La grande scienza. Teoria delle stringhe
Teoria delle stringhe
I processi d'urto hanno un ruolo fondamentale, dal punto di vista sia sperimentale sia teorico, nella fisica delle particelle elementari e sono lo strumento primario per lo studio delle loro interazioni. Giungere a una descrizione propria delle particelle elementari è stato un obiettivo centrale della fisica almeno dalla fine del XIX sec., quando la teoria atomica della materia ha avuto le prime importanti conferme con la scoperta dell'elettrone e quindi con la rivelazione del nucleo atomico, ottenuta proprio utilizzando un processo d'urto.
La meccanica quantistica ha introdotto in questa descrizione elementi radicalmente nuovi, riconoscendo ai due tipi di particelle, i 'fermioni' (per es., l'elettrone), soggetti al principio di esclusione di Pauli, e i 'bosoni' (per es., il fotone) proprietà ondulatorie oltre che corpuscolari; inoltre, a partire dalla fine degli anni Venti del XX sec., si è posto con crescente insistenza il problema di combinare in modo sistematico questi nuovi principî con la relatività speciale. Il risultato è la teoria quantistica dei campi, che realizza la dualità onda-particella associando le particelle a 'quanti di energia' di corrispondenti campi d'onda, per esempio associando i fotoni ai quanti del campo elettromagnetico, in un modo che rende manifesta l'assoluta identità di tutte le particelle di uno stesso tipo. Esperimenti a energie sempre più elevate hanno stimolato ulteriormente tali ricerche, mostrando che le poche particelle che compongono la materia ordinaria, vale a dire elettroni, protoni e neutroni, sono accompagnate da moltissime altre, la maggior parte delle quali è instabile con tempi di disintegrazione spontanea al più di milionesimi di secondo. Dagli anni Trenta si è quindi cercato a più riprese di giungere a una teoria di 'tutte' le particelle elementari.
La descrizione in termini di campi assegna in modo naturale alle particelle un numero limitato di attributi, tra i quali una massa, uno spin e uno o più tipi di carica. Inoltre, le stesse interazioni tra particelle sono indotte da scambi di altre particelle: per esempio, l'ordinaria repulsione coulombiana tra due elettroni può essere vista come il risultato di uno scambio di fotoni. Questa proprietà è alla base della tecnica assai suggestiva dei 'diagrammi di Feynman', che consente di collegare le probabilità di reazione, note nella letteratura come 'sezioni d'urto', a processi elementari nei quali le particelle reagenti generano prodotti di reazione attraverso la formazione di altre particelle in stati intermedi. Alla somma dei diagrammi relativi a un certo processo la teoria associa un'ampiezza di probabilità, un numero complesso il cui modulo al quadrato determina essenzialmente le sezioni d'urto.
La somma sui tipi di diagrammi e sulle loro deformazioni realizza in questo contesto la somma sui cammini della meccanica quantistica, nella quale una media pesata dei contributi associati a tutte le traiettorie possibili, che comprendono anche, ma non soltanto, quella classica, consente di calcolare le ampiezze di probabilità dei vari eventi. Il calcolo è naturalmente ordinato in una serie di contributi con numeri crescenti di loop (fig. 2), che coinvolgono numeri crescenti di particelle nei loro prodotti intermedi, e l'ordinamento è determinato dai parametri caratteristici delle interazioni. Per esempio, l'intensità delle interazioni elettromagnetiche è determinata dalla carica dell'elettrone, o più precisamente dalla 'costante di struttura fine'
dove e=1,6∙10−19 C è il valore assoluto della carica dell'elettrone, ħ=h/2π=1,054∙10-34J∙s, dove h è la costante Planck, c=2,998∙108 m/s è la velocità della luce nel vuoto e ε0=8,85 10−11 F/m è la costante dielettrica del vuoto. Il piccolo valore di α consente di restringere, al prezzo di errori trascurabili, la somma a un numero limitato di diagrammi, rendendo possibile ed efficiente il calcolo delle sezioni d'urto. Da qui il grande successo della teoria delle interazioni fra fotoni, elettroni e positroni, nota comunemente come elettrodinamica quantistica o QED. Ma la proliferazione delle particelle soggette alle interazioni forti ha limitato a lungo l'applicazione di tali metodi a causa dell'estrema intensità di queste forze nucleari, e quindi negli anni Sessanta molti sforzi sono stati dedicati al problema di caratterizzare in termini generali le sezioni d'urto, o più precisamente la 'matrice S', una collezione delle corrispondenti ampiezze di probabilità. Si trattava di un problema estremamente complesso, che poteva portare a risultati concreti soltanto sotto particolari ipotesi.
La teoria delle stringhe ha avuto origine precisamente in quest'ambito, quando il ricorso alla teoria quantistica dei campi e ai corrispondenti diagrammi di Feynman appariva impossibile per le interazioni forti. Al tempo si cercavano esempi concreti di matrici S con caratteristiche assegnate, e nel 1968 un fisico teorico italiano, Gabriele Veneziano, collegò alla descrizione matematica di un processo d'urto tra due particelle, in modo del tutto sorprendente, l'integrale euleriano, una nota funzione di due variabili complesse definita per Re(s)>0 e Re(t)>0 dalla
[2] B(s,t)=∫10xs-1(1-x)t-1dx.
