La grande scienza. Neurofisiologia
Neurofisiologia
La neurofisiologia è una disciplina scientifica relativamente giovane dal punto di vista delle metodologie impiegate. Le tematiche affrontate, tuttavia, hanno radici antiche nel pensiero filosofico. Lo studio dei rapporti tra il comportamento animale, e più in particolare di quello umano, l'attività intelligente e cosciente da un lato e le basi fisiche e biologiche corrispondenti a tali funzioni e attività dall'altro, ha stimolato la riflessione dei pensatori di ogni epoca. Non deve destare sorpresa riconoscere in molti dei problemi più attuali della neurofisiologia contemporanea una rivisitazione di quelli già posti nel passato. Naturalmente la rivisitazione avviene in forme moderne, anche in relazione alla multidisciplinarietà degli approcci seguiti. La terminologia impiegata per descrivere i problemi affrontati è spesso legata ai neologismi dettati da metafore mutuate di volta in volta dai processi meccanici, cibernetici o informatici, oppure da quelli più recenti dell'intelligenza artificiale e della robotica. Tuttavia è sempre possibile rintracciare il sottile filo rosso che lega i temi della riflessione contemporanea con le sue radici storiche. Questo legame profondo dimostra la ricchezza e la profondità del pensiero filosofico del passato. Una volta riconosciuti i suoi debiti storici, è doveroso sottolineare come la neurofisiologia contemporanea sia stata in grado di risolvere alcuni problemi che erano stati prima soltanto enunciati e soprattutto come essa appaia oggi vicino alla soluzione di molti dei problemi fondamentali. Data la vastità della disciplina in quest'ambito saranno trattati soltanto alcuni argomenti nei quali i legami e le fratture concettuali con il pensiero storico emergono più chiaramente (Lacquaniti 1998). In particolare saranno considerati gli sviluppi della neurofisiologia delle funzioni integrate del sistema nervoso centrale (SNC).
Le acquisizioni degli ultimi anni si sono avvalse di molti nuovi sviluppi metodologici significativi. La psicofisica nell'uomo (ossia la scienza delle misure quantitative delle risposte sensoriali o motorie evocate da determinati stimoli) si è arricchita di sofisticati metodi statistici per l'analisi del comportamento percettivo e motorio nelle condizioni più naturali possibili, così da evitare i condizionamenti derivanti da vincoli sperimentali troppo stretti e artificiosi. L'elettrofisiologia sperimentale nell'animale (consistente nella registrazione dell'attività elettrica spontanea o evocata dei neuroni) si è sposata alle tecniche derivate dalla psicofisica per essere successivamente applicata allo studio dell'attività nervosa nell'animale sveglio durante l'esecuzione di vari compiti percettivi e motori. È poi divenuto possibile studiare nell'uomo anche le mappe anatomo-funzionali delle attività nervose corticali durante prove comportamentali specifiche mediate le nuove tecniche di neuroimaging funzionale, quali la tomografia a emissione di positroni (PET), la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e le mappe dei potenziali elettrici (EEG) e magnetici (MEG). Infine, lo studio delle proprietà integrate del SNC viene oggi condotto anche con approcci puramente teorici, basati sulla creazione di modelli di reti neuronali il cui comportamento viene simulato all'elaboratore elettronico.
Nell'uomo il sistema nervoso centrale comprende una rete di oltre 100 bilioni (1011) di cellule nervose interconnesse in sistemi molteplici e complessi che, nel loro insieme, concorrono a costruire le percezioni del mondo esterno, le azioni, le emozioni e il pensiero concreto e astratto. I problemi relativi alla modalità di costruzione degli atti mentali e alla loro organizzazione nel cervello, insieme alla relazione tra gli stati funzionali e l'organizzazione anatomica e strutturale del SNC sono affrontati nel corso dei secoli da due scuole di pensiero contrapposte, il cui rispettivo punto di vista è sintetizzabile in due diverse teorie. Una di queste afferma che ogni funzione cerebrale è localizzata in una ben definita regione del SNC (teoria della 'localizzazione'), mentre l'altra considera le funzioni cerebrali distribuite a tutta o a larga parte della rete neuronale che definisce il SNC (teoria della 'equipotenzialità' o della 'delocalizzazione'). Da un punto di vista eminentemente speculativo tali teorie contrapposte si collegavano, all'origine, con le problematiche teoriche del vitalismo e del materialismo, attraverso una serie di intrecci complessi; in questo contesto è interessante sottolineare la matrice di natura anche ideologica dei due punti di vista contrapposti e le importanti implicazioni attinenti al dibattito sull'unità oppure dualità tra mente e cervello. Sotto il profilo più squisitamente pratico-applicativo della clinica neurologica le opposte teorie conducevano ad approcci molto diversi nei metodi e nei risultati.
Ancorché la teoria della 'localizzazione' delle funzioni cerebrali fosse già presente in nuce nel pensiero di studiosi dei secoli precedenti (per es., René Descartes), agli inizi dell'Ottocento Franz Joseph Gall (1758-1828) ne fornì un'elaborazione originale. Sulla base delle sue osservazioni anatomiche riguardanti la destinazione di diversi sistemi di fibre nervose nella corteccia degli emisferi cerebrali, egli sviluppò la convinzione che le circonvoluzioni cerebrali fossero la sede delle varie facoltà psichiche dell'uomo. Sostenne poi l'esistenza di una regione cerebrale specifica per ciascuna facoltà. Lo sviluppo particolare di una determinata facoltà comporterebbe la prominenza della regione cerebrale corrispondente e, quindi, del cranio. Fu così fondata la 'frenologia', popolarmente conosciuta come 'teoria dei bernoccoli'. Sempre agli inizi dell'Ottocento, Marie-Jean-Pierre Flourens (1794-1867) sottopose le ipotesi di Gall ad analisi empirica. Rimuovendo parti diverse del SNC in animali da esperimento e osservando il comportamento risultante, egli giunse alla conclusione che l'asportazione di ogni singola parte della materia cerebrale determinava sì effetti specifici ma al tempo stesso anche un deficit generalizzato nelle funzioni di altre aree. Nel complesso i suoi studi lo portarono a concludere che "tutte le percezioni e tutti gli atti volontari occupano la stessa regione degli organi cerebrali". Nel 1861, grazie agli studi di Pierre-Paul Broca (1824-1880), si valorizzò nuovamente la teoria della 'localizzazione'. Egli studiò due pazienti che avevano perduto quasi completamente l'uso della parola, ed esaminandone i cervelli post mortem riscontrò in entrambi la presenza di lesioni in corrispondenza della circonvoluzione frontale inferiore dell'emisfero sinistro (area successivamente denominata di Broca in suo onore) e concluse che quell'area controlla direttamente il linguaggio (fig. I.B). Pochi anni più tardi Carl Wernicke (1848-1905) studiò i cervelli di pazienti affetti da afasia sensoriale, i quali, a differenza dei pazienti di Broca, potevano parlare ma non erano in grado di capire il significato delle parole. Wernicke concluse che l'afasia sensoriale era provocata da una lesione nella parte posteriore della circonvoluzione temporale superiore (detta successivamente area di Wernicke). Nel portare il suo contributo alla teoria della 'localizzazione' delle funzioni, Wernicke fu anche tra i primi a suggerire come essa dovesse essere modificata sostanzialmente per fare propri alcuni concetti caratteristici della teoria opposta. Egli sostenne che soltanto le funzioni basilari, per esempio quelle percettive o motorie, sono localizzate in regioni delimitate del cervello, mentre le funzioni cognitive e associative più complesse dipendono dalle interconnessioni tra molteplici regioni funzionali. Ritroviamo questo punto di vista (sostenuto da numerose evidenze sperimentali e da modelli teorici computazionali) nella teoria dei processi neuronali distribuiti propri delle reti neuronali (gli approcci 'connessionistici'). Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, Eduard Hitzig, Gustav Theodor Fritsch, David Ferrier e Charles Sherrington, utilizzando le tecniche di stimolazione elettrica della corteccia cerebrale dei lobi frontali, riuscirono a stabilire la cartografia di rappresentazione dei movimenti a livello della cosiddetta area motoria primaria della circonvoluzione frontale ascendente (o precentrale, fig. I.A). La rappresentazione corticale della sensibilità somatica venne invece assegnata alla circonvoluzione parietale ascendente (o postcentrale).
A mano a mano che altre funzioni erano assegnate a particolari regioni cerebrali, la teoria della 'localizzazione' tendeva ad assumere un'enunciazione così rigida da suscitare le reazioni di diversi neuroscienziati quali Henry Head, Ivan Pavlov e Karl Lashley, che furono nel secolo scorso i più accesi sostenitori della 'equipotenzialità' o 'delocalizzazione' funzionale. Infatti, Lashley basava le sue convinte teorie antilocalizzazionistiche su esperimenti di lesione del SNC condotti su ratti. Questi animali erano addestrati ad apprendere strategie spaziali per orientarsi in labirinti sperimentali e raggiungere così il cibo. Dopo svariati tentativi di lesione, dapprima selettiva e poi progressivamente più massiva, Lashley non riuscì a localizzare la capacità di apprendere questo compito in nessuna regione particolare del SNC, ma osservò invece che la gravità del deficit di apprendimento era direttamente proporzionale all'estensione anatomica della lesione (la cosiddetta 'legge d'azione di massa' della lesione).
