Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La letteratura giovanile dell’Ottocento dialoga con una società di cui non vuole più censurare – come è successo in passato – le amarezze, le contraddizioni e le crudeltà. I classici nati in questo periodo sono divenuti preziosi documenti – ripresi molte volte dai migliori storici dell’infanzia – in quanto non esistono ambiti emarginati, perché il fantastico, l’avventura, l’intimismo domestico, la premonizione e il viaggio sapienziale offrono nutrimento e pretesto a una grande varietà di volumi.
Libri per bambini che parlano di bambini
Frances Hodgson Burnett (1849-1924) pubblica il suo Piccolo Lord Fauntleroy nel 1886, lo stesso anno in cui l’editore Treves di Milano stampa Cuore di Edmondo De Amicis. Non si tratta di una casuale coincidenza di date: tanto il piccolo Lord Cedric – cresciuto in America e costretto a conquistare l’affetto di un nonno severo, molto inglese – quanto Enrico Bottini, che scrive il suo diario in una Torino operaia dove non sono rare le disgrazie sul lavoro, mostrano i risultati del lungo cammino che ha condotto la letteratura per l’infanzia europea a un livello di piena maturità.
Frances Eliza Burnett
Il piccolo Lord Fauntleroy
Seguì una settimana incredibile, e mai vi fu bambino più scombussolato di Cedric, né mai vi fu settimana così sorprendente e irreale. Per cominciare, la storia che la mamma gli raccontò era davvero strana e fu costretto a farsela ripetere due o tre volte prima di capacitarsene. Chissà cosa ne avrebbe pensato il signor Hobbs, continuava a chiedersi. Era una faccenda di conti: suo nonno, che lui non aveva mai conosciuto, era un conte; e tale sarebbe diventato il suo zio più vecchio, se non fosse morto cadendo da cavallo; e dopo di lui doveva ereditare il titolo l’altro zio, ma era morto per un attacco di febbre, a Roma; e a questo punto sarebbe toccato a suo papà, di diventare conte, se fosse vissuto. Ma siccome erano tutti morti, ed era rimasto solo Cedric, ecco che doveva lui diventare conte, dopo la morte del nonno; ma per il momento era lord Fauntleroy.
Come prima reazione, non appena ebbe sentito quella storia, sbiancò in volto.
– Oh, Stellina – disse – preferirei proprio non diventare conte. Nessuno degli altri bambini lo è. Potrei non esserlo neanch’io?
Ma, a quanto pareva, non lo si poteva evitare. Quella sera, seduti davanti alla finestra spalancata sul vicolo, lui e la mamma ne parlarono a lungo. Accoccolato sullo sgabello basso con un ginocchio stretto fra le braccia, com’era la sua posizione prediletta, Cedric si concentrava ad afferrare i vari punti della situazione e aveva il visino tutto rosso per lo sforzo. Il nonno lo voleva in Inghilterra e la mamma pensava che dovesse andarci.
– Vedi, Cedric – diceva, guardando fuori con occhi tristi – sono sicura che anche papà lo vorrebbe. Amava molto la sua casa, sai; e poi ci sono tante altre cose che un bambino piccolo come te non può capire bene, per il momento. Ma io sarei una mamma cattiva ed egoista se non ti lasciassi andare, tesoro mio. E quando sarai grande capirai perché, credimi.
Ceddie scosse la testa, con infinita malinconia.
F.E. Burnett, Il piccolo Lord Fauntleroy, trad. it. di Ilva Tron, Milano, Mondadori, 1994
In questi due libri vengono infatti abbandonate le formule severe e noiose che, per tradizione, imponevano ai giovanissimi letture pervase di ammonimenti e di ricatti e si racconta ormai la vita dell’infanzia, immersa entro contraddizioni che non vengono censurate.
Del 1880 è Heidi di Johanna Spyri (1827-1901), che propone già tematiche ecologiche e mette in evidenza i molti problemi di una crescita realizzata in contesti diversi, anche se nel libro si devono armonizzare tra loro l’amore fortissimo per la natura e le esigenze educative ben ribadite di una città colta e civile.
Questi tre libri sono autentici classici e mostrano come la diffusione delle tendenze pedagogiche in Europa sia ormai veloce e coerente, mentre esistono traduzioni, scambi fra culture e rapidi confronti in ambito educativo.
Diversa è invece la funzione esercitata dall’Oliver Twist di Charles Dickens, in quanto il libro esprime una dolorosa denuncia dello sfruttamento, delle sevizie e delle umiliazioni a cui l’infanzia viene sottoposta, certamente non soltanto in Inghilterra.
È l’esempio di Dickens, infatti, che spinge altri scrittori per l’infanzia a intraprendere una raffigurazione dolente e precisa, che indurrà i legislatori ad aggiornarsi e a farsi carico dei lati oscuri di una condizione su cui si è troppo a lungo taciuto.
