La leggenda della vera croce e la sua iconografia (VIII-XV secolo)
La disseminazione dei cicli figurativi in prospettiva europea
Deve esserci stato un tempo in cui il legno della croce di Cristo esercitava una fascinazione così potente, che le persone si consumavano nell’intimo dal desiderio di vederlo, toccarlo, baciarlo se possibile. Era il tempo in cui il cristianesimo cominciava timidamente a emergere dalla sua lotta contro la discriminazione, e il suo espandersi come fede religiosa si manifestava all’esterno con il sorgere di nuovi luoghi di culto da Roma a Costantinopoli, da Gerusalemme a Edessa. Fu in questo tempo, secondo la leggenda, che un giudeo e una regina cristiana scavarono a fondo la terra e trovarono ciò cui tutti ardentemente aspiravano: la vera croce.
Su un tronco vivente, una croce apportatrice di morte e rinascita, il cristianesimo innestò il suo immaginario. Era nelle venature vive di quel legno che il sangue di Cristo si era riversato; e quel legno era stato un tempo un albero, anzi il più antico e più nobile tra tutti: l’Albero della Vita cresciuto in paradiso. Questi misteri sono riuniti nella cosiddetta ‘leggenda della vera croce’.
Lo studio di questa leggenda abbraccia culti di reliquie, vie di pellegrinaggio, racconti di viaggiatori e il mito dell’Albero della Vita; coinvolge Padri della Chiesa, re crociati, cavalieri teutonici e ordini mendicanti: tutto ciò che ne influenzò la rappresentazione pittorica, dalle prime figurazioni in manoscritti, reliquiari e pale d’altare fino ai grandi cicli monumentali del basso Medioevo. Se il sacro legno fornì al Medioevo il supporto materiale della memoria, i cerchi annuali della crescita di una produzione d’immagini durata quindici secoli ci sono rivelati dalla leggenda della vera croce.
In questo saggio ci si concentrerà sulla necessità di introdurre certe sfumature nella ricerca attorno all’iconografia dei cicli toscani in Italia, sfumature che derivano da nuove scoperte e risultanze alla periferia di quest’area. Si suggerirà, inoltre, un’indagine comparativa Nord-Sud su questa iconografia: da una simile prospettiva, diventa chiaro come la disseminazione delle occorrenze in Europa occidentale segua logiche molto più complesse di quanto in genere non si ammetta1.
La leggenda della vera croce ha goduto di una storia letteraria lunga e complessa. Il processo di formazione ebbe luogo nel periodo compreso tra il IV e il XII secolo, e si dispiegò nei diversi volgari europei con innumerevoli varianti e interpolazioni lungo tutto il Medioevo. Questo groviglio di tradizioni testuali, così come l’impatto della parola scritta sull’arte figurativa e sulla cultura materiale, ci documenta fino a che punto la gente venne tempestata di supposizioni circa l’origine del legno della croce di Cristo. Oggi raggruppiamo queste idee alla voce ‘leggenda della croce’, ma tale leggenda consiste in realtà di tre tradizioni separate: del ritrovamento (o invenzione), dell’esaltazione, e del legno della croce.
La leggenda del ritrovamento sorse alla fine del IV secolo2. Consisteva inizialmente di sommari resoconti da parte dei Padri della Chiesa, con la menzione dell’esistenza di una reliquia della croce a Gerusalemme3. Nel suo De obitu Theodosii (395), Ambrogio riferisce come Elena si fosse recata in questa città dietro richiesta di suo figlio Costantino – preso a modello per il più tardo imperatore Teodosio, a cui l’elogio funebre era indirizzato – e come colà, con l’aiuto dello Spirito Santo, avesse trovato sul Golgota la croce di Cristo. Qualche anno prima (390) Giovanni Crisostomo aveva fatto menzione della reliquia (Omelie sul Vangelo di Giovanni, 85), ma senza connetterla con Elena. La madre di Costantino è citata invece da Paolino di Nola nel 402 e da Rufino d’Aquileia nel 403, i quali la dicono, rispettivamente, aiutata dai giudei e dal locale vescovo Macario. La vera croce potè essere individuata fra le tre dissepolte grazie alla sua virtù di risuscitare i morti.
I riferimenti patristici vennero sviluppati in una variante anonima, la leggenda di Giuda Ciriaco, secondo cui era stato l’ebreo Giuda, per ordine della regina Elena, a trovare la croce. Tenuto per sette giorni in una cisterna vuota senza cibo né acqua, si sarebbe deciso a rivelare ciò che tante volte aveva sentito raccontare dai suoi antenati, cioè che la croce del Messia era sepolta sul Golgota. Questa particolare leggenda, di origine probabilmente siriaca ma circolante anche in una versione latina, trovò riscontro figurativo in età carolingia4. Il Sacramentario di Gellone (750-790) tramanda la più antica iconografia del ritrovamento della croce5: nell’illustrazione relativa alla festa del 3 maggio compare Giuda nell’atto di (forse) abbattere tre croci. La commemorazione è trattata dal miniaturista almeno in parte come un’allegoria: entro un cerchio, che allude al Santo dei Santi, compare una croce patente di colore rosso, recante le lettere apocalittiche alpha e omega, fiancheggiata da due croci di colore verde.
Da un altro manoscritto di età carolingia si ha l’attestazione del valore apologetico della tradizione del ritrovamento. Nei Canones conciliorum di Vercelli (circa l’anno 800) i documenti dei concili del IV e del V secolo sono introdotti con disegni riferiti a questa leggenda6; tanto il testo come le illustrazioni sorsero in diocesi di Milano. Nella fascia inferiore Giuda, munito di ascia, porta alla luce tre croci parallele coricate, quella mediana – come nella miniatura di Gellone – più grande delle altre. Nella zona superiore egli consegna la vera croce a Elena, che la riceve aprendo le braccia; il gesto rappresenta l’istituzione di uno Stato cristiano sotto il controllo degli imperatori.
Nel frattempo nell’Impero bizantino era venuta verificandosi una drammatica serie di eventi. Attorno al 620 il re persiano Cosroe II aveva trafugato da Gerusalemme la reliquia della croce, ma l’imperatore Eraclio l’aveva recuperata a Ctesifonte, nell’attuale Iran7, decapitando poi il re sassanide nel suo palazzo-tempio astrologico. Il figlio di Cosroe si sarebbe di conseguenza convertito al cristianesimo, ed Eraclio potè tornare a Gerusalemme da trionfatore. La restituzione della croce fu accompagnata da un miracolo: un angelo impedì l’accesso alla Porta aurea della città fin tanto che l’imperatore bizantino, a piedi nudi, non ebbe riportato la reliquia alla chiesa del Santo Sepolcro. Come che siano andate le cose, è così che la leggenda dell’esaltazione della croce si diffuse nella storia della chiesa e della liturgia occidentali grazie a Rabano Mauro (780-856)8.
Solo in periodo romanico questa vicenda rivisse grazie a una rappresentazione figurativa. Nel Sacramentario di Mont Saint-Michel (1060) la festa dell’Esaltazione della croce è ricordata al 14 settembre con una miniatura di Eraclio umiliato9. Nel registro inferiore l’imperatore è rappresentato nell’atto di piegarsi in proscinesi, mentre l’angelo osserva l’avvenimento dal cielo. Questa iconografia acquistò rilievo al tempo delle crociate: nel conflitto tra islam e cristianità si credette di riconoscere questa guerra del VII secolo, che aveva avuto per traumatica posta in gioco la reliquia della croce. Malgrado l’anacronismo, Cosroe si offriva come personificazione di un’altra religione monoteistica sotto minaccia, ed Eraclio come esempio di vincitore trionfante: il Salvatore. Là dove infatti era in questione il precario legame tra Gerusalemme, Bisanzio e Roma, era in questione anche ciò che le teneva insieme: la croce, simbolo e prova materiale di vittoria10.
Distribuita anche fisicamente e tangibilmente per tutta la cristianità, la reliquia della croce funse da supporto a una terza diramazione letteraria: la leggenda del legno della croce. Dove c’era una croce, infatti, c’era anche del legno; e dove c’è legno, c’è albero. E non un albero qualsiasi, ma l’albero di tutti gli alberi: l’Albero della Vita.
La connessione fra la croce e il lignum vitae è già posta in metafore protocristiane11. Essa costituisce il basso continuo di una serie di variazioni concettuali mirate alla sintesi tra la croce e l’Albero della Vita, il Paradiso e il sacrificio di Cristo. È ben noto che questo tipo di esegesi ‘tipologica’ dilagò a partire dal XII secolo. La croce venne inserita in un gioco di ombre cinesi diacronicamente proiettate tra Antico e Nuovo Testamento: essa era già presente, potenzialmente, nel bastone di Mosè, nel tau di Aronne, etc. L’idea che il legno citato nell’Antico Testamento fosse poi diventato davvero il sostegno fisico del Messia era stata svolta in narrazioni tese fra il libro della Genesi e il racconto della Passione a partire dal XII secolo. Le prime tracce dell’origine di questa leggenda emergono nelle storie ecclesiastiche di Pietro Comestore e di Giovanni Beleto12: Iacopo da Varazze li cita come auctoritates nella sua Legenda aurea (1260 circa). Ecco come procede la storia quivi raccontata alla rubrica del 3 maggio.
Quando Adamo sente la morte avvicinarsi, manda suo figlio Seth nel paradiso terrestre per sua consolazione. Dall’Albero della Vita Seth riceve tre ramoscelli. Tornato a casa pianta i ramoscelli sulla tomba del padre nel frattempo deceduto. I ramoscelli crescono in un albero meraviglioso che resiste alla prova del tempo fino a Salomone. Questi lo fa tagliare in vista della costruzione del Tempio; ma il legno cambia continuamente di dimensioni, come se rifiutasse di adattarsi al Tempio. Messo da parte, va a finire giusto nel ponte sul fiume Kedron, dove ha luogo l’incontro fra Salomone e la regina di Saba. La regina predice che quel legno è destinato a sorreggere un giorno il Messia, il quale sarà giustiziato dai Giudei. Pieno di diffidenza, Salomone fa gettare il legno in un pozzo, la successiva Piscina Probatica. Al tempo della Passione di Cristo, comunque, questo legno si fa trovare galleggiante, e i Giudei ne ricavano una croce. Di qui in avanti segue il racconto del ritrovamento della Vera Croce13.
La ricezione della leggenda della croce in questa sua forma sintetica procede di pari passo con la straordinaria fortuna della Legenda aurea. Poiché quest’ultima offriva il riferimento letterario standard del calendario liturgico, divenne chiaro a tutti che il racconto bipartito della festa del 3 maggio (legno della croce e imperatrice Elena) era in realtà uno solo, e che i fatti in esso narrati avevano una continuazione nella festa del 14 settembre (Eraclio). Con Iacopo da Varazze si può incominciare a parlare sinteticamente di quella ‘leggenda della croce’ che trova riscontro nell’iconografia dei cicli pittorici.
Quelli toscani sono molto noti e studiati. Il ciclo di Agnolo Gaddi in Santa Croce a Firenze, nella cui Cappella Maggiore i tre rami della leggenda vennero riuniti secondo la Legenda aurea14, fu preso a modello per cicli analoghi a Volterra (1410)15 ed Empoli (1425)16. Una fonte d’archivio di Montepulciano ci informa che nel 1415 la Compagnia della Santa Croce finanziò a Nanni (Giovanni) di Caccia un viaggio a Firenze affinché potesse trarre disegni degli affreschi di Agnolo in Santa Croce17.