Nella corrispondenza identificata da Veneziano, le variabili s e t nella [2] caratterizzano gli angoli di impatto e le energie delle particelle coinvolte nell'urto. In generale, i diagrammi di Feynman dipendono da queste grandezze, ma non manifestano 'individualmente' alcuna simmetria per il loro scambio, e quindi la peculiarità della funzione B è proprio la sua simmetria manifesta per lo scambio delle due variabili s e t, che in questo contesto è detta 'dualità planare'. B(s,t) possiede inoltre infiniti poli per s=0,−1,−2,…, e analogamente per t, nell'intorno dei quali si comporta essenzialmente come la funzione 1/z in prossimità dell'origine z=0. Singolarità di questo tipo sono caratteristiche dei contributi di ordine più basso, cioè senza loop o 'ad albero', come i due diagrammi a sinistra nella fig. 2, i cui stati intermedi coinvolgono altrettanti tipi di particelle, ma una alla volta, e segnalano appunto il loro scambio. Fu quindi presto chiaro che l'ampiezza di Veneziano aveva origine da una teoria molto più complessa di ogni altra precedentemente nota, con infiniti tipi di particelle, tutte bosoniche, di masse e spin crescenti.
Poco dopo il lavoro di Veneziano, Joel Shapiro e Miguel Virasoro ottennero una generalizzazione di B(s,t), anch'essa con infiniti poli, che dipende simultaneamente e in modo 'totalmente simmetrico' da tre variabili associate al processo d'urto, una proprietà detta 'dualità non planare', e nei due anni successivi diversi gruppi di ricercatori riuscirono a costruire altri tipi di ampiezze, ad albero e con loop. Per alcuni anni le simmetrie di tali ampiezze giustificarono il nome di 'modelli duali' per la nuova teoria e le sue generalizzazioni, e lo sviluppo di questo formalismo deve molto ad altri fisici italiani, tra i quali Daniele Amati, Sergio Fubini e Paolo Di Vecchia.
L'interpretazione di questi risultati divenne più chiara nel 1970, grazie ai contributi di Yoichiro Nambu e Leonard Susskind. Essi notarono che le sorprendenti proprietà delle nuove ampiezze sono naturali per diagrammi di Feynman nei quali le linee descritte da particelle siano sostituite da tubi descritti da stringhe chiuse o da nastri descritti da stringhe aperte, e giunsero a suggerire che l'ampiezza di Veneziano e le sue generalizzazioni descrivessero in realtà un fenomeno del tutto nuovo: gli urti di stringhe.
Le stringhe, o corde, si presentano in due forme topologicamente diverse, chiuse e aperte, e le infinite singolarità delle ampiezze di Veneziano e Shapiro-Virasoro sono una manifestazione degli infiniti tipi di eccitazioni per esse possibili. Una corda vibrante ideale può essere infatti presa come un'infinità di oscillatori tra loro accoppiati, ed è conseguentemente in grado di vibrare su un'infinità di toni puri o 'modi normali', le cui frequenze caratteristiche wn possono essere associate alle masse mn∼wn di infinite particelle a essi corrispondenti. Le corde, chiuse o aperte, sono caratterizzate da una scala di lunghezza ℓs e appaiono essenzialmente puntiformi a distanze r≫ℓs. In modo analogo, il principio di indeterminazione della meccanica quantistica collega queste scale di distanza a energie E≪ħc/ℓs, alle quali soltanto le particelle più leggere associate a una corda sono efficaci nei processi d'urto. In altri termini, le differenze tra una teoria di corde e una corrispondente teoria di particelle per i primi toni puri (la 'teoria effettiva di bassa energia') si manifestano solo a distanze r≤ℓs, e quindi solo a energie sufficientemente elevate.
L'analogia evidenziata con le corde vibranti è in realtà solo parziale. La corda nella fig. 4 ha infatti soltanto toni puri di frequenze wn>0, ai quali corrisponderebbero particelle di masse mn>0, in grado di trasmettere forze avvertibili unicamente a distanze inferiori alle corrispondenti lunghezze di Compton ħ/mnc. Nei primi anni Settanta si comprese invece che la teoria delle stringhe descrive inevitabilmente anche particelle di massa nulla, che come i fotoni sono in grado di trasmettere forze a lungo raggio. Si trattava di un problema spinoso per la relazione con le interazioni forti, che sono certamente a corto raggio e svaniscono a distanze r∼10−15 m.
Ignorando questa difficoltà, i modelli duali sembravano applicarsi in modo naturale agli 'adroni', che comprendono il protone, il neutrone e moltissime altre particelle instabili soggette alle interazioni forti, e presentano una sorprendente regolarità nella distribuzione delle loro masse e dei loro spin. Nel piano (massa)2-spin gli adroni si dispongono su 'traiettorie di Regge' rettilinee, che si prestano a una descrizione in termini di eccitazioni di stringhe con ℓs∼10−15 m, corrispondente a una scala di massa di centinaia di MeV/c2 o, equivalentemente, a una scala di energie di riposo di centinaia di MeV. Il MeV è un'unità di energia comunemente usata in questo ambito e corrisponde a 1,6∙10−13 J (per es., il protone ha una massa di circa 1 GeV/c2=1000 MeV/c2, che in unità convenzionali equivale a circa 1,67∙10−27 kg). Ma questa scelta aveva una conseguenza inattesa: la formula di Veneziano e le sue generalizzazioni predicevano infatti un rapidissimo decremento con l'energia delle sezioni d'urto, che sarebbero dovute svanire già a pochi GeV. In altri termini, la teoria sembrava indicare la scomparsa delle interazioni adroniche a energie di poco superiori all'energia di riposo del protone, ovvero a scale di distanza di poco inferiori a 10−16 m.
