Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo spartito epistolare presenta, tanto nella corrispondenza privata quanto nei generi letterari, le risorse di una comunicazione agile e digressiva, colta e rapsodica. Il piacevole fraseggio della lettera muta il monologo in dialogo, l’osservazione erudita in discussione scientifica, la curiosità nel piacere di raccontare.
Dalla lettera erudita alla lettre philosophique
All’inizio del secolo gli epistolari sono la testimonianza di grandi imprese erudite, quali i Rerum italicarum scriptores, di cui Muratori ci offre il resoconto aggiornato nel dialogo con i suoi 2.000 corrispondenti. Giovandosi della traduzione secentesca che vede la lettera contendere al dialogo filosofico il primato nella discussione scientifica, l’erudito del primo Settecento e il philosophe del tempo dei Lumi colgono lo strumento agile ed elegante della lettera per dialogare con un pubblico che, se in un primo tempo è parte costitutiva del mondo delle accademie e delle università, verrà poi rappresentato dal più ampio campione dei lettori di giornali.
Con Muratori scrivono i loro epistolari Vallisneri, Maffei e Apostolo Zeno, arricchendo di notizie autobiografiche la discussione erudita delle loro lettere che riprende, fatte le debite proporzioni, il modello degli epistolari di Galileo e Sarpi, non molti anni dopo l’aggiornamento del galateo epistolare nel De ratione concribendarum epistolarum di Georg Morhof.
Quando incontra la penna di Voltaire, il carteggio erudito si muta nella versione polemica e agguerrita delle Lettere filosofiche, in cui discutono con ampia digressione tematica tanto i problemi del commercio quanto l’organizzazione e le finalità salvifiche delle sette protestanti. Alla prospettiva erudita dello scambio di notizie si sostituisce quella polemico-divulgativa che coinvolge il lettore nella retorica della brevitas, già diffusa nei generi emergenti del giornale o del pamphlet. Fra i tanti temi trattati, le lettere volterriane isoleranno quelli costitutivi della cultura illuministica nelle riflessioni ed esperienze filosofiche di Bacon, Locke e Newton. Il debito con l’Inghilterra del Seicento emerge in particolar modo nell’esaltazione della figura archetipica del conte di Verulamio, Francis Bacon: “In una parola, nessuno prima del cancelliere Bacone aveva conosciuto la filosofia sperimentale, e di tutti gli esperimenti che sono stati fatti dopo di lui pochissimi non sono stati indicati nel suo libro”.
La lettera diventa filosofica parlando l’inglese di Addison e Steele ed esaltando, sotto gli auspici dell’ex gesuita Saverio Bettinelli, autore delle Lettere inglesi, il genio letterario e filosofico di Alexander Pope autore de Il ricciolo rapito.
Saverio Bettinelli
Pope cosiderato superiori ai classici come Tasso o Voltaire
Lettere inglesi
Trovo de’ difetti in Orazio, in Omero, in Virgilio, in Voltaire, nel Tasso, e nell’Ariosto, e non ne trovo in Pope, e lo metto sopra tutti, dopo che quest’uomo ha saputo abbellire e dar forza alle più alte insieme e più necessarie massime della morale dell’uomo, temperando mirabilmente la più bella poesia colla filosofia più pregiata. Egli ha renduto l’uomo migliore coi versi, che son lo stromento con che tanti lo rendon cattivo. Egli ha fatto servire la poesia alla virtù, all’umanità, al ben pubblico. Son pur pochi i poeti che uniscano tante qualità, e nessuno che le abbia tutte e in tutti i generi di cantare. Qual poema più grazioso del Riccio rapido, qual più salso della Dunciade? Eppur questo è il meno. Non sarebb’egli un bel caso che il vincitore de’ Greci e de’ Latini dovesse trovarsi nei Britanni divisi dal mondo? Dite pure che son pregiudicato e nazionale, io mi rimetto. Addio.
S. Bettinelli, Lettere inglesi, Venezia, 1766
La corrispondenza erudita del primo Settecento lascia il posto a epistolari dal taglio saggistico destinati alla rapida acculturazione di un pubblico desideroso di risvegliarsi dal proprio torpore, sul quale si sofferma l’Angiolini delle Lettere sopra l’Inghilterra: “qua con leggere le diverse materie che si registrano nelle gazzette, la loro indicazione gli scuote, gli sveglia e fa che sappiano del loro spirito quanto essi medesimi non sapevano e non saprebbero”.