Gli esempi citati sono comunque libri per l’infanzia e per la gioventù che parlano finalmente di bambini e di ragazzi, rompendo con una tradizione tutta fondata su grandi esempi – luminosi e lontani – di patrioti, santi, navigatori e condottieri, dalle cui biografie eccellenti si doveva apprendere il modo di crescere e di maturare.
I libri di viaggi e di avventure
Nel 1881 sul "Giornale per i bambini" appare a puntate uno dei libri per ragazzi più tradotti e più letti nel mondo: Le avventure di Pinocchio. In questa lunga fiaba piena di peripezie, Carlo Collodi racconta un affascinante itinerario verso la crescita, del quale non vengono taciute le asprezze; nel contempo l’autore mette in evidenza le sorprendenti magie di un mondo contadino – ancora in bilico tra la miseria quotidiana colma di fatiche e di dolorose necessità – e l’orizzonte delle fiabe, in una rassegna di indimenticabili personaggi destinati a diventare esemplari.
Carlo Collodi
Pinocchio e la Quercia grande
Le avventure di Pinocchio
Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto di gettarsi in terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all’intorno vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.
– Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo, – disse dentro di sé.
E senza indugiare un minuto riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre dietro.
E dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di quella casina e bussò.
Nessuno rispose.
Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore dei passi e il respiro grosso e affannoso de’ suoi persecutori. Lo stesso silenzio.
Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una voce che pareva venisse dall’altro mondo:
– In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti.
– Aprimi almeno tu! – gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.
– Sono morta anch’io.
– Morta? e allora che fai costì alla finestra?
– Aspetto la bara che venga a portarmi via. –
Appena detto così, la bambina disparve, e la finestra si richiuse senza far rumore.
– O bella bambina dai capelli turchini, – gridava Pinocchio – aprimi per carità! Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass... –
Ma non poté finir la parola, perché sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociacce che gli brontolarono minacciosamente:
– Ora non ci scappi più! –
Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua.
– Dunque? – gli domandarono gli assassini – vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?... Lascia fare: ché questa volta te la faremo aprir noi!... –
E cavato fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff... gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni.
Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, e guardarsi in faccia.
– Ho capito; – disse allora uno di loro – bisogna impiccarlo! Impicchiamolo!
– Impicchiamolo, – ripeté l’altro.
Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa quercia, detta la Quercia grande.
Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettandosi che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai.
Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando:
– Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell’e morto e con la bocca spalancata. –
E se ne andarono.
Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo dondolare violentemente come il battaglio d’una campana che suona a festa. E quel dondolìo gli cagionava acutissimi spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro.
A poco a poco gli occhi gli si appannavano; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento all’altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta, vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo... e balbettò quasi moribondo:
– Oh, babbo mio! se tu fossi qui!... –
E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito.
Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Firenze, Giunti Marzocco, 1981
Traduttore di Perrault, Carlo Collodi è un giornalista satirico e un patriota risorgimentale deluso per quanto avviene nell’Italia unita, nonché autore di libri scolastici molto usati; nella sua opera più famosa tuttavia egli attinge direttamente alle sorgenti del mito e della fiaba, riproponendo ai bambini lo stesso mondo complesso e variegato che deriva da una lunga tradizione fondata sulla cultura popolare.
Nel 1901 Rudyard Kipling mostra, con il suo Kim, tutte le contraddizioni legate alla crescita: il protagonista del suo romanzo è legato all’India, ai suoi odori, ai suoi colori, alle diverse etnie e alle molte lingue, tuttavia ha radici irlandesi che riscopre e a cui attribuisce molta importanza.
Kim compie un lungo viaggio iniziatico insieme a un vecchio Lama, un percorso nel quale si condensano grande acume pedagogico e spiccata propensione per l’avventura.
Nel 1894, era già apparso Il libro della giungla, nel quale Mowgly, il bambino-lupo, riassume poeticamente in sé un dissidio metaforico molto avvertito dagli educatori; il romanzo racconta, infatti, di un completo abbandono alla forza della natura, in contrasto con un controllo molto avveduto, fondato su programmi estremamente precisi.
Di questi ineliminabili dissidi interiori Kipling è il poeta più vivo e fantasioso, particolarmente attento a rendere minuziosamente ogni particolare della quotidianità. Capitani coraggiosi (1897) è un ottimo esempio di queste capacità dell’autore: la crescita viene raffigurata come un implacabile apprendistato, una successione di imprese rischiose da cui si impara come diventare adulti.