I francescani favorirono il tema della leggenda per vari motivi. Secondo le loro tradizioni, san Francesco aveva ricevuto le stimmate il 14 di settembre, festa dell’Esaltazione della croce18. Inoltre, attorno al 1340 essi erano diventati custodes del Santo Sepolcro in Gerusalemme19. Anche la metafora teologica del lignum vitae della croce si sviluppò in ambiente francescano. Taddeo Gaddi dipinse un Cristo crocefisso all’Albero della Vita per il refettorio di Santa Croce in Firenze (1340 circa)20, ispirandosi al Lignum vitae di San Bonaventura (1257-1274), un trattato in cui la vita di Cristo e la redenzione da lui operata venivano rinarrate usando il simbolismo dei frutti dell’Albero della Vita21. I francescani si resero conto insomma che la leggenda della croce, all’epoca fiorente, ben si adattava alle loro idee; sicché l’adottarono, e mantennero con essa una relazione ravvicinata per tutto il Medio Evo.
La funzione di modello che questi cicli esercitarono l’uno all’altro deve perciò essere riguardata nel contesto dell’ordine francescano. Tale funzione si prolungò nel ciclo affrescato da Piero della Francesca in Arezzo (prima del 1466)22. È stato Carlo Ginzburg23 a richiamare per primo l’attenzione su un possibile influsso da parte del concilio di Ferrara-Firenze durante il quale, il 6 luglio 143924, il cardinale Bessarione (1403-1472)25 firmò l’atto d’unione fra Roma e Costantinopoli. Il 10 settembre 1458 il cardinale fu nominato patrono ufficiale dei francescani26, e noi sappiamo che all’incirca nello stesso periodo egli era in corrispondenza con umanisti come quel Giovanni Bacci che commissionò il ciclo di Arezzo27. In altre parole, la leggenda della croce pierfrancescana è la massima espressione dei contatti diplomatici corsi tra l’Oriente e l’Occidente cristiani28. L’incontro di Salomone con la regina di Saba dovrebbe perciò essere considerato quale un riferimento molto concreto alla mediazione che ebbe luogo al concilio di Ferrara (per inciso, a Ferrara, attorno al 1440, diversi tondi furono prodotti sullo stesso tema)29. Questa teoria è oggi comunemente riconosciuta e accettata.
Pare nondimeno importante osservare che, come conseguenza della molta attenzione accordata – per motivi sia estetici che politici – al ciclo di Arezzo, l’approfondimento investigativo sulla leggenda della croce ha continuato a battere il terreno dell’ordine francescano in Italia, e il chiodo delle relazioni diplomatiche tra Est e Ovest, come chiavi esplicative della funzione di questo soggetto. A tutt’oggi, l’interpretazione politica e il monopolio toscano di questa iconografia rivestono carattere paradigmatico nella letteratura secondaria; e c’erano del resto scarse ragioni, fin qui, di deviare da una simile prospettiva30. Ma la ricerca più recente suggerisce che la posizione di privilegio della Toscana va sfumata, e in misura significativa. Sondaggi esplorativi in zone cosiddette marginali inducono a decentrare la prospettiva tanto in Italia quanto nel resto d’Europa, e ad ampliarla attraverso un approccio comparativo. In quanto segue, si cerca di dare una veloce panoramica di questi nuovi sviluppi a beneficio degli studiosi del settore, l’occhio rivolto alle acquisizioni più recenti.
Si è sempre dato per buono che il ciclo di Santa Croce in Firenze, risalente a circa il 1392, fornisse la testimonianza più precoce del terzo ramo della vicenda, la storia del legno della croce sotto l’Antico Patto (con Seth, dunque, Salomone, la Regina di Saba); il committente dell’opera perciò, e l’esecutore, sono stati ritenuti i pionieri di questa iconografia. Ma la scoperta, nel 1995, di alcune pitture murali nel campanile della chiesa di S. Nicola a Lanciano (Abruzzo), raffiguranti l’episodio di Seth e l’edificazione del tempio di Salomone, fa arretrare la data più antica a circa il 133031. Sulla costa adriatica del Mediterraneo dunque, c’erano interessi e motivazioni in anticipo rispetto alla grande e decisiva area attorno a Firenze32, benché sia necessario un supplemento di indagine per accertare quale sia il retroterra letterario specifico, in questa regione, di questo ciclo. Di sicuro, la Legenda aurea non vi viene seguita fedelmente e ci sono congetture su possibili influenze greche o addirittura slavoniche33. In secondo luogo, il ciclo pittorico di Montegiorgio nelle Marche meridionali, datato circa il 1430 e attribuito ad Alberto da Ferrara, mostra che il monopolio toscano non è assoluto come si credeva34. Anche qui si riscontra un’organizzazione narrativa che diverge (forse deliberatamente) dai modelli toscani.
Di seguito si affronta questo problema ricorrendo a una terza e recente scoperta, operata ad Andria in territorio pugliese.
Nella cripta rupestre di Andria la leggenda del ritrovamento della croce è collocata sulla destra della navata laterale, sul lato destro di un piano di calpestio trapezoidale35. Quest’ultimo deve la sua capricciosa configurazione alle numerose alterazioni subite dall’impianto della chiesa attraverso le epoche. La chiesa rupestre fu scavata nel X secolo da eremiti greci noti come monaci basiliani, in costante movimento verso Nord dall’Est, oltre la Sicilia lungo la costa adriatica. Un adattamento morfologico dell’abside intervenne nel XIII secolo per opera di monaci benedettini. Nell’Ottocento la cripta fu portata alla luce fino al livello del suolo e furono inserite finestre, in questo processo distruggendo, purtroppo, parte del ciclo pittorico con la leggenda della croce36.
La leggenda è narrata in quattro distinte scene37: l’arrivo di Elena e della sua scorta a Gerusalemme; la penitenza di Giuda Ciriaco in una cisterna svuotata; dopo sette giorni senza cibo né acqua egli porta Elena sul luogo della croce; la prova della croce – la vera croce viene individuata quando un giovane uomo torna in vita – e la venerazione della vera croce.
Una visita in situ rivela immediatamente che le finestre hanno mutilato il ciclo pittorico di due scene, i cui riquadri si interrompono in corrispondenza di esse. Sulla base della tradizione iconografica si può ragionevolmente congetturare una scena con l’inventio, che non manca mai in cicli come questo; mentre considerando la tradizione letteraria si può arrischiare che nella sesta scena Elena dividesse la croce tra Gerusalemme, Costantinopoli e Roma, forse con la raffigurazione di una translatio o una processione. Un’alternativa potrebbe essere rappresentata dal ritrovamento dei chiodi, che in alcune fonti letterarie segue la venerazione; il fatto che i buchi lasciati dai chiodi sul legno siano chiaramente visibili nelle altre scene conferisce a questa alternativa una certa plausibilità.
Il maestro della Santa Croce di Andria, attivo tra il 1375 e il 1400, viene caratterizzato come un provinciale, per non dire grossolano, epigono dell’arte senese, che all’epoca aveva già conosciuto la sua stagione migliore38.
Dal punto di vista storico-artistico, il periodo rientra nei limiti segnati dall’insieme delle testimonianze toscane; il ciclo di Andria, tuttavia, appartiene molto chiaramente a una tipologia diversa e manifesta differenti accentazioni iconografiche.
Elena è rappresentata seduta in trono, scortata da soldati. L’apparato imperiale e la manus militaris sono caratteristiche delle più antiche iconografie del ritrovamento, come si può vedere nei citati Canones conciliorum di Vercelli (800 circa) e nel libro di preghiera di Wessobrunn (814)39; si arretra in tal modo al periodo carolingio. Il primo ciclo monumentale, comunque, deve essere fatto risalire al XII secolo, nella chiesa di S. Severo a Bardolino presso Verona40. La stessa impostazione altamente statica può ritrovarsi anche nella pittura su tavola. Nel novembre del 1214 il Maestro di Tressa appose la data al suo antependium, destinato probabilmente al presbiterio della cattedrale di Siena41. Si tratta della più antica pala d’altare italiana, e come tale gioca un ruolo chiave nella riforma liturgica del concilio lateranense IV celebrato quello stesso anno. L’impianto arcaico è ancora presente nella predella (risalente al 1400 circa) conservata a Siena nel museo dell’Opera del Duomo42. Tuttavia nei cicli toscani l’iconografia è più dinamica, e lo stilema codificato dell’imperatrice inquirente in trono scompare; insieme con questo carattere arcaico, essa perde anche il legame con la primitiva tradizione letteraria, nella quale il motivo della supremazia sui giudei aveva grande rilievo. In tal senso si conferma una connessione degli affreschi di Andria coi prototipi iconografici.
Nei secoli XIV e XV la leggenda della croce sembra svilupparsi in Italia secondo due diversi itinerari: il primo di carattere innovativo, nei cicli monumentali toscani, un secondo in cui le premesse medievali mostrano una vigorosa persistenza.
Nel Cod. Vat. Ross. lat. 1168 della Biblioteca Vaticana, una mano cinquecentesca sul manoscritto identifica sette disegni come riferentisi a un perduto ciclo pittorico della metà del Quattrocento, sito nella chiesa romana di S. Eufemia43; il ciclo è virtualmente ignoto alla ricerca. La chiesa era situata nei dintorni di Santa Maria Maggiore, verso sud; fu distrutta nel 1580, ma è ancora menzionata nel Compendio delle Chiese con le loro fondationi di Francesco Del Sodo (1575 circa)44. Anche in questa occorrenza si dedicava attenzione all’interrogatorio condotto da una regina in trono, raffigurata di profilo; e questa caratteristica rappresentazione si ritrovava anche in manoscritti e tavole dipinte.
Un legendarium in latino compilato a Palermo tra il 1310 e il 1320, che Buchthal giudica dipendente da un prototipo duecentesco, racconta la leggenda del ritrovamento in modo simile45. Nella Sicilia del Trecento si cercava di ricollegarsi a periodi artistici del passato particolarmente floridi (l’XI e XII secolo segnatamente), ed erano presi a modello manoscritti o mosaici bizantini e siciliani di quelle epoche; l’attingere a nuove fonti rivitalizzò le botteghe d’arte e riportò in auge iconografie dimenticate. È dunque possibile che un più antico e ora perduto modello di inventio abbia preceduto il nostro legendarium.
Entrambi gli esempi documentano il dinamismo delle testimonianze sulla leggenda nell’area a sud di Firenze, e farebbero pensare a un preciso interscambio di modelli sulle vie del Mediterraneo, nel cui ambito Andria potè fungere da punto d’incrocio, quanto alla leggenda della croce, fra la discesa verso Roma e la salita verso la Calabria e la Sicilia46.
Oltre che all’apparato imperiale, le pitture murali di Andria dedicano speciale attenzione alla scena della venerazione. Si tratta di un Andachtsbild, un’immagine devozionale che si riscontra sovente anche nei breviari. Il libro di preghiere di Giovanna di Napoli (metà del XIV secolo) combina immagini del ritrovamento della croce e della venerazione di essa sull’altare47. Un messale domenicano di ambiente milanese, circa l’anno 1400, presenta una scena in cui l’invenzione culmina nella venerazione di una croce monumentale48. Scene siffatte mettono all’opera una funzione devozionale, attirando l’attenzione sulla croce come oggetto, come reliquia, e stabilendo una relazione iconografica con il rito.
La croce elevata centralmente è una reminiscenza di schemi bizantini nei quali Elena e Costantino erano raffigurati in piedi ai lati della croce, con riferimento alla festa della Santa croce celebrata il 14 settembre. Nella riforma carolingia, quest’ultima divenne la data dell’Esaltazione della croce, celebrandosi il 3 maggio il ritrovamento49. L’esempio più antico di questa tipologia ‘affiancata’ può essere individuato in un omiliario siro-giacobita dell’VIII o IX secolo50; ma la maggior parte delle testimonianze relative emerge soltanto dal X secolo in Oriente51. Se ne sono riscontrate occorrenze in taglia-ostie metallici, in cui Elena e Costantino appaiono appunto affiancare la croce52; mentre il Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino conserva un avorio del X secolo, di provenienza greca, con Elena recante un globo nella mano. Nella chiesa di Göreme (El Nazar, in Cappadocia) se ne è trovata una testimonianza pittorica, datata al 107053. Si deve tener presente al riguardo che l’arte bizantina ha prodotto solo di rado un’inventio a carattere narrativo ma che, quando l’ha fatto, si è regolarmente attenuta a questo schema; un’eccezione è ravvisabile in un codice datato circa l’880, recante le Omelie di Gregorio di Nazianzo54. A partire dal XII secolo l’Occidente importò schemi simili, come si può constatare nell’antifonario salisburghese di San Pietro (1160)55; essi erano divenuti familiari, ad esempio, grazie a stauroteche arrivate dall’Oriente. Il trittico, eseguito con ogni probabilità per l’abate Wibald di Stavelot (1154-1158), fu progettato appunto per ospitare due di siffatte stauroteche, recanti le immagini Elena e Costantino; i due pannelli laterali esibiscono ciascuno tre medaglioni, con scene del ritrovamento56.
