La grande scienza. Le biotecnologie e le produzioni agricole e zootecniche
Le biotecnologie e le produzioni agricole e zootecniche
Quali sono i maggiori problemi che, oggi, si pongono a studiosi, sperimentatori, professionisti e operatori per una gestione moderna e funzionale degli ecosistemi agricoli e agroforestali, dei servizi e delle industrie agroalimentari e agroindustriali?
Il problema maggiore è indubbiamente quello di aumentare, in condizioni di agricoltura ecocompatibile e sostenibile, le produzioni in quantità e qualità, di migliorare le caratteristiche organolettiche e salutari, di perfezionare le tecnologie di trasformazione delle materie prime, sostenendo i redditi dei produttori e l'occupazione e, di conseguenza, riducendo i prezzi al consumo.
Tuttavia le strade da percorrere saranno diverse in relazione allo stato attuale delle agricolture e delle strutture agroalimentari e agroindustriali, e anche dei livelli delle tecniche colturali. A questi fattori si devono aggiungere: il grado di sviluppo culturale e scientifico dei diversi paesi, le abitudini e le tradizioni dei produttori e dei consumatori, le condizioni economiche sia dei singoli sia delle imprese e degli Stati, gli interessi commerciali nazionali e internazionali, e infine le condizioni politiche e sociali nelle diverse regioni del pianeta.
La maggiore sfida dell'agricoltura, lato sensu, per i prossimi decenni riguarda l'aumento della disponibilità di prodotti alimentari sufficienti a fronteggiare lo sviluppo demografico della popolazione mondiale, che nel 2020-2025 dovrebbe crescere di circa 2 miliardi raggiungendo gli 8 miliardi di persone, di cui oltre 6,5 nei paesi emergenti. Secondo le stime dell'ultima (2002) Conferenza Mondiale della FAO (Food and agricolture organization of the United Nations), ancora oggi oltre 800 milioni di persone soffrono la fame e la malnutrizione, e almeno 1,5 miliardi di persone vivono con un reddito pro capite di 1-2 dollari al giorno e in condizioni disumane di miseria, povertà, sottoalimentazione e malattie. Per consentire a tutti un'alimentazione adeguata ed equilibrata, in cui aumenti anche la quota in prodotti carnei, carenti nell'attuale dieta di miliardi di individui, e per garantire entro il 2020-2025 quella media di 2500-2800 calorie pro capite idonea per lo sviluppo fisico e mentale di tutti gli esseri umani, molti analisti prevedono che si debba all'incirca raddoppiare l'insieme delle attuali produzioni agricole del pianeta.
La produzione cerealicola, per esempio, dovrebbe aumentare in media di almeno una tonnellata per ettaro, il 30% dovrebbe essere destinato all'alimentazione zootecnica, per garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale e l'igiene delle derrate. Si deve anche ottenere da ogni goccia d'acqua maggior prodotto finale, armonizzando la fisiologia delle piante e degli animali e le tecniche di intervento con le condizioni ambientali, prevenendo le conseguenze della siccità e tutelando la qualità e quantità delle falde acquifere. Infatti, le risorse idriche (per circa il 65% impiegate in agricoltura) vanno scarseggiando, mentre crescono i consumi per usi domestici e industriali nei paesi in sviluppo, ove oltre un miliardo di persone non dispone di acqua potabile, alimento necessario quanto il cibo. Inoltre è d'obbligo salvaguardare la fertilità del terreno, migliorandone le proprietà fisiche, chimiche e microbiologiche; applicare pratiche agronomiche idonee a combattere l'erosione e a proteggere i suoli vulnerabili, tanto diffusi negli ecosistemi tropicali; ostacolare la desertificazione; approfondire gli studi di fisiologia e nutrizione di piante e animali, combatterne malattie e parassiti, privilegiando le misure di lotta biologica e integrata e diminuendo l'uso di agrochimici; ridurre lungo la catena di 'produzione-lavorazione-consumo degli alimenti' gli sprechi che, in conseguenza di attacchi di parassiti in campo e di perdite postraccolta e nella trasformazione, distruggono almeno un terzo della produzione primaria. È necessario anche estendere, a vantaggio dei paesi emergenti, la coltivazione di specie locali tipiche, ma finora poco studiate; combattere le malattie del bestiame per aumentare le produzioni di carne e latte; salvaguardare ed esplorare le collezioni di risorse genetiche - in Natura o già raccolte in laboratorio - per identificarvi geni utili per la produttività, qualità, sviluppo fisiologico della pianta o dell'animale, per la resistenza a stress biotici e abiotici, e per l'adattamento all'ambiente e alle agrotecniche; aumentare la gamma di prodotti d'uso bioindustriale (tessili, additivi alimentari, farmaceutici, cosmetici, biocombustibili, lubrificanti, plastiche, coloranti, biopolimeri, ecc.) ottenibili da materie prime vegetali e animali; sviluppare, sfruttando anche le potenzialità della microbiologia e dell'enzimologia, ricerche e tecniche della fermentazione e della trasformazione alimentare; aumentare la disponibilità di biomasse, specialmente in Africa e nelle zone tropicali, come fonti locali di energia alternativa; sfruttare dovunque sottoprodotti e residui; ottimizzare la sostenibilità biologica ed economica della trasformazione dei flussi energetici, dell'energia solare (rinnovabile) e di quella fossile non rinnovabile, in flussi di prodotti (alimenti, ecc.) e di attività necessarie per la sopravvivenza e lo sviluppo del genere umano.
Certo è che la velocità e la precisione con cui ci si approssimerà all'obiettivo e la traduzione in fatti operativi dipendono dal capitale scientifico, ossia dalla qualità e dal numero di studiosi in laboratorio e di tecnici e professionisti presenti nell'impresa agricola e zootecnica come nell'industria di lavorazione dei prodotti agricoli; dalla cooperazione scientifico-tecnica tra enti di studio e di ricerca e i sistemi imprenditoriali; dall'entità degli investimenti pubblici e privati; dalla organizzazione dei mercati e dei servizi al consumo; dalla funzionalità di una serie di infrastrutture (istruzione, comunicazioni, commercio, credito, ordinamenti politici e amministrativi, associazionismo e cooperative, ecc.), e, infine, dal grado di convinzione dell'opinione generale e di impegno della classe politica.
Il sensibile e urgente incremento di produzione agricola dovrà, però, consistere soprattutto in un aumento della produttività per pianta e per unità di superficie. Occorrerà, infatti, selezionare piante più produttive di quelle presenti e ottenere, laddove possibile, un secondo raccolto per anno, poiché la disponibilità di terre incolte è ormai molto modesta mentre è indispensabile, per l'assetto ambientale del pianeta, impedire ulteriori deforestazioni, come peraltro propugnato dal protocollo di Kyoto sul clima e sulla difesa dell'ambiente. Alla riduzione dell'inquinamento del suolo e delle falde acquifere concorreranno la diminuzione nell'impiego di prodotti chimici come fertilizzanti, antiparassitari ed erbicidi, l'adozione di tecniche agronomiche ecocompatibili ed ecosostenibili, il ricorso all'uso delle risorse genetiche, della biodiversità, per selezionare varietà e specie di piante più adatte alle condizioni - comprese quelle climatiche - dell'ecosistema di coltivazione.