In un clima immaginativo intriso di nostalgia per un Risorgimento ormai lontano, di cui si rimpiangono non solo l’onestà morale, ma anche il coraggio, lo spirito avventuroso, l’ostilità contro i tiranni e il desiderio di rivolta contro le ingiustizie vede la luce Il Corsaro nero (1898) di Emilio Salgari. Scrittore di avventure, che condensa nelle sue opere il ritmo narrativo, il sogno esotico di un secolo in cui i viaggi sono ancora ricchi di sorprese e di azzardi, e l’efficacia delle trame costruite appositamente per tenere saldamente avvinto il lettore, Salgari, creatore dell’indimenticabile Sandokan, in realtà non è un viaggiatore e la sterminata varietà dei luoghi descritti nelle sue opere deriva dalla consultazione di diari e altri testi di geografi, esploratori e mercanti. Il mondo salgariano è il mondo dell’avventura per eccellenza, perché, anche se i riferimenti geografici sono precisi e perfino minuziosi, la frenesia dei profumi e l’estasi dei suoni derivano dai sogni e dalla sfrenata fantasia di un autore che si lascerà travolgere, fino al suicidio, dall’incontrollata passione per le proprie finzioni.
Dai viaggi e soprattutto da un profondo amore per i mari del Sud che lo spinge a vivere in un’isola, assumendo lo pseudonimo di Tusitala, deriva invece l’avventura nell’interpretazione di Robert Louis Stevenson. Raffinato autore di capolavori come L’isola del tesoro (1883) e Il fanciullo rapito (1886), per Stevenson il viaggio è l’episodio fondamentale di una formazione che deve sempre compiersi fra misteri e turbamenti. Il protagonista de L’isola del tesoro, Jim, compie infatti ogni sorta di imprese, scopre l’intrigante complotto dei pirati e lo vince, ma è soprattutto attento testimone di eventi, lotte, sorprese e misfatti. Se per tanto tempo dell’adolescenza è stata messa in luce solo l’incompiutezza, l’indecisione e la fragilità emotiva, con Stevenson viene finalmente accolta fra le età dell’uomo e le si concede un pieno risalto e una gioiosa specificità.
Da un’altra e più complessa varietà di motivi storici e metaforici è caratterizzato Capitano Nemo di Jules Verne, presente in due dei più bei libri di questo prolifico autore: Ventimila leghe sotto i mari (1869-1870) e L’isola misteriosa (1874). Fra i grandi eroi dell’avventura di ogni tempo, Nemo ha una sua propria dimensione: creato nel clima della sconfitta francese di Sedan , questo personaggio risente di un desiderio di rivincita, ma allo stesso tempo condensa in sé dubbi, frenesie e presentimenti di un futuro in cui tiranni tecnologici domineranno le masse con armi estremamente innovative, senza che questo sia accompagnato da un autentico progresso democratico e civile. Ai ragazzi di tutto il mondo Verne offre dunque una letteratura avventurosa capace di rendersi anche avveniristica, che regala loro occasioni di divertimento, ma nel contempo li fa riflettere – come ricorderà il poeta Guido Gozzano, suo appassionato lettore – e che induce i giovani a meditare sulle incertezze di un cammino umano nel quale i trionfi e le conquiste si accompagnano a cadute e sofferenze.
Verne è comunque un maestro dell’ironia e i suoi romanzi sono pieni di doppi sensi e di giochi linguistici che sorprendono e stimolano il lettore.
Lewis Carroll
Il mago dei giochi intellettuali, matematici e dei nonsensi è Lewis Carroll, il severo professore di Oxford che nel 1865 scrive Alice nel paese delle meraviglie, seguito nel 1871 da Attraverso lo specchio. Ispirati dall’amicizia per una ragazzina, Alice Liddell – figlia di un grecista, celebre collega di Carroll – sia Alice sia Attraverso lo specchio sono, fra l’altro, una strepitosa rivisitazione del mondo delle filastrocche, delle piccole rime educative, e, in generale, due aggressivi documenti che si oppongono a una letteratura per l’infanzia cerimoniosa, contegnosa, tutta basata su una logora precettistica attraverso la quale si esercita nei confronti del mondo dell’infanzia un dominio piatto e irritante, capace solo di spegnere la fantasia. Carroll riempie i suoi libri d’ingovernabili invenzioni, di trabocchetti, di complicate allusioni e di aperti inviti a seguire Alice verso itinerari sempre nuovi, senza sostare e senza cedere ad alcun ricatto.
Lewis Carroll
Alice e il Gatto
Alice nel paese delle meraviglie, Cap. I
E cominciò a pensare ad altri bambini di sua conoscenza che sarebbero stati dei graziosissimi porcellini e stava appunto dicendo a se stessa: "Se solamente si trovasse la maniera di cambiarli..." quando sussultò all’improvviso vedendo il gatto del Paraguai a pochi metri da lei, seduto sul ramo d’un albero.
Il Gatto ghignò, vedendo Alice.
"Ha l’aria d’essere un gatto di buona indole" pensò la bambina.
