Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La gravità quantistica è un ambito nel quale la fisica teorica tenta di unificare la teoria della meccanica quantistica, che descrive tre delle forze fondamentali della natura (elettromagnetica, debole e forte), con la teoria della relatività generale, che riguarda la quarta forza fondamentale: la gravità. L’obiettivo è quello di ottenere una teoria unica per tutte e quattro le forze fondamentali, che ci consenta di comprendere quei fenomeni che interessano la combinazione di enormi masse o energie con dimensioni estremamente piccole di spazio, come il comportamento dei buchi neri e l’origine dell’universo (Big Bang). A partire dagli anni Sessanta del Novecento, molti fisici teorici si sono concentrati sulla definizione di tale teoria quantistica, dando origine a tre diversi approcci di studio: perturbativo, canonico, covariante, senza però giungere a una conclusione definitiva.
Una definizione
Gravità quantistica è il nome di una teoria che non esiste ancora, di un obiettivo non ancora realizzato della fisica teorica contemporanea, di un sogno a lungo inseguito di quella del secolo passato. Infatti una teoria quantistica della gravitazione dovrebbe rappresentare la risposta a una serie di problemi della fisica contemporanea innanzitutto: la relatività generale, l’attuale teoria della gravitazione, smette di essere valida quando la curvatura dello spazio-tempo diventa molto grande e le distanze da studiare troppo piccole, cioè alla cosiddetta scala di Planck (10-33 cm). Qui la teoria predice l’esistenza di singolarità, cioè regioni dove la descrizione classica non è più applicabile. Gli esempi fisici più importanti di singolarità sono l’interno dei buchi neri e il cosiddetto “Big Bang”, che è all’origine del nostro universo. Le teorie attuali non ci permettono di descrivere questi fenomeni, mentre una teoria di gravità quantistica dovrebbe essere applicabile in queste situazioni estreme e quindi spiegarle. Inoltre, dalla metà degli anni Settanta, da quando Stephen Hawking ha scoperto che i buchi neri “evaporano”, cioè emettono energia, e altri fisici teorici, tra cui Jacob David Bekenstein, hanno mostrato che a essi sono applicabili i concetti di temperatura ed entropia, sappiamo che essi devono essere composti di costituenti più fondamentali, così come i gas, ad esempio, sono composti di atomi in movimento. Ma i buchi neri non sono altro che particolari configurazioni dello spazio-tempo; quali sono, quindi, i costituenti più fondamentali dello spazio-tempo?
La gravità quantistica rappresenta anche una grande sfida matematico-formale: riuscire a formulare una teoria quantistica della geometria dello spazio-tempo, cioè riuscire a riscrivere la teoria della gravitazione di Einstein nel linguaggio probabilistico della meccanica quantistica, a descrivere la geometria dello spazio-tempo nel linguaggio algebrico di appropriati “operatori” e “stati” quantistici. Ma la gravità quantistica è soprattutto un problema filosofico-concettuale, il passo conclusivo e la sintesi delle rivoluzioni operate nel secolo scorso dalla relatività e dalla teoria quantistica nel nostro modo di pensare la natura al livello più fondamentale. La teoria della relatività ci ha insegnato che tempo e spazio sono relativi e soprattutto dinamici, cioè che lo spazio-tempo è un oggetto fisico che evolve e interagisce con la materia; la meccanica quantistica ci ha insegnato che ogni oggetto fisico è soggetto a leggi di evoluzione probabilistiche e che le sue proprietà fisiche possono essere conosciute solo con un certo grado di indeterminazione intrinseca e ineliminabile. Ora si tratta di unire gli insegnamenti dell’una a quelli dell’altra e formulare una descrizione quantistica delle proprietà e dell’evoluzione dell’oggetto fisico rappresentato dallo spazio-tempo. Un passo difficile, perché tutte le teorie quantistiche che conosciamo assumono che lo spazio-tempo sia un oggetto “inerte” e non dinamico, come ci insegna invece la relatività generale.