Oggi sappiamo che nessuna delle due teorie è completamente esatta. Infatti, localizzazione e distribuzione delle funzioni sono due aspetti complementari dell'organizzazione del SNC. Ciascun emisfero cerebrale è principalmente coinvolto dai processi sensoriali e motori della metà controlaterale del corpo. Infatti, le informazioni sensoriali che arrivano al midollo spinale dalla metà sinistra del corpo passano (mediante la decussazione delle vie anatomiche relative) alla metà destra del SNC, per terminare nella corteccia cerebrale dell'emisfero destro. Analogamente i movimenti della metà sinistra del corpo sono controllati dalle aree motorie dell'emisfero cerebrale destro. Viceversa, la metà destra del corpo è rappresentata nell'emisfero sinistro, e similmente la metà destra (sinistra) dei campi visivi è rappresentata nell'emisfero sinistro (destro). Comunque, la simmetria dell'organizzazione emisferica cerebrale non è assoluta, poiché determinate funzioni sono distribuite in maniera asimmetrica o addirittura dominante in un emisfero. Così, per esempio, il linguaggio dipende principalmente dall'emisfero sinistro, come dimostrato dalle osservazioni pionieristiche di Broca e Wernicke precedentemente citate. In prima approssimazione si possono ascrivere determinate specializzazioni funzionali a ciascuno dei lobi che compongono gli emisferi cerebrali (fig. I.A). In questo modo il controllo del movimento e la pianificazione dei comportamenti futuri dipendono in buona misura dai lobi frontali, la sensibilità somatica e la costruzione dello schema corporeo (ossia la rappresentazione neuronale della posizione relativa di ciascun segmento corporeo) dai lobi parietali, mentre la visione è largamente legata ai lobi occipitali e l'udito ai lobi temporali. Le funzioni descritte non sono però appannaggio esclusivo di queste regioni, dal momento che si ha una loro distribuzione assai estesa a molte regioni, a volte lontane. Si deve anche notare come la distinzione classica tra aree corticali sensoriali, motorie e associative abbia perso oggi gran parte del suo significato. Infatti, sia a livello di aree tradizionalmente considerate sensoriali (per es., le aree visive occipitali) sia di aree associative (per es., le aree parietali posteriori), i segnali sensoriali sono combinati con quelli motori (come nel caso di segnali di posizione degli occhi). Al contrario, le aree del lobo frontale implicate nell'elaborazione dei segnali di comando motorio ricevono numerose informazioni sensoriali (somatiche e visive).
Secondo le acquisizioni più recenti anche funzioni quali il linguaggio, che si ritenevano localizzate in regioni limitate dell'emisfero cerebrale sinistro, sono in realtà distribuite in un'estesa e complessa rete neuronale appartenente a tale emisfero (fig. I.C). Questa rete coinvolge tre diversi livelli di organizzazione linguistica: un livello di implementazione, uno di mediazione e uno concettuale. Il sistema di implementazione analizza i segnali sensoriali in ingresso (visivi o uditivi), attiva i processi di analisi e categorizzazione concettuale linguistica e, infine, determina la costruzione fonetica/grammaticale e la fonoarticolazione. Il sistema di implementazione comprende le aree di Broca e di Wernicke, ma anche altre aree interconnesse tra cui l'insula e i nuclei della base (figg. I.B e C). Questo sistema è circondato, per così dire, dal sistema di mediazione con il livello gerarchicamente più elevato, cioè quello concettuale. Il sistema di mediazione comprende diverse aree sopramodali a livello frontale, parietale e temporale dell'emisfero sinistro. Invece, il sistema concettuale è distribuito su vaste porzioni della restante parte della corteccia di sinistra.
Attualmente in luogo dell'espressione 'localizzazione di funzione' si preferisce usare quella di 'specializzazione funzionale'. Il substrato anatomico di una determinata funzione spesso coinvolge numerose regioni diverse specializzate, la cui unione è mediata da processi specifici d'integrazione funzionale (riportate nella classificazione citoarchitettonica di Korbinian Brodmann). Specializzazione e integrazione (o associazione) sono due aspetti complementari dello scenario complessivo, dove un ruolo fondamentale nell'integrazione dei sistemi è svolto dalle modalità di connessione reciproca tra aree cerebrali diverse. Tali connessioni reciproche rispettano in maniera sistematica il principio della segregazione funzionale: neuroni con proprietà funzionali comuni tendono a essere raggruppati insieme. Per esempio, l'area visiva secondaria V2 localizzata nel lobo occipitale dimostra un'architettura ben ordinata costituita da strisce spesse, strisce sottili e zone intermedie. Le registrazioni elettrofisiologiche ottenute da singoli neuroni rivelano che le cellule selettive per la direzione (ma non per la lunghezza d'onda o il colore) degli stimoli visivi si trovano esclusivamente nelle strisce spesse. Le connessioni cortico-corticali estrinseche fanno comunicare aree corticali distinte (mentre le connessioni intrinseche sono confinate al mantello corticale locale) e danno luogo a un'organizzazione gerarchica formata da collegamenti anterogradi e retrogradi. Le connessioni anterograde sono topograficamente ben organizzate e forniscono segnali guida che impegnano, per così dire, i neuroni destinatari a risposte preimpostate dalla configurazione degli stimoli in ingresso al sistema. Quindi queste connessioni promuovono la segregazione delle informazioni sensoriali. Al contrario, le connessioni retrograde possiedono una topografia diffusa e modulano le risposte delle aree situate a un livello gerarchico inferiore rispetto all'area d'origine. Queste ultime connessioni svolgono un ruolo cruciale nel determinare effetti di contesto per l'elaborazione dei segnali sensoriali (Friston 2002).
Secondo una legge classica della fisiologia enunciata da Johannes Peter Müller (1801-1858) nel 1826, gli stimoli fisici corrispondenti a modalità sensoriali diverse (tatto, vista, udito, e così via) sono codificati lungo vie nervose distinte, specifiche per ciascuna modalità sensoriale considerata; si tratta della 'legge delle energie sensoriali specifiche'. Questa specificità funzionale è preservata lungo tutto il decorso delle vie sensoriali corrispondenti, a partire dai recettori periferici sino ai centri corticali di integrazione. Negli ultimi anni, le nozioni classiche sulla legge delle specificità sensoriali sono state notevolmente modificate con la scoperta dell'esistenza di un'organizzazione modulare, frazionata all'interno di ciascuna via sensoriale. Il concetto moderno dell'organizzazione modulare riveste un duplice significato, funzionale e anatomico. In un sistema modulare parametri distinti, quali i vari attributi fisici degli stimoli sensoriali, sono codificati in canali (moduli) parzialmente oppure totalmente separati. La modularità di funzione sembra essere ubiquitaria a livello delle funzioni nervose, essendo stata riscontrata sinora in tutti i sistemi. Inoltre, essa è presente in molti livelli diversi della scala filogenetica, dai vertebrati inferiori sino all'uomo. Sulla base di considerazioni evolutive, è stato ipotizzato che la segregazione funzionale possa offrire cospicui vantaggi di efficienza computazionale all'interno di sistemi nervosi con organizzazione parallela e distribuita. Di seguito saranno descritti gli aspetti salienti della modularità funzionale, prendendo spunto dal problema del controllo corticale della coordinazione visuomotoria; questo è infatti un campo d'indagine neurofisiologica nel quale in questi ultimi anni sono stati ottenuti importanti progressi.
Si deve considerare che ogni oggetto visivo è percepito mentalmente in modo unitario. Per esempio, una rosa rossa a due metri di distanza dà luogo a una rappresentazione mentale univoca; infatti, forma, colore e distanza non appaiono come attributi separabili dell'immagine in questione. Dal punto di vista dei meccanismi neuronali implicati nella genesi di questa percezione, però, le diverse caratteristiche fisiche di un dato stimolo sono elaborate separatamente in moduli nervosi notevolmente distinti e sono ricombinate mediante meccanismi di sincronizzazione spazio-temporale.
