Abstract
È analizzato il reato di manipolazione del mercato fornendo un’analisi delle principali problematiche interpretative relative agli elementi costitutivi della fattispecie penale, con particolare attenzione alle condotte vietate. Si esamina, inoltre, l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato e i suoi problematici rapporti con la fattispecie penalistica.
Il reato di manipolazione del mercato, noto anche come “aggiotaggio finanziario”, è disciplinato dall’art. 185 d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u.f.) e costituisce, insieme al reato di abuso di informazioni privilegiate, un “abuso di mercato”.
Dal 2005, al reato si affianca l’illecito amministrativo di «Manipolazione del mercato» (art. 187 ter t.u.f.) (v. Manipolazione del mercato), accertato attraverso un procedimento interamente governato dalla CONSOB e volto a sanzionare comportamenti in parte estranei e in parte già destinatari della tutela penale (cd. “doppio binario”, v. infra, § 6).
Gli abusi di mercato sono stati recentemente oggetto di una nuova riforma di matrice europea, che si compone di due atti normativi: per la parte amministrativa il Regolamento 16 aprile 2014, n. 596 (cd. MAR), per la parte penale la direttiva 16 aprile 2014, n. 57 (cd. MAD II). Il Regolamento è entrato direttamente in vigore il 3 luglio 2016, mentre la direttiva richiedeva di essere recepita, entro la stessa data, dai legislatori nazionali. Il termine per l’esercizio della prima legge delega 9.7.2015, n. 114 è decaduto senza che la stessa fosse esercitata. Alla successiva legge delega 25.10.2017, n. 163 il Governo ha dato attuazione con il d.lgs. 10.8.2018, n. 107. Il decreto, coerentemente con la legge delega che affermava la superfluità della riforma del comparto penalistico, di fatto non recepisce la MAD II e non contiene modifiche alle fattispecie penali o al quantum delle pene. Il legislatore si limita ad adeguare il t.u.f. alle disposizioni del MAR, con un intervento volto ad abrogare previsioni già implicitamente disapplicate e a includere, mediante la tecnica del rinvio, le previsioni regolamentari di derivazione europea nelle fattispecie, anche penalistiche, in vigore (per gli interventi sul sistema sanzionatorio, v. infra, § 6).
Il sistema sanzionatorio previsto dal t.u.f. si presenta come un vero e proprio “arsenale” di sanzioni di varia natura e con limiti edittali molto elevati, tanto da apparire persino distonico rispetto a quanto previsto dall’ordinamento per gli altri reati economici.
La pena comminata per il reato è la reclusione da due a dodici anni e la multa da euro ventimila a cinque milioni, così determinata alla luce della l. 28.12.2005, n. 262, che ha disposto il raddoppio delle pene entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal codice penale. Secondo una condivisibile lettura, il raddoppio va circoscritto alla sola pena detentiva e non anche a quella pecuniaria, già assestata su cornici edittali prossime o superiori ai massimi consentiti.
L’art. 185, co. 2, t.u.f. prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale di carattere facoltativo che incide solo sulla multa (aumentabile fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato), quando risulti inadeguata anche se applicata al massimo alla luce di tre presupposti alternativi: la rilevante offensività del fatto, le qualità personali del colpevole o l’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato.
Alle pene principali si aggiungono le «Pene accessorie» (art. 186 t.u.f.), applicabili per una durata non inferiore a sei mesi e non superiore a due anni, che consistono, oltre alla pubblicazione della sentenza di condanna, nell’interdizione dai pubblici uffici, nell’interdizione da una professione o da un’arte, nell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e nell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (artt. 28, 30, 32 bis, 32 ter c.p.).
Obbligatoria in caso di condanna è anche la «Confisca» del prodotto e del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo, anche per equivalente (art. 187 t.u.f.; Cass. pen., 3.4.2014, n. 25450).
Per l’illecito amministrativo di cui all’art. 187 ter t.u.f. il quadro sanzionatorio è altrettanto articolato, prevedendo, oltre alla sanzione pecuniaria, sanzioni accessorie speciali e la confisca obbligatoria (artt. 187 quater e 187 sexies t.u.f., come modificati dal d.lgs. n. 107/2018).
