Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Quattrocento si apre con le persecuzioni e il rogo di Jan Hus – coraggioso fautore di un evangelismo nemico delle tradizioni e dell’immoralità della Chiesa di Roma – e si chiude con il rogo di Girolamo Savonarola, anima ardente di fuoco profetico che proclama fino alla morte la necessità di una radicale riforma del cattolicesimo. Fermenti religiosi più o meno originali e autentici si riscontrano poi in quasi tutta la produzione culturale cinquecentesca.
L’umanista cristiano Jacques Lefèvre d’Etaples e il suo amico vescovo Briçonnet propugnano un evangelismo che, alieno dalla dottrina della predestinazione come dalla volontà di distaccarsi dalla Chiesa di Roma, non è lontano da quello divulgato da Erasmo da Rotterdam. Fra i loro più illustri discepoli spicca Margherita di Navarra (1492-49), la colta e “letteratissima” regina che aderisce pienamente a questa riforma moderata e difende con coraggio quanti la propugnano. Dalla sua fervida meditazione spirituale – aperta anche al neoplatonismo, alla Riforma tedesca e a certa mistica francese – scaturiscono i suoi numerosi versi cristiani: oltre alle canzoni e agli epigrammi, dove la natura umana, la fede, i tranelli del Maligno, le lodi di un Dio misericordioso e altri temi tipici dell’evangelismo sono cantati con freschezza e levità, giova menzionare poemi quali Le dialogue en forme de vision nocturne, Le coche, Le navire e Les prisons, sovente prolissi e un poco sciatti, ma sempre spontanei e densi di inquieti pensieri. Anche nell’Heptaméron, una raccolta di novelle ispirata al Decameron boccacciano, la palese licenziosità di talune situazioni non deve trarre in inganno: i commenti che accompagnano le narrazioni sono infatti eloquenti riguardo al rigore morale di questa scrittrice appassionatamente cristiana, avvezza a condannare e combattere il peccato in ogni sua forma. In una parte della sua non esigua produzione teatrale comprendente moralità, farse, commedie – la regina auspica una radicale riforma religiosa e denuncia risentita gli abusi e la decadenza della Chiesa; pungenti spunti satirici si riscontrano d’altro canto in parecchie sue opere.
Tutti i maggiori scrittori nella Francia del primo Cinquecento si schierano a favore di questa forma di cristianesimo nemica delle tradizioni umane e della corruzione clericale. Benché opera di ardua interpretazione, il Cymbalum mundi di Bonaventure Des Périers, segretario di Margherita nonché autore di aggraziate poesie e novelle pittoresche, non sembra discostarsi dal pensiero di Lefèvre. Lo stesso Rabelais, sul cui credo si è tanto discusso, in tutto il suo ciclo di romanzi espone e difende idee prettamente evangeliche; questo umanista equilibrato e profondamente religioso, contro gli eccessi e gli errori tanto dei cattolici quanto dei riformati, insegna che, per essere davvero seguaci di Cristo, è essenziale ottemperare di cuore ai suoi comandi diffidando delle tradizioni umane.
Anche il poeta Clément Marot, che Francesco I e Margherita proteggono a più riprese dagli attacchi dell’ortodossia cattolica, abbraccia l’evangelismo: la critica più recente sottolinea quanto importante sia l’elemento religioso nella sua eterogenea produzione poetica. In molti suoi componimenti sono presenti le tematiche più caratteristiche della riforma moderata di Lefèvre: dalla satira dei guasti ecclesiastici alla giustificazione per fede, dal combattimento spirituale contro la carne, il mondo e il Maligno al desiderio di una morte che liberi dalle miserie derivanti dal peccato originale.
La sua versione poetica di cinquanta Salmi, che dimostra fra l’altro una notevole sapienza metrica, entrerà nella liturgia protestante.
I cento Salmi trascurati da Marot vengono tradotti – in versi diligenti, ma assai meno felici – da Théodore de Bèze, non solo intransigente successore di Calvino ma anche umanista di solida cultura classica e teologica.