Nel considerare l'organizzazione modulare delle vie visive, occorre distinguere tra vie precorticali e cortico-corticali. Le prime raccolgono ed elaborano gli stimoli visivi a livello retinico e inviano informazioni nervose ai corpi genicolati laterali del talamo, e da qui alla corteccia calcarina. A livello precorticale esiste una elaborazione visiva precoce dei diversi attributi degli stimoli visivi: luminanza (intensità luminosa), colore, trama, profondità e movimento. Sono state identificate due vie retino-genicolate distinte: la via P (corrispondente alle sottodivisioni parvocellulari del corpo genicolato laterale) e la via M (sottodivisioni magnocellulari). La specializzazione funzionale di queste due vie è ben dimostrata dall'effetto di lesioni che interessano selettivamente l'una o l'altra via. Infatti, lesioni della via P comportano una perdita completa della visione dei colori e una riduzione dell'acutezza visiva per gli stimoli ad alta frequenza spaziale (righe sottili) e a bassa frequenza temporale (stimoli stazionari o a bassa velocità di movimento). Diversamente, funzioni di più alto livello, come la discriminazione di forma e la stereoscopia, sono influenzate soltanto parzialmente da queste lesioni. Lesioni della via M non influiscono sull'acutezza visiva e la visione dei colori, ma riducono drasticamente la sensibilità visiva a frequenze spaziali basse e a frequenze temporali elevate.
A livello della corteccia cerebrale esistono oltre 30 aree anatomiche diverse deputate all'analisi visiva. Nonostante l'elevato grado d'interconnessione cortico-corticale tra queste aree, è possibile identificare due grandi sistemi di elaborazione visiva: la via a decorso ventrale e quella a decorso dorsale, entrambe con partenza dall'area visiva primaria (area V1 nella corteccia calcarina occipitale). La via dorsale è alimentata in maniera dominante, ma non esclusiva, dal sistema precorticale M. Essa è sostanzialmente implicata nell'analisi degli aspetti spaziali ed è stata definita la via del 'dove', perché contribuisce a determinare la posizione e il movimento degli stimoli. Essa decorre dal lobo occipitale (aree V2, V3) a quello parietale (aree MT, MST, PO, VIP, LIP, MIP, 7a) ed è interconnessa con le aree parietali di sensibilità somatica e propriocettiva (aree 3, 1, 2, 5 della classificazione citoarchitettonica di Brodmann) e con le aree motorie frontali (aree 4, 6, 8) e prefrontali dorsali (aree 9, 10, 46). Le interconnessioni tra regioni deputate alla sensibilità visiva e somatica da un lato, e regioni deputate al controllo della motricità dall'altro, permettono di comprendere il ruolo fondamentale svolto dalla via dorsale nella coordinazione visuo-somato-motoria, quale quella necessaria ai movimenti di raggiungimento e afferramento manuale degli oggetti. Al contrario, i collegamenti con le aree prefrontali stanno alla base dei processi di memoria visuospaziale a breve termine.
La via ventrale è implicata soprattutto nell'analisi della forma e del colore ed è stata definita la via del 'che cosa', perché contribuisce al riconoscimento della natura e della funzione di un determinato oggetto. Essa è alimentata sia dal sistema P sia dal sistema M. Decorre dal lobo occipitale (aree V2, V4) al lobo temporale (aree PIT, CIT, AIT) ed è interconnessa con aree prefrontali ventrali (aree 11, 12, 13). Un aspetto sorprendente della specializzazione funzionale è costituito dal fatto che, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, una rappresentazione nervosa completa tridimensionale di un determinato oggetto (rappresentazione adatta al riconoscimento di un oggetto indipendentemente dal punto di osservazione specifico) non sembra esistere né a livello dei singoli neuroni della corteccia temporale né a livello globale del comportamento rilevato mediante tecniche psicofisiche. Rappresentazioni interne relative a punti di vista bidimensionali multipli sarebbero invece memorizzate nelle aree temporali, e il riconoscimento cognitivo globale dell'oggetto, unitamente alla percezione tridimensionale, avverrebbero mediante un processo di confronto iterativo ed estrapolazione a partire da queste rappresentazioni parziali.
Bisogna peraltro notare come, a dispetto dell'apparente dicotomia organizzativa suggerita dalle osservazioni riportate finora, la separazione funzionale non sia così assoluta come si pensava fino a pochi anni fa. Infatti, le tecniche psicofisiche più moderne sono in grado di evidenziare un certo grado di interdipendenza nella elaborazione di attributi diversi degli stimoli visivi. Per esempio, mentre prima si pensava che il colore non contribuisse a generare sensazioni di movimento, sappiamo oggi che il movimento di un determinato oggetto su uno sfondo della medesima intensità luminosa ma di colore diverso dall'oggetto, è rilevabile percettivamente. Queste interdipendenze misurabili a livello comportamentale hanno una precisa base anatomo-funzionale: sia la via corticale dorsale (vd) sia quella ventrale (vv) sono alimentate simultaneamente, anche se in misura diversa, da entrambi i due sistemi precorticali, il sistema P e M. Inoltre le due vie corticali, benché anatomicamente distinte, presentano un elevato grado di interconnessione: all'interno di V1 e di V2 (comuni a vd e vv), tra MT (appartenente a vd) e V4 (vv), LIP (vd) e PIT (vv), 7a (vd) e AIT (vv).
Un problema importante legato al trattamento frazionato e modulare dei parametri fisici riguarda la natura dei meccanismi nervosi mediante i quali il cervello costruisce una rappresentazione interna unitaria dell'oggetto in questione. Questi meccanismi devono essere in grado di stabilire un legame funzionale (binding) tra i sottosistemi neuronali che elaborano la posizione spaziale dello stimolo e quelli che ne elaborano l'orientamento, la profondità, la forma, il colore, e così via. Si ritiene oggi che tale binding possa essere sotteso da meccanismi di rilevamento delle caratteristiche di coincidenza temporale della scarica neuronale. In particolare, attività di scarica neuronale sincronizzate a frequenze ben definite stabiliscono un codice di appartenenza al medesimo oggetto. Così, per esempio, la risonanza a una certa frequenza di neuroni di aree corticali anche lontane tra loro ma interconnesse, e ciascuna deputata all'analisi di un determinato parametro dello stimolo, stabilisce l'unitarietà della percezione dell'oggetto e, probabilmente, anche la relativa coscienza.
In quale misura la percezione sensoriale dipende dagli stimoli esterni e in quale invece dalle rapprentazioni interne mentali? Il dibattito tra i sostenitori della percezione diretta (bottom-up) e quelli della percezione indiretta, costruita dai livelli nervosi superiori (top-down), è annoso come la controversia relativa alle teorie della localizzazione delle funzioni. Il punto di vista moderno è sorprendentemente vicino a quello elaborato da Hermann von Helmholtz (1821-1894) a metà dell'Ottocento. Partendo dall'analisi di come l'apparato visivo generi le sensazioni distinte dei colori e l'apparato uditivo le sensazioni distinte di toni di differente altezza, Helmholtz respinse il punto di vista naturalistico e innatistico secondo il quale le qualità delle sensazioni ci forniscono l'impressione vera delle corrispondenti qualità del mondo esterno. Egli argomentò invece che le differenze tra le varie sensazioni non dipendono dalla natura degli oggetti esterni percepiti, ma soltanto dalle connessioni centrali dei nervi di senso stimolati (Mondella 1977). Questa estensione della teoria di Müller dell'energia specifica dei nervi aveva profonde implicazioni concernenti il dibattito in esame. Infatti Helmholtz pervenne alla conclusione che le sensazioni non sono immagini del mondo esterno, alla stregua di rappresentazioni puramente imitative come una statua che rappresenti fedelmente un uomo, ma sono segni di ciò che avviene fuori di noi. Secondo Helmholtz "ogni qualità o proprietà di una cosa è null'altro che la sua capacità di esercitare certi effetti sopra altre cose. Così quando parliamo del 'peso' di una cosa noi intendiamo la sua attrazione verso la 'terra'. Nello stesso modo noi possiamo chiamare 'blu' una sostanza, intendendo che noi parliamo della sua azione su un 'occhio' normale". Proseguendo in questa disamina, Helmholtz respinse la teoria innatistica della percezione spaziale, secondo la quale le caratteristiche spaziali del mondo esterno sono conferite direttamente alle eccitazioni sensoriali che si distribuiscono sulla retina, divenendo invece sostenitore della teoria empiristica, secondo la quale la percezione dello spazio è il risultato di un processo di apprendimento costruttivo. Tale processo avviene associando i segni che risultano dalla stimolazione di determinati punti della retina da parte di un ben preciso oggetto (l'immagine retinica) con i movimenti che noi siamo in grado di imprimere all'oggetto stesso mediante i nostri arti. Un bambino, ruotando in tanti modi diversi un oggetto, impara a riconoscere le differenti sensazioni visive che esso può provocare. Le sensazioni tattili e cinestesiche sul movimento dell'oggetto gli consentono successivamente di apprendere le associazioni tra i movimenti dell'oggetto e le modificazioni risultanti delle sensazioni visive. Queste considerazioni teoriche sono state recentemente riprese per sviluppare modelli computazionali basati su reti neuronali per simulare la coordinazione senso-motoria.