Sia l’art. 185 che l’art. 187 ter t.u.f. costituiscono illeciti presupposto della responsabilità amministrativa degli enti (art. 25 sexies d.lgs. 8.6.2001, n. 231). Le sanzioni per l’ente sono altrettanto severe: la sanzione pecuniaria base, calcolata con il sistema delle quote ex d.lgs. n. 231/2001, è aumentabile, qualora il prodotto o il profitto conseguito dall’ente sia di rilevante entità, fino a dieci volte tale prodotto o profitto. Alla responsabilità derivante da reato si affianca la responsabilità diretta dell’ente per l’illecito amministrativo di cui all’art. 187 ter, sanzionato con la sanzione amministrativa pecuniaria da ventimila euro fino a quindici milioni di euro, ovvero fino al quindici per cento del fatturato, quando tale importo è superiore a quindici milioni di euro e il fatturato è determinabile ai sensi dell'articolo 195, co. 1-bis, t.u.f. (art. 187 quinquies t.u.f., come modificato dal d.lgs. n. 107/2018). Al “doppio binario” si aggiungono, infine, la responsabilità civile dell’ente per la multa inflitta alla persona fisica intranea (art. 197 c.p.) e l’obbligazione solidale per la sanzione amministrativa applicata alla stessa (art. 6, co. 3, l. 14.11.1981, n. 689).
La manipolazione del mercato è un comportamento volto a influire sul corretto processo di formazione dei prezzi degli strumenti finanziari negoziati attraverso condotte che, in ragione dell’inganno che sostanzia l’operato e le finalità del manipolatore, sono assimilabili a una frode.
Le teorie economiche che hanno studiato gli effetti del fenomeno sul mercato si fondano su due assunti: un mercato è efficiente quando i prezzi degli strumenti finanziari negoziati riflettono correttamente tutte le informazioni disponibili; in un mercato efficiente il prezzo di un titolo costituisce la miglior stima dei rendimenti futuri della società emittente. Attraverso la manipolazione il prezzo verso il quale viene indirizzato il mercato è un prezzo non corrispondente al reale valore, con la conseguenza che, qualora il mercato seguisse il “suggerimento” del manipolatore, il prezzo tenderà a posizionarsi a un livello che non riflette una corretta valutazione del titolo. La manipolazione determina, dunque, un’inefficienza allocativa.
La ratio della punizione è dunque ravvisata sia nel carattere fraudolento della condotta, sia nella prevenzione degli effetti distorsivi che tale pratica può avere sui mercati finanziari, con l’ulteriore effetto secondario di minare la fiducia degli investitori. Ad essere protetto è il mercato come bene pubblico di interesse collettivo, senza potersi escludere un’indiretta protezione di beni individuali, quali il patrimonio investito dagli investitori (considerando n. 2 della dir. n. 6/2003/CE e considerando n. 1. della nuova dir. 57/2014/UE; cfr., Cass. pen., 20.7.11, n. 28932, in Dir. pen. e processo, 2011, 6, 1096).
Il danno al mercato o al patrimonio dell’investitore non costituiscono tuttavia un elemento del fatto tipico. La manipolazione del mercato, infatti, è strutturata secondo lo schema dei reati di pericolo, e in particolare di pericolo concreto: non è necessario che l’evento lesivo consistente nell’alterazione del prezzo si realizzi, ma è sufficiente che le condotte – non gli eventi che ne seguono – si connotino come concretamente «idonee a» determinare tale effetto (Consulich, F., Manipolazione del mercato e disorientamenti dogmatici: tra eventi di pericolo e pericolo di eventi, in Le Società, 2011, 827; v. infra, § 5).
È estraneo al fatto tipico anche il profitto ottenuto dal manipolatore che, qualora realizzato, può costituire soltanto un elemento valutabile ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante prevista ai fini dell’aumento della multa (v. supra, § 1).
La manipolazione del mercato convive nel nostro ordinamento con altre figure di aggiotaggio, dalle quali si distingue in funzione dell’oggetto: l’aggiotaggio comune (art. 501 c.p.) è relativo alle «merci», l’aggiotaggio societario (art. 2637 c.c.) è relativo agli «strumenti finanziari non quotati». La manipolazione del mercato concerne, invece, ai sensi delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 107/2018: gli strumenti finanziari «ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altri Paesi dell’Unione europea» (art. 182, co. 2, t.u.f.), gli strumenti finanziari negoziati «in un sistema multilaterale di negoziazione italiano» o «su un sistema organizzato di negoziazione italiano» (art. 182, co. 1, t.u.f.), i prodotti oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni (art. 182, co. 2 bis, t.u.f.).
Per quanto riguarda l’elenco degli strumenti finanziari interessati occorre fare riferimento all’art. 180 t.u.f., che alla luce delle modifiche operate dal d.lgs. n. 107/2018 comprende oggi un vastissimo elenco di titoli negoziabili (azioni, obbligazioni, titoli di Stato, quote di fondi comuni di investimento), oltre a strumenti derivati (futures, credit default swap, contratti differenziali), contratti a pronti su merci e indici di riferimento (cd. benchmark).