Nel 1550 lo stesso Bèze pubblica la prima tragedia in lingua francese, l’Abraham sacrifiant, che costituisce una vera e propria lezione di teologia calvinista in scena. Le sue Chrestiennes meditations – preghiere in prosa ove l’anima riflette sui propri peccati e su altri argomenti religiosi – sono imitate da più parti e costituiscono uno dei primi testi per i quali si è parlato di barocco.
L’Istituzione della religione cristiana di Giovanni Calvino è universalmente considerata un monumento della prosa francese: giurista, teologo e filologo di rara perizia, la guida spirituale di Ginevra espone ordinatamente i concetti fondamentali del proprio cristianesimo in uno stile chiaro, preciso, essenziale, nervoso e povero di immagini. Gli altri suoi scritti in francese, in netta minoranza rispetto ai numerosissimi in latino, sono prevalentemente polemici e mostrano un Calvino aggressivo, collerico e intollerante ma anche appassionato e profondamente umano.
Appartenente a una famiglia assai religiosa (due zii sono potenti cardinali), Joachim Du Bellay esprime sentite inquietudini spirituali in tre quarti della sua vasta e spesso elegante opera in versi: critico tanto nei confronti di un cattolicesimo che gli appare in grave decadenza, quanto verso un calvinismo che giudica ipocrita, aspira a una riforma morale all’interno della Chiesa di Roma in grado di riportare la cristianità alla purezza del messaggio evangelico.
Indubbiamente meno sensibile di Du Bellay a problematiche religiose, Pierre de Ronsard si erge tuttavia a difensore del cattolicesimo nei Discours contro i calvinisti. Le idee che la Riforma tenta di affermare gli sembrano sovvertire l’ordine sociale e religioso in cui crede.
Anche il suo antico compagno di studi Jean de Baïf compone una corposa raccolta di versi morali e religiosi, i Mimes, nella quale pare avvertirsi un impegno spirituale non banale né epidermico.
I versi cristiani più suggestivi e coinvolgenti sono forse quelli di Agrippa d’Aubigné, il poeta-soldato calvinista che spende gran parte delle sue energie per difendere, nell’epoca più cruenta delle guerre di religione, e anche in seguito, la causa del suo partito. I Tragiques sono un’ampia epopea di sette libri in versi nella quale Agrippa d’Aubigné descrive a tinte forti, con immagini spesso strazianti, le miserie materiali e morali della Francia dilaniata dai conflitti civili, le nefandezze dei principi, dei magistrati e dei prelati papisti, l’impavida, esemplare virtù dei martiri protestanti, la tremenda vendetta e il giudizio divino. Sia in certi passi di questo poema, sia nei versi senili raccolti nell’Hiver e in altri scritti d’ispirazione religiosa, l’ugonotto d’Aubigné estrinseca la propria travagliata spiritualità: confessa così le sue cadute nelle trappole seducenti del peccato e i dolorosi pentimenti, narra le sue lotte per la fede e canta con entusiasmo l’amore per un Dio che dispensa con sommo equilibrio giustizia e carità. Uomo davvero universale, d’Aubigné non esita a trattare per iscritto problemi teologici, logici, etici, politologici, letterari, occultistici e di altro genere ancora. Il suo stile spezzato, teso, talora frettoloso e ricco di immagini grandiose e chiaroscurate, ben rispecchia le sue angosce e secondo molti è riconducibile alla fluida categoria del barocco.
Non meno irrequieta si presenta l’avventura spirituale di Jean de Sponde, umanista e poeta calvinista che decide – probabilmente non per puro opportunismo – di ritornare in seno alla Chiesa di Roma. Le sue poche liriche religiose, capolavori in cui tratteggia più volte le proprie laceranti lotte interiori, sono state autorevolmente definite barocche tout court e comparate con quelle dei grandi metafisici inglesi. Di barocco si è parlato anche a proposito di Francesco di Sales, il cui messaggio a un tempo rigoroso e cordiale si incarna in una prosa gradevole e musicale, costellata di similitudini e metafore tratte dalla classicità, dalla patristica, dalla mistica e dall’osservazione del divenire naturale. Anche tutta la letteratura politologica dell’epoca si confronta di continuo con le Sacre Scritture: tanto i cattolici quanto i riformati si avvalgono infatti dell’autorità biblica per legittimare le proprie posizioni politiche. Riguardo poi alla religione di Michel de Montaigne, le opinioni degli studiosi sono antitetiche: alcuni lo ritengono un pagano, altri un ateo di fatto, altri un agnostico e altri ancora un mistico. L’opera di Montaigne sembra manifestare un cattolicesimo moderato, alieno da ogni estremismo.