La storia dell'agricoltura, attività tendente essenzialmente a sopperire alle esigenze alimentari della crescente massa di esseri umani, è in buona parte anche la storia del perfezionamento delle agrotecnologie e del miglioramento genetico di vegetali e animali. In particolare, la storia del miglioramento genetico, iniziato nel Neolitico con la domesticazione dei cereali, delle leguminose e degli ovini, è la storia degli innumerevoli tentativi da parte dell'uomo (prima incoscientemente, poi empiricamente e infine - nel XX sec. - razionalmente) di sfruttare il processo naturale dello scambio genetico nella riproduzione sessuata di animali e vegetali anche superando le barriere di infertilità tra le specie.
Esistono due categorie metodologiche che, sulla base della conoscenza delle leggi della genetica, consentono di acquisire negli organismi animali e vegetali, in via ereditaria, nuove proprietà e processi, e nuove funzioni e prodotti.
La prima comprende i metodi 'tradizionali' di miglioramento genetico quali l'ibridazione, il reincrocio, la selezione, e la mutagenesi. Essi sono stati effettivamente collaudati e sono in continuo perfezionamento grazie all'avanzare delle conoscenze scientifiche, delle innovazioni tecniche, delle sperimentazioni ed esperienze sia in laboratorio sia in campo. Con questi metodi il miglioramento genetico vegetale, sviluppatosi soprattutto nel XX sec., ha apportato grandi progressi nella costituzione di varietà, linee e ibridi estremamente competitivi, soprattutto a favore di una elevata resa produttiva. Inoltre, l'impiego di composti chimici, antiparassitari e fertilizzanti, ha garantito notevolmente l'incremento, caratteristico dei paesi più sviluppati, di un'agricoltura molto produttiva ma a elevato indice di supporto di mezzi tecnici. Questo modello, anch'esso fondato su un grosso impegno nel miglioramento genetico di cereali e di leguminose e nell'ammodernamento delle tecniche colturali e irrigue, ha prodotto, tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso in varie regioni del cosiddetto terzo mondo, uno spettacolare incremento di produttività e di produzione, denominato 'rivoluzione verde'. Tuttavia, stress ambientali e biotici, presenti in ogni area di coltivazione e a ogni latitudine, minacciano continuamente di ridurre le rese dei raccolti, che da anni ormai non presentano, nonostante la continua costituzione di nuove varietà, gli incrementi che hanno caratterizzato la 'rivoluzione verde'. Inoltre, la presa di coscienza dell'elevato impatto ambientale dei metodi di coltivazione intensiva e i costi sempre crescenti della gestione agricola, hanno riorientato la priorità della ricerca genetica in agricoltura verso lo sviluppo di genotipi sempre meno dipendenti dall'apporto chimico: piante che meglio utilizzano i nutrienti presenti nel terreno, piante più resistenti a patogeni, insetti e virus, con conseguente riduzione dell'impiego di fertilizzanti e antiparassitari.
La seconda categoria è quella delle 'biotecnologie genetiche' (dette anche 'ingegneria genetica', o 'tecnologia del DNA ricombinante'), fondate sulla biologia e sulla genetica molecolare, sulla genomica strutturale e funzionale, e sulla proteomica. Quello degli organismi (piante, animali, microorganismi) geneticamente modificati o 'transgenici' (OGM), è uno dei settori di maggiore potenziale sviluppo fra le agrobiotecnologie. In effetti, scienziati e tecnici stanno acquisendo nel campo delle scienze della vita un volume di saperi e di approcci metodologici che modificano profondamente soprattutto tre quadri della vita degli esseri umani: la salute, l'alimentazione, l'ambiente, per effetto delle applicazioni delle biotecnologie nei settori della medicina, dell'agricoltura, dell'ecologia.
Questi progressi sono il frutto di un percorso segnato da tappe scientifiche e tecnologiche che si possono far partire dalla seconda metà del XIX sec., quando vennero poste, dall'inglese Charles Darwin (1859) e dal monaco moravo Gregor Mendel (1865), le basi per una visione razionale e generale dell'evoluzione biologica e della genetica. Richiamandoci in particolare alle conseguenze sull'agricoltura, tra il 1900 e il 1940 cresce la mole di elementi teorici e pratici nella genetica delle principali piante agrarie, e si moltiplicano le nuove varietà per incrocio fra individui della stessa specie o per ibridazione tra specie diverse. Tra gli anni Quaranta e Settanta, invece, vengono effettuate una serie di scoperte e di invenzioni che, negli anni seguenti, serviranno da base fondamentale per nuovi studi teorici e sperimentali. Queste scoperte comprendono: l'elaborazione della teoria cromosomica dell'ereditarietà e la conseguente scoperta della localizzazione dei geni sui cromosomi; lo sviluppo della citogenetica; la combinazione fra cromosomi paterni e materni nella formazione del corredo genico dei gameti e il trasferimento nell'embrione; la segregazione dei caratteri nella discendenza e la possibilità di selezionare individui con diverse e nuove ricombinazioni di caratteri; la maschiosterilità; il vigore degli ibridi; la genetica dei caratteri quantitativi; la mutagenesi e l'induzione di variabilità con agenti chimici e fisici; lo studio della biodiversità - ossia della variabilità genetica nei Regni degli organismi viventi - accumulatasi nei millenni di storia naturale e di selezione naturale o prodotta dall'agricoltore e dall'allevatore. Inoltre, nello stesso periodo, si chiariscono le basi biochimiche dell'ereditarietà e si dimostra che i geni sono composti da DNA (acido desossiribonucleico), di cui nel 1953 viene scoperta la struttura a doppia elica. È anche completata la decifrazione del codice genetico, cioè delle regole e dello schema secondo cui si sequenziano, si dispongono e si combinano lungo la molecola di DNA i suoi componenti (nucleotidi), formando i geni e permettendo i processi di trasmissione del messaggio genetico fino alla produzione di specifiche proteine. A coronamento di oltre un secolo di studi e di ricerche, nella seconda metà del XX sec., si delinea e si conferma (con enormi conseguenze sulle ricerche biologiche, genetiche e di miglioramento genetico) il ruolo centrale della cellula, che si presenta quindi come una macchina chimica - un bioreattore - altamente complessa e specifica, che viene governata dalle informazioni promosse dal genoma, localizzato nel nucleo di ogni cellula. Il genoma è il patrimonio genetico di ogni organismo, depositario dei suoi geni, del loro DNA, le cui informazioni genetiche vengono trasferite (trascrizione) dal DNA all'RNA (acido ribonucleico) e da questo tradotto (traduzione) nelle proteine, la cui produzione attua il programma ontogenetico di sviluppo e di differenziamento, in forma e funzioni, determinato dal genoma.