Questo risultato era però del tutto inconsistente con i dati che i grandi acceleratori avevano prodotto dalla fine degli anni Sessanta: gli urti con elettroni evidenziavano infatti la presenza di oggetti puntiformi nel protone, mentre le corrispondenti sezioni d'urto non erano affatto rapidamente decrescenti con l'energia. I componenti puntiformi vennero presto identificati con i quark, che erano stati proposti negli anni Sessanta da Murray Gell-Mann e George Zweig per riproporre per gli adroni quanto gli elettroni sono in grado di fare per la tavola di Mendeleev delle specie atomiche, ma che per la prima volta trovavano un ruolo dinamico in esperimenti d'urto. Un altro motivo di imbarazzo si presentò quando un'analisi più dettagliata dei diagrammi di stringa, dovuta a Claud Lovelace, rivelò che la teoria richiedeva per la sua consistenza 'venticinque dimensioni spaziali', in luogo delle tre dell'esperienza quotidiana. Infine, si comprese ben presto che la particella coinvolta nel processo d'urto di Veneziano ha una massa descritta da un numero immaginario. Particelle di questo tipo prendono il nome di 'tachioni', e piuttosto che entità accettabili sono considerate segnali dell'instabilità del sistema che le descrive, proprio come frequenze immaginarie indicano, negli ordinari sistemi macroscopici, l'instabilità di una configurazione di equilibrio.
Tutto questo, unitamente al progresso sostanziale nella formulazione del Modello standard delle interazioni elettromagnetiche deboli e forti delle particelle note, contribuì a distogliere per diversi anni l'attenzione della maggior parte dei fisici da questa teoria misteriosa e complessa, apparentemente incapace di rivestire un ruolo adeguato nella descrizione della Natura.
Il Modello standard è una poderosa sintesi dei dati sperimentali raccolti in quasi mezzo secolo di ricerche sulla fisica delle particelle elementari. È basato sulla teoria di Yang-Mills del gruppo di gauge SU(2)×U(1)×SU(3), una profonda generalizzazione della teoria di Maxwell che agli usuali campi elettrici e magnetici e ai corrispondenti potenziali sostituisce opportune matrici. I primi due fattori, SU(2)×U(1), sono associati alle interazioni deboli ed elettromagnetiche, mediate dai bosoni intermedi W± e Z0 (scoperti nel 1983 al CERN da Carlo Rubbia e dai suoi collaboratori) e dai fotoni γ, tutti di spin uno, e i campi corrispondenti sono descritti da matrici 2×2, come nella fig. 6. Le interazioni elettro-deboli coinvolgono diverse particelle di spin 1/2: tre 'famiglie' di leptoni (gli elettroni e due ripetizioni più massive, i μ e i τ, oltre a tre corrispondenti neutrini, essenzialmente privi di massa) e tre famiglie di quark (up e down, che costituiscono la materia ordinaria, e due ripetizioni massive, charmed e strange, e top e bottom), ognuno dei quali si presenta in tre 'colori' diversi. Questi colori rendono i quark soggetti alle interazioni della QCD, o 'cromodinamica quantistica', indotte da otto bosoni intermedi associati al gruppo SU(3), detti 'gluoni' e descritti da matrici 3×3. Le interazioni di colore tra quark sono ritenute responsabili del loro 'confinamento', ossia dell'apparente impossibilità di isolarli da composti privi di carica netta di colore, il protone, o da altri adroni, ma semplificano in modo notevole lo studio dei processi di alta energia. Da questo punto di vista, la complessità delle forze nucleari ricorda quella delle forze intermolecolari di van der Waals, che possono essere comprese in termini delle ben più semplici forze coulombiane tra elettroni e protoni.
Esistono fondati motivi per ritenere che il Modello standard non sia una teoria completa; tra questi l'apparente incompatibilità delle sue equazioni con la relatività generale, che peraltro descrive in modo mirabile il Sistema solare, le stelle e le galassie che compongono l'Universo visibile e rappresenta anche la base tecnica e concettuale per la nostra comprensione dell'evoluzione cosmologica.
Tali difficoltà possono essere intuite confrontando le intensità della forza coulombiana tra due particelle in quiete di massa m con cariche elettriche ±e, dove −e è la carica dell'elettrone,
e della corrispondente attrazione newtoniana
dove GN è la costante di gravitazione universale, pari a 6,67∙10−11 N∙m2∙kg−2. L'analogia tra queste due espressioni, la seconda delle quali può ottenersi dalla prima per mezzo della sostituzione
riflette una profonda, seppur parziale, analogia tra i due tipi di forze: entrambe possono essere infatti associate a bosoni di massa nulla, in grado quindi di trasmettere forze a lungo raggio, il fotone nel primo caso e il gravitone nel secondo, rispettivamente di spin uno e due. Si noti però che mentre le proprietà sia ondulatorie sia corpuscolari della luce sono state rivelate da tempo, non esiste ancora un'evidenza sperimentale diretta delle onde gravitazionali o dell'esistenza dei gravitoni, anche se è possibile imputare questa difficoltà all'estrema debolezza della forza gravitazionale in condizioni ordinarie.