Ma cosa significa che lo spazio-tempo evolve probabilisticamente? O che le sue proprietà geometriche, ad esempio l’area di una data superficie, possono essere conosciute solo in maniera “indeterminata”, o che “fluttuano quantisticamente”? È chiaro che una teoria quantistica della gravità porterà a una profonda revisione del nostro modo di intendere lo spazio e il tempo. Che la quantizzazione della gravità sarebbe stata un passo necessario ma anche difficile matematicamente e concettualmente è stato riconosciuto già agli arbori della relatività e della meccanica quantistica da vari scienziati (Einstein, Klein, Rosenfeld, Pauli, Heisenberg, Bronstein), ma dei veri e propri programmi di ricerca in gravità quantistica vennero sviluppati soltanto a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta. Questi possono essere raggruppati in tre filoni principali: l’approccio perturbativo, l’approccio canonico e l’approccio covariante. Consideriamoli più in dettaglio.
I principali filoni di ricerca
L’approccio perturbativo ipotizza che la geometria dello spazio-tempo possa essere pensata come composta di una parte inerte, che si comporta come un background fissato, e una parte dinamica; a questo punto tutte le tecniche usuali di quantizzazione si applicano a questa parte dinamica, che diventa l’oggetto fisico da descrivere; sebbene ciò contraddica in parte la relatività generale (secondo cui ogni oggetto fisico deve essere trattato come dinamico), poter usare i metodi convenzionali della teoria quantistica è di grande aiuto. Le basi di questo approccio vennero poste da Suraj N.Gupta nel 1952, e il formalismo venne compiutamente sviluppato da Richard Feynman e Bryce DeWitt durante gli anni Sessanta, fino a poter esibire formule esatte per le “ampiezze di transizione” (che sono quantità base di ogni teoria quantistica) della teoria, cioè per le probabilità che, data una configurazione geometrica, se ne osservi un’altra a un certo istante successivo. Purtroppo studi successivi, culminati negli anni tra il 1971 e il 1975, da parte di Stefen Deser, Peter Van Nieuwenhuizen, Gerardus ‘t Hooft, Martinus Veltman, dimostrano che la teoria così formulata è inconsistente in quanto le sue equazioni-chiave danno risultati infiniti e non fisici (una tale teoria si dice “non-rinormalizzabile”). Si sviluppano quindi varie modifiche della relatività generale, sperando che le nuove versioni non incorrano in questi problemi: una delle nuove teorie così sviluppate, detta supergravità (una estensione della relatività in cui alla gravità sono accoppiati campi di materia con proprietà particolari), troverà applicazioni inaspettate in tempi più recenti. Nessuna di queste modifiche però risolve il problema. L’approccio perturbativo risorge negli anni Ottanta con la teoria delle stringhe in cui la componente dinamica della geometria appare come uno dei possibili modi di vibrazione delle stringhe che si propagano nel background assegnato; tale teoria, benchè ancora in fase di sviluppo, sembra evitare i problemi di “non rinormalizzabilità” incontrati in precedenza e rappresenta una delle strade più seguite per la costruzione della teoria finale.
L’approccio canonico separa formalmente le componenti spaziali e quelle temporali della geometria, come normalmente in meccanica quantistica, e studia come la geometria dello Spazio cambi nel Tempo, ma trattando tutta la geometria spaziale come un oggetto dinamico, senza quindi assumere alcun background; la base matematica di questo approccio viene stabilita negli anni Cinquanta Sessanta da Paul Dirac, Peter Bergmann, Richard Arnowitt, il già citato Deser e Charles Misner, e le equazioni dinamiche fondamentali per la geometria furono scoperte da John Wheeler e DeWitt nel 1967.
