Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I secoli XIII e XIV vedono un notevole ampliamento di conoscenze e orizzonti geografici. Sono prodotti molti testi enciclopedici che presentano in forma strutturata, organica e per lo più divulgativa il patrimonio di conoscenze del basso Medioevo; i viaggi di pellegrinaggio in Terrasanta ricevono un nuovo impulso e si aprono agli occidentali gli immensi territori dell’Asia. Protagonisti di entrambe le esperienze sono i ceti mercantili e professionali e i frati degli ordini mendicanti.
Marco Polo
CI, 1-3. Egli è vero che per tutta la provincia del Catai àe una miniera di pietre nere, che•ssi cavano de le montagne come vena, che ardono come bucce, e tegnono più lo fuoco che•nno fanno le legna. E mettendole la sera nel fuoco, se elle s’aprendono bene, tutta notte mantegnono lo fuoco. E per tutta la contrada del Catai no ardono altro; bene ànno legne, ma queste pietre costan meno, e sono grande risparmio di legna.
CLV, 1-9. Zipangu è una isola i•llevante, ch’è ne l’alto mare .md. [1200] miglia. L’isola è molto grande. La gente sono bianche, di bella maniera e belli. La gent’è idola, e no ricevono signoria da niuno se no da•llor medesimi.
Qui si truova l’oro, però n’ànno assai; neuno uomo no vi va, però neuno mercatante non ne leva: però n’ànno cotanto. Lo palagio del signore de l’isola è molto grande, ed è coperto d’oro come si cuoprono di quae di piombo le chiese. E tutto lo spazzo de le camere è coperto d’oro grosso ben due dita, e tutte le finestre e mura e ogne cosa e anche le sale: no si potrebbe dire la sua valuta.
Egli ànno perle assai, e son rosse e tonde e grosse, e so’ più care che le bianche. Ancora v’àe molte pietre preziose; no si potrebbe contare la ricchezza di questa isola.
CLVII, 8-14. E sì vi dico che in tutte queste isole no nasce niuno àlbore che no ne vegna olore, come di legno aloe e magiore. E ànno ancora molte care spezie di più maniere; e in quest’isole nasce il pepe bianco come neve, e del nero in grande abondanza. Troppo è di grande valuta ill’oro, e l’altre care cose che vi sono, ma sono sì di lungi ch’a pena vi si può andare. E le navi di Quinsai e del Zaiton, quando vi vanno, ne recano grande guadagno, e penanvi ad andare un anno [...]. Di queste isole non vi conteròe più, però che non vi sono stato, e ’l Grande Kane non v’à a che fare.
Marco Polo, Il Milione, Le divisament dou monde, a cura di G. Ronchi, introduz. di C. Segre, Milano, Mondadori, 1982
L’aspirazione a una sintesi totalizzante che ha fatto parlare del Medioevo come dell’età enciclopedica per eccellenza, raggiunge nel XIII secolo il suo apice; un notevole allargamento degli studi e delle conoscenze è dovuto da un lato a una nuova concezione, impostasi nel secolo precedente, della natura come Creato – legittimo oggetto di studio ordinato e conoscibile in cui sono visibili l’impronta e l’immagine stessa di Dio –, dall’altro lato alla progressiva acquisizione del corpus dei testi aristotelici e arabi. Si assiste a una crescente specializzazione e proliferano i trattati, quasi tutti latini, dedicati a singole branche del sapere: ricordiamo su tutti il Liber abbaci del pisano Leonardo Fibonacci, cui si deve l’introduzione in Europa delle cifre arabe. A questo imponente allargamento delle biblioteche, cui le università contribuiscono in modo decisivo, fa seguito l’esigenza di presentare il sapere in forma sistematica – in campo filosofico-teologico le Summae di Tommaso d’Aquino ne sono l’esempio più eclatante –; vivamente sentito è il bisogno di opere di consultazione e divulgazione, alle quali si dedicano da subito i neonati ordini mendicanti. Nasce così una serie di lavori di estensione e ambizioni diverse, volti a una presentazione organica ed enciclopedica dello scibile, che costituiranno l’ossatura del sapere per molti secoli. Sono testi che entrano a far parte del normale strumentario di studenti, insegnanti, predicatori, ma che si rivolgono anche all’uditorio cittadino dei mercanti e professionisti, bisognosi di fonti di informazione agili su ogni aspetto del reale. La loro struttura è determinata generalmente da quello che si ritiene essere l’ordine intrinseco delle cose e rispecchia una precisa visione del mondo e della gerarchia fra le scienze.
Alla prima metà del Duecento risalgono due testi di notevole successo, esemplari del genere della “piccola enciclopedia” divulgativa: il De naturis rerum di Alexander Neckham e il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, più volte volgarizzato (in volgare lombardo dal notaio mantovano Vivaldo Belcalzer a inizio Trecento) e ristampato ancora nel Seicento. Il francescano Bartolomeo si propone di compendiare l’infinito numero dei libri in una compilazione che parte dalle questioni teologiche (Dio, la Creazione ecc.), per arrivare a descrivere tutto il reale: nel De proprietatibus si trovano un bestiario, un lapidario, un trattato di medicina, un altro di geografia e così via.