In deroga ai principi generali dettati dall’art. 6, co. 2, c.p., l’art. 182, co. 1, t.u.f. stabilisce la punibilità secondo la legge italiana di fatti che si sono verificati all’estero quando l’abuso abbia a oggetto strumenti finanziari negoziati su un mercato regolamentato italiano o un sistema multilaterale di negoziazione italiano o su un sistema organizzato di negoziazione italiano. Il criterio legato all’“italianità del mercato” è poi abbandonato dalla successiva disposizione: si può procedere in Italia quando la condotta ricade su strumenti finanziari negoziati su mercati regolamentati dell’Unione europea, purché, secondo i principi generali, sul territorio nazionale sia commesso almeno in parte il fatto di reato (art. 182, co. 2, t.u.f.).
Posizioni contrapposte si segnalano in merito al locus commissi delicti, soprattutto rispetto alla manipolazione informativa. Il filone tradizionale afferma la competenza esclusiva del Tribunale di Milano, quale luogo ove avviene la pubblicazione della notizia falsa a opera di Borsa Italiana attraverso il canale NIS, oltre che come luogo in cui avvengono gli ordini di acquisto e si concretizza così il pericolo di alternazione del corso dei titoli (Cass. pen., 29.1.2013, n. 4324; Cass. pen., 20.7. 2011, n. 28932, in Dir. pen. e processo, 2011, 9, 1096; Trib. Milano, 26.2.2007, in Foro ambr., 2007, 96; Trib. Milano, 23.5.2008, in Foro ambr., 2008,193 ss.; Trib. Milano, 18,12.2008, in Foro ambr., 2009, 328 ss.; Trib. Torino, 21.12.2010, in Giur. comm., 2012, 379). A diverse conclusioni è invece giunta la Procura generale presso la Corte di cassazione secondo la quale «il momento consumativo del reato va collocato nel momento in cui il soggetto attivo decide di palesare all’esterno la condotta decettiva» (cfr. Trib. Torino, 30.1.2014, in penalecontemporaneo.it, 14.3.2014).
Il reato non opera, per espresse esenzioni stabilite all’art. 183 t.u.f. (come modificato dal d.lgs. n. 107/2018) per le operazioni nell’ambito della politica monetaria, della politica dei cambi o nella gestione del debito pubblico, nonché per le attività nell’ambito delle politiche climatiche, agricole o della pesca dell’Unione. Un’ulteriore esenzione è poi prevista per le negoziazioni di azioni proprie effettuate nell’ambito di programmi di riacquisto, purché esse avvengano con le modalità e nei limiti dettati dall’art. 5 MAR, a cui la norma rinvia.
La manipolazione del mercato è un reato comune, che può essere commesso da «chiunque». La qualifica soggettiva dell’autore del reato può assumere rilievo solo ai fini della commisurazione della pena e dell’applicazione della circostanza aggravante speciale prevista dall’art. 185, co. 2., t.u.f., che fa espresso riferimento alle particolari «qualità personali del colpevole».
Secondo unanime interpretazione, l’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale (Trib. Milano, 11.11.2002, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 747).
Tre sono le condotte punite: la «diffusione di notizie false», il compimento di «operazioni simulate» o di «altri artifici». La prima condotta è comunemente nota come “aggiotaggio informativo”, le seconde due come “aggiotaggio manipolativo o operativo”.
Ai fini della penale rilevanza, le tre condotte devono essere «concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari».
La diffusione di notizie false consiste nella divulgazione di informazioni indirizzate verso una pluralità indeterminata di destinatari, intesi non soltanto come coloro che entrano in rapporti contrattuali diretti con il manipolatore, ma come tutti coloro che seguono l’andamento del mercato, i quali possono venire indotti a operare sulla scorta delle condotte manipolative. Il termine di riferimento è quindi il pubblico indistinto. Il concetto stesso di «notizia» porta a escludere la rilevanza penale di mere voci (cd. rumors) o informazioni così vaghe da non poter essere chiaramente intellegibili nei loro contenuti. Discussa è, invece, la rilevanza di opinioni, valutazioni o critiche di carattere soggettivo. Accanto a chi ritiene la notizia esclusivamente «una affermazione descrittiva di determinati fatti storicamente accaduti» (Alessandri, A., Osservazioni sulle notizie false esagerate o tendenziose, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 720), è preferibile la tesi che propone dei distinguo, a seconda che la valutazione veicoli o meno anche dei fatti (Orsi, L., La manipolazione del mercato mediante la diffusione di false notizie, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2009, I, 83 ss.). Avrebbero così rilievo le rappresentazioni di un fatto esistente filtrate dalla personale prospettiva del comunicatore, articolata in modo tale che la realtà finisca per essere mistificata sotto la veste di opinione, oppure maliziosa commistione di fatti e opinioni. Analoga conclusione vale per le previsioni: vi è notizia falsa se si proiettano nel futuro dati non rispondenti alla effettiva realtà “in corso”, mentre non rilevano ipotesi sul futuro disancorate dalla realtà passata o attuale. In linea di principio, sono poi esclusi i fatti già noti, perché non costituisco una «notizia».