Le ricerche a livello molecolare hanno confermato che il DNA è la base molecolare dell'ereditarietà. Si aprono in tal modo gli orizzonti della genomica strutturale, con la costruzione delle mappe genetiche e l'esame della struttura di un genoma; della genomica funzionale, che accerta il flusso dell'informazione genetica contenuta nei due acidi nucleici DNA e RNA; della proteomica, che è l'insieme degli studi miranti alla comprensione dei vari elementi del processo biologico e al collegamento di tutte le informazioni contenute nel DNA, nell'RNA e nelle proteine da essi codificate. Si scoprono, tra l'altro, le funzioni di enzimi, alcuni dei quali si dimostrano particolarmente importanti nel trasferimento di geni fra organismi. È il caso, infatti, degli enzimi di restrizione, che tagliano il DNA; delle polimerasi, che consentono la replicazione e l'amplificazione del DNA in vitro; delle ligasi, che riuniscono i frammenti di DNA tagliati dagli enzimi di restrizione, e così via.
Si entra così nella fase dell'identificazione, isolamento, clonaggio e successivo trasferimento dei geni, la fase, cioè, dell'ingegneria genetica o della cosiddetta tecnica del DNA ricombinante (rDNA), nella quale la mole di informazioni teoriche e tecniche viene progressivamente applicata nei campi della medicina, dell'ambiente, e degli organismi di interesse agrario quali animali e piante.
Nel 1976, per esempio, viene fondata negli Stati Uniti la Genentech, la prima società per l'utilizzazione industriale della tecnica del rDNA. Nei laboratori della Genentech viene clonato il gene per la somatostatina nel 1977, quello per l'insulina nel 1978 e quello per la somatotropina nel 1979. Nel 1983, in un laboratorio di Gand, a opera del belga Marc Van Montagu, la prima pianta transgenica prodotta è un tabacco (Nicotiana plumbaginifolia); nello stesso anno si registra il primo successo nel trasferimento di un gene (per proteine di riserva) da una specie vegetale (fagiolo) a un'altra (girasole) e nel 1985 l'Ufficio brevetti degli Stati Uniti stabilisce che le piante transgeniche sono brevettabili. L'anno seguente, sempre negli Stati Uniti, si ottiene un maiale transgenico per trasferimento del gene che codifica l'ormone della crescita umano (somatotropina); nel 1988 l'Ufficio brevetti statunitense stabilisce che anche gli animali transgenici sono brevettabili.
Nel 1987 si svolgono i primi esperimenti in campo con piante trasformate contenenti un gene di origine batterica che conferisce resistenza agli insetti; nel 1989 inizia, con la partecipazione di centinaia di laboratori, il progetto di identificazione della mappa del genoma umano e di quello di due vegetali: il riso e l'Arabidopsis thaliana (una crucifera a ciclo breve). Nel 1995 viene messa a punto la tecnologia dei microarrays, cioè piastrine di vetro sulle quali vengono allineate microgocce contenenti ciascuna sequenze diverse di DNA. Queste sonde molecolari consentono di analizzare rapidamente (al computer) migliaia di geni e di rilevare espressioni di geni, mutazioni e polimorfismi, quindi permettono, per esempio, di accertare la presenza di sequenze simili di DNA in individui, varietà, e specie diverse. Nel 1997 è ottenuta, per clonazione (la prima volta in un mammifero) la pecora Dolly; seguiranno nel 1998 clonazioni di bovini e topi, nel 1999 di caprini, nel 2000 di suini, e nel 2002 del gatto.
Si estende in questi anni la rilevazione delle mappe genetiche, cioè la sequenza dei geni lungo i cromosomi costituenti il genoma di una specie, indispensabile premessa per procedere al trasferimento di geni da un genoma a un altro di specie diversa. Fino a oggi, sono state individuate le mappe di 58 specie di virus, di 63 specie di batteri (organismi il cui corredo cromosomico non è racchiuso in un nucleo) e di 13 specie di eucarioti (organismi, cioè, uni- o pluricellulari i cui cromosomi sono inclusi nel nucleo). Degli eucarioti sono stati sequenziati, fra l'altro, i genomi: dell'uomo (22 coppie di cromosomi somatici, o autosomi, 1 coppia di cromosomi sessuali diversi nei due sessi, o eterocromosomi, e 32.000 geni), del riso (12 cromosomi e 50.000 geni circa), dell'Arabidopsis thaliana (5 cromosomi e 25.500 geni), del pesce palla (21 cromosomi e 31.000 geni), della drosofila (4 cromosomi e 13.516 geni). Sono in fase avanzata di sequenziamento i genomi di scimpanzé, topo, cane, cavallo, maiale, ovino e bovino domestico, pollo, patata, pomodoro, frumento, mais, orzo, cotone, erba medica.
Negli ultimi anni è apparsa molto utile, anche per il miglioramento genetico degli organismi di interesse agrario, l'utilizzazione della metodologia dei marcatori molecolari, di cui esistono ormai diverse classi. Si tratta di porzioni di sequenze geniche, delle quali si può anche conoscere la funzione in ambito agronomico, zootecnico, terapeutico, organolettico, e così via. Esse, una volta confrontate con porzioni del genoma dello stesso organismo o di altri organismi, permettono di rilevare e di marcare le identità o le differenze genomiche, le modificazioni geniche, cioè in definitiva le serie di 'polimorfismi' tipici di ogni specie vivente. L'uso di marcatori molecolari si sta dimostrando molto efficace nel miglioramento genetico di animali e piante in quanto essi consentono di guidare la risposta alla selezione, che, per questo motivo, è detta 'selezione assistita'. I grandi progressi delle tecnologie di identificazione dei marcatori molecolari hanno già permesso di approntare, per molte specie agrarie, mappe genetiche altamente 'saturate', in cui, cioè, molti geni localizzati sui cromosomi della specie sono noti come marcatori di caratteristiche utilitarie. Ciò consente di identificare le linee parentali più adatte per un programma di miglioramento genetico e di selezionare precocemente nella progenie di un incrocio la pianta o l'animale portatore dei fattori genetici determinanti le caratteristiche che si vogliono sottoporre a miglioramento.
In zootecnia la selezione assistita è molto efficace, per esempio, per rilevare caratteristiche che sono espresse da un solo sesso, come la produzione di latte o di uova o il numero di nati per parto, ovvero che sono difficilmente misurabili su animali vivi come le caratteristiche della carne o della carcassa.
Se si tiene presente inoltre che nelle piante e negli animali molti caratteri di interesse economico sono 'poligenici', cioè controllati da molti geni ad azione piccola ma additiva, l'uso dei marcatori molecolari, legati o collocati entro più loci codificanti caratteri quantitativi, fornisce a livello del DNA informazioni da usare direttamente per accrescere l'efficacia della selezione, vale a dire del miglioramento genetico vegetale e animale. Se si considera, inoltre, che l'uso di tali marcatori molecolari può accrescere la velocità e l'efficienza dell'introduzione, tramite incrocio, di geni da una varietà o razza a un'altra, o da specie selvatiche a specie allevate, si percepisce come i progressi ottenuti con la genetica molecolare sono ormai essenziali non soltanto per l'ingegneria genetica degli OGM, ma anche per potenziare i convenzionali metodi di miglioramento genetico.