La più vasta e importante fra le enciclopedie medievali è lo Speculum maius del domenicano Vincenzo di Beauvais, diviso in tre libri: lo Speculum naturale (una descrizione del cosmo scandita sui sette giorni della Creazione), doctrinale (riguardante ogni ambito del dibattito scientifico, dalle arti liberali e meccaniche – ad esempio la medicina – fino a filosofia e teologia) e historiale (dedicato alle vicende umane dalle origini a metà Duecento). Questo imponente e sistematico florilegio viene subito riconosciuto come la principale summa del sapere contemporaneo e ha immediato successo, diventando un “supermercato” da cui predicatori, insegnanti e scrittori attingono a piene mani.
Una posizione particolare occupano il Liber de natura rerum del domenicano Tommaso di Cantimpré – la prima enciclopedia naturalistica svincolata da questioni teologiche, storiche e geografiche – e le fortunatissime Derivationes di Uguccione da Pisa, un dizionario enciclopedico fatto di voci ordinate alfabeticamente. Di tipo ancora diverso, in quanto animate da una profonda volontà riformatrice del sapere e della società, sono le opere dei francescani Ruggero Bacone e Raimondo Lullo.
Molte delle opere citate godono di grande diffusione anche grazie a numerosi volgarizzamenti; nel Due-Trecento, però, si annoverano anche compilazioni enciclopediche concepite direttamente in volgare, in cui l’intento divulgativo è perseguito anche attraverso la lingua.
Della prima metà del Duecento è la francese Image du monde di Gossouin de Metz, della quale si conoscono una versione in prosa e una in versi: dedicata alla descrizione del mondo e dei cieli, è solitamente accompagnata da splendide illustrazioni. Ancora in francese è il Tresor del fiorentino Brunetto Latini, maestro di Dante, vissuto per alcuni anni in Francia in seguito alla sconfitta dei guelfi fiorentini a Montaperti (1260). Mentre nel primo libro trovano posto le tradizionali descrizioni dell’origine e composizione del mondo e un compendio di storia antica, il secondo libro è dedicato all’etica; il terzo tratta invece di politica e retorica ed è rivolto ai destinatari d’elezione del Tresor, ovvero gli esponenti della classe dirigente impegnati nel governo dei Comuni italiani. La composizione del mondo del misterioso pittore e scultore Restoro d’Arezzo, terminato nel 1282, è sostanzialmente un trattato astronomico-astrologico in volgare aretino in cui sono presentate le conoscenze dell’astronomia aristotelico-tolemaica non senza una certa originalità di approccio, che si rivela nelle descrizioni ricche di immagini e in una sorta di laicismo scientifico che privilegia la conoscenza diretta dei fenomeni.
L’epoca della fioritura dell’enciclopedismo medievale è anche l’età in cui l’orizzonte geografico dell’Occidente si allarga, soprattutto verso est. I viaggi verso il misterioso Oriente – luogo al contempo del Paradiso terrestre e di regni meravigliosi e ricchissimi, come dei temibili popoli di Gog e Magog – si moltiplicano a opera di svariati personaggi. Una posizione di rilievo nella storia dei viaggi bassomedievali è occupata dai viaggiatori arabi, tra cui il più celebre è Ibn Battuta, che visita in poco meno di trent’anni tutte le terre dell’islam, la Cina, l’India e il Sud-Est asiatico (1325-1354).
Fra gli Europei si annoverano soprattutto mercanti e frati appartenenti ancora una volta agli ordini mendicanti, la cui subitanea espansione, animata da una forte vocazione all’evangelizzazione, è uno dei fenomeni più rilevanti del Duecento e si manifesta già nelle missioni dei fondatori. Le motivazioni alla base di queste spedizioni sono per lo più di tipo commerciale, devozionale o politico, e in più d’un caso si assommano; le esigenze pratiche si mescolano inoltre al desiderio di esplorare terre ignote. Il risultato di questi viaggi è un’abbondante ed eterogenea letteratura, in cui resoconti geo-etnografici e consigli pratici convivono con racconti leggendari e informazioni fantasiose divulgate da manuali ed enciclopedie. Uomini con la testa di cane o un piede solo, animali fiabeschi e palazzi ricoperti d’oro non mancano pressoché mai nei racconti dei viaggiatori, che asseriscono di averli visti o di averne sentito parlare da persone degne di fede. Colombo stesso salperà alla ricerca di quella Cipango in cui Marco Polo non aveva messo piede, ma della quale aveva narrato le incredibili ricchezze. I mirabilia orientali trovano la loro sede di elezione soprattutto nelle terre che si affacciano sull’Oceano Indiano, nelle cui isole anche i resoconti più precisi iniziano a farsi onirici per ritornare, corroborati dall’esperienza, ad alimentare le conoscenze, i sogni e la capacità espansiva degli Europei.