La notizia può riguardare qualsiasi oggetto: notizie false relative a società emittenti (cd. corporate information) oppure notizie aventi a oggetto strumenti finanziari o l’andamento del mercato nel suo complesso (cd. market information). La notizia non deve essere necessariamente riservata e deve essere «falsa», ossia difforme dalla realtà in quanto dichiari un fatto o una circostanza inesistente o in quanto neghi un fatto o una circostanza esistente (interessante sul punto la vicenda Ifil–Exor, Trib. Torino, 21.12.2010, in Giur. comm., 2012, 379; App. Torino, 21.2.2013, in penalecontemporaneo.it, 24.9.2013; Cass. pen., 20.6.2012, n. 40393). La definizione odierna qualifica la notizia soltanto come falsa e non più anche come «esagerata o tendenziosa» (così era fino al 2002). Esagerata è la notizia che enfatizza un dato quantitativo della realtà a cui si riferisce; tendenziosa è quella notizia che, pur vera, riferisce o evidenzia soltanto una parte degli accadimenti, omettendo dettagli di rilievo o commentandone i contenuti in modo da confondere il destinatario sulla portata del fatto vero. L’interpretazione preferibile ritiene, tuttavia, che la falsità sia nozione unitaria, sicché l’eliminazione della specificazione non ha ridotto l’area del penalmente rilevante (Seminara, S., L’aggiotaggio (art. 2637 c.c.), in I nuovi reati societari, a cura di A. Giarda, S. Seminara, Padova, 2002, 555). In ogni caso, è pacifico che le notizie esagerate e tendenziose sarebbero comunque rilevanti quali «altri artifici».
La seconda modalità di commissione del reato consiste in «operazioni simulate» (cd. action based manipulation), ovvero una operazione che, singolarmente considerata o per il contesto nel quale si inserisce, ha una valenza ingannevole per gli altri operatori del mercato in quanto simula o dissimula la reale giustificazione economica dell’operazione. Si può trattare di una “simulazione assoluta”, relativa a operazioni che le parti non hanno mai voluto compiere, o di una “simulazione relativa”, relativa a operazioni che, pur volute, presentano una giustificazione o una oggettività economica difforme da quella effettivamente perseguita dalle parti. Il tipico segnale dell’artificiosità è stato individuato «nell’attitudine a determinare rialzi e ribassi dei valori, privi di base reale, e destinati a “sgonfiarsi” repentinamente una volta esaurita la manovra; nel caso di “action based manipulation” può trattarsi di compravendita di titoli con mutamento solo apparente di proprietario e di ogni combinazione di ordini contestuali di acquisto e vendita» (Trib. Milano, 14.11.2005, in Foro ambr., 2005, 329). Oltre che dalle modalità intrinseche dell’operazione, la valenza ingannevole si può ricavare dalla capacità dell’operazione, per come appare sul mercato, di orientare le decisioni degli investitori. Ne sono un esempio: i cdd. wash trades, ossia transazioni nelle quali chi opera come acquirente e venditore è lo stesso soggetto, con il risultato che senza modificare la proprietà dello strumento si crea l’apparenza di una grande attività di scambio sullo strumento finanziario; i cdd. improper matched orders (talvolta qualificati come «altri artifici»), ossia la realizzazione contemporanea di operazioni di acquisto e di vendita dei medesimi strumenti finanziari, agli stessi prezzi e per gli stessi quantitativi, da parte di soggetti diversi, ma che agiscono in collusione tra loro. A questa categoria possono essere ricondotte anche le operazioni “concertate” che hanno caratterizzato le note vicende delle “scalate bancarie”, nelle quali, anche grazie a una concorrente condotta di manipolazione informativa, gli investitori erano ignari del tentativo di scalata e gli scalatori occulti pagavano prezzi verosimilmente più bassi di quelli che avrebbero pagato se avessero annunciato le proprie intenzioni (caso Antonveneta: Trib. Milano, 28.5.2011, in penalecontemporaneo.it, 24 ottobre 2011; App. Milano, 28.5.2012, in penalecontemporaneo.it, 14 giugno 2012; Cass., 28.11.2012, n. 12989; caso Unipol: Trib. Milano, 31.10.2011, in penalecontemporaneo.it, 19 dicembre 2011; App. Milano, 30.5.2012, in penalecontemporaneo.it, 15 giugno 2012; Cass., 6.12.2012, n. 49362).