In conclusione, lo sviluppo della genomica, dal punto di vista strutturale e funzionale, permetterà non soltanto di agire attraverso il trasferimento di geni, ma anche di ottenere risultati più mirati e positivi dei classici metodi di miglioramento genetico. In altre parole, si tratta di sfruttare i potenti strumenti offerti dalla biologia cellulare, dalla biologia molecolare e dalle tecnologie genetiche finalizzandole a procurare sostanziali modifiche dell'architettura e del metabolismo delle piante agrarie come degli animali per uso zootecnico.
Ingegneria genetica e metodi convenzionali di miglioramento genetico hanno gli stessi obiettivi, ossia ambedue formano e producono, secondo uno specifico piano di lavoro, piante e animali che presentano caratteristiche innovative e più efficienti. La scelta dell'impiego dell'una o dell'altra metodologia dipenderà dallo specifico problema da risolvere, dallo stato delle conoscenze ed esperienze, dalle attitudini del ricercatore e del gruppo di lavoro, dalle potenzialità e dal ventaglio di prospettive attese.
Le differenze tra le due metodologie riguardano in particolare la 'quantità di geni' che vengono trasferiti da un organismo a un altro e il 'mezzo' di trasferimento. Con i metodi convenzionali si utilizza la capacità innata che ha ciascun individuo, si tratti di vegetali o di animali, di far ricombinare i propri geni e di distribuirli in modo casuale nei nuclei dei propri gameti, consentendo così, dopo l'ibridazione (mezzo naturale di trasferimento dei geni) e la conseguente fusione dei gameti dei due individui parentali, la formazione di progenie caratterizzate da nuove combinazioni fra i tanti geni di cui il patrimonio genetico è composto. Il genetista è in grado di guidare e di orientare questa capacità naturale degli organismi di trasferire geni a membri della stessa specie, programmando l'ibridazione tra una varietà pregevole per caratteristiche quantitative e qualitative ma carente, per esempio, della resistenza alle malattie, e un'altra portatrice di fattori di resistenza. Nella successiva opera di selezione, da condurre per più generazioni e spesso anche ricorrendo a reincroci, le ricombinazioni non desiderate verranno eliminate sperimentalmente per tendere alla costituzione di un tipo selezionato e migliorato per il carattere voluto. Il genoma di tale nuova varietà, nel presentare il o i nuovi caratteri desiderati potrà esprimere, però, anche nuove e casuali combinazioni fra i fattori genetici portati dai genomi dei due genitori. Tale condizione è evitata negli organismi transgenici, cioè negli OGM, organismi cosiddetti geneticamente modificati, costituiti mediante la metodologia dell'ingegneria genetica. Infatti, con tale metodologia, invece di dipendere dalla ricombinazione casuale di un largo numero di geni, il genetista inserisce direttamente nel genoma da migliorare (quindi senza l'intermediazione dei gameti) singoli geni, detti 'transgeni', portatori di caratteri preventivamente studiati.
Le tecniche del DNA ricombinante sono, dunque, il frutto del progresso scientifico e metodologico derivante dalle scoperte della biologia molecolare, della genetica molecolare e delle tecniche di trasferimento intergenomico del DNA. Esse rappresentano un'estensione e un perfezionamento delle precedenti, e meno precise, tecniche convenzionali di trasferimento genico.
Qual è, però, lo stato attuale dell'adozione e dell'impatto, in agricoltura, di piante GM? Nel 2001 oltre 50 milioni di ettari (quasi 2 volte l'Italia), 16 milioni dei quali nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, sono stati coltivati con OGM in tutto il mondo, e precisamente: 66% negli Stati Uniti, 23% in Argentina, 6% in Canada, 4% in Cina. Le coltivazioni OGM si vanno diffondendo in Australia, Filippine, India, Sud Africa, Uruguay, Colombia, Messico, Romania, Ucraina, ecc. Nel 2001 gli OGM sono stati coltivati in 16 paesi da 5,5 milioni di agricoltori. A livello mondiale i dati del 2001 indicano che era stato coltivato con OGM quasi il 50% della superficie a soia, il 20% di quella a cotone, l'11% di quella a colza (una pianta da olio), l'11% di quella a mais, l'1% di quella a patata, a frumento, ecc. In Cina, dove sono stati approvati negli ultimi anni 262 OGM (piante, animali, e anche microrganismi), l'agricoltura biotecnologica, con varietà transgeniche soprattutto di riso, cotone e mais, sembra in decollo su scala commerciale, e se ne prevede la diffusione ad altri paesi dell'Asia orientale e meridionale.
L'uso di OGM da parte degli agricoltori statunitensi ha iniziato a diffondersi a partire dal 1995-1996. Nel 2002 negli Stati Uniti la coltivazione di varietà di soia resistenti agli erbicidi si è estesa sul 75% della intera superficie investita a soia. Il 71% dell'ettaraggio a cotone è stato coperto da varietà resistenti agli erbicidi, da varietà resistenti agli insetti per l'introduzione di un gene che codifica una proteina tossica per insetti dal batterio del terreno Bacillus thuringiensis (e perciò detti cotoni-Bt), e da cotoni con ambedue le resistenze. Soprattutto varietà di mais-Bt (mais resistenti alla farfalla piralide per l'introduzione del suddetto gene dal Bacillus thuringiensis, la cui larva scava nella pianta gallerie nelle quali si possono impiantare batteri produttori di pericolose micotossine per l'uomo e per gli animali come le aflatossine, la fumonisina, ecc.), ma anche varietà di mais-Bt e resistenti agli erbicidi coprivano nel 2002 il 33% delle coltivazioni a mais. Tra i benefici ricavati dall'adozione di OGM nell'agricoltura dagli Stati Uniti si sono registrati, per esempio per l'anno 1999 rispetto al 1995-1996, un aumento di produzione totale di mais intorno a 1,5 milioni di tonnellate; una riduzione sui costi di diserbo della soia (per minor quantità di erbicidi e ridotto numero di trattamenti) calcolata intorno ai 200 milioni di dollari; un aumento di produzione di cotone pari a circa 120.000 tonnellate (circa il 9% della produzione totale). In Cina, per esempio, è stato calcolato che nel 2001 l'uso di cotone-Bt ha permesso un risparmio di 47 kg di antiparassitari per ettaro e una riduzione del 75% dei casi di avvelenamento tra gli agricoltori. Complessivamente, nel 2002 l'uso di OGM negli Stati Uniti ha determinato un aumento dei ricavi pari a 1,5 miliardi di dollari, un incremento di quasi 2 milioni di tonnellate dei raccolti, una riduzione di 20.000 tonnellate di principio attivo nell'impiego di fitofarmaci. Pur riconoscendo che i dati relativi alla produzione, ai loro costi e ai valori economici sono soggetti a fluttuazioni connesse alle tendenze dei consumi, all'andamento dei prezzi sul mercato internazionale, alle variazioni nelle infestazioni parassitarie, ecc., sono stati segnalati altri vantaggi dell'introduzione di OGM, quali la riduzione delle lavorazioni del terreno e quindi dei rischi di erosione del suolo, i minori danni sull'entomofauna non parassitante le colture agricole, la riduzione nell'inquinamento delle risorse idriche e un minore consumo di carburanti.