Un'applicazione moderna del punto di vista helmholtziano è venuta dalla scoperta dell'esistenza nel cervello di un modello interno delle leggi di Newton (McIntyre et al. 2001), utilizzato per la pianificazione dei nostri movimenti. Normalmente la preparazione di un atto motorio richiede l'esplorazione anticipatoria del futuro, nel senso che il cervello deve riconoscere in anticipo gli stati o le situazioni che dovranno avvenire, ma che non esistono ancora. L'anticipazione gioca un ruolo fondamentale nella nostra vita quotidiana, si pensi ad atti motori come quello di guidare l'automobile nel traffico cittadino, salire o scendere i gradini di una scala, arrestare o colpire una palla nel gioco, riprendere al volo un oggetto che ci sia sfuggito dalle mani. In tutti questi casi il nostro cervello deve essere in grado di prevedere con accuratezza la posizione, l'istante di tempo e la forza dell'eventuale collisione imminente. I tempi di reazione del sistema nervoso (dell'ordine delle centinaia di millisecondi) rendono tardivi e inappropriati quei movimenti che sono basati solo su informazioni che si riferiscono al passato e al presente.
Un parametro particolarmente importante nell'interazione con oggetti in movimento è il tempo di contatto, cioè l'intervallo di tempo che manca all'impatto tra il nostro corpo e l'oggetto. Come in un conto alla rovescia, un'azione anticipatoria sarà iniziata non appena il tempo di contatto stimato diventa minore di un certo valore limite. L'anticipazione motoria è compromessa da diverse lesioni o malattie neurologiche, quali il morbo di Parkinson, alcuni tipi di lesioni cerebellari o emisferiche cerebrali, oppure il morbo di Alzheimer. Tradizionalmente si riteneva che la stima del tempo di contatto e l'anticipazione motoria fossero effettuate semplicemente a partire dalle informazioni esterne del moto raccolte da organi di senso quali la vista o l'udito (teoria bottom-up). Ma non è così: tanto sono precisi i nostri sensi nella misura della posizione attuale di un oggetto in moto, quanto sono imprecisi invece nell'estrapolazione della posizione futura. Occorre invece un modello interno al cervello che attraverso determinati profili temporali di attività neuronale simuli in maniera predittiva un determinato comportamento fisico. Quando viene fornito il segnale opportuno al circuito neuronale del modello interno, esso è in grado di esplorare rapidamente il futuro in maniera anticipatoria e predire l'esito di un determinato avvenimento prima che esso si verifichi. Normalmente esistono modelli nervosi interni di fenomeni in qualche maniera prevedibili. La prevedibilità può essere insita in un fenomeno in ragione sia di leggi fisiche sia di ripetibilità biologica. Un modello interno può essere predeterminato su base genetica oppure essere costruito sulla base dell'esperienza, apprendimento e adattamento a situazioni nuove mai affrontate prima.
Le leggi della meccanica newtoniana dei corpi sono sicuramente tra le leggi fisiche di cui abbiamo un'esperienza più continua. Ma chi ci informa sulle leggi del moto? Normalmente le informazioni visive in tempo reale sulla velocità degli oggetti sono assai accurate, mentre le accelerazioni sono discriminate meno bene dal sistema visivo, e come già detto, l'estrapolazione sensoriale del moto futuro è affetta da incertezze. È stata così formulata l'ipotesi che il cervello debba 'supplementare' le informazioni sensoriali esterne con un modello neuronale interno delle leggi di Newton per stimare il tempo di contatto e sincronizzare i nostri movimenti con il moto degli oggetti esterni. Questa ipotesi ha ricevuto ampie conferme sperimentali in studi condotti sia in laboratorio sia su astronauti durante una missione spaziale in condizioni di microgravità. Si è visto che uno stesso modello interno delle leggi di Newton (in particolare della forza di gravità) può essere applicato sia a terra sia in assenza di gravità (quando il modello è chiaramente inappropriato), dimostrandone così la natura aprioristica.
La distinzione tradizionale tra funzioni sensoriali e funzioni motorie ha perso oggi gran parte del suo significato con la scoperta che la maggior parte delle regioni nervose centrali possiede caratteristiche miste, sensoriali e motorie. Un problema di grande attualità è invece quello di capire come vengano combinate le informazioni provenienti da organi di senso diversi per coordinare il movimento delle varie parti del corpo. Se da un lato l'integrazione multisensoriale offre sostanziali benefici nella precisione di misura, dall'altro essa genera problemi di armonizzazione tra i vari organi di senso estremamente complessi. Ogni canale sensoriale codifica una determinata informazione spaziale in maniera specifica, diversa da quella degli altri canali sensoriali. Consideriamo per primi quegli organi di senso, quali la vista, l'udito e l'apparato vestibolare, che si trovano all'interno del capo. La vista ci informa sulla posizione che un determinato oggetto ha rispetto alla nostra retina: la direzione verticale e orizzontale dell'oggetto sono definite dalle corrispondenti coordinate retiniche di proiezione geometrica dell'immagine rispetto al punto di fissazione centrale. L'udito fornisce informazioni spaziali specifiche per ogni data frequenza di un suono all'interno di un sistema di riferimento legato alla posizione delle orecchie. Il sistema otolitico vestibolare, invece, misura la direzione del capo e le accelerazioni lineari rispetto alla verticale della forza di gravità, e infine, i canali semicircolari, anch'essi facenti parte dell'apparato vestibolare, misurano le accelerazioni angolari nei tre piani ortogonali del labirinto. Di conseguenza, ogni qualvolta gli occhi si muovono all'interno delle orbite, le informazioni visive retino-centriche perdono l'allineamento con quelle uditive e vestibolari cranio-centriche. Le informazioni spaziali corrispondenti alla cinestesia (senso di posizione e movimento) del corpo e degli arti sono completamente diverse dalle precedenti, essendo centrate sul riferimento intrinseco ai muscoli e alle articolazioni. Le informazioni cutanee, infine, sono somatotopiche, cioè definiscono la posizione dello stimolo tattile rispetto alla superficie corporea.
Un'analoga complessità di informazioni spaziali si riscontra a livello dell'apparato motorio, infatti i movimenti più frequenti implicano la coordinazione spazio-temporale di molti segmenti corporei: gli occhi, il capo, il tronco e uno o più arti. Ancora una volta ci troviamo di fronte a codici spaziali di natura altamente eterogenea. I muscoli estrinseci oculari ruotano i globi oculari rispetto al capo, i muscoli del collo ruotano il capo rispetto al tronco, quelli delle braccia spostano l'arto rispetto alla spalla e infine i muscoli della mano controllano le articolazioni intrinseche delle dita. Ognuno di questi effettori controlla il movimento di un dato segmento corporeo rispetto a un punto ben determinato dello spazio corporeo, diverso da quello degli altri effettori muscolari.
Un cervello sano è sempre perfettamente in grado di coordinare la varietà degli apparati sensoriali e motori al fine di identificare in maniera univoca, priva di ambiguità, la posizione spaziale di un bersaglio e di impartire comandi motori univoci a tutti i muscoli implicati nell'azione (solo nell'arto superiore vi sono più di 50 muscoli diversi). Potremmo paragonare il cervello a un direttore d'orchestra: come quest'ultimo deve mantenere il ritmo e l'armonia degli strumenti orchestrali, così il cervello deve coordinare i nostri organi di senso e di moto. Occorre conoscere come avviene questa coordinazione. Due sono i principî fondamentali alla base della integrazione multisistemica e della coordinazione sensori-motoria: (1) la trasformazione delle informazioni in sistemi di riferimento comuni, intermodali; (2) l'analisi dei diversi parametri spaziali in moduli funzionalmente separati (Lacquaniti 1997). Nonostante questi due principî possano apparire in parziale contraddizione tra loro, essi sono invece componenti integrali di uno stesso processo; infatti, improntano l'organizzazione funzionale con una tale generalità all'interno del sistema nervoso di un dato organismo animale e con una tale ubiquità in specie animali diverse, da riflettere assai probabilmente sia ragioni evolutive sia di economia computazionale in un sistema altamente distribuito e parallelo quale è il sistema nervoso.
Abbiamo visto come le informazioni spaziali in ingresso e quelle in uscita dal SNC siano codificate nei sistemi di riferimento intrinseci a ciascun organo di senso o di moto. Questi sistemi sono dettati dalla particolare configurazione anatomo-funzionale del corrispondente epitelio sensoriale o apparato muscolare; per esempio, abbiamo riscontrato le coordinate retino-centriche a livello visivo, quelle dei canali semicircolari a livello vestibolare, quelle allineate con le direttrici di forza per i muscoli, eccetera. Nel corso dell'integrazione nervosa centrale, tuttavia, queste informazioni subiscono importanti trasformazioni derivanti dalla combinazione con altri segnali. Prenderemo ora in esame alcuni tra i numerosi possibili esempi di questo fenomeno, considerando in particolare due diversi sistemi sottocorticali e un sistema corticale di controllo del movimento.