La terza condotta consiste negli «altri artifici» (cd. trade based manipulation). Si tratta di una condotta di chiusura e residuale, della quale le operazioni simulate costituiscono una esemplificazione tipizzata dal legislatore. La delimitazione dei confini di questa condotta costituisce il tema interpretativo più complesso della fattispecie in esame. Alle critiche di indeterminatezza ha risposto la Suprema Corte, qualificando la condotta come sufficientemente determinata grazie al chiaro riferimento alla sua natura necessariamente «manipolativa», caratterizzata dalle modalità artificiose delle operazioni – i.e. comportamento fraudolento – e dal pericolo di alterazione (Cass., 7.12.2004, in Banca borsa, II, 2006, 265). Questioni interpretative sono sorte anche sulla nozione di «artificio» penalmente rilevante. L’artificio, infatti, a differenza delle altre forme di manipolazione, non si può individuare guardando esclusivamente all’agire, bensì occorre collocarlo nel suo contesto e analizzare i segnali percepibili dagli osservatori (Pedrazzi, C., Problemi del delitto di aggiotaggio, Milano, 1958). L’operazione necessita, cioè, di essere valutata nel suo complesso per verificare se essa abbia o meno distorto il regolare gioco della domanda e dell’offerta (Trib. Milano, 11.11.2002, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 747; App. Milano, 31.3.2004, in Banca borsa, II, 2006, 265; Trib. Milano, 27.3.2006, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 845). Nelle più recenti interpretazioni l’artificio è definito come qualsiasi operazione in cui l’agente ricorre all’impiego di mezzi illeciti, intesi sia come mezzi che siano in sé fraudolenti, sia come mezzi in sé leciti, ma impiegati con modalità oggettivamente artificiose nel caso concreto (Consulich, F., La giustizia e il mercato. Miti e realtà di una tutela penale dell’investimento mobiliare, Milano, 2011, 290 ss.; Lunghini, G., Manipolazione del mercato come difesa dell’impresa?, in Banca borsa, 2010, 2, 229). Pur posti questi condivisibili principi, l’accertamento concreto delle modalità artificiose e dello stesso pericolo rimane questione incerta, soprattutto nel caso di impiego di mezzi in sé leciti. Taluno richiama la necessità di dare rilievo a valutazioni di carattere soggettivo, ovvero alla consapevolezza di usufruire di circostanze tali da determinare un effetto fraudolento attraverso mezzi di per sé leciti (Lunghini, G., La manipolazione, cit., 1480), mentre un’altra linea di pensiero esclude che siffatte valutazioni possano entrare nel campo dell’accertamento della condotta (D’Alessandro, F., L’aggiotaggio e la manipolazione del mercato, in Diritto penale delle società, a cura di G. Canzio e L. Luparia, Milano, 2016, 758; Orsi, L., Gli “artifici” costitutivi dell’elemento oggettivo dei delitti di aggiotaggio (art. 2637 c.c.) e di manipolazione del mercato (art. 185 t.u.f.), in La responsabilità amministrativa degli enti, 2008, I, 100 ss.; Trib. Milano, 23.11.2006, in Giur. comm., 2007, II, 1291; Trib. Milano, 11.11.2002, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 747). La giurisprudenza ha valorizzato talvolta l’elemento soggettivo, seppur soltanto per illuminare il significato della condotta, senza conferire all’intenzione dell’agente esclusivo o primario rilievo (Trib. Milano, 11.11. 2002, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, 747; Trib. Milano, 26.2.2007, in penalecontemporaneo.it, 26 febbraio 2007; Trib. Milano, 27.3.2006, in Riv. dir. soc. 2007, 96).
Sono condotte astrattamente considerate artificiose e decettive: il cd. pumb and dump, consistente nell’acquisto massiccio di titoli a bassa capitalizzazione seguita dalla comunicazione di informazioni false volte a indurre i risparmiatori all’acquisto, per poi vendere massicciamente il proprio pacchetto, provocando la discesa repentina del valore e lasciando gli altri investitori senza più acquirenti interessati; il cd. marking the close, consistente nell’acquisto massiccio di uno strumento finanziario nella fase di chiusura della seduta borsistica, con la sola finalità di fissare l’“ultimo prezzo” a un livello elevato e dare così l’impressione di un trend “al rialzo” del prezzo dello strumento interessato. Il “rialzo” è fittizio, poiché il manipolatore, in realtà, non ha alcuna intenzione di acquistare i titoli e dismette l’intero pacchetto una volta ottenuto l’artificioso rialzo (App. Milano,17.3.2004, in Banca borsa, 2006, II, 265 ss.). Più complessa la valutazione rispetto alle condotte cdd. di price positioning (ad esempio, il capping, il corner e lo squeeze) volte a pre-posizionarsi in una posizione dominante su un certo strumento finanziario o su un derivato, in modo da poterne governare la domanda, l’offerta o il prezzo alla data in cui gli altri operatori saranno obbligati, per l’assolvimento dei loro impegni, a consegnare o ricevere lo strumento finanziario o il prodotto sottostante il derivato. Non esistendo per questi prodotti un cd. “typycal benchmark”, ai fini della fraudolenza della condotta si tende a distinguere tra manovre realizzate in maniera trasparente (lecite) e manovre accompagnate da comportamenti dissimulatori da parte del soggetto che effettivamente opera sul mercato (illecite).