L'intensità delle interazioni elettromagnetiche tra particelle elementari è determinata dalla costante di struttura fine definita dalla [1] e l'analogia tra i due tipi di forze, unitamente alla sostanziale equivalenza relativistica tra massa ed energia, suggerisce che l'intensità delle interazioni gravitazionali sia determinata da una corrispondente 'funzione di struttura fine'
che cresce invece quadraticamente con l'energia. Alle scale di energia tipiche della fisica atomica le forze gravitazionali in gioco, inferiori a quelle coulombiane di un fattore 10−40, sono assolutamente irrilevanti, ma la forza gravitazionale diviene addirittura dominante a energie superiori all'energia di Planck
o, equivalentemente, a distanze inferiori alla lunghezza di Planck
Anche se ℓPl è inferiore di molti ordini di grandezza alle scale di distanza attualmente esplorabili, il comportamento della funzione αG(E) ha conseguenze drammatiche sui diagrammi con loop. I processi intermedi possono infatti coinvolgere gravitoni di energia arbitrariamente elevata (per es., nel loop di fig. 2), rendendo di fatto inconsistente il calcolo delle corrispondenti sezioni d'urto. Ma se ℓs∼10−35 m, la teoria delle stringhe è in grado di offrire a questo problema una soluzione inattesa, proposta nel 1974 da Joel Scherk, John H. Schwarz e Tamiaki Yoneya.
Le ampiezze di Veneziano e Shapiro-Virasoro avevano ben presto rivelato che le eccitazioni delle stringhe aperte includono sempre almeno un fotone, e in generale campi di Yang-Mills, mentre quelle delle stringhe chiuse includono sempre un gravitone, le cui mutue interazioni a distanze r≫ℓs sono descritte dalla teoria di Yang-Mills e dalla relatività generale. Scherk, Schwarz e Yoneya proposero quindi di riconsiderare i modelli duali, non come modelli degli adroni, ma come la base di una teoria della gravità e delle altre forze fondamentali in grado di eludere i problemi della relatività generale ad altissime energie. La loro efficacia in questo contesto si può intuire notando che solo piccole frazioni delle stringhe partecipano attivamente agli urti ad alte energie, dando luogo a un'effettiva riduzione di αG(E): la sola energia rilevante è di fatto la frazione di E che il principio di indeterminazione associa alla regione di effettiva interazione, e quindi
In questo modo ad alte energie la gravità si comporta come le interazioni elettromagnetiche di intensità determinata dalla costante di struttura fine [1], in quanto la crescita di αG(E) con l'energia si arresta alla scala di Planck. Nella seconda metà degli anni Settanta, tra i pochi fisici rimasti a studiarne le proprietà era pertanto diffusa la convinzione che la teoria delle stringhe potesse garantire una descrizione consistente di tutte le interazioni fondamentali delle particelle elementari.
Il legame proposto tra la teoria delle stringhe e la gravità consentiva il ricorso a un meccanismo di 'compattificazione', proposto da Theodor F.E. Kaluza e Oskar B. Klein negli anni Venti, che consente di legare l'Universo, nell'ambito della relatività generale, a ulteriori dimensioni microscopiche. La loro esistenza non potrebbe infatti essere rivelata da esperimenti con particelle di energie troppo basse perché le onde a esse associate non potrebbero penetrarvi, come le onde radio non riescono a penetrare in una galleria la cui sezione sia di dimensioni inferiori alla loro lunghezza d'onda.
Come si è visto, le particelle elementari comprendono molti fermioni, le tre generazioni di quark e leptoni presenti nel Modello standard. Non deve quindi sorprendere che il modello di Veneziano e la corrispondente stringa bosonica sembrassero ben presto necessitare di un'estensione in grado di descrivere particelle fermioniche. Tale stringa fermionica (o NSR), introdotta nel 1970 da A. Neveu, P. Ramond e Schwarz, richiede un Universo con nove dimensioni spaziali, e la sua formulazione matematica presentò per diversi anni una caratteristica piuttosto inusuale, perché alcune delle sue particelle sembravano violare il principio di esclusione di Pauli.
Questa difficoltà fu superata per la prima volta nel 1977 da Ferdinando Gliozzi, Joel Scherk e David I. Olive, restringendo lo spazio degli stati ammissibili dalla stringa NSR in modo tale che tutti i suoi fermioni fossero soggetti al principio di Pauli. Questa 'proiezione GSO', uno dei più importanti contributi alla teoria delle stringhe, era stata motivata in origine dal tentativo di evidenziare una 'supersimmetria', stabilendo una corrispondenza tra le particelle bosoniche e fermioniche del modello NSR ed eliminando allo stesso tempo tutti i possibili tachioni.
La 'supersimmetria' è una simmetria in grado di collegare tra loro particelle bosoniche e fermioniche, e nelle sue realizzazioni più semplici implica l'esistenza, apparentemente non realizzata in Natura, di bosoni e fermioni di uguale massa. Per esempio, il Modello standard non possiede questa simmetria, perché contiene molte particelle fermioniche e, oltre ai dodici bosoni di gauge di SU(2)×U(1)×SU(3), solo una particella bosonica, peraltro non ancora rivelata, il bosone di Higgs. Il primo modello concreto con supersimmetria fu proposto nel 1974 da Julius Wess e Bruno Zumino, e un'elegante estensione della relatività generale, nota come supergravità, fu quindi formulata nel 1976 da Sergio Ferrara, Daniel Z. Freedman e Peter van Nieuwenhuizen. In questo caso la supersimmetria determina anche le interazioni del gravitone con un'altra particella di spin 3/2, il gravitino.