Dopo aver pubblicato un’opera di apologetica contro tutti i non cattolici intitolata Les trois vérités, l’ecclesiastico Pierre Charron contribuisce alla diffusione di molte idee di Montaigne, suo amico, col trattato De la sagesse che, a causa di talune ambiguità, diverrà la Bibbia dei libertini.
Diplomatico noto per la veemente eloquenza, la forza nell’argomentare e la purezza dello stile, Guillaume Du Vair è il maggiore esponente francese del neostoicismo: nei suoi scritti morali, assai apprezzati anche nel secolo seguente, tende a conciliare il pensiero di filosofi quali Epitteto e Seneca con le verità rivelate del cristianesimo.
Precorritore del deismo è invece considerato il Colloquium Heptaplomeres di Jean Bodin, che circola manoscritto e viene stampato soltanto nel 1857: il dialogo si svolge in forma di confronto fra rappresentanti di opinioni religiose e filosofiche diverse, che peraltro concordano tutti sulla necessità di credere in un creatore e nell’aspirare a una pacifica tolleranza.
Il capolavoro letterario di Martin Lutero è probabilmente la sua traduzione delle Sacre Scritture, mirabile per esattezza, semplicità, vivacità ed energia.
La lingua di cui l’animoso riformatore si avvale in questa insuperata versione è ben presto adottata da tutte le classi sociali tedesche. I suoi scritti polemici e dottrinali, colmi di invettive, sarcasmi, frasi grossolane ed espressioni sboccate, dicono molto anche del suo temperamento d’eccezione. Anche i Lieder religiosi sono componimenti di grande forza: sempre prossimi all’intensità penetrante dei Salmi biblici danno origine a un genere coltivato fra l’altro da poeti del respiro di Paul Gerhardt, Philipp Jakob Spener e, più tardi, Novalis. E intanto gran parte degli scrittori rinascimentali tedeschi si schiera per la Riforma e imposta così la propria opera, non sempre di autentico valore letterario, su questioni soprattutto religiose.
Amico di Lutero, lo zelante pastore Paul Rebhun è considerato il fondatore del dramma tedesco: i suoi sono Schuldrama che mirano a edificare il pubblico, predicando i doveri morali a cui nessun vero cristiano può sottrarsi. Ulrich von Hutten, cavaliere e umanista riformato quanto mai irrequieto, stende invece poesie e Dialoghi in latino e in tedesco; e in questi ultimi domina poi uno spirito amaramente ironico, a tratti fino al sarcasmo.
Di forte fede luterana è Hans Sachs, il calzolaio letterato che attacca la Chiesa romana in vibranti scritti dialogici. Scrittore di inesauribile fecondità, egli compone innumerevoli poesie sacre e profane e più di 200 opere drammatiche, fra cui naturalmente alcune tragedie bibliche.
Allo stesso modo, ritornato da un’infelice spedizione militare in Italia, il pittore Manuel Nikolaus Deutsch difende duramente la causa riformata, componendo infuocate commedie contro il papa, le false dottrine cattoliche e lo scandalo delle indulgenze, ma affiancandovi anche scritti controversistici e teologici. Sono anni, infatti, di conflitto e di lacerazione, dove l’odio si mescola al vero o alla fede. Così alle ire dei luterani si oppone la penna feroce e tagliente del francescano Thomas Murner, autore satirico di ingegno, verve e trivialità talora compiaciuta, pronto a scagliarsi contro le follie umane e contro i furori dei protestanti, propugnando a un tempo, con forte vigore, una riforma della Chiesa di Roma.