Visibilmente ancora debitrice delle sue radici orientali, una variante narrativa occidentale si differenzia dagli schemi bizantini adottati dal XII secolo in avanti: nel Chronicon e nel Martyrologium di Zwiefalten (1160), abbiamo un disegno nella cui impaginazione trovano posto una presentazione della croce da parte di Elena e Giuda (il quale prende per così dire il posto occupato da Costantino nei modelli orientali) e una prova della croce57; il disegno illustra la festa del Ritrovamento (3 maggio). Nella croce monumentale di Kelloe, presso Durham (1200 circa), si trova nella fascia inferiore una crux gemmata presentata da Elena e Giuda58. Nella chiesa di Sântămăria-Orlea in Romania abbiamo anche un affresco del 1311 con questo specifico motivo59. In rari casi lo schema è completato da una prova della croce, ricompresa all’interno di una presentazione della croce stessa a carattere statico, come in Santa Maria di Barbera in Catalogna60. Il Maestro di Poliña presenta la vera croce come una crux gemmata.
Nella sua particolare iconografia, l’artista di Andria ha tenuto insieme i vincoli architettonici della composizione con una certa economia narrativa, ed è riuscito a mantenere un riferimento al modello greco. Le texture accuratamente dipinte sono le stesse dei materiali reali, ma veicolano altresì un profondo riferimento simbolico alla reliquia della croce come lignum vitae. È la stessa texture che possiamo vedere anche su stauroteche come la croce di Lorena (XII secolo) nella cattedrale di Bari61. In tal senso, il ciclo della Santa Croce andriese mostra legami con quel commercio di reliquie e memorabilia dalla Terrasanta e da Bisanzio, del cui campo gravitazionale questa zona della Puglia evidentemente risentiva62.
Per il richiamo ai prototipi altomedievali, il complesso iconografico di Andria potrebbe essere caratterizzato in sintesi come convenzionale: sono le medesime convenzioni cui si riallacciano, come si è visto, anche un ciclo pittorico romano ora perduto e alcune botteghe artistiche in Italia meridionale e in Sicilia. Le scene dell’ordine inferiore uniscono il modello ieratico bizantino e quello narrativo latino: è lo stesso sincretismo che abbiamo constatato in manoscritti del XII secolo nel centro Europa, dove modelli bizantini erano in uso presso sedi diocesane e botteghe d’arte. Questo tipo ‘misto’ appare anche altrove in Europa occidentale, là dove l’influsso bizantino rimase forte per un tempo relativamente lungo. Ad Andria si assiste a una contaminazione, sulla base di quell’interscambio greco-latino che è tipico delle chiese rupestri, dove iconografie autoctone e allogene si mescolano tra loro.
Resta da spiegare il motivo di una inventio crucis in questa specifica cripta rupestre. L’esperienza di altri casi analoghi mette in grado di riconoscere determinati campi di forze e isolare i fattori decisivi. L’iconografia del ritrovamento appare particolarmente sensibile a tre contesti: l’anti-giudaismo, l’interesse per le origini di una certa comunità cristiana sotto la protezione di una corte e la presenza di una importante reliquia della croce con un attivo circuito di pellegrinaggi.
La leggenda del ritrovamento è la storia dell’ebreo convertito: un ebreo si converte al cristianesimo alla luce di una prova tangibile, la croce di Cristo. Nel Gebetbuch di Wessobrunn si sono trovati indizi del fatto che questo motivo fosse concretamente funzionale alle campagne evangelizzatrici di Carlo Magno. Talvolta esso concerne dispute e negoziazioni locali tra giudei e cristiani all’interno di una certa comunità.
Questo fattore fu in parte determinante per il ciclo di affreschi di Lanciano, realizzato attorno al 1340 nel campanile della chiesa di S. Nicola, ai piedi del Sacco, il quartiere ebraico63. Lanciano era meta di un insolito pellegrinaggio, perché l’ostia sanguinante conservata nella chiesa di S. Francesco teneva vivo l’antigiudaismo in città. Un’analoga situazione di conflitto, ma che portò addirittura alla cacciata degli ebrei, offrì il pretesto per l’Inventio crucis di S. Francesco a Montegiorgio, nelle Marche (1420 circa)64. È ben noto che comunità ebraiche erano insediate in Bari fin dal tempo dei longobardi65; ad Andria tuttavia non si è trovata nessuna evidenza diretta di una simile presenza.
È però un fatto che nel ciclo andriese gli ebrei sono rappresentati con i tipici attributi che a quel tempo venivano loro associati66. Giuda ha una lunga barba e porta il tallit, lo scialle per la preghiera indossato dagli uomini in sinagoga. La rappresentazione innegabilmente ‘giudecca’ di Giuda, col tipico copricapo ebraico presente anche nel sacramentario di Zwiefalten e nel trittico di Wibald, ha origine nel XII secolo, ma diventa meno consueta nei cicli dei secoli XIV e XV67. Solo a Montegiorgio, e probabilmente non senza un motivo, dobbiamo constatare che Giuda e i suoi aiutanti permangono riconoscibili, per le caratteristiche barbe grigie, in opposizione al gruppo cristiano. Anche nell’iconografia di Andria, Giuda è rappresentato come caratteristicamente altro, uno, cioè, che non è parte del gruppo ‘neutro’. Andrebbe evidenziato inoltre come certe tradizioni conservatrici anzichenò, raffiguranti Elena in trono che interroga Giuda, mostrino inevitabilmente una tendenza più aggressiva nei confronti dell’antagonista ebraico.
Costantino comanda a Elena di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme per trovare ciò che era a lui apparso in visione: in hoc signo vinces. A questa circostanza corrisponde la protezione dinastica dell’ecclesia romana all’insegna del legno della croce: quella croce che era stata data a Roma come vexillum. L’associazione di Costantino all’inventio crucis nei Ss. Quattro Coronati di Roma (XIII secolo) va situata in questo specifico orizzonte68. In aggiunta, la croce fu elemento simbolico centrale nelle crociate, e ne portò con sé l’intero linguaggio, come si può constatare nel ciclo di Bardolino e nel trittico probabilmente dell’abate Wibald di Stavelot. La presenza, ad Andria, di papa Urbano V di fronte alla rappresentazione del ritrovamento suggerisce una dinamica tra Roma e Gerusalemme, tra Pietro e Paolo e la croce. Francesco del Balzo intrattenne buoni rapporti con Urbano V (1310-1370), uno dei primi papi che cercò di riportare la curia da Avignone a Roma69. Nel 1367 giunse a Roma e si diede a risollevare la città dalla decadenza, ma il suo piano fallì ed egli morì più tardi ad Avignone. Nel 1378, regnante Urbano VI, ebbe inizio un vero e proprio scisma, con Clemente VII quale antipapa. È il caso di notare qui come Urbano VI fosse stato arcivescovo di Bari e come combattesse per Napoli riuscendo a toglierla a Giovanna, che si era schierata con Clemente. Si impongono ulteriori accertamenti sullo specifico dei rapporti tra questi due papi, la cripta di Andria, i duchi del Balzo70.
La traslazione e la presenza di una reliquia è un terzo fattore che interagisce con i due precedenti; essi si rinforzano vicendevolmente fino al punto in cui la leggenda deve essere resa visibile alla comunità in modo monumentale. Andria, comunque, non possedeva una reliquia della croce, ma una meno pregiata spina della corona imposta a Gesù suppliziato71.
Nel 1237 il re crociato Baldovino II vendette a Luigi IX di Francia una parte della corona di spine che si conservava a Costantinopoli dal 1063. Alcuni esemplari delle spine raggiunsero l’Italia grazie alle visite di Carlo II d’Angiò; sua figlia Beatrice, moglie del primo duca di Andria, Bernardo del Balzo, ne donò una al capitolo della cattedrale nel 1308: la reliquia metteva i duchi in connessione con la Terrasanta, Costantinopoli e Parigi. Per la traslazione da Costantinopoli a Parigi era stato costruito nel 1239 un edificio-reliquiario, la Sainte-Chapelle, una delle cui vetrate racconta la storia dell’acquisto di re Luigi abbinandola alla leggenda del ritrovamento della croce72, la madre di tutte le reliquie trovate e poi disseminate dalla madre del primo imperatore cristiano. In questo modo la casa di Angiò, quella stessa che aveva interessi in Puglia, si proponeva in continuità con l’inventio archetipica e con la custodia dell’eredità cristiana. Anche il gesto della famiglia del Balzo ad Andria esprimeva forse – benché su una scala più ridotta – un’autocoscienza analoga. Nemmeno è da escludersi che un qualche membro della famiglia, Francesco magari, o Margherita, o perché no entrambi, si fosse recato in pellegrinaggio fino a Gerusalemme?
Molte vie di pellegrinaggio convergevano in Puglia per continuare poi oltremare. Chi sceglieva i porti di questo tratto della costa adriatica, includeva di solito nel percorso mete di pellegrinaggio abbastanza importanti, come S. Michele a Monte Sant’Angelo, in Gargano, o S. Nicola a Bari73. I diversi porti dell’Italia meridionale avevano già le loro specializzazioni in termini di rotte. Un mercante ebreo, Beniamino di Tudela (Navarra) già nell’XI secolo riferisce che i battelli da Trani depositavano i loro passeggeri direttamente in Terrasanta sulla strada per Gerusalemme, mentre a quanti desideravano toccare la Grecia nel corso del pellegrinaggio era più funzionale raggiungere più a sud il porto di Otranto. La visione mercantile di Gerusalemme, ovviamente, corre parallela agli interscambi anche culturali e socioreligiosi. Trani è situata su un litorale non lontano da cui, nell’interno, si trova Andria; e come ulteriore meta di pellegrinaggi in quello stesso territorio va ricordata anche la città costiera di Barletta, con la sua chiesa del Santo Sepolcro che ebbe un ruolo di rilievo in quell’area tra XII e XV secolo per la presenza dei canonici del Santo Sepolcro. La semibasilica conservava un’importante reliquia della croce, presumibilmente donata ai canonici dal patriarca Randolfo di Granville in un qualche momento tra il 1299 e il 130474.
Ad Andria la leggenda del ritrovamento non è ospitata in una cappella reale, né in una cattedrale o in una chiesa di S. Francesco o del Santo Sepolcro, sì nell’umile roccia tufacea di un’antica laura. Gli affreschi di Santa Croce fungevano probabilmente da anteprima della destinazione finale che attendeva quanti facevano sosta colà per vedere la spina. Le scene nella chiesa rupestre sono un contributo narrativo alla produzione di souvenir di Gerusalemme o della croce e altri manufatti del genere – in poche parole, al pari di oggetti mobili, sono traccia di come il medioevo immaginava i luoghi santi gerosolimitani75. I nostri affreschi narrano il luogo santo nello spazio liturgico: la dinamica della memoria tra immagine e spazio, viene notevolmente favorita nel chiuso della grotta, dal momento che anche la croce era stata dissepolta sub divo e la Cappella del Ritrovamento, a Gerusalemme, era anch’essa sotterranea.