La stessa proiezione GSO era nata in realtà da un tentativo di collegare la stringa NSR a un modello simile, definito in dieci dimensioni (il tempo e nove spaziali) e noto come supergravità di tipo I. Al risultato così ottenuto, detto comunemente superstringa di tipo I e caratterizzato dalla presenza simultanea di stringhe aperte e chiuse, si aggiunsero negli anni successivi altri due modelli definiti in dieci dimensioni, le superstringhe IIA e IIB, contenenti soltanto stringhe chiuse e collegate a corrispondenti supergravità, dette anch'esse IIA e IIB. La supersimmetria garantisce la stabilità di tali superstringhe, che sono tutte prive di tachioni. Una supergravità in undici dimensioni (il tempo e dieci spaziali), in grado di generare in qualche modo tutte le altre, fu proposta infine nel 1978 da Eugene Cremmer, Bernard L. Julia e Scherk. La sua esistenza apparve per molti anni inspiegabile perché, a differenza dei tre modelli I, IIA e IIB in dieci dimensioni, che descrivono eccitazioni di bassa energia di corrispondenti superstringhe, la struttura di questa teoria indicava chiaramente l'assenza di un legame diretto di questo tipo.
La corretta definizione di una teoria risiede in un certo numero di condizioni di consistenza, legate alla richiesta che le simmetrie responsabili delle sue interazioni non diano luogo ad anomalie, ovvero che siano compatibili con la meccanica quantistica. Verso la metà degli anni Ottanta era ormai chiaro che sia la supergravità IIA sia la stringa corrispondente non presentano questo tipo di problema, e Luis Alvarez-Gaumé ed Edward Witten dimostrarono che lo stesso avviene per la supergravità IIB e per la superstringa corrispondente. Poiché inconsistenze di questo tipo non possono presentarsi direttamente in un numero dispari di dimensioni, anche la supergravità in undici dimensioni ne è chiaramente esente, ma mancava all'appello la teoria di tipo I, che anzi a prima vista sembrava soffrirne. Nel 1984 Michael B. Green e Schwarz, in uno dei più importanti contributi alla teoria delle stringhe, mostrarono invece che la superstringa di tipo I è sorprendentemente priva di anomalie, grazie a un meccanismo del tutto nuovo per la loro cancellazione, dando luogo a un'effettiva esplosione di interesse, tanto che ancora oggi alcuni enfaticamente associano l'anno 1984 alla 'prima rivoluzione delle superstringhe'. In realtà, il risultato da essi ottenuto selezionava due possibili supergravità di tipo I, con campi di Yang-Mills associati, nel senso di fig. 6, a matrici corrispondenti ai gruppi SO(32) e E8×E8, dove E8 è il più grande dei gruppi eccezionali della classificazione di Élie Cartan, ma Neil Marcus e chi scrive avevano già mostrato da tempo l'impossibilità di associare questi gruppi eccezionali direttamente a stringhe aperte, e quindi alla superstringa di tipo I. La stringa eterotica, proposta nei mesi successivi da David J. Gross, Jeffrey A. Harvey, Emil Martinec e Ryan Rohm, consentì di realizzare entrambe le possibilità utilizzando solo stringhe chiuse. Si chiamerà per brevità HO la stringa eterotica con gruppo di gauge SO(32) e HE quella con gruppo di gauge E8×E8. La superstringa di tipo I, in un certo senso la più ricca e profonda perché l'unica a contenere stringhe sia chiuse sia aperte, fu quindi abbandonata dai più, che per diversi anni dedicarono intensi sforzi al tentativo di collegare al Modello standard la stringa eterotica HE, che al tempo appariva particolarmente promettente.
Nell'interpretare la teoria delle stringhe come base per l'unificazione della gravità con le altre interazioni fondamentali, è necessario anzitutto collegarla alla nostra percezione di un Universo con tre dimensioni spaziali, e questo è possibile grazie al meccanismo di Kaluza e Klein. L'Universo potrebbe infatti contenere alcune dimensioni che si sono cristallizzate su scale microscopiche nei primi istanti dell'espansione cosmologica, ma sia la relatività generale sia la teoria delle stringhe non sono apparentemente in grado di fornirci ragioni sul perché questo sia avvenuto. Non esiste infatti, in relatività generale, un concetto generale di energia associato allo spazio-tempo che consenta di ordinare diverse scelte inequivalenti, per esempio, con numeri diversi di dimensioni spaziali macroscopiche, e l'attuale comprensione della teoria delle stringhe non consente di superare questa cruciale difficoltà dei meccanismi di compattificazione. Dare un senso di necessità alla scelta di un Universo con tre dimensioni spaziali macroscopiche è forse la sfida più importante che dovrà essere affrontata nei prossimi anni, ma è comunque possibile esplorarne le conseguenze nella teoria delle stringhe, illuminando al contempo le sue potenzialità. Queste ricerche hanno seguito due linee ben distinte, collegate rispettivamente alla supergravità di bassa energia e alla teoria completa. Nel primo caso Phillip Candelas, Gary T. Horowitz, Andrew Strominger e Witten hanno mostrato già nel 1985 che ampie classi di soluzioni delle equazioni della supergravità, note come 'spazi di Calabi-Yau', producono universi con tre dimensioni spaziali macroscopiche che esibiscono diverse caratteristiche del Modello standard, e caratteristiche simili sono poi emerse anche da soluzioni complete della teoria delle stringhe, disponibili però soltanto per spazi interni particolarmente semplici (orbifolds), introdotti in questo contesto da Lance Dixon, Jeffrey A. Harvey, Cumrun Vafa e Witten.