Ma la 'seconda generazione' di piante OGM, ottenibile sfruttando i progressi della genomica e proteomica e ricorrendo maggiormente a transgeni provenienti da piante della stessa specie o di specie affini, è in avanzata preparazione e sperimentazione in numerosi centri di ricerca, soprattutto negli Stati Uniti (con un ventaglio di centinaia di nuove varietà transgeniche in diverse piante agrarie), in Canada, in America Meridionale, in Cina e in Asia orientale e meridionale. OGM di seconda generazione sono anche in selezione nei Centri internazionali di ricerca che il Consultative group on international agricultural research (CGIAR) ha istituito, nell'ultimo ventennio, in vari paesi in via di sviluppo. È stato calcolato che l'investimento globale in ricerca e sviluppo nel 2001, nel settore pubblico e in quello privato, sia stato di 4,4 miliardi di dollari, per il 95% nei paesi avanzati e soprattutto negli Stati Uniti; tra i paesi in via di sviluppo i maggiori investimenti si riscontrano in Cina e India.
Un elenco di nuove piante GM comprende: pomodoro (anche per prolungare maturazione e conservazione), patata, frumento (anche per ottenere impasti più forti e più voluminosi), orzo, piante da olio (colza, girasole, soia), barbabietola, arachide, tabacco, piante da orto (piselli, melanzana, peperone, cavolo, lattuga, cicoria, melone, fragole), piante da fiore (garofano, petunia), piante da frutto (melo, ciliegio, actinidia, papaja, olivo), piante da foraggio, alberi forestali (pioppo, olmo, eucalipto, abete, betulla), ecc. Si stima che negli Stati Uniti e in diversi altri paesi, anche dell'Unione Europea, siano sotto esame oltre 3000 nuove piante transgeniche e che siano circa 1300 i geni usati in questi programmi di trasferimento di uno o più transgeni su una stessa pianta.
Le potenzialità dell'ingegneria genetica per il miglioramento delle piante coltivate sono, in teoria, considerevoli, e possono risolvere situazioni difficili. Esperimenti sono in corso, per esempio, per costituire piante transgeniche più ecocompatibili con i diversi agroecosistemi, resistenti alla siccità e alla salinità, più adatte ad affrontare gli effetti di cambiamenti climatici, resistenti o tolleranti verso parassiti animali e vegetali e malattie da virus, o le cui parti commestibili si possono conservare più a lungo. Si cerca di ottenere OGM più efficienti nei consumi di acqua e fertilizzanti, con un più esteso apparato radicale, capaci di fissare l'azoto atmosferico, con una maggiore efficienza fotosintetica, in grado di assorbire una più grande quantità di anidride carbonica, contribuendo così alla riduzione dei gas-serra e del riscaldamento dell'atmosfera, ecc.
Nella sinergia tra il settore sanitario e il settore vegetale e zootecnico molto promettente è la cosiddetta 'nutriceutica', termine con cui si designano: (a) l'introduzione, per esempio in frutta e ortaggi da consumo fresco oppure liofilizzato, di geni codificanti sostanze terapeutiche quali vitamine, micronutrienti, farmaci contro malattie infettive, vaccini 'verdi' (cioè vaccini commestibili e attivi, per es., contro dissenteria, colera, epatiti, malattie tropicali, malaria, AIDS); (b) la produzione di cibi 'fortificati' da piante ingegnerizzate per la biosintesi di ferro, calcio, acido folico, antiossidanti, riboflavina, niacina, ecc.
Si noti che la disponibilità di piante transgeniche, ottenibili anche mediante l'inserimento di transgeni nei cloroplasti, da utilizzare come 'biofabbriche' funzionanti sia per la produzione di molecole di interesse biomedico e farmaceutico, e in particolare nella sintesi di molecole immunogeniche per l'uomo, sia per la formulazione di vaccini innovativi, presenta numerosi vantaggi rispetto ai sistemi tradizionali di produzione di farmaci da cellule di batteri, di lievito o di mammifero. Infatti, tali modificazioni genetiche di piante e di cloroplasti tra l'altro consentono la sicurezza intrinseca del prodotto; un basso costo e un'elevata efficienza di produzione; la somministrazione per via orale del farmaco attraverso semi, tuberi, frutti commestibili; l'eliminazione delle costose catene del freddo per la conservazione del farmaco stesso. Infine, è possibile far esprimere più di un antigene contemporaneamente nello stesso OGM, e a questo tipo di vaccinazione orale si può fare ricorso anche in medicina veterinaria.
Tuttavia, il trasferimento di transgeni può trovare, come accade anche per il miglioramento genetico convenzionale, limitazioni che possono dipendere dai seguenti fattori: dalla attuale indisponibilità di geni specifici, superabile con l'esplorazione delle riserve di biodiversità e con gli studi di genomica di un ampio ventaglio di specie; dalla pericolosità di uno specifico OGM per l'uomo e per l'ecosistema; dalla inidoneità funzionale del transgene; dal rischio di interazioni dannose del transgene con il sistema genico del genoma in cui è stato trasferito.
Qual è lo stato attuale dell'adozione e dell'impatto dell'introduzione delle biotecnologie nella zootecnia? Come già detto, nel 1986 negli Stati Uniti fu ottenuto il primo animale transgenico, un maiale, nel quale era stato trasferito il gene che codifica la somatotropina.
Il trasferimento genico, la diagnosi precoce con marcatori molecolari, la determinazione del sesso, la clonazione, sono biotecnologie che stanno modificando anche la zootecnia. Tuttavia, sebbene sia stata già ottenuta in varie specie di interesse zootecnico la costituzione di animali transgenici, non si è ancora pervenuti alla costituzione di razze animali transgeniche, come è avvenuto da oltre un decennio nel settore vegetale favorito dai sistemi di autoimpollinazione o, comunque, di impollinazione controllata. Il trasferimento dei geni, in generale, viene effettuato per microiniezioni di DNA nei pronuclei dell'uovo fecondato e tramite il reimpianto dell'embrione in una femmina ricevente. Il gene aggiunto viene trasmesso a tutte le cellule, comprese quelle della linea germinale, e quindi potrà essere trasmesso nella generazione successiva in cui, secondo schemi mendeliani, saranno presenti individui transgenici. Tuttavia, non si prevede, per ora, l'inserimento nella catena alimentare dell'uomo di prodotti da animali zootecnici transgenici.
Attualmente le maggiori prospettive di successo della transgenesi nella produzione animale consistono nell'uso di animali transgenici come 'bioreattori', cioè come organismi che - similmente agli OGM vegetali - producono proteine terapeuticamente importanti per l'uomo, ovvero private di costituenti dannosi, o arricchite di costituenti con funzione preventiva nei confronti di varie patologie. Si è infatti ottenuta sperimentalmente l'espressione di geni umani in mammiferi quali ovini, caprini, bovini, suini, conigli, e in particolare nel loro latte, nel sangue e nei tessuti corporei. Il latte presenta caratteristiche più favorevoli in quanto è possibile recuperare il prodotto con i tradizionali procedimenti di estrazione. Per accrescerne la produzione si prevede l'impiego di somatotropina bovina da colture di cellule transgeniche; ma tale tecnologia è praticabile solo in paesi extraeuropei perché i trattamenti ormonali degli animali, com'è noto, sono proibiti nell'Unione Europea. Tra gli altri risultati sperimentali si possono citare le produzioni dell'antiemorragico antitrombina III nella capra, dell'alfa-1 antitripsina (importante nella terapia respiratoria) nella pecora, e della proteina C-reattiva nei suini; per tali proteine sono già in corso prove cliniche in previsione di una loro possibile applicazione in particolari patologie umane e in attesa di poterne ottenere notevoli quantità a livello industriale.