Amico di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, John Colet applica alle Sacre Scritture un metodo esegetico non dissimile da quello di cui gli umanisti si avvalgono per studiare i classici pagani. Le sue opere più valide sono forse i commenti latini alle maggiori epistole paoline.
Ancor oggi celebre per l’Utopia e per le tristi vicende che sconvolgono i suoi ultimi anni, anche Thomas More si sforza di rileggere la Bibbia e la tradizione patristica e scolastica alla luce della filologia umanistica.
Oltre a sferzanti opere polemiche contro Lutero e altri eterodossi, ricordiamo il Dialogue of Comfort against Tribulation che, quantunque steso alla vigilia della morte, non manca di brio, ironia e finezza stilistica.
Assai bella è poi la traduzione del Nuovo Testamento di William Tyndale, un riformatore non lontano dalle idee luterane che, dopo averne pubblicato un’edizione emendata e riveduta, viene messo al rogo da Enrico III.
La mistica di Spagna rappresenta uno dei capitoli più rilevanti e originali della spiritualità cinquecentesca. Si tratta di un misticismo più pratico ed esistenziale che non speculativo e astratto, e decisamente cristocentrico: perché tutti questi maestri iberici pongono al centro della propria inquieta, agonistica religiosità il Cristo della Passione, flagellato, deriso o crocifisso. Ogni uomo, insomma, può intraprendere la via mistica che mira a instaurare un rapporto intimo e profondo con la divinità, purché si sforzi in questo senso continuamente e senza riserve.
Juan de Avila, predicatore di buona cultura, gode di grande popolarità anche se la stima per le opere di Erasmo gli procura, tuttavia, noie con l’Inquisizione.
L’Audi filia, il suo scritto di maggiore respiro, è un trattato di ascetica e mistica che, destinato alla gente comune, è composto in stile semplice e immediato.
Anche Luis de Granada, padre domenicano di notevole dottrina e straordinaria fecondità, non si salva dall’Inquisizione: nel 1559 sono messi all’Indice i suoi testi più significativi: la Guía de pecadores, fortunatissimo trattato divulgativo volto a introdurre all’autentica vita cristiana, e il Libro de oración y meditación.
Tutt’altro che prolifico e senza dubbio meno colto è invece Pedro de Alcántara, un francescano noto per il rigore spirituale e la santità di vita. Il suo Tratado de oración y meditación, in una scrittura stringata, semplice e pragmatica, viene più volte ristampato e tradotto in varie lingue.
Su un piano tanto più alto, per essere una figura centrale nella storia della riforma cattolica, Ignazio di Loyola unifica i suoi ambiziosi e combattivi ideali cristiani in un potente e altissimo ordine religioso, la Compagnia di Gesù. Il suo messaggio più suggestivo e imperioso è affidato al Libro de los ejercicios espirituales, che si propone di guidare le anime, tra preghiere e meditazioni, alla salvezza e alla perfezione; ricco di immagini penetranti, educherà a una sorta di nuova spiritualità visiva l’immaginario di molte coscienze e generazioni, non solo devote.
Ma altrettanto rilevante appare qui la figura di Teresa di Avila, la riformatrice cattolica e mistica che sa esprimere con precisione e spontaneità senza sottigliezze retoriche, le proprie illuminanti esperienze interiori. I suoi scritti di maggiore evidenza sono il Libro de su vida e Las moradas, o Castillo interior: mentre nel primo manifesta un’inconsueta capacità di analisi introspettiva, nel secondo, ove si avvertono chiari influssi di certa patristica e della mistica renano-fiamminga, descrive la graduale purificazione dell’anima cristiana, culminando nel mirabile “matrimonio spirituale”, ovvero nella sua trasformazione in Dio.
Più ancora di quella di Juan de La Cruz, a lei assai caro e vicino, l’itinerario mistico di Teresa d’Avila è strettamente legato alla sua intensissima vita spirituale, scandita da visioni divine e commosse preghiere. Le allegorie, le comparazioni e le metafore da lei usate, sovente tolte dalla quotidianità, risultano sempre di grande efficacia.