Ormai verso la fine del Settecento, Il viaggio a Parigi e a Londra (1766-1767) ripropone, nel carteggio fra Alessandro e Pietro Verri, la formula della corrispondenza letteraria, sebbene essa sia ormai piegata alla moda del viaggio intellettuale con i toni di un dialogo privato, oltre il quale si intravede l’ambiente éclairé dell’Accademia dei Pugni e del “Caffè”. A tal patto il côté privato della lettera si apre nella dimensione pubblica della cronaca di un viaggio che segna l’incontro dell’ école de Milan con i filosofi transalpini. Mentore e precettore di un melanconico Cesare Beccaria, Alessandro Verri descrive al fratello Pietro, e per lui agli amici restati in Italia, la fisionomia morale del celebre Diderot: “Diderau è stessa semplicità. È circa i cinquant’anni. Declama sempre con impeto, delira, è caldo, caldo in tutte le cose della conversazione come nei suoi libri. E eguale da per tutto. Ottimo, sensibilissimo uomo”. Nel mondo affabile, “buono” e civile degli enciclopedisti fanno specie le manie saturnine del Beccaria, assai stigmatizzate da un Alessandro Verri ben propenso a denunciare al fratello il malaise del campione dell’Illuminismo lombardo: “Il mio amico continua nella sua malinconia, i maggiori suffragi, la maggiore città non gli basta”. Pubblico e privato si confondono di continuo nei tempi della scrittura, ora preoccupata di dare notizia degli incontri con d’Alembert e d’Holbach, ora tessuta nei ritratti impietosi dell’autore Dei delitti e delle pene.
Si indovina, oltre il destinatario, la cerchia degli amici che attende da quel viaggio, con le notizie piccanti e curiose, la conferma di un legame cosmopolita che unisce, negli incontri parigini e londinesi, i philosophes ai loro lettori epigoni nella Lombardia teresiana.
La lettera nel romanzo
Il nascente genere del romanzo si giova della finzione epistolare per predisporre la dispositio narrativa in sintonia con la moda e l’uso del secolo. Il piacere della digressione curiosa, la successione impercettibile delle emozioni, il gioco intellettuale, la schermaglia galante sono, a un tempo, contenuti dei romanzi settecenteschi e delle corrispondenze private. Passando da prassi comunicativa a genere letterario, la finzione epistolare crea nel dialogo fra i personaggi corrispondenti una sorta di scrittura a due mani che diviene quasi una scena di teatro, quando il pas de deux della lettera si fa intrigante e avvincente. Dalle Lettere persiane alla Monaca, da Clarissa alla Nuova Eloisa , da Le disgrazie dell’incostanza alle Relazioni pericolose una civiltà epistolare si riconosce nella lettera oramai trasvalutata a parte di romanzo. Deposta l’attitudine oratoria dei romanzi secenteschi, il récit narrativo del XVIII secolo svela raffinatezza stilistica nell’alternanza di gusto ritrattistico e affettazione di delicato patetismo. Prima che la letteratura epistolare diventi la cassa di risonanza del cuore romantico e il fragile piedistallo dei suoi eroi, e prima che Werther e Ortis incidano le loro epigrafi sullo spartito della lettera, il lettore del Settecento medita con Montesquieu, piange con Richardson, si rigenera con Rousseau e sperimenta la paura con Laclos. La lettera infine apre il romanzo al contatto con i generi limitrofi della biografia e dell’autobiografia mediante la stilizzazione del “parlare di sé” che accomuna i personaggi di carta a filosofi e libertini.