Lo sviluppo di questi metodi ha permesso di esplorare con successo ampie classi di modelli con tre dimensioni spaziali macroscopiche, grazie principalmente ai contributi di Kumar S. Narain, Ignatios Antoniadis, Costas Bachas, Costas Kounnas, Hikaru Kawai, David Lewellen, S.-H. Henry Tye, Wolfgang Lerche, Dieter Lust e Bert Schellekens. In tal modo è stato anche possibile giungere ad alcune conclusioni generali. Nelle stringhe eterotiche HE e HO la descrizione della gravità con il corretto valore di GN richiede inevitabilmente che ℓs∼ℓPl∼10−35 m, rendendo le eccitazioni di stringa inaccessibili. Gli attuali acceleratori esplorano infatti distanze d∼10−18 m, e nessuna tecnologia concepibile potrà fornire informazioni dirette sulla scala di Planck.
Il comportamento delle teorie con stringhe aperte, che è andato delineandosi a partire dalla fine degli anni Ottanta, ha introdotto notevoli sorprese in questo contesto, suggerendo anche scenari nei quali alcune conseguenze della teoria delle stringhe potrebbero manifestarsi già nella prossima generazione di acceleratori.
Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, lo studio della supergravità aveva già evidenziato che i toni puri delle stringhe non esauriscono le particelle corrispondenti. Questo tipo di situazione si realizza anche in altre teorie ben più semplici, nelle quali le usuali particelle sono accompagnate da altre molto massive, dette 'solitoni', sorprendentemente stabili perché dotate di opportune cariche conservate che ne impediscono la disintegrazione. Un esempio notevole, il monopolo di 't Hooft-Polyakov, è una particella molto massiva dotata di carica magnetica presente in alcune estensioni del Modello standard. Anche se a tutt'oggi nessun monopolo magnetico è stato rivelato, ricerche di questo tipo sono perseguite con insistenza da anni in diversi laboratori nel mondo.
I vari modelli della teoria delle stringhe ammettono diversi tipi di solitoni, che sono essi stessi oggetti estesi: non semplicemente stringhe, ma piuttosto membrane generalizzate con vari numeri p di dimensioni spaziali, dette comunemente p-brane, lo studio delle quali ha coinvolto molti ricercatori, tra i quali E. Bergshoeff, C. Callan, Michael J. Duff, Harvey, Chris Pope, Soo-Joung Rey, Ergin Sezgin, Strominger e Paul K. Townsend. Uno sviluppo collegato, anche se ottenuto con metodi diversi, ha evidenziato la natura del modello di tipo I con stringhe aperte e chiuse, che può essere visto come il risultato di un inusuale meccanismo di Kaluza-Klein operante nel modello IIB di sole stringhe chiuse. Questa costruzione, detta 'orientifold', proposta nel 1987 da chi scrive e analizzata all'Università di Roma 'Tor Vergata' anche da Massimo Bianchi, Gianfranco Pradisi, Yassen S. Stanev e Carlo Angelantonj nel decennio successivo, unifica le teorie I e IIB, riducendo a quattro i tipi di superstringhe. Procedendo in modo indipendente, verso la metà degli anni Novanta Joseph Polchinski, traendo anche spunto da contributi precedenti di J. Dai, R.G. Leigh e Michael B. Green, ha associato gli estremi delle stringhe aperte a ulteriori tipi di solitoni, detti Dp-brane, sui quali essi sono di fatto confinati, identificando anche le cariche che garantiscono la loro stabilità. Un osservatore che vivesse in una generica p-brana percepirebbe naturalmente la presenza di particelle di spin zero associate alle sue vibrazioni nello spazio ambiente, ma le Dp-brane possono dar luogo a una simile percezione di fotoni, bosoni W e gluoni. In realtà, un'opportuna collezione di Dp-brane con p≥3 potrebbe ospitare tutti i tipi di particelle del Modello standard ed essere essa stessa l'intero Universo accessibile alle interazioni deboli, forti ed elettromagnetiche.
In scenari di questo tipo, noti come 'brane worlds', la costante di Newton GN sarebbe il risultato di una media sulle ulteriori dimensioni accessibili alla sola forza di gravità. Non è possibile escludere che queste ulteriori dimensioni siano sorprendentemente grandi, perché una serie di difficoltà tecniche rende impossibile, allo stato attuale, esplorare la forza di gravità a distanze inferiori a 10−4 m. In altri termini, come proposto alla fine degli anni Novanta da Antoniadis, Nima Arkani Hamed, Savas Dimopoulos e Georgi Dvali, non solo l'Universo potrebbe essere una collezione di brane che fluttua in un bagno di gravità, ma alcune dimensioni spaziali esterne alle brane dove sono confinati i campi di gauge e la materia, direttamente accessibili soltanto alla gravità, potrebbero anche essere macroscopiche. Nell'analogia con le onde radio discussa in precedenza, in questo scenario la galleria delle dimensioni aggiuntive sarebbe ampia e capiente, ma i nostri generatori non sarebbero in grado di introdurvi onde a causa dell'estrema debolezza della forza gravitazionale tra particelle elementari a energie inferiori alla scala di Planck. Un semplice argomento di analisi dimensionale suggerito dalla relatività generale mostra che in questi scenari n ulteriori dimensioni circolari di raggio R potrebbero occultare una scala fondamentale MPl,n in 3+n dimensioni spaziali di 1000 GeV soltanto, evidenziando invece una scala di Planck effettiva MPl∼1019 GeV, già se
una possibilità non esclusa se n≥2, cioè se fossero presenti almeno due ulteriori dimensioni macroscopiche.