La connessione con l’ordine francescano non mise mai radici a nord delle Alpi76; ciò non significa peraltro che le aree germanofone non abbiano sviluppato loro propri culti devozionali centrati sul legno della croce. Il primo terreno di coltura favorevole si formò nella cattedrale di Braunschweig nel basso Medio Evo. Qui il programma iconografico fu stabilito da Enrico il Leone, ma venne eseguito sotto suo nipote Ottone I tra il 1240 e il 125077. Questo ciclo pittorico nel transetto sud della cattedrale è il primo a collegare ritrovamento ed esaltazione della croce. Elena come personificazione dell’idea di pellegrinaggio ed Eraclio come campione dello spirito di crociata erano chiamati ad avvalorare imprese e ambizioni della casa di Welf in materia di Terrasanta. Il programma rappresenta anche una critica di stretta attualità al nemico per eccellenza, l’imperatore Federico II assimilato al re persiano, nonché al generale lassismo che circondava i necessari aiuti al re d’Ungheria Bela IV nella sua lotta contro i mongoli78. Così la prima attestazione importante della leggenda della croce a nord delle Alpi – ancora senza il capitolo del legno, che si svilupperà com’è noto solo nel XIV secolo – la collocava su uno sfondo politico, articolato dall’ideologia del Sacro Romano Impero79. L’idea di ‘difesa della croce’ come vocazione specifica di prìncipi e imperatori figurava tra i princípi fondamentali dell’Ordine teutonico80.
All’inizio del XV secolo le insegne imperiali – compresa la reliquia della croce – furono spostate da Praga a Norimberga, ciò che provocò in quest’ultima città una speciale concentrazione sul nostro tema, favorendone l’irradiazione in tutta la Germania meridionale e il bacino danubiano81. Verso la metà dello stesso secolo tutti gli occhi erano ansiosamente fissi su Gerusalemme per il rischio di attacchi da parte dei turchi. La connessione tradizionale fra la leggenda e la difesa politico-religiosa della croce, già tipica della Germania medievale, rese il soggetto nuovamente attuale e gli restituì forza in tutta l’Europa settentrionale82.
Oppostamente alle testimonianze italiane, a nord delle Alpi l’iconografia della leggenda del legno non fu soltanto meno codificata, ma anche meglio distribuita dal punto di vista geografico e meno coerente quanto ai contenuti trasmessi. Vediamo da vicino.
La vetrata di Elena a Erfurt (1410 circa) combina invenzione ed esaltazione con un episodio concernente Seth83. L’innalzamento del serpente di bronzo è ben attestato come prefigurazione della croce84. Le otto miniature del Libro d’ore di Caterina di Cleves (1442-1445) costituiscono la prima occorrenza nota della leggenda del legno a nord delle Alpi85. La prima coordinazione tra i tre rami della leggenda (legno, Elena, Eraclio) è a Nord il ciclo pittorico nel transetto meridionale della Kreuzkirche di Wiedenest (Colonia, circa il 1450)86. Le sessantaquattro incisioni stampate da Johan Veldener nel 1484 rappresentano il più ampio ciclo conosciuto sul nostro soggetto87; l’incunabolo si basa su una tradizione letteraria diversa dalla Legenda aurea. Il Vanden drie gaerden ‘Sui tre rami’, una variante duecentesca proveniente dalla cerchia di Jacob van Maerlant, appartiene a un gruppo di leggende della croce in lingue volgari europee che arriva a coinvolgere anche le figure di Mosè e di Davide88. Tra l’altro in questa tradizione l’episodio di Seth è più complesso: l’angelo gli permette di penetrare nel Paradiso dove egli vede un albero cosmico al cui vertice è un bimbo piangente89. Ciò ci introduce a un’occorrenza particolare.
In una strada stretta e deserta del villaggio di Duttenberg, presso l’antica città imperiale di Wimpfen sulla Neckar, c’è una cappellina tardogotica con pitture murali raffiguranti la leggenda della croce. Da quando sono state scoperte e restaurate nel 1959, esse non hanno mai ricevuto l’attenzione che meritavano90. Il ‘1485’ inscritto nell’abside può essere preso a riferimento per la datazione delle pitture. La cappella dipendeva dal monastero domenicano di Wimpfen, che era stato dedicato zum heiligen Kreuz fin dal 1270. Il 3 maggio e il 14 settembre erano tra le feste solenni del monastero e in quei giorni si organizzavano, in onore della reliquia della croce, processioni che attiravano un gran numero di pellegrini91. Cronache della città imperiale di Wimpfen alle date del 1475 e del 1483 si riferiscono alle vigne di Duttenberg come a Weingärten am Kapellenweg (‘le vigne presso la via della cappella’) e bei den Kreuzäckern (‘presso i campi della croce’). Anche lo stile architettonico suggerisce una datazione alla seconda metà del XV secolo92.
Il ciclo di Duttenberg si apre con l’incontro di Seth e dell’angelo alle porte del Paradiso. Un bianco angelo porge un ramoscello a Seth, che indossa un corto mantello scuro. Ambo le figure sono ripetute entro uno spazio che ha uno sfondo rosso ed è dietro la porta del Paradiso (quindi forse all’interno di esso). Seth sembra stare seduto mentre l’angelo gli si rivolge; tra i due si possono scorgere alcune poche aree di colore verde. Non è chiaro cosa significhi questo raddoppiamento. Sono noti esempi in cui una scena come questa è preceduta da un’altra con Adamo che assegna a Seth i suoi compiti, come nel Boec van den Houte. Non sappiamo comunque di esempi che mostrino Seth all’interno del paradiso; e del resto il pigmento è così sbiadito che è difficile stabilire come leggere correttamente questa scena.
Ciò che è invece visibile e rilevante è il fatto che il ramoscello donato a Seth ha una forma particolare. Ha tre lobi con al centro una piccola corona verde di profilo circolare e, a ciascun lato, un lungo ramo verde che si protende verso l’alto. La forma trilobata contiene un riferimento alla croce e alla Trinità93. Lo scopo ultimo del legno è reso anche più esplicito dalla scena successiva, raffigurante l’albero che cresce sulla tomba di Adamo. Seth e altri due membri della famiglia lo attorniano, e il ramoscello di prima è ora cresciuto in due verdi fronde con in mezzo un pezzo di legno a forma di tau. La croce è anacronisticamente ricompresa nell’albero: il rimando tipologico è già visibile, la croce sta già ‘crescendo’ nello spazio-tempo biblico. Nello scomparto successivo questo notevole ‘Albero della croce’ viene abbattuto da due uomini.
Questo particolare ibrido croce-albero può anche essere visto sullo sfondo di certa letteratura di viaggio. Il Libro d’oltramare di Niccolò da Poggibonsi e la sua traduzione tedesca descrivono il melo del paradiso terrestre ponendolo nei pressi della città di Damietta. Ogni venti giorni l’albero produce nuovi dolci frutti, e Niccolò specifica che nell’albero può essere riconosciuta la forma della croce, come aveva constatato lui stesso coi suoi propri occhi94. Il francescano non spiega in che modo il melo potè finire lontano dal giardino dell’Eden95. La mancata distinzione tra un paradiso ‘immaginario’ e i resti ‘autentici’ di quel paradiso, è tipica dei resoconti di viaggio a partire dal XIV secolo96.
Un’interpolazione nella Weltchronik di Rudolf von Ems, come la tramanda un manoscritto precedente al 1385, ora conservato ad Heidelberg con il nome di Adams Büsse, racconta che un ramo dell’albero proibito produrrà un Wurcz (un frutto) e i suoi rami cresceranno rapidamente in un modo davvero insolito, ossia diventando un albero a forma di croce97.
L’albero trilobato il cui lobo centrale assume la forma di una croce, ovvero un albero che porta una croce in mezzo al suo fogliame, è un altro motivo letterario e iconografico tipico dei libri mistico-devozionali del XV secolo. La base di questa tradizione è fornita dal concetto dell’anima in viaggio per il paradiso. L’estremo desiderio di quest’anima è di raggiungere il Paradiso o ‘giardino della devozione’, dove può introdursi grazie alla venerazione della croce98. La contaminazione iconografica della ‘Croce-Albero della Vita’ si riferisce così anche all’identificazione di croce e Paradiso agli occhi dell’anima.
Ciò significa che si ha probabilmente a che fare qui con l’infiltrazione di materiali ‘impoveriti’ della leggenda della croce, quali appaiono nei racconti dei pellegrini con la loro tendenza a una narratività compressa, e con l’infiltrazione di un linguaggio visivo derivato da libri di pietà popolare.
Il canto del cigno della leggenda è in Svizzera, e non in Italia99: nell’abside della chiesa di Santa Croce a Wiesendangen sul lago di Costanza (presso Zurigo)100. L’artista, Hans Haggenberg, probabilmente non avrebbe mai immaginato di essere l’ultimo a dipingere quel soggetto in tutta la sua articolazione iconografica (1494-1496). Egli combinò nelle volte la leggenda della croce con il credo dei profeti e degli apostoli. Hugo von Hohenlanderberg, che era originario di Wiesendangen ed era stato fatto vescovo di Costanza nel 1496, commissionò l’opera secondo un programma consono alla sua posizione. Il ciclo si riallacciava anche al Credo degli stalli del coro (1470)101 e al culto generale della città per il Santo Sepolcro102.
Gli esempi fin qui discussi introducono salutari sfumature nei nostri metodi – talvolta fin troppo normativi – di studiare l’iconografia, e in questo caso specifico, nelle nostre aspettative di cosa dovrebbe essere un ciclo pittorico sulla leggenda della croce. Ci mostrano come l’iconografia di questa leggenda possa risolversi in una forma più ‘barbara’ di quanto ci aspetteremmo. Per questa ragione la metodologia della ricerca dovrebbe essere più aperta nel suo approccio, e coinvolgere il più ampio spettro delle credenze popolari, dei racconti di pellegrinaggio, delle cosiddette arti minori, nonché le tracce residue delle tradizioni orali. Si vuole, infine, suggerire che, per quanto diffusa la leggenda della croce possa esser stata, ogni singola manifestazione della sua iconografia deve essere considerata come tale, cioè individualmente, e in situ.
1 Il presente saggio prosegue la riflessione su risultati e conseguenze di B. Baert, A Heritage of Holy Wood. The Legend of the True Cross in Text and Image, Leiden 2004.
2 Su quanto segue, si veda una bibliografia essenziale in S. Borgehammar, How the Holy Cross Was Found. From Event to Medieval Legend. With an Appendix of Texts, Stockholm, 1991; J.W. Drijvers, Helena Augusta. The Mother of Constantine the Great and the Legend of Her Finding of the True Cross, Leiden-Cologne 1992.
3 Per l’origine e il culto della reliquia della croce, cfr. Treasures of Heaven. Saints, Relics and Devotion in Medieval Europe (catal.), ed. by M. Bagnoli, H.A. Klein, C.G. Mann, London 2011: G. Cornini, “Non Est in Toto Sanctior Orbe Locus”: Collecting Relics in Early Medieval Rome, pp. 69-74; D. Krueger, The Religion of Relics in Late Antiquity and Byzantium, pp. 5-17; B. Reudenbach, Reliquien von Orten. Ein frühchristliches Reliquiar als Gedächtnisort, in Reliquiare im Mittelalter, hrsg. von B. Reudenbach, G. Toussaint, Berlin 2005, pp. 21-41; H. Klein, Eastern Objects and Western Desires: Relics and Reliquaries between Byzantium and the West, in Dumbarton Oaks Papers, 58 (2004), pp. 283-314; E. Thunø, Image and Relic: Mediating the Sacred in Early Medieval Rome, Roma 2002; B. Ulianich, La croce: dalle origini agli inizi del secolo XVI (catal.), Napoli 2000.
4 Un originale siriaco (da cui i testi successivi dipenderebbero) è generalmente ipotizzato sulla base del manoscritto più antico, conservato alla British Library di Londra, Add. 14644, del V-VI secolo; cfr. J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit., pp. 165 e seguenti. Stephen Borgehammar per contro postula un originale greco, da cui le versioni siriaca e latina; quest’ultima, come lo studioso ha dimostrato, dovette essere nota a Roma già intorno al Cinquecento: cfr. S. Borgehammar, How the Holy Cross Was Found, cit., p. 203.