Il collicolo superiore (corrispondente ai tubercoli quadrigemelli superiori del mesencefalo nei primati) svolge un ruolo essenziale nel controllo dei movimenti involontari di orientamento degli occhi e del capo, diretti verso uno stimolo esterno, sia esso visivo, uditivo o tattile. Il collicolo superiore riceve e integra informazioni spaziali dalle vie visive, uditive e somestesiche. La mappa visiva collicolare possiede un'organizzazione retino-topica (corrispondente alla topografia dei campi visivi) e ciò non sorprende; è curioso, invece, che anche le mappe uditiva e somestesica siano retino-topiche, ossia siano codificate nel sistema di riferimento proprio di una modalità sensoriale completamente diversa.
Le trasformazioni a cui vanno incontro le informazioni uditive prima di convergere sul collicolo, definendo questa mappa uditiva retino-topica, sono particolarmente interessanti da seguire. Queste trasformazioni esemplificano anche alla perfezione il principio di analisi modulare di parametri spaziali diversi. Alla periferia, le fibre del nervo uditivo provenienti dalla coclea convogliano informazioni relative alle caratteristiche temporali e di intensità di ogni determinata frequenza udibile di un determinato suono. A livello dei nuclei pontini di proiezione esistono neuroni specializzati per il confronto tra le informazioni che provengono dalle due orecchie. Così la differenza di tempo interauricolare specifica viene analizzata per ogni frequenza a livello del nucleo olivare mediale superiore, mentre la differenza di intensità interauricolare viene analizzata a livello del nucleo olivare laterale superiore. Poiché la direzione orizzontale (azimut) di uno stimolo uditivo è specificata dalla differenza di tempo interauricolare, mentre la direzione verticale (elevazione) dello stimolo è specificata dalla differenza di intensità interauricolare, questi due parametri spaziali si mantengono segregati in nuclei separati del tronco cerebrale e sono ricombinati insieme soltanto a livello della proiezione collicolare.
L'allineamento in registro delle varie mappe sensoriali collicolari si stabilisce nel corso dello sviluppo. Le proiezioni retino-collicolari sono predeterminate geneticamente e si stabiliscono nei primi mesi di vita seguendo marcatori molecolari. Queste proiezioni di origine visiva fungono da guida dominante anche per le proiezioni delle altre modalità sensoriali. Si è visto, infatti, che negli animali cresciuti al buio la mappa collicolare visiva è normale, mentre le altre mappe sensoriali sono gravemente alterate. Bisogna però notare come nell'animale adulto normale l'allineamento intermodale, precedentemente stabilitosi durante lo sviluppo, debba essere mantenuto costante mediante meccanismi che compensino per il movimento relativo dei diversi effettori, e quindi dei sensori in essi contenuti. Per esempio, i movimenti degli occhi oppure delle orecchie (anche le orecchie sono mobili rispetto al capo!) tenderebbero a far perdere l'allineamento dei campi recettivi visivi e uditivi. Ciò che si verifica tuttavia, è un fenomeno di rimappatura dinamica: a ogni spostamento degli occhi nelle orbite corrisponde un uguale spostamento del campo recettivo uditivo del collicolo superiore. In tal modo i campi recettivi uditivi, restando sempre ancorati a quelli visivi, mantengono la loro organizzazione retino-topica (Knudsen e Brainard 1995).
Gli strati intermedi e profondi del collicolo superiore contengono popolazioni di neuroni implicati nel controllo dei movimenti rapidi di orientamento (saccadi) degli occhi e del capo. Esiste una distribuzione topografica molto precisa dei campi motori (l'equivalente per i neuroni motori dei campi recettivi dei neuroni sensoriali), perfettamente allineata con la mappa retino-centrica delle informazioni visive, uditive e somestesiche precedentemente descritte. In questa mappa motoria, ciascun neurone codifica una determinata direzione e una ben definita ampiezza di spostamento del globo oculare all'interno dell'orbita e neuroni contigui nella mappa collicolare codificano variazioni di posizione oculare contigue nello spazio. Tale codifica, comunque, non è affatto selettiva: un determinato neurone raggiunge la massima attivazione per le saccadi di una data direzione e ampiezza, ma è anche attivo, seppure in misura minore, per le saccadi di direzione e ampiezza diverse. La codifica ben precisa di una saccade dipende quindi dalla sommazione vettoriale dei contributi di una intera popolazione di neuroni che vengono coattivati simultaneamente.
Consideriamo il caso di un altro sistema di origine retinica implicato nella stabilizzazione della posizione dello sguardo in risposta a movimenti della scena visiva (come nel cosiddetto nistagmo ottico-cinetico), ossia il sistema ottico accessorio. Si tratta di una via sottocorticale che converge a livello del ponte cerebrale con un'altra via per il controllo di movimenti oculari involontari, quella del riflesso vestibolo-oculare (innescato da rotazioni della testa e del corpo, come quelle che si determinano quando siamo seduti su una poltrona girevole). Ricordiamo ancora una volta che le informazioni visive in ingresso all'encefalo sono codificate in coordinate retino-centriche, mentre le informazioni vestibolari sono codificate lungo gli assi ortogonali ai piani dei tre canali semicircolari del labirinto. L'integrazione di tali informazioni a livello dei nuclei nervosi centrali pone dunque il consueto problema della eterogeneità dei codici spaziali. Come precedentemente riportato, a livello del collicolo superiore le informazioni sensoriali non visive vengono trasformate in una mappa comune retino-centrica, a livello del sistema ottico accessorio, invece, avviene esattamente il contrario: sono le informazioni visive a essere trasformate in coordinate vestibolari già a livello dei nuclei mesencefalici del sistema, vale a dire molto prima dell'integrazione con le informazioni di origine vestibolare (Simpson e Graf 1985). Questa trasformazione viene ottenuta mediante una scomposizione nell'analisi del flusso ottico retinico e attraverso la proiezione selettiva e segregata di campi retinici di flusso ottico, corrispondenti alle tre direzioni dei canali semicircolari, a nuclei distinti del complesso terminale mesencefalico. Questo è un altro esempio di analisi modulare e di segregazione nervosa di informazioni spaziali distinte. La rappresentazione in coordinate vestibolari viene poi mantenuta lungo tutti i nuclei successivi di questa via: i nuclei vestibolari, olivari inferiori e il lobo flocculo-nodulare del cervelletto.
Nei casi considerati nei paragrafi precedenti l'allineamento spaziale intermodale veniva ottenuto trasformando l'informazione di una data modalità sensoriale nel sistema di riferimento proprio di un'altra modalità. Questo non costituisce tuttavia l'unico principio di integrazione centrale multimodale; specialmente a livello della corteccia cerebrale esistono anche rappresentazioni in sistemi di riferimento ibrido, derivanti dalla combinazione di segnali eterogenei. Tali rappresentazioni costituiscono mappe computazionali dello spazio. Un caso particolarmente rilevante è rappresentato dal controllo corticale dei movimenti volontari di orientamento degli occhi, del capo e degli arti. Questi movimenti si distinguono da quelli involontari precedentemente considerati non soltanto perché richiedono la partecipazione della volontà nella loro genesi ma anche perché possono dirigersi sia verso uno stimolo sensoriale esterno sia verso uno stimolo immaginario oppure precedentemente memorizzato. In seguito verranno presi in considerazione i movimenti di orientamento verso gli stimoli visivi.
La coordinazione visuomotoria coinvolge una specifica via cortico-corticale dorsale (occipito-parieto-frontale) degli emisferi cerebrali. Sia le proprietà visive sia quelle motorie dei neuroni di molte aree lungo questa via presentano caratteristiche altamente specifiche, diverse da quelle che si riscontrano a livello sottocorticale. La frequenza di scarica dei potenziali d'azione delle cellule gangliari della retina e dei corpi genicolati laterali del talamo, dipende dalla posizione in cui si forma l'immagine retinica di un determinato stimolo visivo, qualunque sia la posizione degli occhi nelle orbite (codifica retino-centrica). Invece, la frequenza di scarica dei neuroni della corteccia visiva primaria (l'area calcarina o striata del lobo occipitale), in risposta a uno stimolo visivo a posizione retino-topica costante, varia al variare della direzione in cui guardiamo (i segnali di posizione dei globi oculari nelle orbite derivano dai propriocettori dei muscoli estrinseci oculari e dalla copia efferente dei comandi oculomotori). Un effetto simile si trova non solo a livello dell'area calcarina, ma anche di molte altre aree visive lungo la via cortico-corticale dorsale, interessata all'analisi delle proprietà spaziali degli stimoli.