I contatti consolidati ormai da tempo con il Vicino Oriente si intensificano a seguito della terza e quarta crociata.
Ai resoconti delle spedizioni militari, trasformatisi in trattati bellico-politici con l’esaurirsi della guerra, si affiancano e s’intrecciano gli Itineraria hierosolymitana relativi ai pellegrinaggi ai luoghi santi. Gli autori di questi testi sono chierici – con i frati mendicanti sempre in prima linea, come il domenicano Ricoldo da Montecroce, il cui viaggio (1286-1287) è narrato nel Liber peregrinationis, e il francescano Niccolò da Poggibonsi, che compie il proprio viaggio fra il 1346 e il 1350, autore del Libro d’Oltremare – o esponenti della classe dirigente specialmente mercantile, i racconti dei quali sono spesso sviluppi dei libri di mercatura in cui venivano appuntati gli aspetti logistico-commerciali dei viaggi. Fra gli autori di queste “guide” s’incontra anche Petrarca, che nel 1360 rifiuta di accompagnare un amico in pellegrinaggio per paura nientemeno che del mal di mare, ma confeziona per lui l’Itinerarium syriacum basandosi esclusivamente sulla propria libresca erudizione.
L’esplorazione dell’Asia al di là del Don e del Medio Oriente è resa possibile nel XIII e XIV secolo dall’espansione dell’Impero mongolo e dalla conseguente pax mongolica. Precoce è la presenza lungo le rotte carovaniere dei mercanti, a cui si affiancano i primi legati papali ad Tartaros, frati mendicanti inviati da papa Innocenzo IV preoccupato dalle scorrerie dei Mongoli in Europa orientale. Il primo capitale documento di questi viaggi è la Historia Mongalorum del francescano Giovanni da Pian del Carpine, partito nel 1245 e tornato due anni dopo fra lo stupore generale. Il suo non è solo il resoconto di un ambasciatore, ma anche un trattato geo-etnografico in cui i tratti autobiografici – fame, freddo, paura – si mescolano a uno sguardo acuto e curioso, privo per quanto possibile di pregiudizi. L’avventura degli occidentali in Asia prosegue fino al 1368 (anno della caduta dell’Impero mongolo) attraverso un gran numero di viaggi di mercanti e frati: il francescano Guglielmo di Rubrouck, che viaggia dal 1253 al 1256, osservatore tra i più acuti inviato ai Mongoli di Persia; Odorico da Pordenone, che si reca in Asia fra il 1318 e il 1330, la cui Relatio viene presto volgarizzata in toscano da quello stesso ambiente di mercanti che traducono il Milione; Giovanni da Montecorvino, primo vescovo di Cambaliq, morto nel 1330; e Giovanni di Marignolle suo sostituto, di cui rimane il Chronicon Boemiae. Sul fronte commerciale, la Pratica di mercatura (1343 ca.), “manuale di riferimento” di Francesco Balducci Pegolotti, descrive le principali vie carovaniere e quanto necessario ad affrontare un viaggio considerato ormai usuale. Testimone d’eccezione degli scambi euro-asiatici è inoltre il Codex Comanicus, sorta di dizionario latino-persiano-comanico risalente ai primi decenni del Trecento.
Il più celebre dei racconti di viaggio, il Milione di Marco Polo, da “Emilione”, soprannome del ramo della famiglia Polo cui Marco apparteneva, è in realtà un testo sfuggente.
L’originale, incompiuto e perduto, viene redatto in franco-italiano nel 1298 in un carcere genovese, grazie alla collaborazione del compagno di prigionia Rustichello da Pisa, autore di romanzi cavallereschi, che scrive materialmente il testo (non è da escludere che una prima stesura fosse costituita da appunti di Marco). Nei primi 18 capitoli (il “prologo”) viene narrata la storia dei viaggi dei Polo e di Marco, rimasto lontano da Venezia per quasi 25 anni (1271-1295), per lo più trascorsi in Cina; il resto del libro, il cui titolo originale è probabilmente Le divisament dou monde, è concepito come un trattato geografico, una descrizione del mondo a vocazione enciclopedica in cui Marco interviene solo per asserire la veridicità del racconto. Tradotto fin da subito in latino, in toscano e in veneto, il Milione conosce una fortuna grandissima e al contempo ambigua: mentre i mirabilia delle oniriche Indie di Marco sono percepiti come una conferma di conoscenze già acquisite, i racconti di cose nuove ma reali – ad esempio il carbone e l’olio combustibile – non vengono creduti, con il risultato che il libro verrà spesso considerato un testo di fantasia (i finti Viaggi dell’inesistente John Mandeville (del 1355), invece, saranno creduti proprio perché basati su un insieme di conoscenze del tutto libresche).