La maman et la putain
(Francia 1973, bianco e nero, 220m); regia: Jean Eustache; produzione: Pierre Cottrell per Elite/Cinéquanon/ Les Films du Losange/Simar/VM; sceneggiatura: Jean Eustache; fotografia: Pierre Lhomme; montaggio: Denise de Casabianca, Jean Eustache; costumi: Catherine.
Parigi. Alexandre, appena lasciato dalla donna che ama, non ha un lavoro e ne va fiero. Preferisce passare il tempo bighellonando per i caffè o discutendo con un amico. Vive a casa di Marie, che ha una piccola boutique, e dorme assieme a lei. Un giorno Alexandre incontra un'infermiera, Véronika, al verde come lui: la ragazza, abituata a frequentare gente che non esita a far sesso con lei, è un po' interdetta dal comportamento per nulla passionale di Alexandre. Infine i due fanno l'amore, mentre Marie è a Londra. Al suo ritorno, si innesca un complesso rapporto a tre, che oscilla tra la tenerezza, la gelosia e la disperazione. Una volta si ritrovano tutti nello stesso letto, una notte Marie tenta il suicidio davanti agli altri due, in un'altra occasione le due donne si coalizzano per intentare una sorta di processo ad Alexandre. Infine Véronika resta incinta. Alexandre riuscirà a perdere anche lei?
È talmente scontato considerare La maman et la putain un fedele ritratto delle abitudini affettive scaturite dal maggio 1968, che spesso si dimentica quanto dietro a quest'opera di culto si nasconda un grande film fantastico. Parigi è descritta come un luogo da incubo: è impossibile per i personaggi riuscire ad allontanarsi, a staccarsi gli uni dagli altri. La ville lumière divora le proprie creature, come suggeriscono le numerose aperture a iride prese in prestito dal cinema muto, o le lente dissolvenze in chiusura che assorbono e soffocano la luce. Tutto ricorda la concezione del cinema di Friedrich W. Murnau, che viene citato da Alexandre in una scena ambientata al Train Bleu, il ristorante della Gare de Lyon, quasi una sorta di eco parigina del tedesco Hotel Atlantic di Der letzte Mann. Non sorprende, dunque, che La maman et la putain sia il racconto di un atto di vampirizzazione, quello che Véronika opera nei confronti di Alexandre. Sostituendo una donna bella come la notte, tutta artifici e manie, a quella bella come il giorno, che lo ha abbandonato, il giovane non sa che si sta offrendo corpo e anima al vampiro. Véronika lo individua, appare e scompare a suo piacimento, lo attira e lo divora fino a non poterne più (il vomito finale). Véronika si nutre di Alexandre e lo prosciuga di ciò che costituisce la sua essenza: la parola.
Il verbo è l'unico strumento di cui i personaggi di Jean Eustache dispongono per sentirsi vivi. Come ognuno utilizza questo bene, in che modo le persone sono più o meno adatte a servirsi di questo irresistibile accessorio: ecco cosa appassiona Eustache. "Come viviamo?" per lui significa: "Come parliamo?". Seduttrice e inquietante, la parola cattura la propria preda e la travolge. Come nell'opera di Sacha Guitry, anche qui il linguaggio permette di consolidare il proprio dominio sul mondo. Esso conferisce ai personaggi tutti i poteri della messa in scena: far vedere e manipolare. Lo stordimento provocato dal flusso continuo della parola trascina l'altro in una sorta di ebbrezza che disorienta, lasciando privi di difese. Alexandre esercita questo potere organizzando intorno a sé una vera e propria messa in scena verbale. Il suo linguaggio è la sua creazione. Sempre premeditati, i suoi discorsi, osservazioni, aforismi e riflessioni saranno quindi prima pensati, poi recitati. "Improvvisare è fuori discussione", gli dice un amico. Da ciò deriva il tono sistematicamente monocorde del protagonista, che sembra sempre rileggere un pensiero già scritto. Vedere La maman et la putain è come assistere al lento spossessamento del mezzo di esistenza di una persona (il linguaggio) da parte di un'altra che finisce per monopolizzare la parola. In questo senso il lungo monologo finale di Véronika non è altro che la definitiva presa di potere nei confronti di Alexandre che, derubato e frastornato, non conduce più il gioco.
In modo insidioso il caso, i rischi, gli imprevisti si insinuano nel cuore dell'azione come personaggi. La vicenda del film non ha passato né futuro e ci viene presentata come una successione di momenti al presente ugualmente importanti, dove tutto è apparentemente anodino e insignificante dal punto di vista drammatico. Alexandre organizza la propria vita come un'ideale sceneggiatura che non lascia alcuno spazio al caso. Ma come si può vivere nel presente organizzando ognuna delle sue manifestazioni? Come conciliare la volontà di prevedere ogni minima frase pronunciata con le esigenze di un mondo che crede soltanto al presente e ai suoi continui cambiamenti? Incapace di adattarsi alle situazioni nuove e impreviste, Alexandre perde a poco a poco il controllo esclusivo non solo della parola ma anche dello spazio (è sempre meno padrone dei luoghi che frequenta). A forza di rifiutarsi di vivere nel presente puro e semplice, a forza di ascoltare soltanto motivi superati e nostalgici di una Parigi che non esiste più (quella di Fréhel, di Damia), limitandosi a recitare di nuovo le scene mille volte ripetute, il giovane si concede privo di difese al vampiro vestito di nero che lo lascerà solo e disarmato ad affrontare il mondo. La maman et la putain racconta la fine di un Narciso.
I personaggi di Eustache sono distaccati dalla realtà, pur essendo profondamente consapevoli della sua presenza. Sono in grado di percepirla, ma apparentemente essa non si ripercuote su di loro. Potremmo quasi dire che essi non reagiscono. Da ciò deriva l'onnipresente serietà di questo film. I personaggi di La maman et la putain non possiedono la 'leggerezza dell'essere' del cinema di Rohmer. Il loro dramma deriva dal rifiuto di vivere la propria vita. La vita si vive e basta. Quando non è più ciò che era nel momento in cui è stata vissuta, essa diviene storia e può soltanto essere raccontata. E, se la si racconta, è un po' per farla rivivere, per sottrarla all'oltretomba. La messa in scena di Eustache è pronta a cogliere la vita in diretta, ma essa non è più tale perché improvvisamente diviene finzione. E, viceversa, la finzione deriva dal fatto che la vita consiste in un continuo cambiamento. Vi è quindi uno sdoppiamento immediato tra il momento vissuto e ciò che i personaggi credono tale. Perché la vita, nel film di Eustache, è già un vissuto immaginario e la sua rappresentazione la fa trascorrere talmente in fretta che, nella finzione, essa può anche apparire reale.
Interpreti e personaggi: Bernadette Lafont (Marie), Jean-Pierre Léaud (Alexandre), Françoise Lebrun (Véronika), Isabelle Weingarten (Gilberte), Jacques Renard (amico di Alexandre), Jean-Noël Picq (amante di Offenbach), Jean Eustache (uomo dagli occhiali scuri), Jean Douchet (uomo del Flore), Marinka Matuszewski, Geneviève Mnich, Berthe Grandval, Jessa Darrieux, Pierre Cottrell, Bernard Eisenschitz, Douchka, Noël Simsolo, Jean-Claude Biette, André Téchiné.
P. Bonitzer, L'expérience en intérieur, in "Cahiers du cinéma", n. 247, juillet-août 1973.
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Sceneggiatura: J. Eustache, La maman et la putain, Paris 1981.