Occorre chiarire il significato funzionale di questi processi d'integrazione. La posizione assoluta di un determinato stimolo visivo nello spazio esterno non può essere determinata senza ambiguità da un codice nervoso puramente retino-centrico, dato che la proiezione dello stimolo sulla retina muta al mutare della posizione degli occhi, ma può invece derivare da un sistema di codifica nervosa distribuita che tenga conto dei segnali di posizione oculare (Andersen e Buneo 2002). Così, la coattivazione di una popolazione di neuroni corticali i cui campi recettivi siano modulati in varie combinazioni diverse dalla direzione dello sguardo, genera un codice spaziale svincolato dalla posizione degli occhi (si noti per inciso come una codifica della posizione assoluta di uno stimolo nello spazio non possa essere fornita da un singolo organo sensoriale).
Nelle aree corticali che presentano un elevato grado di integrazione, quali le aree del solco interparietale e del lobulo parietale inferiore, i campi recettivi visivi sono modulati sia dalla posizione degli occhi nelle orbite sia da quella del capo rispetto al tronco, in modo da fornire informazioni spaziali utilizzabili anche per il controllo dei movimenti del tronco e degli arti. Altre aree poste lungo la via cortico-corticale dorsale sopra menzionata combinano invece informazioni visive relative alla posizione oculare e a quella degli arti (questo è il caso delle aree parietali superiori). Non sorprende a questo proposito riscontrare deficit specifici della coordinazione visuomotoria (coinvolgenti i movimenti degli occhi oppure degli arti diretti verso bersagli visivi) in presenza di lesioni neurologiche in tali aree (solco interparietale e lobulo parietale superiore), anche in assenza di disturbi visivi o motori isolati. È questo un caso (ma ve ne sono molti altri) in cui il normale processo di integrazione multisensoriale viene perturbato da una lesione; secondo la metafora citata, possiamo paragonare l'incoordinazione motoria di questi pazienti neurologici alla cacofonia musicale risultante dalla mancanza di un direttore d'orchestra.
Il controllo corticale dei movimenti finalizzati degli arti dipende in particolar modo dall'area motoria primaria (area 4 o F1) e dalle aree premotorie (6 o F2-F5) nel lobo frontale, nonché dalle aree posteriori (5, 7) nel lobo parietale. Lo studio neurofisiologico dell'area motoria primaria nella scimmia ha dimostrato l'esistenza di un codice vettoriale di popolazione della direzione di movimento rispetto alla posizione iniziale della mano (Georgopoulos 1994). Ciascun singolo neurone codifica una determinata direzione ('direzione preferita') in modo relativamente impreciso, poiché la curva di modulazione dell'attività neuronale è molto ampia (la frequenza di scarica varia con il coseno dell'angolo tra la direzione preferita e la direzione del movimento effettivo). Tuttavia, poiché un'intera popolazione neuronale partecipa alla programmazione ed esecuzione del movimento, la codifica complessiva della direzione desiderata è notevolmente precisa. Ciascun neurone partecipa a questo codice di popolazione contribuendo con un vettore lungo la propria direzione preferita, la cui ampiezza è proporzionale al livello di attività per la direzione effettiva di movimento. Il codice di popolazione complessivo risulta, perciò, dalla somma vettoriale dei contributi individuali di tutti i neuroni corticali implicati. La codifica direzionale è modificata dalla postura dell'arto, cioè cambia a seconda che esso sia più o meno intraruotato rispetto al corpo.
Lo studio (sempre nella scimmia) di una regione corticale strettamente interconnessa con l'area motoria, vale a dire l'area 5 del lobulo parietale superiore, ha mostrato l'esistenza di una codifica della posizione del bersaglio visivo e della mano rispetto al corpo (codifica cosiddetta 'egocentrica'; Lacquaniti 1998). Una percentuale considerevole di neuroni di questa regione codifica la posizione finale della mano in maniera anticipatoria, cioè ben prima che la mano abbia raggiunto tale posizione e, in certi casi, ancora prima che il movimento stesso abbia avuto inizio. Si ritiene che quest'attività rifletta processi di pianificazione e di comando motorio, anziché processi di riafferenza sensoriale (feedback). La frequenza di scarica dei neuroni dell'area 5 varia in maniera quasi proporzionale al variare della posizione misurata lungo assi polari. Le tre coordinate polari sono codificate secondo il principio più volte enunciato dell'organizzazione modulare: un gruppo di neuroni codifica la distanza del bersaglio rispetto alla scimmia, un altro l'elevazione (l'angolo in verticale) e un terzo l'azimut (l'angolo in orizzontale).
L'analisi modulare e la segregazione funzionale dei differenti parametri spaziali non rappresentano soltanto una peculiarità di funzionamento di popolazioni neuronali particolari, ma si riscontrano persino a livello comportamentale. In questo modo, quando con strumenti opportuni si riescono a misurare anche i più minuti errori commessi da una persona sana nel raggiungere con la mano un bersaglio visivo virtuale (tale, cioè, da non poter essere toccato), si riscontra come tali errori siano distribuiti indipendentemente lungo le tre dimensioni spaziali; gli errori nella valutazione della distanza sono normalmente maggiori di quelli nell'elevazione e nell'azimut. Studi cronometrici (misura del tempo di reazione a un dato stimolo) hanno dimostrato che anche il tempo necessario per la programmazione centrale è diverso e indipendente a seconda dei differenti parametri spaziali del movimento; in particolare, il tempo di programmazione della direzione è più lungo del tempo di programmazione della distanza. Allorché il movimento avvenga qualche istante più tardi della estinzione del bersaglio visivo (movimenti eseguiti a memoria), la distanza e la direzione del bersaglio e del movimento sono trattenute nel magazzino di memoria a breve termine in due canali separati.
Per tornare al problema dei sistemi di riferimento nelle aree corticali, si deve notare come sia la codifica della direzione di movimento nell'area 4 sia quella della posizione della mano rispetto al corpo nell'area 5 utilizzino sistemi di riferimento ibridi. Questi sistemi, infatti, implicano assi coordinati legati a parametri ambientali invarianti, quali la verticale gravitazionale e l'orizzonte visivo (cosiddetti assi 'geotropi'), ma con un riferimento centrato sul corpo (la mano, il tronco, la testa, ecc.). Le caratteristiche dei sistemi di riferimento ibridi non sono riconducibili alla configurazione anatomo-funzionale di nessun epitelio sensoriale o apparato muscolare, ma derivano dalla fusione di molteplici informazioni. Così, per esempio, la codifica dell'azimut (o dell'elevazione) a livello dei neuroni dell'area 5 è sottesa dalla combinazione di informazioni propriocettive sulla rotazione orizzontale (o verticale) separata del braccio e dell'avambraccio fornita dai fusi neuromuscolari dei muscoli corrispondenti, di informazioni sull'orientamento del tronco e di informazioni relative alla verticale gravitazionale. Queste ultime provengono da input vestibolari, visivi e somatosensoriali.
Sistemi di riferimento ibridi del tipo appena descritto sono utilizzati non solo per il controllo dei movimenti di orientamento degli occhi, del capo e delle braccia, ma anche per il controllo della postura del corpo e della locomozione. Così, per esempio, esiste una ben precisa legge di coordinazione della locomozione che prevede la covariazione temporale degli angoli di orientamento del tronco e dei segmenti degli arti inferiori rispetto alla verticale e alla direzione del cammino. La costruzione di un codice spaziale globale consente di rappresentare informazioni sensoriali disparate in un sistema di riferimento corporeo comune, sopramodale, e di coordinare una molteplicità di movimenti diversi all'interno dello stesso sistema di riferimento. In effetti, si riscontra come in molte situazioni (quali la postura eretta, la marcia, il salto, ecc.) la posizione della testa venga stabilizzata molto efficacemente (la linea orbito-meatale viene mantenuta all'interno di 10° dall'orizzontale). Poiché la testa contiene alcuni dei principali sensori dell'orientamento rispetto agli invarianti ambientali (verticale gravitazionale e orizzonte visivo), essa si comporta di fatto alla stregua delle piattaforme inerziali dei sistemi artificiali di controllo della navigazione.
È interessante notare, infine, come anche alcuni disturbi spaziali, quali quelli associati all'eminegligenza spaziale da lesioni parietali inferiori, siano probabilmente organizzati in questo sistema di riferimento ibrido, geotropo e centrato sul corpo. Questi sintomi, consistenti nella negazione cosciente e incosciente di una metà del corpo e dello spazio circostante (eminegligenza), possono essere fortemente attenuati o addirittura eliminati in maniera transitoria ponendo il soggetto sdraiato (cambiando quindi l'orientamento del suo corpo rispetto alla verticale) oppure in seguito alla stimolazione calorica vestibolare (che presumibilmente induce un diverso bilanciamento dei due apparati vestibolari, destro e sinistro, nella misura della verticale gravitazionale).
