrani (principe Wajda), Andrea Checchi (Chomà Kruvajan), Arturo Dominici (Yavutich), Antonio Pierfederici (pope), Enrico Olivieri (Costantino), Tino Bianchi (Ivan, il domestico), Clara Bindi (locandiera), Germana Dominici (figlia della locandiera), Mario Passante (cocchiere).
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