La lettera nella privacy
Iacopo Martello, scrivendo nel 1718 le pagine del Vero parigino italiano, mette in luce le risorse accattivanti dello stile francese al quale guardano gli epistolari del secolo, colti e piccanti a un tempo per lo stile digressivo che li caratterizza. Volendo andare a vedere da vicino i nuovi “segretari” transalpini, per constatarne la fortuna sullo scrittoio di dame e gentiluomini, si possono leggere le Lettere francesi tratte dai più celebri autori moderni, tradotte in Italia per tutte le occasioni del civile uso mondano, dalla richiesta del ritratto all’invito al gioco, dalla protesta d’amore alla sua divertita smentita nella replica di una piccata damina: “Gli amanti di oggiorno sono avezzi a predicare il loro amore e la loro costanza in tutti i luoghi. Ond’è che voi avete un bel assicurarmi che amate me sola, io diffido sempre di simili discorsi […] Bastami che mi amiate quanto io vi stimo”. Ma il tono galante non è la sola risorsa degli epistolari settecenteschi, perché dopo la metà del secolo, quando si fa meno intensa l’apologia del lusso e del vivere in società, più frequenti sono i richiami di dame e letterati alla melanconica condizione del loro esistere. Capita a volte che una dama come la celebre Madame du Deffand chiami al proprio capezzale un medico quale il filosofo del secolo, cioè Voltaire: “Vedete come è triste la mia anima e come scelgo male il modo di scrivervi, ma, Signore, consolatemi, dissipate questi neri vapori che mi avvolgono”. I neri vapori della melanconia sono una risorsa dello scrivere lettere quanto lo è discorrere della salute della Pompadour, della pensione che forse il re di Prussia non darà a d’Alembert, del Corneille o dell’Antico Testamento.
Questo argomento ritorna nel commiato del filosofo dalla Du Deffand: “La mia salute peggiora tutti i giorni, non tutti sono come Fontenelle. Suvvia, Signora, coraggio, trasciniamo la nostra catena sino alla fine. Siate persuasa dell’interesse che il mio cuore prova per voi”. Sempre più nel Settecento gli epistolari privati si compiacciono di un linguaggio libero dai velami del bon ton, perché la schiettezza espositiva è divenuta un vezzo al quale è difficile rinunciare, specialmente se, come la marchesa Chigi scrive a Casanova, si attribuisce la causa della brevità della lettera al mal di pancia: “Una delle ragioni per cui sarò breve è perché mi trovo fortemente incommodata da una penosa convulsione di stomaco […]. Torno a ripeterle che io non la pregai di restare, perché lei non mi diede il tempo di farlo; e io non sono avezza a far restare i Forestieri prima che abbiano mangiato meco almeno una volta. Quando lei mi disse che aveva fermato i cavalli per partire mi ricordo che non si era messo ancora in tavola il lesso. Sig. Casanova a rivederci a un secondo pranzo”.
Ormai la retorica del quotidiano, con il suo corredo di convulsioni di stomaco e di lessi, contende al retaggio galante il primo posto nella dispositio delle lettere. Lo stile realistico mutuato dal modello anglosassone – si pensi alle Lettere inglesi di diverse dame, un manuale di etica coniugale edito a Venezia nel 1753 – invade le corrispondenze suggerendo un rinnovato gusto ritrattistico. La scena di ambiente si armonizza con la descrizione di sé anche quando chi scrive deve fare i conti con il proprio spleen, contraddetto con le sole armi di un robusto umorismo. Passando dalla Siena della marchesa Chigi alla Venezia di Gasparo Gozzi il gusto autoritrattistico si confonde con il tono parodico di un racconto a uso della bella corrispondente: “qui c’è poca compagnia e tutta di genti serie. Ond’io per conformarmi al tempo faccio un viso che paio Catone in Utica. Il dì non rido mai onde essendo pieno il corpo di cose ridicole, trattenute tutto il giorno, rido in letto di mia posta due ore”. La digressione, divenuta nella lettera una sorta di intermittenza psicologica, permette il rapido cambio di scena dai neri presagi della Du Deffand al riso bonario del Gozzi, che poi è assai propenso in altri momenti a dipingersi quale un solitario uccello portatore di sventura. Stringendo il rapporto fra retorica e psicologia, il ritratto dello scrittore di epistolari si aggiorna volta a volta nei colori cangianti del suo stato d’animo o clima interiore che però non indulge mai del tutto alla fantasticheria, perché lo riportano alla realtà la notizia erudita, il riferimento storico, la novità galante o teatrale.
Infine, lo stile epistolare diventa la teatralizzazione dei cambi di soggetto tipici del conversare, come sottolinea Ange de Goudar quando, con la maschera della moglie Sara, scrive La relazione storica sui divertimenti dell’autunno in Toscana; ma una lettera è una conversazione per iscritto, dove l’autore può abbandonare in ogni momento il proprio soggetto e in seguito riprenderlo: questo è ciò che i Francesi, che danno nomi a tutto, definiscono una sortie epistolaire.