La prossima generazione di acceleratori sarà in grado di fornire utili indicazioni in tal senso, ma è opportuno ricordare che l'attuale comprensione della teoria delle stringhe non fornisce ragioni per escludere altri scenari, meno interessanti dal punto di vista sperimentale, con valori più alti di MPl,n, nei quali questi effetti sarebbero fuori dalla portata dei prossimi esperimenti.
L'esistenza dei vari solitoni e delle loro eccitazioni, lungi dall'essere una complicazione, semplifica la teoria delle stringhe, perché rende le cinque superstringhe IIA, IIB, I, HE e HO tra loro equivalenti, compensando di fatto le differenze esistenti tra i loro toni puri. L'unificazione di questi modelli è un risultato di valore concettuale straordinario, ottenuto verso la metà degli anni Novanta con contributi sostanziali di vari autori, tra i quali Duff, Anna Maria Font, Lust, Luis E. Ibáñez, Fernando Quevedo, Townsend e Chris M. Hull, ma dovuto principalmente alla profonda sintesi operata da Witten. Al momento non esistono però argomenti ugualmente convincenti che colleghino le cinque superstringhe con la stringa bosonica, anche se da tempo esistono interessanti suggerimenti in tal senso, e quindi il procedimento di unificazione non può considerarsi del tutto concluso.
La teoria delle stringhe finì comunque per stupire nuovamente gli addetti ai lavori quando Townsend e Witten riuscirono a collegare i cinque modelli in dieci dimensioni, ormai inequivalenti, alla supergravità in undici dimensioni. A fronte di questi sviluppi, si è dunque giunti a una situazione in qualche modo paradossale. Da una parte, l'equivalenza sostanziale tra le cinque superstringhe giustifica la convinzione di aver identificato indirettamente una teoria unica, detta comunemente 'M teoria', in grado di fornire una descrizione esauriente delle interazioni fondamentali sulla base di pochi principî essenziali. Dall'altra parte, tali equivalenze inducono almeno a una certa cautela, in quanto il vertice 11D nella fig. 9 non corrisponde a un modello di stringhe. La situazione ricorda quella vissuta dai padri della fisica moderna all'inizio del secolo scorso, quando le tecniche di calcolo disponibili consentivano già di descrivere accuratamente gli spettri atomici, ma mancavano ancora i principî della meccanica quantistica. In altri termini, è possibile intravedere diversi elementi molto incoraggianti, ma ogni esperto del campo incontrerebbe oggi serie difficoltà nel definire i principî alla base della teoria delle stringhe.
È stato comunque possibile esplorare alcune predizioni della teoria delle stringhe in altri ambiti, ottenendo risultati per molti versi inattesi. Una situazione di questo tipo è legata al problema dell'entropia dei buchi neri. Queste soluzioni classiche della relatività generale, simili per certi versi ai solitoni già descritti, sono caratterizzate da campi gravitazionali tanto intensi da isolare il loro interno dallo spazio circostante. Tutto cade in un buco nero, anche la luce, e quindi nessun tipo di segnale può uscire dal suo interno attraverso l'orizzonte che lo delimita. In realtà la meccanica quantistica modifica questo stato di cose, perché le fluttuazioni introdotte dal principio di indeterminazione consentono la dispersione attraverso l'orizzonte di uno spettro termico di radiazione, predetto nel 1974 da Stephen Hawking, e quindi anche l'evaporazione dei buchi neri per effetti quantistici (fig. 10). Questa emissione spontanea associa a un buco nero di massa M la temperatura di Hawking TH∼1/M, e quindi, come inizialmente proposto da J. Bekenstein, un'entropia.
L'entropia è in generale una misura del disordine di un sistema: per esempio, in un gas essa dà conto del fatto che, anche fissando le grandezze macroscopiche rilevanti, ossia pressione, volume e temperatura, i moti microscopici delle molecole che contribuiscono a determinarle restano incontrollabili. In accordo con la formula di Boltzmann
[11] S=kBlogW,
dove kB=1,38∙10−23 J/K è la costante di Boltzmann, l'entropia S misura quindi il numero W di 'microstati' corrispondenti a un dato 'macrostato'. Nella fisica dei buchi neri il problema consisteva appunto nell'identificare quali fossero i microstati responsabili dell'entropia, sulla cui natura la relatività generale non fornisce alcuna indicazione. Seguendo i contributi di Ashoke Sen, Vafa, Strominger e altri, per una classe di buchi neri resi particolarmente semplici dalla supersimmetria è stato possibile ottenere un risultato di grande valenza concettuale, identificando precisamente questi microstati con opportune eccitazioni di stringa nell'intorno dell'orizzonte e collegando quindi l'entropia di Bekenstein-Hawking ai principî della meccanica statistica.
L'introduzione della QCD ha consentito di descrivere in modo molto efficiente gli urti tra quark ad alte energie, ma ha posto il problema di giustificare teoricamente il loro confinamento all'interno degli adroni. Anche se un'analisi quantitativa presenta enormi difficoltà, il fenomeno appare naturale (figg. 5 e 11) se i quark sono legati tra loro da fasci di linee di forza compresse dalle interazioni forti della QCD in corde di spessore finito Δ≤10−15 m. Si è quindi tentato a lungo di derivare dalla QCD una teoria effettiva di queste stringhe 'spesse', ma un preciso legame tra le teorie di gauge e le stringhe è apparso a lungo elusivo, anche se nel limite di 't Hooft, ottenuto estendendo i tre colori della QCD a un numero N arbitrariamente grande. La teoria di Yang-Mills esibisce alcune chiare similitudini qualitative con le stringhe.