La vita di relazione dipende dalla comprensione delle azioni compiute da altri e da noi osservate. Saper distinguere tra un gesto amichevole e uno minaccioso può essere di vitale importanza per la stessa sopravvivenza. Inizialmente si riteneva che la comprensione delle azioni dipendesse esclusivamente dall'analisi visiva degli stimoli relativi, coinvolgendo primariamente le aree visive della via corticale ventrale. Invece, recentemente è stato dimostrato come la corretta comprensione delle azioni dipende dalla trasformazione delle rappresentazioni visive in rappresentazioni motorie di queste stesse azioni (Rizzolatti et al. 2001). La trasformazione è effettuata dai cosiddetti 'neuroni a specchio' presenti in un'area motoria, l'area F5, facente parte della corteccia premotoria ventrale del lobo frontale. Queste cellule si attivano sia quando la scimmia compie un determinato gesto, come afferrare una nocciolina, sia quando lo stesso gesto viene compiuto dallo sperimentatore e la scimmia resta spettatrice. Il comportamento dei neuroni è altamente selettivo: essi non si attivano all'osservazione di gesti diversi da quelli specifici (ogni neurone a specchio possiede un suo specifico repertorio), né al momento in cui viene presentato l'oggetto bersaglio (la nocciolina nell'esempio) in assenza dell'azione relativa. Molti neuroni a specchio possiedono, oltre alla modalità visiva, anche quella uditiva di riconoscimento delle azioni. Così esistono neuroni che si attivano sia quando la scimmia spezza con le mani un oggetto sia quando essa osserva lo sperimentatore compiere lo stesso gesto, e anche quando essa sente il rumore dell'oggetto spezzato senza poterlo vedere. Recentemente, mediante le tecniche di neuroimaging funzionale (MEG e fMRI), è stata dimostrata sperimentalmente l'esistenza di un sistema a specchio anche nell'uomo. Il sistema comprende una rete neuronale distribuita che coinvolge varie strutture corticali, ma il dato forse più sorprendente è il coinvolgimento dell'area del linguaggio di Broca (il cui omologo nella scimmia potrebbe essere proprio l'area F5 descritta sopra). Da queste osservazioni è nata l'interessante ipotesi che il linguaggio umano rappresenti l'evoluzione filogenetica di un sistema originariamente collegato alla comprensione multisensoriale delle azioni.
Ancorché si ritenesse classicamente che non fossero presenti differenze anatomiche rilevanti tra i due emisferi cerebrali, Norman Geschwind e Walter Levitski sono riusciti a mostrare nella specie umana un'importante asimmetria in corrispondenza del planum temporale, una regione localizzata sulla superficie superiore del lobo temporale. All'esame autoptico, il planum temporale dell'emisfero sinistro risulta essere più esteso di quello destro nel 65% circa dei soggetti, mentre esiste una relazione inversa nel 10% circa dei soggetti e non è rilevabile nessuna differenza significativa tra i due emisferi nel restante 25% dei soggetti esaminati. Nell'emisfero sinistro, il planum temporale comprende l'area del linguaggio di Wernicke (area sensoriale del linguaggio) e si estende nel pavimento della scissura di Silvio. Anche la regione opercolare della circonvoluzione frontale inferiore sinistra, corrispondente all'area di Broca (area motoria del linguaggio), è più estesa della regione omologa dell'emisfero destro. Nel corso dell'evoluzione della specie umana, un'asimmetria anatomica intrinseca (probabilmente legata a una mutazione casuale) potrebbe avere inizialmente favorito l'emisfero sinistro per lo sviluppo del linguaggio; al contrario, l'emisfero destro si sarebbe specializzato nelle funzioni spaziali. Le asimmetrie anatomo-funzionali sarebbero poi risultate vantaggiose rispetto alle rappresentazioni bilaterali del linguaggio a causa della maggiore efficienza di connessioni cortico-corticali delimitate esclusivamente a un emisfero rispetto alle connessioni interemisferiche. Bisogna tener presente, infatti, che queste ultime avvengono tramite il corpo calloso, il cui numero di fibre risulta nettamente più limitato rispetto a quello delle fibre intracorticali.
L'emisfero specializzato per le funzioni linguistiche è quello sinistro nel 95% circa dei soggetti destrimani e, sorprendentemente, nel 60% circa dei mancini (che rappresentano quasi il 10% della popolazione normale). L'emisfero destro è dominante per il linguaggio nel 3% dei destrimani e nel 20% dei mancini; nel restante 20% di questi ultimi esiste una rappresentazione bilaterale. La bilateralità delle rappresentazioni linguistiche in questi mancini non comporta necessariamente svantaggi funzionalmente apprezzabili. Va rilevato, comunque, che l'incidenza di mancinismo tra soggetti affetti da balbuzie o da dislessia è più alta che non nella popolazione normale. La lateralizzazione delle funzioni linguistiche è evidente già nel bambino piccolo. Deficit linguistici qualitativamente paragonabili a quelli dell'adulto, anche se più lievi, fanno seguito a lesioni focali dell'emisfero dominante del bambino. Tuttavia, la plasticità nervosa che caratterizza l'età infantile rende possibile recuperi funzionali molto più rapidi ed efficaci che nell'adulto.
Studi di paleoantropologia hanno suggerito che la specializzazione emisferica sinistra potrebbe essersi determinata già tre milioni di anni fa in Homo habilis. Infatti, le impronte intracraniche lasciate dalle circonvoluzioni cerebrali risultano essere asimmetriche a sinistra e a destra anche nei crani degli uomini preistorici. L'analisi degli strumenti e manufatti preistorici indica che anche la preferenza manuale destra potrebbe risalire a milioni di anni fa. La straordinaria rilevanza di queste osservazioni diviene chiara se si considera che una specializzazione emisferica paragonabile a quella umana non è riscontrabile in nessun'altra specie vivente, incluse le scimmie antropoidi. Asimmetrie interemisferiche sono peraltro osservabili in alcuni casi, ma rappresentano per lo più caratteristiche individuali e raramente interessano tutta una specie. In altre parole, in questi animali esiste la medesima probabilità che l'arto dominante sia il destro oppure il sinistro.
La dominanza emisferica per una data funzione, per esempio il linguaggio, può essere determinata empiricamente nel seguente modo. Mentre il paziente conta o parla ad alta voce, gli si inietta un barbiturico ad azione rapida (amytal sodico) nell'arteria carotide interna di un lato. In ragione della lateralizzazione nella vascolarizzazione cerebrale, il farmaco viene trasportato soprattutto all'emisfero omolaterale all'iniezione, producendone la transitoria disfunzione. Così, un'afasia transitoria fa seguito all'interessamento dell'emisfero dominante per il linguaggio. Anche gli stati emotivi sono parzialmente lateralizzati: la inattivazione mediante amytal sodico dell'emisfero sinistro produce uno stato depressivo transitorio, mentre la inattivazione dell'emisfero destro genera euforia. Un'altra tecnica utilizzata per determinare la dominanza emisferica consiste nella presentazione di brevi stimoli visivi (mediante tachistoscopio, ovvero un programma che consente la presentazione temporizzata su video di stimoli verbali che l'individuo deve leggere correttamente) nell'emicampo di sinistra oppure di destra. In ragione dell'incrocio delle vie visive, l'immagine si forma innanzitutto nella corteccia visiva controlaterale ed è trasmessa soltanto successivamente alla corteccia ipsilaterale attraverso le fibre del corpo calloso. Soggetti a dominanza emisferica sinistra rispondono con maggiore precisione quando gli stimoli visivi sono presentati negli emicampi visivi destri nei compiti verbali, ma risolvono meglio i compiti spaziali quando gli stimoli corrispondenti sono presentati negli emicampi sinistri. Risultati simili si ottengono infine mediante stimolazioni uditive dicotiche, in cui ciascun orecchio riceve contemporaneamente un'informazione diversa dall'altro. Con questa tecnica si dimostra normalmente una superiorità dell'orecchio destro (che proietta in modo crociato all'emisfero sinistro) per materiale verbale e dell'orecchio sinistro (che proietta all'emisfero destro) per materiale non verbale.
La specializzazione emisferica per il linguaggio è quella meglio studiata, ma non è l'unica. La specializzazione dell'emisfero destro nelle elaborazioni spaziali è conosciuta da tempo. La dicotomia anatomo-funzionale delle rappresentazioni verbali, localizzate a sinistra, e di quelle spaziali, localizzate a destra, non è però così semplice come può apparire a prima vista. Inizialmente si credeva che fosse il tipo di stimolo a determinare il lato della specializzazione emisferica. Stimoli verbali, quindi, comporterebbero una superiorità dell'emisfero sinistro mentre stimoli spaziali implicherebbero una superiorità destra. Studi successivi hanno però dimostrato che la lateralizzazione funzionale è maggiormente legata alla modalità specifica di analisi e di rappresentazione interna, piuttosto che alla natura stessa dello stimolo. Per esempio, un compito di confronto di lettere presentate visivamente dà luogo a una superiorità emisferica sinistra quando è richiesta una elaborazione fonetica degli stimoli, ma produce una superiorità emisferica destra quando invece è richiesta una elaborazione di tipo visuospaziale. Similmente, la discriminazione di forme geometriche semplici (triangolo, quadrato, cerchio), tali da poter essere classificate verbalmente, si associa a una superiorità emisferica sinistra, mentre la discriminazione di forme geometriche complesse (poligoni con più di sette lati), difficili da classificare verbalmente, si associa a una superiorità emisferica destra.