È crescente, invece, il ricorso a marcatori molecolari nella selezione zootecnica, come già avviene in quella vegetale. Sebbene non siano ancora disponibili sequenziamenti completi di genomi di animali di interesse zootecnico, le mappe di marcatori genetici si stanno già dimostrando molto utili per analizzare la variabilità genetica dei caratteri di importanza economica e per selezionare, cioè diagnosticare precocemente, riproduttori dotati di caratteristiche ereditarie favorevoli, come: accrescimento, iperplasia muscolare, grasso intramuscolare, qualità e quantità di latte, prolificità, dimensioni della covata, resistenza a malattie (per es., tripanosomiasi) o a stress ambientali (per es., termotolleranza), ecc. Tecniche citogenetiche e biotecnologiche permettono il 'sessaggio' degli embrioni attraverso l'individuazione di sequenze di DNA specifiche per le produzioni che si esprimono in un solo sesso, come, per esempio, latte e uova. Dal momento che gli spermatozoi contenenti i cromosomi X o Y, danno rispettivamente origine ad animali di sesso femminile o maschile nei mammiferi, è possibile aumentare nel seme la presenza degli spermatozoi X o di quelli con Y avendo quindi, al parto, un maggior numero di nati del sesso desiderato.
Benché tuttora oggetto di studi ed esperimenti (anche di valutazione e giudizio sotto il profilo etico per le problematiche che si estendono pure all'uomo), sono infine da ricordare due biotecnologie potenzialmente rilevanti: (a) la clonazione, ossia la produzione di animali identici di elevato valore genetico da cellule uovo nelle quali sia stato inserito il nucleo di una cellula già adulta (caso della pecora Dolly), vale a dire la produzione per via asessuata di copie identiche di uno stesso genotipo; (b) l'uso di animali transgenici per la produzione di organi 'umanizzati' per i trapianti all'uomo.
Maggiori sono i progressi della ingegneria genetica molecolare nei pesci, per cui è fondato ritenere che prodotti alimentari da pesci transgenici saranno disponibili probabilmente fra pochi anni, e forse ancora prima dei prodotti da allevamenti zootecnici. Resistenza al freddo e alle malattie, riduzione della sterilità, e accelerazione dell'accrescimento sono le caratteristiche su cui è indirizzata la ricerca; le sperimentazioni più avanzate e promettenti sono quelle incentrate sull'accrescimento ponderale per trasferimento dei geni codificanti l'ormone della crescita. A differenza delle piante geneticamente modificate, si può puntare direttamente all'ottenimento di pesci autotransgenici, cioè specie ittiche in cui vengano trasferite copie di geni già presenti nella stessa specie. Ciò dovrebbe escludere rischi nell'alimentazione umana, da confermare ovviamente accertando la sostanziale equivalenza fra prodotto da pesci transgenici e non. È positivo notare che l'aumento quantitativo dell'ormone della crescita nella componente proteica dei pesci transgenici risulterebbe minimo, poiché livelli ormonali eccessivi non sarebbero fisiologicamente tollerati dall'animale.
Tra la quindicina circa di specie transgeniche allo studio, carnivore (salmoni, trote, lucci), onnivore (pesce gatto e tilapia) e vegetariane (carpe), gli incrementi produttivi più promettenti sono stati constatati nella carpa e nella tilapia. Nella tilapia è stato ottenuto un incremento di peso anche di 3-4 volte che, non comportando significative differenze nel rapporto lunghezza/peso dell'animale (che conserva, quindi, normali proporzioni corporali), non richiede maggiori spazi e volumi d'acqua ma soltanto un modesto aumento della dieta di approvvigionamento. Da ciò dovrebbero trarre particolare vantaggio i paesi tropicali del Sud-est asiatico, dell'America Centrale e dell'America Latina. Anche la 'nutriceutica', cioè l'uso della transgenesi per aumentare il valore terapeutico e farmacologico delle produzioni alimentari, è uno degli obiettivi dell'ingegneria genetica applicata alla produzione ittica. Ricerche sono in corso per ottenere trote, sardine e salmoni più ricchi in due tipi di acidi grassi: il gruppo degli omega-3 e l'acido linoleico che mostrano un effetto protettivo, rispettivamente, verso le malattie cardiache e verso il diabete e alcuni tipi di tumore.
Ma alla valutazione delle potenzialità dell'ingegneria genetica nella produzione ittica mancano sufficienti conoscenze sulle conseguenze e i rischi della introduzione di pesce transgenico in ecosistemi di acque interne e in mare, e sulle conseguenti misure da adottare. Da ultimo, in relazione ai fattori che condizionano l'espansione dell'acquacoltura, che procura attualmente 1/4 di tutto il pescato consumato e potrebbe dare un forte contributo alle esigenze alimentari del genere umano, si possono menzionare: la disponibilità di mangimi (carne e olio di pesce) in concorrenza con l'uso dei medesimi nell'alimentazione zootecnica, una maggiore disponibilità di ambienti acquatici, una più efficiente digeribilità e assimilazione di mangimi poveri, derivati da proteine animali e da biomasse vegetali, maggiori disponibilità di specie vegetali acquatiche, e ricerche per il miglioramento delle tecniche di allevamento.
È bene riflettere sul fatto che viviamo nella società del rischio e che nessuna innovazione materiale, nei trasporti, nella meccanica, nell'energetica, nelle telecomunicazioni, nell'alimentazione, nell'edilizia, nella terapeutica, ecc., è esente da pericoli. La scienza non può fornire prove di totale innocuità nell'adozione di innovazioni. Tutte le tecnologie, perciò, comportano rischi, e l'agricoltura stessa, operando sull'ambiente, fu ed è causa di modificazioni, e pertanto non è, nella sua multifunzionalità, un'attività a rischio zero.
È diffuso il timore che le piante transgeniche possano minare la salute dell'uomo che si alimenta di cibi transgenici, e che i geni esogeni trasferiti nelle piante, impollinando piante coltivate e selvatiche affini, si diffondano nell'ambiente tra le componenti dell'ecosistema danneggiando in particolare la biodiversità. Di conseguenza, l'analisi dei rischi-benefici si impone, e l'accertamento dei rischi nell'uso di piante transgeniche va condotto 'caso per caso' e con un approccio graduale 'passo per passo'. Va dato per scontato, inoltre, che la valutazione rischi-benefici andrebbe accompagnata da analisi macroeconomiche sulla competitività degli organismi GM introdotti negli specifici agroecosistemi e nei processi agroindustriali di trasformazione dei prodotti da essi derivati.