Nel 1997 Juan M. Maldacena ha proposto una sorprendente corrispondenza quantitativa di questo tipo tra la superstringa IIB in cinque dimensioni, su uno spazio-tempo curvo (AdS5×S5, il prodotto diretto di uno spazio di anti- de Sitter in 5 dimensioni e di una sfera in 5 dimensioni), e una teoria di Yang-Mills sul suo bordo, identificabile con l'usuale spazio di Minkowski in quattro dimensioni. Il legame risultante tra gravità e teorie di gauge riflette una profonda corrispondenza tra le stringhe chiuse, le cui eccitazioni di bassa energia includono i gravitoni, e le stringhe aperte, che hanno un simile legame con la teoria di Yang-Mills, ma il problema è in realtà molto complesso e la corrispondenza è pienamente sotto controllo solo in pochi casi di teorie con supersimmetria, che peraltro non esibiscono il fenomeno del confinamento. La corrispondenza è particolarmente semplice per la n=4 Yang-Mills, un esempio notevole di teoria con invarianza conforme (CFT). È comunque possibile associarle un'immagine suggestiva e sostanzialmente corretta: le fluttuazioni di stringhe infinitamente sottili che dal bordo di AdS5 penetrano al suo interno fanno sì che, per un osservatore in grado di rilevare solo l'ombra che esse lasciano in media nel nostro spazio-tempo, queste sembrino possedere un effettivo spessore (fig. 12). In tal modo le corde di spessore finito della QCD possono essere collegate, seppure in modo indiretto, a quelle idealmente sottili della teoria delle stringhe, e la supergravità può fornire importanti indicazioni sul comportamento delle interazioni di Yang-Mills.
La teoria delle stringhe elimina il problema ultravioletto della relatività generale diluendo l'energia delle particelle su oggetti estesi e le sue diverse manifestazioni sono riconducibili a un unico principio, detto 'M teoria'. Questa non è però direttamente connessa soltanto alle stringhe, ma piuttosto a diversi tipi di p-brane. Esiste quindi una notevole fiducia nelle prospettive di queste costruzioni unitamente alla convinzione che non si sia ancora giunti a definirne pienamente i principî, il che rende la ricerca attuale nel campo ancora più interessante.
È bene mettere in evidenza che a tutt'oggi non esistono dati sperimentali che rendano imperativo il ricorso alla teoria delle stringhe, che resta pertanto un'elegante quanto ponderosa speculazione teorica. Le cause di questa situazione vanno ricercate in parte nella difficoltà di effettuare esperimenti convenzionali nella fisica delle particelle elementari (per es., per motivi tecnici legati alla costruzione di un nuovo acceleratore, sei o sette anni almeno separeranno gli ultimi esperimenti effettuati al CERN da quelli della prossima generazione), e in parte nelle difficoltà di carattere matematico che si incontrano nell'analizzare la teoria delle stringhe. Per esempio, gli sviluppi più promettenti sono basati sulla supersimmetria, che semplifica notevolmente le equazioni risultanti, eliminando però una serie di caratteristiche che si presentano inevitabilmente in un confronto quantitativo con il Modello standard. In ogni caso, la ricchezza dei concetti coinvolti e il loro legame con profondi aspetti della matematica contemporanea rende lo studio della teoria delle stringhe una delle più affascinanti sfide intellettuali che la scienza si sia trovata ad affrontare, e indirettamente ha già contribuito in modo sostanziale a una comprensione più profonda dei concetti alla base della teoria quantistica dei campi e dello stesso Modello standard.
È ragionevole prevedere che nei prossimi anni ricerche legate alla natura del 'vuoto', e in particolare ai criteri di scelta delle dimensioni aggiuntive, avranno un ruolo preminente nella teoria delle stringhe. In generale, le fluttuazioni quantistiche introdotte dal principio di indeterminazione conferiscono al vuoto un ruolo importante in meccanica quantistica, e problemi di questo tipo si presentano anche nel Modello standard, dove un condensato bosonico responsabile della natura a corto raggio delle interazioni deboli implica l'esistenza di una particella di spin zero e massa M∼120 GeV, il bosone di Higgs, la cui scoperta sarebbe l'ultimo anello mancante nella verifica delle sue predizioni centrali. Questo meccanismo di 'rottura spontanea di simmetria' suggerisce la possibilità di comprendere in termini non troppo dissimili la natura delle eccitazioni massive delle stringhe, la cui scala caratteristica ℓs potrebbe anch'essa emergere da un opportuno condensato. Un altro problema ugualmente importante è legato alle energie di vuoto prodotte dalla formazione di condensati di questo tipo o dalla nucleazione di p-brane. Si tratta di fenomeni che ricordano in qualche modo la transizione liquido-vapore, ma in una teoria della gravità le energie risultanti curvano lo spazio-tempo, e tipicamente in modo eccessivo per la dinamica cosmologica. Non è chiaro se e come la teoria delle stringhe potrà essere d'aiuto nella comprensione di questo 'problema della costante cosmologica', legato all'esiguità della curvatura media dell'Universo che viene rilevata in cosmologia, ma anche, a un livello più strettamente tecnico, come essa sia in grado di convivere con i meccanismi che la generano.
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