5 Forse prodotto a Meaux per l’abbazia di Gellone; Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 12048, f. 76v, 259 ff.; V. Leroquais, Les sacramentaires et les missels manuscrits des bibliothèques publiques de France, I, Paris 1924, p. 168; B. Teyssèdre, Le sacramentaire de Gellone et la figure humaine, Toulouse 1959, pp. 8 segg.; Liber sacramentorum Gellonensis. Textus, cur. A. Dumas, Turnholti 1981, pp. 129 nota 142 e 189-190 nota 237; B. Baert, Le sacramentaire de Gellone (750-790). Entre le symbole et l’histoire, in Arte cristiana, 789 (1998), pp. 449-460.
6 Vercelli, Biblioteca Capitolare, ms. 165, f. 2r, 224 ff.; C. Walter, Les dessins carolingiens dans un manuscrit de Verceil, in Cahiers archéologiques, 18 (1968), pp. 99 nota 2 e 100-107; A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, XIX-XXI, Firenze 1923, p. 117 nota 165; C.M. Chazelle, Archbishops Ebo and Hincmar of Reims and the Utrecht Psalter, in Speculum, 72 (1997), pp. 1055-1077, in partic. 1060; f. 2: il ritrovamento della croce; f. 2v: il concilio di Nicea (ibidem, fig. 4); f. 3: i santi Pietro e Paolo; f. 3v e f. 4: il primo concilio di Costantinopoli; f. 4v: il concilio di Efeso (primo volume) e f. 5: Maiestas Domini con Elena e Costantino (secondo volume).
7 A. Pernice, L’imperatore Eraclio. Saggio di storia bizantina, Firenze 1905; A. Frolow, La vraie croix et les expéditions d’Héraclius en Perse, in Revue des études byzantines, 11 (1953), pp. 88-105; O. Volk, Herakleios, in Lexikon für Theologie und Kirche, V, Freiburg 1960, cc. 237-238; G. Ostrogorsky, Geschichte des byzantinischen Staates, Munich 1963, pp. 73-122; The Cambridge Medieval History, II, The Rise of the Saracens and the Foundation of the Western Empire, ed. by H.M. Gwatkin, J.P. Whitney, Cambridge 1964, pp. 184-302 e 747-758; J.J. Saunders, A History of Medieval Islam, London 1965; V. Grumel, La reposition de la vraie croix à Jérusalem par Héraclius. Le jour et l’année, in Zeitschrift für Byzantinistik, 1 (1966), pp. 139-149; A.N. Stratos, Byzantium in the Seventh Century, I, 602–634, Amsterdam 1968; W. Durant, A. Durant, Kulturgeschichte der Menschheit, V, Weltreiche des Glaubens, Munich 19812; A.H. Bredero, Christenheid en christendom in de Middeleeuwen. Over de verhouding godsdienst, kerk en samenleving, Kampen 1986, pp. 102 segg.; J. Herrin, The Formation of Christendom, Princeton 1987, pp. 183-219; M. Gil, A History of Palestine, 643-1099, Cambridge 1992, pp. 65-74.
8 Rabanus Maurus, Homilia LXX, PL 110, cc. 131-134.
9 New York, Pierpont Morgan Library, ms. 641, f. 155v; J.J.G. Alexander, Norman Illumination at Mont St.-Michel, 966-1100, Oxford 1970, pp. 157-159, fig. 44; B. Baert, Héraclius, l’Exaltation de la Croix et le Mont-Saint-Michel au XIe s.: une lecture attentive du ms. 641 de la Pierpont Morgan Library à New York, in Cahiers de civilisation médiévale, 51 (2008), pp. 3-20.
10 Per una ulteriore panoramica sul materiale eracliano, sia in testo che in immagini, si veda B. Baert, Heraclius and Chosroes or the Desire for the True Cross, in http://www.bibleinterp.com/articles/Baert_Heraclius_ Chosroes2.shtml (10 dic. 2012). Si veda anche J.M.H. Smith, Rulers and Relics c.750-c.950: Treasure on Earth, Treasure in Heaven, in Past & Present, 206,5 (2010), pp. 73-96.
11 Cfr. S.J. Reno, The Sacred Tree as an Early Christian Literary Symbol. A Phenomenological Study, Saarbrücken 1978, passim.
12 Il processo di formazione storico-letteraria della leggenda è nei suoi vari aspetti troppo complesso per essere riferito qui; si vedano in proposito W. Meyer, Die Geschichte des Kreuzholzes vor Christus, II, München 1882; A.R. Miller, German and Dutch Versions of the Legend of the Wood of the Cross. A Descriptive and Analytical Catalogue, 2 voll., diss., Oxford University 1992; A.M.L. Prangsma-Hajenius, La légende du Bois de la Croix dans la Littérature française médiévale, Assen 1995.
13 Jacobi a Voragine, Legenda aurea. Vulgo historia lombardica dicta, rec. J.G.Th. Graesse, Breslau 18903, rist. Osnabruck 1969, pp. 303 segg.; Jacobus de Voragine, The Golden Legend. Reading on the Saints, ed. by W.G. Ryan, II, New York 1995, pp. 277-284.
14 Il testamento di Alberto di Lapo degli Alberti, scritto nel 1348 (durante l’epidemia di peste) è la più antica testimonianza sicura dei contatti tra questa famiglia e l’ordine francescano (Firenze, Archivio di Stato, Diplomatico S. Croce); B.M. Cole, Agnolo Gaddi, Oxford 1977, pp. 79 seg.; D. Blume, Wandmalerei als Ordenspropaganda. Bildprogramma im Chorbereich franziskaner Konvente Italiens bis zur Mitte des 14. Jahrhunderts, Worms 1983, pp. 90-91; R. Salvini, Agnolo Gaddi, in Il Complesso monumentale di Santa Croce. La basilica, le cappelle, I chiostri, il museo, a cura di U. Baldini, B. Nardini, a cura di C. Nardini, Firenze 1983, pp. 185-225; S. Pfleger, Eine Legende und ihre Erzählformen. Studien zur Rezeption der Kreuzlegenden in der italienischen Monumentalmalerei des Tre- und Quattrocento, Frankfurt a.M.-Wien 1994, pp. 53-72. Si veda anche M.G. Rosito, Santa Croce nel solco della storia, Firenze 1996.
15 S. Pfleger, Eine Legende und ihre Erzählformen, cit., p. 138 nota 2. Si veda inoltre E. Carli, Volterra nel medievo e nel rinascimento, Pisa 1978; M.A. Lavin, The Place of Narrative. Mural Decoration in Italian Churches, 1431-1600, Chicago-London 1990, pp. 117-118; Volterra. La Cappella della Croce in san Francesco, a cura di M. Burresi, A. Caleca, Volterra 1991; F. Porretti, Volterra magica e misteriosa, Pisa 1992, pp. 89 e 236-239.
16 G. Poggi, Masolino e la Compagnia della Croce in Empoli, in Rivista d’arte, 3 (1905), pp. 46-53; C.R. Proto Pisani, La chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani, in Masolino a Empoli (catal.), Empoli 1987, pp. 35-46; P. Joannides, Masaccio and Masolino. A Complete Catalogue, London 1993; P.L. Roberts, Masolino da Panicale, Oxford 1993; B. Baert, Twilight Between Tradition and Innovation. The Iconography of the Cross-Legend in the Sinopie of Masolino da Panicale at Empoli, in Storia dell’arte, 99 (2000), pp. 5-16; si veda inoltre M.A. Lavin, The Place of Narrative, cit., pp. 117-118.
17 A. Ladis, Un’ordinazione per disegni dal ciclo della Vera Croce di Agnolo Gaddi a Firenze, in Rivista d’arte, 41 (1989), pp. 153-158, in partic. 155: «E piu spendemo, dati a Giovanni di Chaccia che ando a Fiorenza a ritrare le storie della crocie, lire V contanti ebe da Lando di Giovanni di Lando».
18 S. Bonaventurae, Legenda Sancti Francisci, in Id., Opera omnia, VIII, Firenze 1898, pp. 504-564; Fioretti di San Francesco, a cura di G. Davico Bonino, Torino 1974, pp. 176 e 180.
19 G. Odoardi, La custodia di Terra Santa nel VI centenario della sua costituzione, in Miscellanea francescana, 43 (1943), pp. 217-256.
20 A.C. Esmeijer, L’albero della vita di Taddeo Gaddi, Firenze 1985.
21 Bonaventure, The Soul’s Journey into God. The Tree of Life. The life of St. Francis, ed by E. Cousins, New York-Toronto 1978, pp. 119-175. Sui francescani e l’Albero della Vita, utile lo studio di H.M. Thomas, Franziskaner Geschichtsvision und europaïsche Bildentfaltung, Wiesbaden 1989. Si veda inoltre J.G. Bougerol, Introduction to the Works of Bonaventure, New York-Roma 1964, pp. 159-160.
22 L. Schneider, The Iconography of Piero della Francesca’s Frescoes Illustrating the Legend of the True Cross in the Church of San Francesco in Arezzo, in The Art Quaterly, 32 (1969), pp. 23-48; M.A. Lavin, Piero della Francesca and His Legacy, ed. by M.A. Lavin, Hannover-London 1995; M.A. Lavin, Piero della Francesca: San Francesco, Arezzo, Paris 1995.
23 C. Ginzburg, Enquête sur Piero della Francesca. Le Baptême, le cycle d’Arezzo, la Flagellation d’Urbino, Paris 1981, pp. 33-63 (ed. or. Indagine su Piero. Il Battesimo, il ciclo di Arezzo, la Flagellazione di Urbino, Torino 1981).
24 S. Pfleger, Eine Legende und ihre Erzählformen, cit., pp. 102-103.
25 C. Ginzburg, Enquête sur Piero della Francesca, cit., p. 56. Si veda inoltre L. Mohler, Kardinal Bessarion als Theologe, Humanist und Staatsmann, Aalen 1967; J. Gill, Was Bessarion a Conciliarist or an Unionist Before the Council of Florence?, in Collectanea Byzantina, Roma 1977, pp. 201-219; H. Vast, Le cardinal Bessarion (1403-1472). Etude sur la Chrétienté et la Renaissance vers le milieu du XVième siècle, Genêve 1977; Bessarione e l’umanesimo (catal.), a cura di G. Fiaccadori, Napoli 1994.
26 C. Ginzburg, Enquête sur Piero della Francesca, cit., p. 57.
27 Alla sua morte nel 1459, il patriarca di Costantinopoli Gregorio Mammis, lasciò la sua reliquia della croce proprio a Bessarione. Nel 1472, poco prima della morte, il patrono dei francescani donò a sua volta la reliquia alla Scuola Grande di Santa Maria della Carità in Venezia, dov’è tuttora conservata; cfr. C. Ginzburg, Enquête sur Piero della Francesca, cit., p. 58; L. Labowsky, Bessarion’s Library and the Bibliotheca Marciana. Six Early Inventories, Roma 1979.
28 Cfr. su questo il contributo di S. Ronchey in questa stessa opera. Negli anni Sessanta del Quattrocento anche nelle chiese dell’Est europeo grecofono spuntarono cicli pittorici raffiguranti la battaglia di ponte Milvio e il ritrovamento della croce (non però la leggenda del legno). I cicli post-bizantini a Cipro sono discussi in A. Stylianou, J. Stylianou, By This Conquer, Nicosia 1971, pp. 63-107.
29 A. Uguccioni, Salomone e la regina di Saba. La pittura di cassone a Ferrara. Presenze nei musei americani, Ferrara 1988; J. Miziolek, The Queen of Sheba and Solomon on Some Early Renaissance Cassone Panels a pastiglia dorata, Firenze 1997.
30 Tale è ancora l’impostazione utilizzata da S. Pfleger nel suo Eine Legende und ihre Erzählformen, cit.; lo status quaestionis in J. Beck, Piero della Francesca at San Francesco in Arezzo. An Art-Historical Peregrination, in Artibus et historiae. An Art Anthology, 47 (2003), pp. 51-80.