I concetti di «artificio» e di «operazione simulata» sono connotati da una «predisposizione positiva di mezzi»; cosicché, non rileva il comportamento omissivo o la pura inerzia. L’omissione può invece rilevare per la manipolazione informativa rispetto a comunicazioni imposte dalla legge in cui vengano omesse informazioni significative; qui il «non dire» equivale nella sostanza a «dire il falso» (D’Alessandro, F., L’aggiotaggio, cit., 760).
L’unica novità introdotta dal d.lgs. n. 107/2018 all’art. 185 t.u.f. è l’inserimento, attraverso il nuovo art. 1 bis, di una causa di non punibilità, che opera in presenza di due congiunti requisiti: l’aver operato per motivi legittimi e in conformità a prassi di mercato ammesse. I motivi si considerano «legittimi» quando l’incidenza sul mercato avvenga in forza di una concatenazione di operazioni aventi un significato economico lecito e unite da motivazioni coerenti rispetto a questo significato economico. Le «prassi di mercato ammesse» sono invece definite dall’art. 13 MAR e dalle autorità regolatorie di settore. Già operante in passato per l’illecito amministrativo, la nuova causa di non punibilità appare di scarso rilievo, posto che sia l’artificiosità che la pericolosità concreta richieste dalla norma penale comportano di per sé la non rilevanza di siffatte condotte.
Le tre condotte tipiche assumono rilevanza penale solo ove risultino concretamente idonee ad alternare in misura sensibile il prezzo dello strumento finanziario oggetto dell’operazione manipolativa.
La cd. price sensitivity connota in modo decisivo la concreta offensività delle condotte ai sensi dell’art. 185 t.u.f., delimitando anche i confini con l’illecito amministrativo.
Il concetto di «alterazione» comprende tanto gli aumenti e le diminuzioni del prezzo, quanto il mantenimento forzato del prezzo a un determinato livello, purché sensibilmente diverso da quello che si raggiungerebbe qualora si lasciassero operare liberamente le dinamiche del mercato (Cass., 13.9.2016, n. 3836).
Ai fini dell’accertamento di questo elemento del fatto tipico, il giudice dovrà, seguendo la regola tipica dei reati di pericolo, valutare la condotta dell’agente attraverso un giudizio di prognosi postuma, con una valutazione ex ante, in concreto e a base totale, alla luce della complessiva situazione di mercato nella quale la condotta si inserisce, in quel momento storico e prescindendo dal successivo evolversi degli avvenimenti (Cass., 20.6.2012, n. 40393; Trib. Milano, 28.5.2011, in penalecontemporaneo.it, 24 ottobre 2011).
Si tratta di una valutazione che richiede, soprattutto per la manipolazione operativa, una conoscenza approfondita dei fondamentali del mercato e del loro interagire in un dato contesto e momento storico. Per la manipolazione informativa rileva anche la capacità di valutare la natura della notizia e la qualità della fonte.
Un’opinione dottrinale ritiene che l’evento di pericolo descritto dall'art. 185 t.u.f. contenga un rinvio implicito alla nozione di price sensitivity (art. 7, co. 4, MAR) elaborata dal legislatore con riferimento al diverso reato di abuso di informazioni privilegiate, ossia quell’informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento (Crespi, A., Manipolazione del mercato e manipolazione di norme incriminatrici, in Banca borsa, 2009, I, 129). Parte della giurisprudenza sembra in effetti impiegare detto parametro quando definisce price sensitive le condotte manipolative «che abbiano altresì la caratteristica di poter influenzare in modo apprezzabile le scelte dell’operatore medio che disponga delle normali informazioni riguardanti gli strumenti finanziari in cui intenda investire o disinvestire» (Trib. Milano, 28.5.2011, in penalecontemporaneo.it, 24 ottobre 2011; Cass., 20.7.2011, n. 28932). Il criterio dell' “investitore ragionevole”, soprattutto se impiegato in via esclusiva, non conduce tuttavia a un giudizio soddisfacente e rischia di “scadere” in non desiderabili giudizi di matrice soggettiva. Il giudicante non dovrebbe mai esimersi da un’analisi tecnica delle caratteristiche dello strumento finanziario e degli indicatori di mercato nel momento storico della condotta, posto che è sulla base di questi elementi che sorge l’aspettativa di rialzo o ribasso del prezzo che suggerisce l’acquisto o il disinvestimento da parte dell’investitore medio.