Aveva però degli unghielli molto molto lunghi e una gran quantità di denti; ragione per cui, rifletté Alice, conveniva trattarlo con riguardo.
"Micino Paraguai", cominciò, piuttosto timidamente perché non era affatto certa che quel nome gli piacesse (comunque il Gatto si limitò a ghignare un po’ di più e Alice interpretò il fatto come un’espressione di compiacimento). "Mi vorrebbe dire, per favore, che strada devo prendere per uscire di qui?"
"Dipende in buona parte da dove lei vuol andare", rispose il Gatto.
"Qua o là, non ha grande importanza per me..."
"E allora non ha importanza per lei prendere una strada o l’altra".
"... purché arrivi in qualche posto", aggiunse Alice a modo di spiegazione.
"Oh, in quanto a questo, può essere sicura di riuscire: non ha che da cominciare".
Alice sentì che non c’era nulla da ridire, perciò provò con un’altra domanda.
"Che gente vive da queste parti?"
"In quella direzione", rispose il Gatto indicando tutto intorno con un movimento circolare della zampa destra, "abita un Cappellaio; e in quella direzione (altro movimento circolare della zampa sinistra) abita una Lepre Marzolina. Vada a far visita a chi vuole: sono matti tutti e due".
"Ma non ho nessuna voglia d’andare a far visita a dei matti!" osservò Alice.
"Oh, lei non ne può fare a meno! Siamo tutti matti, qui: io sono matto; lei è matta".
"Come fa a sapere che sono matta?"
"Per forza!" disse il Gatto, "se no, non sarebbe qui!"
A dir la verità, questa non sembrava affatto una prova ad Alice, tuttavia continuò:
"E come fa a sapere che è matto lei?"
"Per cominciare", disse il Gatto, "un cane non è matto, le pare?"
"Suppongo".
"Bene", seguitò il Gatto, "un cane brontola quand’è di cattivo umore e dimena la cosa quando è contento. Invece io brontolo quando sono contento e dimeno la cosa quando sono di malumore: dunque son matto".
"Il suo, io non lo chiamerei brontolare, ma piuttosto far le fusa".
"Lo chiami come vuole", disse il Gatto. "Gioca al croquet con la Regina, oggi?"
"Mi piacerebbe moltissimo", disse Alice, "ma non sono ancora stata invitata".
"Ci rivedremo là", disse il Gatto, e svanì.
Alice non fu molto sorpresa di questo fatto: ormai stava abituandosi alle cose più straordinarie. Mentre fissava il luogo dove il Gatto era stato fino a un momento prima, improvvisamente esso riapparve di nuovo.
"E a proposito, che è successo del piccino?" chiese il Gatto.
"E’ diventato un porcello", rispose tranquillamente Alice, come se si fosse trattato della cosa più naturale del mondo.
"Me l’ero immaginato", disse il Gatto; e svanì un’altra volta.
Alice aspettò un po’, immaginandosi quasi di vederlo riapparire; ma non riapparve, e dopo qualche minuto la bambina si mise a camminare verso il luogo dove abitava la Lepre Marzolina.
Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, trad. it. di E. Bossi, Milano, Bompiani, 1963
È Carroll stesso che comprende – più di altri – la portata innovativa e perfino stravolgente dei suoi due libri, tanto che nel 1889 perviene a un autentico ripensamento e scrive Sylvie e Bruno – libro raffinato e in un certo senso severo – in cui ribalta i presupposti educativi dai quali sono scaturite le avventure di Alice, che diventeranno comunque materia per esercitazioni di poeti e pittori e per interpretazioni di filosofi, di linguisti e di matematici.
Le difficoltà nella famiglia
Nel 1894 esce Pel di Carota di Jules Renard, che propone con estrema durezza le infelicità domestiche di un ragazzo, l’ultimo dei fratelli Lepic, costretto a vivere nella gelida incomprensione di una famiglia ostile.
Il dramma dell’incomunicabilità fra generazioni viene già evidenziato – fin dal titolo – in un libro di Florence Montgomery (1843-1923), Incompreso. Il romanzo, scritto nel 1869, passa minuziosamente in rassegna i piccoli e i grandi drammi vissuti da un ragazzo che non comunica pienamente con gli adulti e si vede attribuire responsabilità e pesi di cui non può farsi carico.
Nel corso dell’Ottocento la famiglia è divenuta, del resto, il teatro privilegiato di una letteratura giovanile disposta a non subire ricatti pedagogici e intenzionata a raccontare le peripezie e le asprezze della condizione bambina.
La storia del piccolo Remi, il trovatello protagonista di Senza famiglia (1878) di Hector Malot (1830-1907) – che visita errando quasi tutta la Francia – sancisce il diritto a una crescita coraggiosa, autonoma e nella quale la libera strada – piena di sorprese e di rischi – si sostituisce all’interno domestico e alle chiusure del mondo degli adulti.