Sicurezza d'uso nei confronti della salute umana
La valutazione del rischio da OGM deve accertare se esistono differenze sotto il profilo tossicologico e nutrizionale rispetto all'alimento ottenuto da piante non modificate; se sono state prodotte nuove proteine allergeniche, presenti, peraltro, in numerosi alimenti naturali (per es., latte, uova, arachidi, frumento, soia, noci, kiwi, pesci, crostacei); se è stato provocato un aumento della resistenza agli antibiotici; se altri inattesi effetti possono essersi verificati nella composizione del prodotto alimentare in conseguenza dell'inserimento dei nuovi geni.
Premesso che le sostanze nocive possono essere sintetizzate anche da piante derivanti da ibridazioni naturali, per il controllo di rischi alimentari da OGM si adottano tecnologie biomolecolari, spettrofotometriche, elettroforetiche e metodi genomici e proteomici sempre più perfezionati. Questi permettono di accertare accuratamente il profilo metabolico dei prodotti alimentari che utilizzano OGM rispetto a quelli che ne sono privi, rilevando anche eventuali miglioramenti nel contenuto di nutrienti essenziali in confronto con alimenti convenzionali, ossia l'eliminazione dagli alimenti geneticamente modificati di specifici difetti nutritivi presenti negli alimenti convenzionali, come per esempio per il contenuto di principî antinutrizionali. Vi sono, infatti, alimenti ottenuti da piante non GM i quali, pur non essendo pericolosi per la salute dell'uomo se assunti in dosi limitate, non sono innocui. Per esempio: soia, fagiolo e quasi tutte le leguminose contengono particolari sostanze, le lectine o le emoagglutinine, che si legano all'epitelio intestinale ostacolando quindi l'assunzione dei nutrienti (se tali sostanze non vengono denaturate con la cottura risultano dannose per l'organismo che le usa come alimento); i glucosinolati, glucosidi con effetto gozzigeno che possono interferire con la captazione di iodio da parte della tiroide, sono presenti nelle crucifere (brassicacee); la cassava, largamente consumata in Africa, il sorgo e il fagiolo lunato contengono glucosidi cianogeni che per idrolisi producono acido cianidrico; nella patata è presente la solanina, miscela di glucosidi che provoca nell'uomo disturbi gastrointestinali e neurologici; il metileugenolo nel basilico e lo psoralene del sedano sono tossici; le fitoemoagglutinine e le gliadine nel frumento sono responsabili del morbo celiaco; nella fava i glucosidi vicina e convicina (fattori causanti il favismo) sono responsabili della crisi emolitica che si verifica nei soggetti geneticamente predisposti, ecc.
Il rischio di aumentare nella flora intestinale la resistenza agli antibiotici, a causa di eventuali trasferimenti di tale resistenza dagli alimenti transgenici al genoma dei batteri intestinali, è trascurabile, poiché: (a) decresce e si tende a eliminare l'uso di antibiotici (spesso privi di interesse clinico) nella selezione di cellule transgeniche; (b) alta è la prescrizione medica di antibiotici sia nella cura di infezioni nell'uomo sia nell'alimentazione degli animali delle cui carni ci cibiamo; (c) nell'intestino dell'uomo sono presenti miliardi di batteri, in cui la frequenza di mutazioni naturali per la resistenza è di circa 1 su 10 milioni.
Nonostante l'ingestione giornaliera, e da decine di migliaia di anni, di DNA dei nuclei e dei cloroplasti delle cellule di specie vegetali, è diffusa la preoccupazione che i transgeni possano diventare parte del patrimonio ereditario del consumatore per trasferimento di geni all'uomo sia attraverso i batteri dell'intestino sia attraverso gli alimenti. Eppure, le probabilità di trasferimento di geni dalle piante ai batteri del suolo, o degli insilati o del rumine degli erbivori, sono estremamente basse a causa della presenza di diverse barriere, per esempio per attacco di nucleasi batteriche. Frammenti di DNA di grandezza tale da contenere un gene potrebbero, nonostante l'accertata rapida degradazione del DNA nel tratto intestinale dell'uomo, essere assorbiti da cellule dello stomaco e dell'intestino. Non c'è però evidenza scientifica che il DNA, normalmente assorbito da centinaia di migliaia di anni con la dieta composta di prodotti vegetali - come già detto - seppur improbabilmente ricombinato nei cromosomi di una cellula intestinale possa raggiungere altre cellule o addirittura la linea sessuale degli esseri umani. Circa poi i temuti rischi connessi all'impiego di DNA virale per produrre piante transgeniche, si deve ricordare che gli uomini da millenni si cibano di piante infettate da virus vegetali, e che non c'è alcuna prova che ciò abbia creato nuovi virus per ricombinazione o abbia causato gravi malattie. A dimostrazione di ciò, si consideri che, sebbene il 10% dei cavoli e il 50% dei cavolfiori siano portatori del virus del mosaico del cavolo, non è stato mai dimostrato che questo abbia causato malattie nelle persone o si sia mai ricombinato con altri virus umani.
Un caso particolare concerne l'utilizzazione di prodotti zootecnici ricavati da animali alimentati con OGM. Non sono stati finora riportati casi di transgeni nelle cellule di bovini alimentati con mangimi contenenti, per esempio, mais GM. Semmai attualmente, in termini di qualità e sicurezza dei prodotti animali, i problemi riguardano piuttosto l'uso in zootecnia, a scopo veterinario, di ormoni, antibiotici e vaccini, che possono poi passare dall'animale all'uomo.
In conclusione, gli alimenti da piante GM, finora autorizzati al commercio, sono stati e sono regolarmente sottoposti ad analisi per l'identificazione dei rischi e a valutazione di sicurezza. Peraltro, va notato che non sono stati finora riscontrati effetti sulla salute delle centinaia di milioni di persone che, da oltre un quinquennio, includono nella loro alimentazione prodotti GM. Ciò, però, non autorizza atteggiamenti di tolleranza e compiacenza, poiché i governi devono sempre esercitare la massima vigilanza contro ogni possibile rischio associato a nuovi prodotti alimentari. Di conseguenza, controlli rigorosi, basati sui principî del Codex alimentarius, sono previsti e imposti dalle normative che (aggiornate anche per i progressi delle metodologie analitiche) regolano gli studi e le indagini sulle piante GM e derivati prima di ogni autorizzazione al commercio. Monitoraggi di lungo periodo, inoltre, devono continuare anche dopo l'immissione sul mercato, così da valutare costantemente la sicurezza d'uso degli alimenti da piante GM e prevenire possibili rischi per la salute dei consumatori.
Sicurezza d'uso dei transgenici nell'ambiente
Gli effetti sull'ambiente sono essenzialmente attribuiti al cosiddetto 'flusso genico' - cioè alla migrazione di transgeni dalla pianta GM, per esempio per dispersione di seme o per diffusione di polline GM nell'ecosistema - che modifica in primo luogo le riserve di biodiversità vegetale e animale.