31 B. Baert, The Wall Paintings in the Campanile of the Church of St. Nicola in Lanciano (c. 1330-1400). Reading an Unknown Legend of the Cross in the Abruzzi, Italy, in Iconographica, 2 (2003), pp. 108-125.
32 I. Weinryb, The Inscribed Image: Negotiating Sculpture on the Coast of the Adriatic Sea, in Word and Image: a Journal of Verbal/Visual Enquiry, 27,3 (2011), pp. 322-333.
33 B. Baert, The Wall Paintings, cit., pp. 108-125.
34 B. Baert, La cappella Farfense in Montegiorgio. Una leggenda della vera croce nelle Marche (circa 1425), in Arte cristiana, 804 (2001), pp. 219-233.
35 Per immagini e planimetrie si veda B. Molajoli, La cripta di S. Croce in Andria, in Atti e memoria della società Magna Grecia. Bizantina-Medievale, 1 (1934), p. 32, fig. 2 e passim; F. Nicolamarino, A. Lambo, A. Giorgio, Santa Croce in Andria. Notizie storiche e ipotesi di restauro, Andria 1978, schema IV.
36 Ivi, per la storia del sito (passim).
37 Cfr. di nuovo S. Borgehammar, How the Holy Cross Was Found, cit., e J.W. Drijvers, Helena Augusta, cit; la leggenda della croce fu diffusa nel Medioevo dalla Legenda aurea: cfr. Jacobi a Voragine, Legenda aurea, cit., p. 303; Jacobus de Voragine, The Golden Legend, II, Princeton 1993, pp. 277-284.
38 F. Nicolamarino, A. Lambo, A. Giorgio, Santa Croce in Andria, cit., p. 67; M. Benedettelli, M. Milella Lovecchio, Santa Croce in Andria. Salvaguardia, recupero, tutela, Andria 1989, pp. 39-47.
39 München, Bayerische Staatsbibliothek, clm. 22053, f. 16, (rist. anast.) Die Handschriften des Wessobrunner Gebets, hrsg. von A. von Eckardt, C. von Kraus, München, 1922, pp. 5-22; K. Bierbrauer, Die vorkarolingischen und karolingischen Handschriften der Bayerischen Staatsbibliothek, Wiesbaden 1990, pp. 83-84, (n. di catal. 155) e Tafelband, figg. 219-336; M. Restle, In hoc signo vinces. Ein Beitrag zur Illustration des Clm 22053, in Per assiduum studium scientiae adipisci margaritam. Festgabe für Ursula Nilgen zum 65. Geburtstag, hrsg. von A. Amberger, St. Ottilien 1997, pp. 27-43.
40 Tra l’altro includente scene dall’Apocalisse: Y. Christe, Le cycle inédit de l’invention de la croix à S. Severo de Bardolino, in Académie des inscriptions et belles-lettres. Comptes rendus des séances de l’année 1978, janvier-mars, Paris 1978, pp. 78-109.
41 M. Bacci, The Berardenga Antependium and the “Passio ymaginis” Office, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 61 (1998), pp. 1-16; B. Baert, The retable of the Master of Tressa (Siena, 1215). Iconography and Function, in Pantheon, 57 (1999), pp. 14-21.
42 P. Bacci, Fonti e commenti per la storia dell’arte senese. Dipinti e sculture in Siena, nel suo contado e altrove, Siena 1944, pp. 195-229, figg. 9-17, presentate a mio giudizio confusamente; S. Pfleger, Eine Legende und ihre Erzählformen, cit., figg. 78-80.
43 Roma, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, Cod. Vat. Ross. lat. 1168, ff. 7-13; H. Tietze, Die illuminierten Handschriften der Rossiana in Wien-Lainz, Leipzig 1911, pp. 163-164; S. Pfleger, Eine Legende und ihre Erzählformen, cit., pp. 93-94.
44 Francesco Del Sodo, Compendio delle Chiese con le loro fondationi fondatione, consegratione e titoli de Cardinali delle parochie co’ il battesimo e senza, dell’Hospitali, reliquie et indulgentie e di tutti li luoghi pii di Roma novamente posto in luce (manoscritto, Firenze 1575 circa), f. 102, può leggersi alla Biblioteca Valicelliana a Roma (G.33); G. Vasi, Chiesa e Monastero dello Spirito Santo, delle Canonichesse Lateranesi, in P. Arrigoni, A. Bertarelli, Piante e vedute di Roma e del Lazio conservate nella raccolta delle stampe e dei disegni, Milano 1939; P. Spezi, Bibliografia metodica-analitica delle chiese di Roma, Roma 1928; F. Lombardi, Roma. Le chiese scomparse. La memoria storica della città, Roma 1998, p. 61.
45 Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, ms. I.II.17, ff. 203v-205. H. Buchthal, Early Fourteenth-Century Illuminations from Palermo, in Dumbarton Oaks Papers, 20 (1966), pp. 105-118; Id., Notes on a Sicilian Manuscript of the Early Fourteenth Century, in Essays in the History of Art Presented to Rudolf Wittkower, ed. by D. Fraser, H. Hibbard, M.J. Lewine, London 1967, pp. 36-39; Id., Early Fourteenth-Century Illuminations from Palermo, in Art of the Mediterranean World, A.D. 100 to 1400, ed. by H. Buchthal, Washington 1983, pp. 105-125.
46 Questo tema si collega alla discussione sulla circolazione di manoscritti nell’estremo sud della penisola italiana, tra Sicilia e Puglia, su cui cfr. La civiltà rupestre medioevale nel mezzogiorno d’Italia. Ricerche e problemi, Atti del I Convegno internazionale di studi (Mottola, Casalrotto 29 settembre-3 ottobre 1971), a cura di C.D. Fonseca, Taranto 1975, p. 77; A. Guillou, Il monachesimo greco in Italia meridionale e in Sicilia nel Medioevo, in L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII, Atti della seconda settimana internazionale di studio (La Mendola 30 agosto-6 settembre 1962), Milano 1965, p. 379; questo movimento crescente di libri e manoscritti che funsero da modelli è descritto a partire dal XIII secolo come conseguenza della latinizzazione promossa dai Normanni, cfr. ivi, p. 434,.
47 Libro di preghiera di Giovanna di Napoli, 1346-1362, Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, cod. 1912, f. 218.
48 Messale domenicano (Milano, 1400 circa), The Hague, Rijksmuseum Meermanno-Westreenianum, ms. 10 A 16, f. 214v.
49 La pellegrina Egeria attesta negli anni tra il 381 e il 384 la più antica ricorrenza di una festa di otto giorni in memoria della consacrazione, nel 335, del complesso del Santo Sepolcro, celebrata a suo dire insieme alla scoperta della croce di Cristo (Itinerarium Aetheriae, 48). A partire dal VII secolo questa celebrazione di Elena e del Santo Sepolcro venne integrata con la memoria della restituzione da parte di Eraclio della reliquia della croce. Nel calendario gelasiano d’epoca carolingia, questa duplice commemorazione venne divisa tra Eraclio, il 14 settembre, ed Elena il 3 maggio; quest’ultima data fu assunta da una tradizione gallica. I testi liturgici rimasero in parte intercambiabili, e descrivevano il legno della croce come lignum vitae o come vexillum in battaglia. Venivano intonati inni sulla reliquia della croce come tropaion e come segno apocalittico di vittoria. Sulla storia di questa liturgia, oltre alla testimonianza di Egeria, si veda J. Wilkinson, Egeria’s Travels to the Holy Land, Jerusalem-Warminster 1971-1981, pp. 136-137; Le sacramentaire gélasien (Vaticanus Reginensis 316). Sacramentaire presbytérial en usage dans les titres romains au VIIe siècle, éd. par A. Chavasse, Turnhout 1958, pp. 350-364.
50 Berlin, Königliche Bibliothek, Sachau 225, f. 43; W.M. Voelkle, The Iconography of the Legend of the Finding of the True Cross in Mosan Art of the Last Half of the Twelfth Century, diss., Columbia University 1965, p. 67; A. Baumstark, Konstantiniana aus syrischer Kunst und Liturgie, in Konstantin der Grosse und seine Zeit. Festschrift De Waal, hrsg. von F.J. Dolger, Freiburg 1913, pp. 218-245, fig. VII, 1.
51 Sebbene si possa presumere che debbano esserci stati esempi più antichi ora perduti; C. Walter, Les dessins carolingiens, cit., p. 107 ricorda come Agobardo (814-840, vescovo di Lione) faccia riferimento a questa tipologia nel suo Liber de imaginibus sanctorum, CXXXII (PL 104, c. 225); secondo E. Kirschbaum, Konstantin und Helena, in Lexikon der christlichen Ikonographie, VII, Rom-Wien 1974, pp. 336-337 essa è presente dal X secolo in poi nelle cripte rupestri di Cappadocia. Il motivo ricorre anche nei menologia (martirologi) greci alla data del 21 maggio, dall’XI secolo illustrati secondo il modello del Menologion di Basilio II (circa il 1000; Vat. gr. 1613); N. Patterson Sevcenko, Menologion e Menologion of Basil II, in The Oxford Dictionary of Byzantium, Oxford 1991, pp. 1341-1342. A partire dal XIII secolo esso è sempre presente nel programma iconografico delle chiese bizantine.
52 C.M. Kaufmann, Konstantin und Helena auf einem griechischen Hostienstempel, in Oriens Christianus, 4 (1915), pp. 85-87; A. Baumstark, Konstantiniana, cit., pp. 218-245; J. Georg, Konstantin der Grosse und die hl. Helena in der Kunst des christlichen Orients, in Konstantin der Grosse und seine Zeit, cit., pp. 255-258.
53 G. Cames, Byzance et la peinture Romane de Germanie, Paris 1966, fig. 163. M. Restle, Die Byzantinische Wandmalerei in Kleinasien, II, Recklinghausen 1967, n. XXIII e fig.: cappella 28, dipinti murali sulla parete sud, adiacente all’abside principale. Elena è qui in piedi a sinistra, Costantino a destra; la croce si erge su un basamento e reca un titulus; ha una superficie ruvida, a suggerire la sua provenienza dall’Albero della Vita.
54 Paris, Bibliothèque Nationale, Cod. grec. 510, 880 circa; K. Weitzmann, Illustration for the Chronicles Sozomenos, Theoderet and Malalas, in Byzantion, 16 (1942-1943), pp. 87-134; S. Der Nerssessian, The Illustrations of the Homilies of Gregory of Nazianzus Paris Gr. 510. A Study of the Connections Between Text and Images, in Dumbarton Oaks Papers, 16 (1962), p. 197, fig. 15; L. Brubaker, The Illustrated Copy of the ‘Homilies’ of Gregory of Nazianzus in Paris (Bibliothèque Nationale, Cod. Gr. 510), diss., Johns Hopkins University, Baltimora 1983.
55 Wien, Österreichische Nationalbibliothek, series nova 2700, f. 338; O. Mazal, F. Unterkircher, Katalog der Abendländischen Handschriften der Österreichischen Nationalbibliothek. Series Nova, II/1, Vienna 1963, pp. 355-359; W.M. Voelkle, The Iconography of the Legend, cit., fig. 52.