Ancor meno adeguate alla tipologia di giudizio richiesta al giudicante sono le verifiche processuali che si conformino al modello normalmente impiegato per i reati di danno in luogo di quello richiesto per i reati di pericolo. L’alternazione effettiva del prezzo può infatti costituire soltanto un indizio della rilevanza penale delle condotte: i dati empirici relativi all’andamento del mercato – di cui quasi sempre “a posteriori” si dispone – possono essere utilizzati esclusivamente come «elemento di riscontro materiale, che rafforza il giudizio già raggiunto sulla concretezza della situazione pericolosa verificatasi» (Trib. Milano, 28.5.2011, in penalecontemporaneo.it, 24 ottobre 2011; cfr., Cass., 20.6.2012, n. 40393).
Secondo il persuasivo orientamento della Corte di cassazione, il delitto di manipolazione del mercato si distingue dal corrispondente illecito amministrativo per due aspetti: solo la condotta penale esprime valenza frodatoria ed è concretamente idonea ad alterare i prezzi dello strumento a cui si riferisce (Cass., 16.3.2006, n. 15199, in Cass. pen., 2007, 56).
Vi è poi un’area di esclusività dell’illecito amministrativo legata all’elemento soggettivo: mentre il reato è punito solo a titolo di dolo, la fattispecie di cui all’art. 187 ter t.u.f. è sanzionabile, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 689/1981, sia a titolo di dolo che di colpa.
Posti questi due confini, la descrizione delle condotte è largamente, e nella sostanza, sovrapponibile.
Il nuovo art. 187 ter, come riformato dal d.lgs. n. 107/2018, si limita a sanzionare chiunque violi il divieto di manipolazione del mercato di cui all’art. 15 MAR, che, a sua volta, si limita a sancire che «non è consentito effettuare manipolazioni di mercato o tentare di effettuare manipolazioni di mercato». Per individuare le condotte vietate occorre fare riferimento all’art. 12 del MAR, che contiene un primo elenco di attività qualificate come manipolative e un secondo elenco di condotte esemplificative. L’illecito di manipolazione cd. informativa (art. 12, co. 2, lett. c) MAR), consiste nella «diffusione» tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, «di informazioni» e «di voci» che forniscano o siano suscettibili di fornire segnali falsi o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari o di contratti derivati oppure di fissare il prezzo degli stessi a un livello anormale o artificiale. I tratti distintivi rispetto all’ipotesi delittuosa appaiono quindi essere due: rilevano qui astrattamente anche le voci e qualunque informazione, incluse le stime o le previsioni; la messa in pericolo del mercato è qui intesa come idoneità astratta a fornire indicazioni false o fuorvianti, a prescindere dalla possibilità o meno di un “impatto sensibile” sul prezzo dello strumento finanziario.
Le ipotesi di manipolazione cd. operativa (art. 12, co. 2, lett. a) e b) MAR) sono nella sostanza ascrivibili a due macrocategorie: operazioni volte a creare un mercato apparentemente attivo o condotte cdd. di «price positioning». Nello specifico la norma vieta: l’avvio di un’operazione, l’inoltro di un ordine di compravendita o qualsiasi altra attività o condotta che invii segnali falsi o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari o di contratti derivati oppure che consenta di fissare il prezzo degli stessi a un livello anormale o artificiale; l’utilizzo di artifici o qualsiasi altra forma di raggiro o espediente che conduca agli stessi risultati. Le condotte non sono sanzionabili se si è agito «per motivi legittimi» e in conformità «a una prassi di mercato ammessa» (v. supra § 4).
Di nuovo conio l’illecito riferito agli indici di riferimento (cd. benchmark), sia nel caso di trasmissione di informazioni o comunicazione di dati falsi o fuorvianti, sia nel caso di condotte che manipolino il calcolo dell’indice (art. 12, co. 1, lett. d).