Penna assai feconda è Alonso de Orozco, che fra l’altro imita, con risultati a dire il vero non eccelsi, le Confessioni agostiniane in un’opera omonima.
Non troppo originale è poi Juan de Los Angeles, che nei suoi molti libri segue da vicino la lezione della mistica renano-fiamminga. Individualità di ben altra tempra è l’agostiniano Luis de León, dotto umanista, professore di scienze bibliche, poeta, nonché autore di testi ascetici e mistici. Ma più che un mistico, come sostiene certa critica, deve essere considerato un teorico dell’esperienza mistica. Il suo trattato De los nombres de Cristo è uno dei più pregevoli testi castigliani composti nel Cinquecento.
Altri maestri spirituali degni di menzione sono inoltre García de Cisneros, Bernardino de Laredo, Francisco de Osuna (molti motivi e paragoni presenti nelle sue opere si ritrovano nei maggiori mistici cinquecenteschi), Alonso Rodríguez e Alonso de Madrid.
Pietro Aretino, non solo osservatore ora compiaciuto ora mordace degli aspetti bassi della vita rinascimentale, ma anche abile scrittore di cose sacre, compone i Quattro libri de la umanità di Cristo, una biografia di Gesù caratterizzata da un tono pressoché popolaresco e dalla ricerca dell’immagine magniloquente e policroma. L’entusiasmo di certi passi e la sensibilità verso taluni motivi evangelici fa pensare a una reale sincerità d’ispirazione. Aretino elabora inoltre il Genesi, roboante parafrasi del primo libro biblico colma di virtuosismi descrittivi alquanto artificiosi, e apprezzate opere agiografiche.
Come il nome di Aretino anche quello di Teofilo Folengo, monaco benedettino, non si ricollega solitamente a scritti religiosi: il bizzarro autore delle Maccheronee e dell’Orlandino compone tuttavia anche un poema religioso in ottave, l’Umanità del Figliuolo di Dio, dove narra prolissamente l’esistenza del redentore, e un non meno faticoso poema in terzine, la Palermitana, diviso in due libri: la materia del primo è tratta dall’Antico Testamento, mentre quella del secondo deriva dai Vangeli. Di contro gli altri suoi lavori sacri, in volgare e in latino, appaiono di scarso valore.
Tornando a Firenze, nei dieci dialoghi intitolati I capricci del bottaio, Giambattista Gelli – una personalità di generosa tensione spirituale – affronta in tono sapidamente colloquiale importanti questioni religiose, filosofiche, linguistiche e letterarie.
Dilettante appassionato e geniale, eccolo poi censurato dalla Chiesa per le ardite invettive contro la vendita delle indulgenze, il metodo vano e risibile dei teologi di Parigi e le ingiustizie degli inquisitori. E anche nella Circe – un’altra opera dialogica – si affrontano parecchi argomenti etico-religiosi fondamentali, non pochi dei quali sono derivati dalla riflessione di Marsilio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola. Non stupisce che piacevoli, curiose e in sintonia con i gusti e le preoccupazioni dell’epoca, le due opere godano subito di ragguardevole fortuna in Francia, Spagna, Inghilterra e Germania.
Giovan Battista Gelli
Dialogo del bottaio con la sua anima
I capricci del bottaio
ANIMA: Bisogna ancora che quando tu riprendi nessuno, che tu lo faccia dolcemente, e stia soprattutto avvertito di non riprendere mai alcuno di quei difetti che sono in te; perché, facendo altrimenti, e’ ti verrà udito bene spesso quel che tu non vorresti sentir dire; siccome avvenne ancora a Francesco re di Francia, quando si ritrovò con papa Leone in Bologna; dove, volendo riprenderlo di troppa suntuosità col dirgli che que’ pontefici antichi vivevano in simplicità e povertà, gli fu risposto da Leone, ciò essere stato quando i re guardavano le pecore: e replicando il re che parlava dei pontefici del Testamento Nuovo, e non di quei del Vecchio, soggiunse Leone - Questi altri furono quando i re governavano i poveri negli spedali di loro propria mano; - accennando di San Lodovico suo antecessore.