56 New York, Pierpont Morgan Library; il trittico, aperto, misura 48,4 × 66 cm; un’anima di legno è rivestita con ottone dorato, pausato da pilastrini d’argento brunito (si tratta di copie ottocentesche). W.M Voelkle, The Iconography of the Legend, cit., p. 37; M.-M. Gauthier, Emaux du moyen âge occidentale, Freiburg 1972, p. 125, tav. 81; The Stavelot Triptych. Mosan Art and the Legend of the True Cross (catal.), ed. by W.M. Voelkle, New York 1980; J. Lafontaine-Dosogne, L’art byzantin en Belgique en relation avec les croisades, in Belgisch Tijdschrift voor Oudheidkunde en Kunstgeschiedenis, 56 (1987), pp. 13-47, in partic. 17 e fig. 2; N. Stratford, Catalogue of Medieval Enamels in the British Museum, II, Northern Romanesque Enamel, London 1993, tavv. 50-52; A. Lemeunier, Le vernis brun dans l’orfèvrerie du Moyen Âge occidental, spécialement dans l’archévéché de Cologne, diss., Liège 1993; M.L. De Kreek, De kerkschat van het Onze-Lieve-Vrouwekapittel te Maastricht, Utrecht 1994, p. 89; K. McKay-Holbert, Mosan Reliquary Triptychs and the Cult of the True Cross in the Twelfth Century, diss., Yale University 1995, pp. 7-71. Provenienza: nel 1792 l’abate di Stavelot, Célestin Thys (morto nel 1796), vendette il trittico alla famiglia Walz di Hanau, dove esso fu salvaguardato dalla secolarizzazione in corso in Francia. Nel 1909 il trittico fu messo in vendita a Londra dalla Durlacher Brothers; fu comprato l’anno successivo da John Pierpont Morgan per conto del British Museum; cfr. J. Stiennon, J. Deckers, Wibald, abbé de Stavelot-Malmédy et de Corvey (1130-1158) (catal.), Stavelot 1982, p. 68. Si ringraziano il prof. dr. Jos Koldeweij (Katholieke Universiteit Nijmegen) e il dott. Albert Lemeunier (Musée d’Art Religieux et d’Art Mosan de Liège) per il loro aiuto in questa parte della ricerca.
57 Stuttgart, Landesbibliothek, Cod. Hist. Fol. 415, f. 39; S. von Borries-Schulten, H. Spilling, Die romanischen Handschriften der Württembergischen Landesbibliothek Stuttgart, I, Provenienz Zwiefalten, Stuttgart 1987, n. 65, f. 39r, fig. 249; S. von Borries-Schulten, Zur romanischen Buchmalerei in Zwiefalten. Zwei Illustrationsfolgen zu den Heiligenfesten des Jahres und ihre Vorlagen, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 1 (1989), pp. 445-471.
58 F. Saxl, English Sculptures of the Twelfth Century, London 1954, pp. 67-68, tavv. 96-98; J.T. Lang, The St. Helena-Cross, Church Kelloë, Co. Durham, in Archaeologia Aeliana, 5 (1977), pp. 105-119; G. Zarnecki, Reliquary Cross, in English Romanesque Art 1066-1200 (catal.), London 1984, pp. 208-209; B. Baert, In Hoc Vinces. Iconography of the Stone Cross in the Parish Church of Kelloe (Durham, c.1200), in Archaeological and Historical Aspects of West-European Societies. Album amicorum André van Doorselaer, ed. by M. Lodewijckx, Louvain 1995, pp. 341-362.
59 C. Popa, Christian Art in Romania, III, The fourteenth century, Bucarest 1983, p. 128 nota 50; V. Vatasianu, Istoria artei feudale in Tārile Romîne (Storia dell’arte feudale nei paesi rumeni), I, Arta in perioada de dezvoltare a feudalismului (L’arte durante lo sviluppo del feudalesimo), Bucaresti 1959, p. 401, fig. 358; I.D. Stefanescu, La peinture religieuse en Valachie et en Transylvanie depuis les origines jusqu’au XIXe siècle, Paris 1932, pp. 223-239, con un prospetto di tutte le scene alle pp. 226-227.
60 W.W.S. Cook, La pintura mural romanica en Cataluña, Madrid 1956, fig. 39.
61 S. Di Sciascio, Reliquie e reliquiari dai Luoghi Santi in Puglia: prodotti crociati ed imitazioni locali, in Il cammino di Gerusalemme, Atti del II Convegno internazionale di studio (Bari, Brindisi, Trani 18-22 maggio 1999), a cura di M.S. Calò Mariani, Bari 2002, pp. 327-342, in partic. 334 fig. 9; Id., Reliquie e reliquiari in Puglia fra IX e XV secolo, Galatina 2009, pp. 57-99; V. Pace, Echi della terrasanta. Barletta e l’oriente crociato, in Fra Roma e Gerusalemme nel medioevo. Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale, Atti del Convegno internazionale (Salerno, Cava de’ Tirreni, Ravello 26-29 ottobre 2000), a cura di M. Oldoni, II, Salerno 2005, pp. 393-408; V. Pace, Staurotheken und andere Reliquiare in Rom und in Süditalien (bis ca. 1300). Ein erster Versuch eines Gesamtüberblicks”, in Das Heilige sichtbar machen. Domschätze in Vergangenheit, Gegenwart und Zukunft, hrsg. von U. Wendland, Regensburg 2010, pp. 137-160.
62 Per uno studio monografico di vasto respiro sulla importazione di reliquie della croce da Oriente a Occidente, si veda A. Klein, Byzanz, der Westen, und das “wahre” Kreuz. Die Geschichte einer Reliquie und ihrer kunstlerischen Fassung in Byzanz und im Abendland, Wiesbaden 2004.
63 B. Baert, The Wall Paintings, cit.
64 B. Baert, La cappella Farfense in Montegiorgio, cit.
65 C. Colafemmina, Gli Ebrei, La Puglia e il mare, in Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e storia, a cura di R. Cassano, Bari 1998, pp. 307-314.
66 Si veda su questo B. Blumenkranz, Le juif médiéval au miroir de l’art chrétien, Paris 1966; S. Linton, Images of Intolerance. The Representation of Jews and Judaism in the Bible moralisée, Berkeley 1999.
67 Cfr. Imagining the Self, Imagining the Other. Visual Representations and Jewish-Christian Dynamics in the Middle Ages and Early Modern Period, ed. by E. Frojmovic, Leiden 2002.
68 A. Sohn, Bilder als Zeichen der Herrschaft. Die Silvesterkapelle in SS. Quattro Coronati (Rom), in Archivum Historiae Pontificiae, 35 (1997), pp. 7-47.
69 G. Kaster, Urban V, in Lexikon der Christlichen Ikonographie, cit., VIII, p. 516.
70 M. Paone, Arte e cultura alla corte di Giovanni Antonio del Balzo Orsini, in Studi di Storia Pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, a cura di M. Paone, Galatina 1973, non include il sito di Andria.
71 M. Loconsole, La corona di spine di Cristo. Storia e mistero, Siena 2005.
72 M. Aubert, J. Verrier, L. Grodecki et al., Les vitraux de Notre-Dame et de la Sainte-Chapelle de Paris, Paris 1959, pp. 295-309, tav. 86; M. Dillange, La Sainte-Chapelle, Rennes 1985.
73 P. Corsi, Sulle tracce dei pellegrini in Terra di Puglia, in Il cammino di Gerusalemme, cit., pp. 51-70.
74 V. Pace, Echi della terrasanta. Barletta e l’oriente crociato, in Fra Roma e Gerusalemme nel medioevo, cit., pp. 393-408; S. Di Sciascio, Reliquie e reliquiari, cit.
75 K.M. Rudy, Virtual Pilgrimages in the Convent. Imagining Jerusalem in the Late Middle Ages, Turnhout 2011.
76 Si veda anche B. Baert, The Legend of the True Cross between North and South. Suggestions and Nuances for the Current Research, in Annali dell’Università di Ferrara, 1 (2004), pp. 123-150.
77 J.-C. Klamt, Die mittelalterlichen Monumentalmalereien im Dom zu Braunschweig, Berlin 1968; S. Brenske, Der Hl. Kreuz-Zyklus in der ehemaligen Braunschweiger Stiftskirche St. Blasius (Dom). Studien zu den historische Bezügen und ideologisch-politischen Zielsetzungen der mittelalterlichen Wandmalereien, Braunschweig 1988. Nello stesso periodo erano in corso i lavori per un altro ciclo analogo, quelle delle vetrate della Sainte-Chapelle a Parigi per il devoto re Luigi IX. Una campagna in Terrasanta e l’eccezionale translatio di una reliquia della croce e della corona di spine erano all’origine dell’edificio e del suo programma iconografico; cfr. M. Dillange, La Sainte-Chapelle, cit. Si fa qui astrazione dal ciclo di Eraclio a Fraurombach (Oberhessen, 1350 circa), che include anche episodi dell’infanzia dell’imperatore. Questo ciclo è unico; si veda su di esso il fondamentale studio di M. Curschmann, Constantine-Heraclius. German Texts and Picture Cycles, in Piero della Francesca and His Legacy, cit., pp. 49-61.
78 S. Brenske, Der Hl. Kreuz-Zyklus, cit., pp. 118-119 e 122-123.
79 Nel trittico prodotto a Stavelot per l’abate Wibald, l’iconografia della leggenda della croce ‘legittimava’ le relazioni diplomatiche tra Oriente e Occidente. La funzione dell’iconografia dell’Inventio crucis negli smalti di Maasland del XII secolo è discussa in B. Baert, De Kruisvinding in de Maaslandse emailkunst van de 12de eeuw. Iconografie en context, in Revue Belge d’Archéologie et d’Histoire de l’Art, 69 (2000), pp. 9-58.
80 Si rinvia qui ai precedenti studi sull’antependium di Nedstryn (Museo dell’università di Bergen, Norvegia): B. Baert, Das Antependium von Nedstryn (Norwegen, 1310) und die Kreuzerhöhungslegende, in Das Münster. Zeitschrift für Christliche Kunst en Kunstwissenschaft, 54 (2001), pp. 46-57; Id., The Antependium of Nedstryn and the Exultation of the Cross, in Ikon, 5 (2012), pp. 65-83. Si veda anche H. Torp, Un paliotto d’altare norvegese con scene del furto e della restituzione della vera croce: ipotesi sull’origine bizantina dell’iconografia occidentale dell’imperatore Eraclio, in Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del convegno internazionale di studi (Parma 24-28 settembre 2003), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2006, pp. 583-584; E.B. Hohler, N.J. Morgan, A. Wichstrøm et al., Painted Altar Frontals of Norway 1250-1350, London 2004: I, Artists, Styles and Iconography, pp. 111-114; II, Materials and technique, pp. 11-114; III, Illustrations and Drawings, p. 43.
81 A. Wendehorst, Die Reichsstadt Nürnberg von den Anfängen bis zum Ende ihrer grossen Zeit, in Nürnberg 1300-1550. Kunst der Gotik und Renaissance (catal.), München 1986, pp. 11-25. Nelle vetrate della cappella di St. Leopold in Klosterneuburg (monastero agostiniano, Austria, 1400 circa) è Elena stessa a mettere alla prova la croce su un giovane; cfr. E. Frodl-Kraft, Die mittelalterlichen Glasgemälde in Niederösterreich, I, Albrechtsberg bis Klosterneuburg, Wien-Graz 1972, pp. 204-212, figg. 649-657. Nella Germania meridionale e nelle Alpi Elena era oggetto di una devozione particolare come patrona dei minatori, dei ‘cercatori di tesori’ in genere e protettrice degli scalatori di montagne: cfr. G. Schreiber, Helena als Inhaberin von Erzgruben, in Zeitschrift für Volkskunde, 53 (1956-1957), pp. 65-76.