Quanto ai rapporti con la fattispecie penalistica, l’art. 187 ter t.u.f., anche in seguito alla riforma attuata dal d.lgs. n. 107/2018, esordisce con la clausola di riserva che fa «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato». Il significato di questa clausola è stato oggetto di diverse interpretazioni. La dottrina nettamente prevalente ha sposato la tesi del concorso tra le due fattispecie, ravvisando una deroga espressa al principio di specialità fissato dall’art. 9 l. n. 689/1981, nel senso che la sanzione amministrativa non pregiudica il procedimento penale qualora i fatti siano sussumibili anche nella fattispecie di reato. Le condotte caratterizzate da price sensitivity e da artificiosità sarebbero dunque perseguibili sia in sede penale che amministrativa (D’Alessandro, F., op. cit., 796; Lunghini, G., La manipolazione, cit., 1479; Vizzardi, M., Manipolazione del mercato: un doppio binario da ripensare?, in Dir. proc. pen., 2006, 709). La contemporanea procedibilità dei due diversi procedimenti è d’altra parte la regola dettata dall’art. 187duodecies t.u.f.: il procedimento amministrativo non può essere sospeso per la pendenza di un procedimento penale avente a oggetto i medesimi fatti. Anche il cumulo delle sanzioni è di fatto ammesso dalle norme procedurali, pur essendo oggi mitigato con maggiore ampiezza e rigore rispetto al passato. Infatti, l’art. 187 terdecies t.u.f., come modificato dal d.lgs. n. 107/2018, prescrive che l’autorità giudiziaria o la CONSOB tengano conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate, mentre in fase di esecuzione l’esazione della pena pecuniaria, della sanzione pecuniaria dipendente da reato ovvero della sanzione pecuniaria amministrativa va limitata alla parte eccedente quella già riscossa.
Se tale sistema sanzionatorio sia in contrasto con il principio del ne bis in idem è questione che è stata oggetto di una nota pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo (C. eur. dir. uomo, 4.3.2014, Grande Stevens (e altri) c. Italia), per presunta violazione degli artt. 6 CEDU e 4 del protocollo n. 7 CEDU. La Corte aveva concluso nel senso che i due procedimenti, penale e amministrativo, previsti dal t.u.f. hanno a oggetto «una unica e stessa condotta da parte delle stesse persone alla stessa data», col risultato di integrare una palese «violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7» (Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, fasc. 1, 186-202).
Sulla questione, la Corte costituzionale italiana, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità sollevate da alcuni giudici di merito, aveva dal canto suo evidenziato che «è chiaro che spetta anzitutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU» (C. cost., 8.3.2016, n. 102).
Da ultimo, la Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata su due questioni relative alla compatibilità del sistema sanzionatorio della manipolazione del mercato con l’art. 50 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea (C. giust., 20.3.2018, C-537/16, Garlsson Real Estate e a.; C-596/16 e C-597/16, Di Puma e Zecca). Dopo aver individuato una serie di indici sintomatici di violazione del principio del ne bis in idem, la Corte ha rimesso al prudente apprezzamento del giudice nazionale la valutazione dei casi concreti. La Corte non ha mancato di sottolineare, tuttavia, che la prosecuzione del procedimento formalmente amministrativo (ma sostanzialmente penale) eccede quanto strettamente necessario per conseguire l’obiettivo che la normativa in materia di manipolazione di mercato si prefigge, essendo la sanzione prevista dall’art. 185 t.u.f. già sufficientemente severa e idonea a reprimere il comportamento in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva. In sostanza, vi sarebbe violazione del diritto dell’Unione quanto meno tutte le volte in cui la sanzione penale è comminata prima di quella amministrativa.
I profili di violazione del principio del ne bis in idem e l’incertezza applicativa derivante dalle pronunce delle Corti europee rimangono attuali, nonostante il recente intervento del legislatore italiano. Il d.lgs. n. 107/2018, infatti, conferma nella sostanza il sistema del “doppio binario” e il cumulo sanzionatorio, rinviando di fatto al giudice penale e a CONSOB il compito di mitigarne gli effetti.
Fonti normative
Art. 185 e 187 ter t.u.f.
Bibliografia essenziale
Alessandri, A., Rassegna sugli abusi di mercato: la manipolazione del mercato, in Giur. comm., 2015, II, 415; Amati, E., Abusi di mercato e sistema penale, Torino, 2012; Consulich, F., La giustizia e il mercato. Miti e realtà di una tutela penale dell’investimento mobiliare, Milano, 2010; D’Alessandro, F., L’aggiotaggio e la manipolazione del mercato, in Diritto penale delle società, a cura di G. Canzio e L. Luparia, Milano, 2016, 729-816; Lunghini, G., La manipolazione del mercato, in Dir. pen. e processo, 2005, 1465; Mucciarelli, F., Gli illeciti di abuso di mercato, la responsabilità dell’ente e l’informazione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2008, 823.
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