GIUSTO: Certamente, che non se gli conveniva altra risposta.
ANIMA: Bisogna dipoi, in quanto a loro, che tu parli sempre onoratamente di tutti; e quando ei ti fusse riferito che dichino mal di te, e tu allora di’ ben di loro, scusandoli con dire che non ti conoscono, e però dicono così; e che non meritano per questo di essere biasimati. E quando questo non ti giovasse con loro (che gioverà assolutamente, perché il sentir dir bene di sé piace tanto, che, ancorché tu conosca che uno dica il falso, tu l’hai caro) ei ti gioverà nel cospetto de l’universale; il quale sentendoti dir bene di chi dice mal di te, ti giudicherà uomo di buona mente; ingegnandoti dipoi di mantenere con l’opere virtuose questa buona opinione che aranno fatta gli uomini di te: e quando tu pure desiderassi far vendetta di questi che tu pensi che ti sieno così nimici, questo è un modo bellissimo; conciossiacosaché, come disse Diogene, il vero modo di vendicarsi co’ nimici suoi sia il diventare di mano in mano migliore.
GIUSTO: Questi tuoi consigli, ancorché sieno contro al modo comune del vivere, mi piacciono assai.
ANIMA: È non basta ancora a te, che sei cristiano, far questo, perché ogni uomo come uomo debbe farlo; ma io voglio che ancor tu gli ami questi tuoi nimici, perché in questo solamente consiste la perfezione de la legge nostra, e in questo avanza ella di bontà tutte l’altre: perché, dove l’altre concedono che si possa fare ingiuria a chi ne fa a te; questa desiderando di far l’uomo buono non solamente ne l’operazioni sue esteriori ma ancora ne la volontà e ne l’animo, non vuole solamente che tu perdoni a’ tuoi nemici, ma ella vuole ancora che tu gli ami.
G.B. Gelli, La Circe e I capricci del Bottaio, con commento di S. Ferrari, Firenze, Sansoni, 1897
Figura per certi versi vicina a Gelli è il concittadino Antonio Brucioli – dotto ed eclettico letterato allievo, fra gli altri, di Machiavelli –, al quale l’adesione alla riforma luterana procurerà più di una condanna, processi per eresia ed esilii. Oltre alle importanti traduzioni della Bibbia – ed è la prima in volgare realizzata nel Cinquecento – e di testi aristotelici e pliniani, Brucioli redige i Commenti biblici, saturi di elementi luterani, e i Dialoghi della moral filosofia, nei quali, pur non offrendo spunti davvero originali, riprende con qualche freschezza alcuni topoi dell’etica classica e cristiana.
Sue sono anche alcune edizioni del Petrarca e del Boccaccio.
Accanto a lui si può ricordare Francesco Buonamonte che, uscito dall’ordine benedettino, lascia l’Italia per abbracciare il credo riformato (si riconosce soprattutto nelle posizioni di Zwingli) e cambia il proprio cognome in Negri; la sua opera più nota è la tragedia Libero arbitrio, palesemente influenzata dal teatro sacro tedesco.
Le Lacrime di san Pietro di Luigi Tansillo, uno dei più incisivi fra i petrarchisti meridionali, è un poemetto sacro incentrato sul doloroso pentimento di Pietro per aver rinnegato tre volte il Messia. In questi versi fluenti più che commossi, ma ricchi di vivide comparazioni naturalistiche, si avvertono ugualmente le profonde ansie tipiche della Controriforma. Nella stessa atmosfera cupa e inquieta opera anche il padre teatino Lorenzo Scupoli, autore di diversi trattati ascetici, il più fortunato dei quali è il Combattimento spirituale che illustra la lotta indefessa dell’anima devota contro la carne, il Maligno e il mondo. E questo libretto asciutto e tagliente sarà non a caso rimeditato da Francesco di Sales.