Gli studi effettuati su lesioni corticali umane (di origine vascolare oppure derivanti da processi occupanti spazio) hanno indicato una ulteriore specializzazione funzionale nelle rappresentazioni spaziali. Lesioni del lobulo parietale superiore e della regione del solco intraparietale comportano una sindrome di atassia ottica, caratterizzata da problemi di coordinazione visuomotoria con imprecisioni notevoli nel dirigere la mano verso un determinato bersaglio visivo. Al contrario, lesioni confinate al lobulo parietale inferiore dell'emisfero destro (in particolare, il giro sopramarginale) comportano la sindrome di eminegligenza spaziale, nella quale il paziente ignora o misconosce l'esistenza di stimoli provenienti dall'emicampo sinistro, spesso indipendentemente dalla modalità sensoriale interessata, sia essa visiva, uditiva, tattile o propriocettiva. In effetti, se il paziente è contemporaneamente affetto da una emiparesi sinistra per il coinvolgimento delle vie motorie corticospinali da parte della lesione, spesso ne nega l'esistenza o addirittura nega l'appartenenza dell'emicorpo paretico al proprio corpo.
Le sindromi da disconnessione interemisferica (split-brain) forniscono la prova più eclatante delle lateralizzazioni funzionali discusse sopra (Berlucchi e Aglioti 1990). Si tratta di pazienti con interruzione spontanea (vascolare o tumorale) o chirurgica (per il trattamento di epilessie farmacoresistenti) del corpo calloso, oppure affetti da agenesia commessurale congenita. Questi soggetti conducono una vita spesso perfettamente normale e la presenza di anomalie comportamentali è rivelabile soltanto mediante esami tecnicamente sofisticati. L'esperimento paradigmatico, che può essere condotto in un paziente con commessurotomia totale (ovvero riguardante sia il corpo calloso sia la commessura anteriore e la commessura ippocampale) e con dominanza emisferica sinistra per il linguaggio, utilizza la presentazione tachistoscopica di un oggetto di uso comune all'interno di un determinato emicampo visivo. Se lo stimolo viene presentato nell'emicampo visivo destro, il paziente non ha difficoltà a denominarlo correttamente; se invece viene presentato nell'emicampo visivo sinistro, il paziente mostra di essere in grado di riconoscere l'oggetto (per es., selezionandone un altro simile tra un insieme eterogeneo di oggetti), ma non di identificarlo verbalmente ('emianomia'), così come non riesce a leggere un testo presentato nello stesso emicampo ('emialessia'). Invece, compiti di prassia costruttiva che implichino l'analisi di dati spaziali sono eseguiti meglio quando gli stimoli visivi corrispondenti sono mostrati nell'emicampo visivo sinistro piuttosto che nell'emicampo destro, in accordo con la nozione di una lateralizzazione emisferica destra delle funzioni spaziali. La rispettiva dominanza funzionale dei due emisferi è dimostrata dall'utilizzo di figure chimeriche: per esempio, un volto la cui metà destra è femminile e la sinistra maschile. Quando il paziente fissa il centro di questa figura, egli dichiara di vedere un volto femminile, ma se gli viene richiesto di scegliere una figura simile con la mano sinistra, egli sceglie un volto maschile. Si deve notare come in entrambi i casi il paziente non si renda conto di percepire soltanto mezza faccia, perché ciascun emisfero completa l'immagine mentale del volto aggiungendo l'emifaccia virtuale simmetrica a quella effettivamente percepita.
Nella concezione moderna, la memoria è organizzata secondo un'architettura 'multicomponenziale'. In particolare, si distingue una memoria di lavoro a breve termine da una a lungo termine. La memoria di lavoro costituisce un magazzino di informazioni a rapida estinzione (nell'ordine di alcuni secondi) e di capacità limitata: la quantità massima di informazione immagazzinabile è pari a 7±2 unità elementari (quali, per es., cifre o parole o immagini). Invece, il magazzino della memoria a lungo termine è di capacità molto ampie (potenzialmente illimitate) e contiene tracce mnestiche normalmente durature. Questi due sistemi di memoria sono del tutto indipendenti l'uno dall'altro, come dimostrato dal fatto che sono selettivamente compromessi da lesioni con diversa localizzazione cerebrale.
È interessante notare come il principio di organizzazione modulare, già esposto a proposito dei sistemi sensori-motori, valga anche per i sistemi deputati al controllo della memoria. La memoria di lavoro è organizzata in compartimenti funzionalmente distinti. Un modulo gestisce le tracce di memoria verbale (cosiddetto 'anello fonoarticolatorio'), mentre un modulo separato gestisce la memoria visuospaziale ('taccuino visuospaziale'). Entrambi questi moduli sono asserviti a un sistema di controllo (central executive) che dirige l'attenzione sugli stimoli da memorizzare.
Esistono oggi idee piuttosto precise riguardo alla localizzazione di questi diversi moduli, idee basate sullo studio neuropsicologico di pazienti nonché sulle immagini neuroradiologiche funzionali (PET, fMRI) di soggetti normali (Frackowiack 1994). Nei destrimani, il magazzino di memoria dell'anello fonoarticolatorio risiede principalmente nella corteccia parietale inferiore di sinistra (area 40), mentre il ripasso dei contenuti di questo magazzino attraverso processi di verbalizzazione subvocale coinvolge principalmente l'area di Broca (area 44 di sinistra). Diversamente, la memoria visuospaziale a breve termine implica principalmente l'emisfero destro: la corteccia parietale inferiore (area 40) per la localizzazione spaziale dello stimolo e la corteccia prefrontale dorsolaterale (aree 9 e 46) per l'immagazzinamento in memoria. La localizzazione anatomica del central executive non è altrettanto ben determinata, ma attualmente si ritiene che i circuiti cortico-striatali possano giocare un ruolo importante in questo contesto. In effetti, lesioni del sistema extrapiramidale, come nel morbo di Parkinson, potrebbero comportare alterazioni di questa funzione specifica.
Anche la memoria a lungo termine è funzionalmente suddivisa in moduli separati. In particolare, le classificazioni più recenti distinguono una memoria esplicita ossia dichiarativa da una implicita. La prima comporta piena consapevolezza e coscienza dei dati di memoria da richiamare dal magazzino a lungo termine. Essa viene ulteriormente suddivisa in memoria episodica (per es., avvenimenti autobiografici) e memoria semantica (per es., significato delle parole). La memoria implicita, invece, non è consapevole e si esprime attraverso adattamenti comportamentali, quali l'apprendimento di abilità motorie (per es., guidare l'automobile), percettive o cognitive, oppure fenomeni di facilitazione (priming), condizionamento e adattamento.
Il fatto che patologie neurologiche diverse possano interessare i magazzini di memoria in maniera differenziale ne comprova l'effettiva separazione funzionale. Per esempio, l'amnesia globale (il morbo di Korsakov) comporta marcati deficit della memoria esplicita episodica, ma non compromette la memoria semantica e la memoria implicita. Questa forma di amnesia è normalmente associata a lesioni diencefaliche (corpi mammillari e talamo anteriore), temporali mesiali bilaterali (ippocampo e corteccia paraippocampale), fronto-basali e del giro del cingolo. Queste strutture, che sono reciprocamente interconnesse nel cervello sano, definiscono il cosiddetto 'circuito di Papez'. Il substrato anatomo-funzionale della memoria semantica a lungo termine, come evidenziato da studi neuropsicologici di lesioni e studi PET, coincide con quello della memoria verbale a breve termine (area di Broca e corteccia parietale inferiore sinistra), ma coinvolge in aggiunta la corteccia prefrontale dorsolaterale di sinistra, la corteccia retrospleniale e il precuneo. I substrati neuronali della memoria implicita sono probabilmente distribuiti a molte strutture corticali e sottocorticali e variano a seconda del tipo di abilità o funzione cognitiva specificamente immagazzinata nel deposito di memoria a lungo termine. Per esempio, si ritiene che i circuiti cortico-cerebellari svolgano un ruolo importante nell'acquisizione e ritenzione dei fenomeni di condizionamento comportamentale, ma anche nell'apprendimento e ritenzione di capacità di risolvere problemi. Altre funzioni specifiche di apprendimento e memoria sono svolte invece dai circuiti che collegano la corteccia frontale e i nuclei della base.
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