La peculiarità di queste equazioni è che, benché descrivano l’evoluzione temporale della geometria, non dipendono da nessuna coordinata identificabile col Tempo, e questo causa seri problemi interpretativi (si parla spesso di “problema del Tempo” in gravità quantistica). Poiché in questo approccio si cerca di descrivere l’evoluzione temporale di tutto lo spazio, cioè dell’universo intero, nasce anche (con Misner nel 1969) l’idea di una cosmologia quantistica, in cui è tutto l’universo a essere soggetto alle leggi della meccanica quantistica. Ma al di là dei problemi interpretativi, lo sviluppo di questo approccio viene a bloccarsi nel corso degli anni Settanta per via delle difficoltà matematiche che rendono praticamente irrisolvibili e comunque non ben definite le sue equazioni. Anche questo approccio, però, ritrova vigore verso la fine degli anni Ottanta, con la scoperta da parte di Abhay Ashtekar, che le equazioni della gravità quantistica in questo approccio si semplificano enormemente se si riformula la relatività generale in forma simile alle teorie di gauge usate in fisica delle particelle; la nuova forma dell’approccio canonico, tuttora in fase di sviluppo (a opera di Ashtekar, Rovelli, Smolin, tra gli altri), si chiama gravità quantistica a loop, e incorpora anche l’idea di Roger Penrose del 1964 delle reti di spin come strutture in grado di rappresentare la geometria dello spazio in termini puramente algebrici.
L’idea base nell’approccio covariante è quella di calcolare le “ampiezze di transizione” della geometria dello Spazio da una configurazione iniziale a una finale, ancora una volta senza assumere alcun background, considerando tutte le possibili geometrie dello spazio-tempo che hanno in comune le stesse configurazioni iniziali e finali, tutte, cioè, le possibili “storie” (geometriche) dello spazio-tempo; l’approccio quindi viene detto anche di somma sulle storie. L’idea di applicare questo formalismo, usuale in meccanica quantistica dei sistemi microscopici, ma certo coraggiosa quando si tratta dello spazio-tempo stesso, viene proposta nel 1957 da Misner e Wheeler, i quali nel 1963 introducono anche l’idea di “schiuma spazio-temporale” per descrivere le fluttuazioni quantistiche a cui lo spazio-tempo è soggetto su scala microscopica, in questo approccio. Anche in questo formalismo non mancano i problemi matematici, per risolvere alcuni dei quali si ricorre a una discretizzazione dello spazio-tempo, che viene approssimato con un reticolo fatto di un numero finito di punti, sviluppando una gravità quantistica discreta di cui esistono varie versioni (calcolo di Regge, triangolazioni dinamiche ecc.), tuttora in fase di studio; un’altra implementazione di questo approccio, che cura anch’essa una parte dei suoi problemi matematici, viene proposta da Stephen Hawking negli anni Settanta e applicata soprattutto alla cosmologia, portando, nel 1983, alla definizione da parte di Jones Hartle e Hawking stesso della cosiddetta “funzione d’onda dell’universo”, che ne dovrebbe descrivere l’origine quantistica. Purtroppo in ultima analisi anche i problemi matematici di questo approccio si rivelano non del tutto aggirabili, e l’interesse in esso diminuisce. Ancora una volta, nel corso degli anni Novanta, si giunge a riformulare in maniera migliore le sue idee di base, sia nell’ambito della gravità discreta (triangolazioni dinamiche, modelli di matrice, ecc.), sia con una versione covariante delle reti di spin usate nell’approccio canonico, cioè con una formulazione puramente algebrica della somma sulle storie spazio-temporali detta delle schiume di spin.
Oggi la ricerca di una teoria quantistica della gravità è più viva che mai, e articolata su diversi fronti e in diversi approcci, con le versioni moderne degli approcci classici: teorie di stringhe, gravità a loop, gravità discreta, schiume di spin, affiancate da approcci ancora più radicali, quali le geometrie non commutative di Alain Connes, o gli insiemi causali di Rafael Sorkin, tanto per citarne un paio. L’obiettivo di una teoria completa è ancora lontano, ma si avvicina, e intanto i nostri modi di pensare lo spazio e il tempo si affinano, così come le nostre nozioni di causalità, evoluzione, materia, realtà stessa.