82 Si trovano occorrenze anche in Scandinavia, ma senza il ramo della leggenda relativo al legno della croce. Nel campo della ricerca comparativa sulla leggenda della croce, quest’area non è stata finora sufficientemente studiata. Indagini più approfondite sull’iconografia e una più stretta collaborazione con gli studiosi locali sono auspicabili.1) Svezia: a. Risinge, cattedrale, affreschi della volta, metà del XV secolo; A. Lindblom, Björsäter malningarna, Stockholm 1953 (con un riassunto in inglese: The Legends of St. Thomas and of the Holy Cross), p. 68, figg. 31-32: visione di Costantino; duello sul ponte Milvio, arrivo di Elena a Gerusalemme; Giuda interrogato e tradito; Giuda nel pozzo; ritrovamento della croce; prova della croce; Elena riporta la croce a Costantinopoli (?); Elena venera la croce (?); b. Linköping, cattedrale, parete sud, seconda metà del XV secolo: Giuda Ciriaco ed Elena reggono la croce; Elena regge la croce in un paesaggio collinare; Elena regge la croce di fronte a un antependium (?); cfr. A. Lindblom, Björsäter malningarna, cit., fig. 31; c. Örebro, cappella di San Nicola, 1430-1450, conservata solo in disegni: interrogatorio di Giuda, ritrovamento e/o prova della croce; d. Chiese di Östra Eneby, Ask, Mogata; S. Brenske, Der Hl. Kreuz - Zyklus, cit., p. 72 nota 25. 2) Danimarca: chiesa di Södring, primo quarto del XVI secolo; Danske Kalkmalerier. Sengotik 1500-1536, red. U. Haastrup,VI, Kopenhagen 1985, pp. 18, 35 e 221. 3) Finlandia: chiese di Hattula e Lojo (entrambe seconda metà del XV secolo); cfr. A. Nilsen, Program och Funktion. I senmedeltida kalkmaleri, Stockholm 1986, pp. 192-197.
83 Ecco il contenuto della vetrata: 1) Seth nel paradiso terrestre e Seth che pianta il ramoscello sulla tomba di Adamo, 2) Mosè e il serpente di bronzo e la Crocefissione, 3) Costantino vede in sogno la croce, 4) Invenzione della croce, 5) Prova della croce, 6) Eraclio a cavallo con la croce alla porta di Gerusalemme (non in atteggiamento penitenziale). Cfr. Die Stadt Erfurt. Dom. Severikirche. Peterskloster. Zitadelle, hrsg. von M. Ohle, I, Burg 1929, pp. 148-153 e figg.; E. Drachenberg, Die mittelalterliche Glasmalerei im Erfurter Dom, II, Wien-Graz 1983, pp. 340-370.
84 Gv 3,1-15, sul Figlio dell’Uomo innalzato proprio come Mosè innalzò il serpente nel deserto è parte delle letture tanto il 3 maggio quanto il 14 settembre. Una croce proveniente da Maasland ora a Londra (British Library), che ha un equivalente in una serie di smalti con l’invenzione della croce ora a Berlino (Staatliche Museen, Kunstgewerbemuseum), datata 1160-1170, mostra Mosè e Aronne con il serpente di bornzo (Num 21,6-9); N. Stratford, Catalogue of Medieval Enamels, cit., cat. 4, 72; Signa Tav. Grubenschmelzplatte eines typologischen Kreuzes (catal.), hrsg. von D. Kötzsche, H. Meurer, A. Schaller, Ostfildern 2000, pp. 50-73.
85 New York, Pierpont Morgan Library, M. 917; F. Gorissen, Das Stundenbuch der Katharina von Kleve. Analyse und Kommentar, Berlin 1973, pp. 105, 494-525, 959-961 e 999-1001; J. Plummer, Die Miniaturen aus dem Stundenbuch der Katharina von Kleve, Berlin 1966, nr. 79-87.
86 E. Renard, Die Kunstdenkmäler der Kreise Gummersbach, Waldbröl und Wipperfürth, Düsseldorf 1900, pp. 56-59; Jahrbuch der Rheinischen Denkmalpflege, 8/9 (1932), p. 55; 10/11 (1934), p. 199; 12 (1935), p. 369; 25 (1965), pp. 330 seg.; D. Rentsch, Oberbergische Kreis, I, Düsseldorf 1967, pp. 91-96; H.-W. Mehlau, Erneuerung der Dorfkirche in Wiedenest, Oberbergische Kreis, in Kunst und Kirche, 31 (1968), pp. 27-31; H.E. Kubach, A. Verbeek, Romanische Baukunst an Rhein und Maas. Katalog der vorromanischen und romanischen Denkmäler, II, Berlin 1976. p. 1245; B. Baert, ‘Totten paradise soe sult ghi gaen’. De verbeelding omtrent de herkomst van het kruishout, in Aan de vruchten kent men de boom. De boom in tekst en beeld in de middeleeuwse Nederlanden, red. B. Baert, V. Fraeters, Leuven 2001, pp. 19-47, in partic. 36-40.
87 Brussels, Koninklijke Bibliotheek Albert I, INC A 1582; B. Baert, Het ‘Boec van den Houte’, Brussels 1995; Id., ‘Totten Paradise soe sult ghi ghaen’, cit., pp. 2-36.
88 Dat Boec van den Houte. Eine mittelniederländische Dichtung von der Herkunft des Kreuzes Christi, hrsg. von L. Hermodsson, Uppsala-Wiesbaden 1959.
89 L’angelo spiega che il fanciullo – Cristo – porterà salvezza all’albero. Quest’albero è la croce. Il motivo è raro nell’iconografia: Toledo, Santa Croce, rilievo sulla parte esterna, 1400 circa; Saint-Neots, chiesa parrocchiale, vetrata, 1530 circa. Per la sua iconografia si veda B. Baert, The Figure of Seth in the Vault-Paintings in the Parish Church of Östofte. In Search for the Iconographical Tradition, in Konsthistorisk tidskrift, 66 (1997), pp. 97-111.
90 L’unica pubblicazione su questo ciclo è il breve resoconto di G.S. Adelmann, Die Kreuzkapelle bei Duttenberg und zur Geschichte des Heiligen Kreuzes, in Nachrichtenblatt der Denkmalpflege in Baden-Württemberg, 3 (1960), pp. 5-9. Su Duttenberg, e particolarmente sulla figura di Seth, si vedano i convegni Kultbild organizzati dalla Forschungsgruppe für Kunst und Christentums della Westfälische Wilhelms Universität di Münster. Si ringrazia il dr. Thomas Lentes per le sue illuminanti osservazioni.
91 Su quanto segue cfr. G.S. Adelmann, Die Kreuzkapelle bei Duttenberg, cit.
92 Ibidem, Adelmann sospetta che la scena dell’incontro tra Salomone e la Regina di Saba mostri una veduta di Wimpfen.
93 Nel Boec van den Houte si hanno tre germogli separati.
94 C.D.M. Cossar, The German Translation of Niccolò da Poggibonsi’s Libro d’oltramare, Göppingen 1985, p. 158, figg. 15-16: «Nach der leng nach der twerch so vint man das zaichen dez kreutzes daronne vnd das han ich gesechen».
95 Egli discute il tema Seth altrove, nel contesto del monastero della Santa Croce nei sobborghi di Gerusalemme.
96 Il naturalismo dei racconti dei pellegrini è sostanzialmente intercambiabile con il discorso metaforico proprio del misticismo e le visioni allegoriche del Paradiso. Nel Pèlerinage de l’âme di Guillaume de Deguileville (1355-1358) un pellegrino, sulla strada tra Purgatorio e Paradiso, incontra altri pellegrini che giocano con una mela sotto un verde albero. Un angelo spiega che queste altre ‘anime’ si divertono a giocare con questo frutto perché lo trovano confortante (vv. 5591-5616); E.S. Greenhill, The Child in the Tree. A Study of the Cosmological Tree in Christian Tradition, in Traditio, 10 (1954), pp. 354-357. Il manoscritto più antico data al XV secolo: Paris, Bibliothèque Nationale, ms. fr. 602. edizioni e traduzioni: J. Flynn, Pilgrimage of the Soul. An Edition of the Caxton Imprint, Auburn 1973; R.P. McGerr, The Pilgrimage of the Soul. A Fifteenth Century English Prose Translation of le Pélerinage de l’âme, New York-Garland 1990; J.J. Stürzinger, Le Pèlerinage de l’âme, London 1895. Si veda inoltre S.L. Galpin, On the Sources of Guillaume de Deguileville’s Pèlerinage de l’âme, in Pierpont Morgan Library. Annales, 25 (1910), pp. 275-308.
97 A.R. Miller, German and Dutch Versions, cit., p. 195.
98 Ghent, Universiteitsbibliotheek, Res. 169, f. 16: versione medio-fiamminga del Jardin amoureux de l’âme di Pierre d’Ailly; R.L. Falkenburg, The Fruit of Devotion. Mysticism and the Imagery of Love in Flemish Paintings of the Virgin and Child 1450-1550, Amsterdam-Philadelphia 1994, pp. 36-37, figg. 47-48.
99 Si fa riferimento qui ai cicli completi, comprensivi della leggenda del legno. Naturalmente si continuano a rappresentare le storie di Elena ed Eraclio, come in Santa Croce a Roma: cfr. F. Cappelletti, L’affresco nel catino absidiale di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. La fonte iconografica, la committenza e la datazione, in Storia dell’arte, 66 (1989), pp. 119-126. Su tale sopravvivenza si vedano gli studi di F. Luchmann, Die Einordnung der hl. Helena in den Kreuzweg. Arbeitsbericht und Versuch einder Deutung, in Jahrbuch für Volkskunde, 7 (1984), pp. 113-158, con l’indice; G. Scavizzi, The Cross. A 16th Century Controversy, in Storia dell’arte, 65 (1989), pp. 27-43; J. De Landtsheer, Justius Lipsius’s De Cruce and the Reception of the Fathers, in Neulatinisches Jahrbuch. Journal of Neo-Latin Language and Literature, 2 (2000), pp. 99-124; M.B. Bonsante, Dal racconto all’icona. Modelli iconografici della “Historia Crucis” tra Cinque e Seicento, in Il cammino di Gerusalemme, cit., pp. 387-417, figg. 1-2; si veda inoltre l’importante studio di C. Heussler, De Cruce Christi. Kreuzauffindung und Kreuzerhöhung: Funktionswandel und Historisierung in nachtridentinischer Zeit, Schöning 2003.
100 C. Eggenberger, D. Eggenberger, Malerei des Mittelalters, Bern 1989, pp. 162-167; J. Michler, Gotische Wandmalerei am Bodensee, Friedrichshafen 1992, pp. 134-150, con un prospetto degli affreschi, n. 469. Si considerino inoltre le vetrate della chiesa di Santa Croce a Eriskirch, lago di Costanza (1408) come ex voto dei duchi di Montfort-Tettnag; vi è inclusa solo la leggenda del ritrovamento: cfr. R. Becksmann, Die Glasmalereien, in Die Pfarrkirche Eriskirch. Spätgotik am Bodensee, hrsg. von E.L. Kuhn, R. Rau, B. Vesenmayer, Friedrichshafen 1988, pp. 51-66 e figg.
101 P. Lacroix, A. Renon, Apôtres et prophètes au Credo. Un thème iconographique entre le rayonnement et l’oubli, in Pensée, image et communication en Europe médiévale. A propos des stalles de Saint-Claude, Besançon 1993, pp. 83-100, in partic. 96. Nella chiesa di Santa Croce di Loffenau (Foresta Nera) vennero scoperti nel 1842, nella cappella sud-occidentale, affreschi sulle volte, sulle lunette e sulle pareti: sulle volte i quattro simboli degli evangelisti e i Padri della Chiesa, sulla parte nord l’allegoria della macina dell’ostia. Una leggenda dell’invenzione e dell’esaltazione della croce si sviluppa lungo i lati est e sud nelle lunette e nelle finestre ad est e nord (coincidendo l’occidente e il mezzogiorno con l’orientamento della chiesa stessa); sotto ciascuna scena abbiamo un’iscrizione. Gli affreschi sono opera tardo-quattrocentesca di un maestro della Foresta Nera. Nel registro inferiore alla leggenda della croce l’anonimo pittore ha dipinto le figure dei dodici apostoli, con in mano cartigli recanti il Credo. Nei medaglioni e negli spazi liberi tra le varie scene della leggenda, inquadrati da bordi rossi, si hanno busti di profeti con cartigli. Si tratta così di una combinazione tra il Credo degli apostoli e un credo dei profeti; cfr. F. Piel, Handbuch der Deutsche Kunstdenkmäler. Baden-Württemberg, Berlin-München 1964, p. 287. Manca uno studio analitico su questo ciclo di affreschi.
102 P. Kurmann, Das heilige Grab, in Neue Züricher Zeitung, dezember 1972.