La biodiversità può infatti essere compromessa da cause diverse: (a) per dispersione nel terreno di semi da piante GM competitive con le coltivazioni e la flora circostante; (b) per impollinazione con polline GM e fecondazione di piante non GM della stessa specie o di specie coltivate interfeconde, con conseguente formazione di nuove piante transgeniche che si diffondono a spese delle varietà e degli ecotipi locali; (c) per impollinazione con polline transgenico delle specie selvatiche affini e produzione, ancorché rara, di progenie fertili e, quindi, di nuovi ibridi interspecifici più competitivi e invasivi, in quanto dotati di vantaggio selettivo per aver acquisito, per esempio, resistenza a erbicidi ovvero a stress biotici e abiotici. Il pericolo non sussiste quando specie selvatiche affini alle piante GM non sono presenti nell'ecosistema (come, per es., nel caso di mais e soia non esistendo in Europa specie selvatiche affini). Varie sono le soluzioni al problema: evitare la contemporanea fioritura delle piante GM e non GM e delle specie affini; mantenere distanze di sicurezza tra piante GM e non GM; inserire il transgene non nel genoma del nucleo, ma in quello del cloroplasto, dato che la maggior parte delle piante trasmette i cloroplasti per via materna; costituire piante transgeniche maschiosterili. D'altra parte la maschiosterilità, in piante come la barbabietola, la canna da zucchero, la cipolla, ecc., il cui prodotto commerciale non è rappresentato da semi o da frutti, è utile perché la pianta maschiosterile non produce polline fertile e quindi i fattori transgenici (per es., la resistenza agli erbicidi) non vengono trasmessi e diffusi nell'ambiente e su altri vegetali.
Peraltro, in ragione delle barriere che il processo di speciazione ha originato nei tempi lunghi dell'evoluzione per proteggere le caratteristiche di ciascuna specie, la possibilità di incroci fertili tra piante di specie diverse è rara e, conseguentemente, è difficile la comparsa di nuovi ibridi i quali, se capaci di produrre progenie fertili, daranno origine a nuove specie invasive soltanto se sarà alto il loro valore selettivo, cioè quel vantaggio competitivo che assicuri loro la sopravvivenza e la diffusione spontanea.
Passando a considerare i rapporti tra OGM ed entomofauna, l'impatto ecologico conseguente a transgeni dal potere insetticida può provocare fra gli insetti nocivi l'insorgenza di biotipi mutanti resistenti alla tossina insetticida; questi, sostituendosi progressivamente alle popolazioni naturali sensibili alla tossina GM, renderebbero inutile il transgene. A tale rischio si può ovviare, come dimostrato da recenti studi, costituendo zone di rifugio (aree con piante non transgeniche pari a circa un quarto della superficie coltivata con piante transgeniche) adatte per la moltiplicazione degli insetti normali che, incrociandosi con gli insetti mutanti resistenti, ne controlleranno e conterranno la moltiplicazione.
Un altro pericolo paventato per la biodiversità è rappresentato dalla moria di insetti innocui per le piante, e anzi spesso 'benefici' in quanto impollinatori, o predatori di insetti nocivi, o produttori di miele, ecc. Ma poiché in genere il polline, e quindi anche il polline GM, percorre brevi distanze (da alcuni centimetri nel riso e nei cereali autogami, a vari metri nel mais e nei cereali allogami, e da 30 a 100 metri nella bietola), si deve riconoscere che ben più dannoso è l'uso di insetticidi convenzionali (per es., diffusi mediante aerei) che sono mortali non soltanto per gli insetti-bersaglio ma anche per quelli benefici, per gli uccelli predatori di insetti e per gli animali che se ne cibano. È opportuno ricordare che uno degli obiettivi principali del miglioramento genetico vegetale è stato sempre quello della realizzazione di varietà resistenti ad agenti patogeni, a parassiti animali o vegetali. Un tale miglioramento consente la costituzione di varietà più sane in campo durante le fasi della crescita, ma anche di ricavarne prodotti più salubri. La resistenza, o tolleranza, esibita dalla pianta coltivata all'attacco del patogeno, assicura all'agricoltore un raccolto più abbondante e meno costoso in termini di trattamenti da effettuare; per il consumatore si traduce in un prodotto indenne da residui chimici derivati dai trattamenti antiparassitari nonché libero da metaboliti secondari, spesso tossici, prodotti dal patogeno stesso; infine, per l'ecosistema comporta un minor carico generale di inquinamento da fitofarmaci di sintesi chimica. Dalla scoperta iniziale che una resistenza può derivare dall'azione di un singolo gene, si sono susseguiti programmi di miglioramento genetico delle specie coltivate fondati sull'ipotesi che la resistenza acquisita potesse essere permanente. Ma nelle popolazioni di parassiti la pressione di selezione prodotta dagli antiparassitari convenzionali in molti casi provoca, come già detto, la progressiva prevalenza nelle popolazioni di individui portatori di mutazioni resistenti ai fitofarmaci, cosicché si rende necessaria la sintesi di nuovi antiparassitari. La possibilità di inserire nel genoma più geni per contrastare i patogeni, strategia detta di 'piramidazione', è difficilmente perseguibile con le metodologie classiche dell'incrocio e della selezione, mentre appare più efficiente impiegare metodi biotecnologici per l'introduzione mirata di diversi geni di resistenza a protezione delle coltivazioni agricole e, auspicabilmente, anche degli animali in produzione zootecnica.
È doveroso anche segnalare la pericolosità dell'interazione insetto-fungo patogeno-pianta ospite. Funghi patogeni, penetrati nelle lesioni provocate dalla larva della farfalla piralide alla pianta e alle cariossidi di mais, possono trovarvi l'habitat ideale per la produzione di micotossine cancerogene (aflatossine, fumonisine) che, nelle mucche alimentate con parti di piante così contaminate, passano nel latte e quindi possono nuocere all'uomo. Da numerose indagini è risultato che nei mais-Bt, cioè con transgeni che codificano una proteina tossica per la piralide, le concentrazioni di aflatossine sono molto più basse che nelle varietà convenzionali, e che i bovini alimentati con sfarinati e insilati di tali mais transgenici non manifestano patologie e producono latte privo delle proteine transgeniche insetticide.
Il problema del flusso genico e della valutazione dei rischi per la biosicurezza non si limita, però, all'analisi degli effetti sulle componenti dell'ecosistema al livello epigeo. Anche il flusso di transgeni fra piante e microrganismi e fra microrganismi tra loro, richiede attenzione sulla possibilità che transgeni, per esempio di piante transgeniche resistenti agli erbicidi, trasferendosi nei microrganismi del terreno, che interagiscono o vivono in simbiosi nei noduli delle radici o nella rizosfera delle piante transgeniche, diano luogo a microrganismi geneticamente modificati che si diffondano e abbiano un impatto sull'ambiente. Sebbene sia stato osservato che il flusso genico dalle specie vegetali alla microflora del terreno costituisca una possibilità remota e semmai limitata a frammenti non funzionali di DNA, e che la presenza di piante transgeniche non eserciti un impatto negativo sulle popolazioni microbiche naturali del suolo, tuttavia ricerche sono già in corso per chiarire il fenomeno e giungere a definire, anche in questo settore, norme di biosicurezza.
In sintesi, sono due gli obiettivi finali delle analisi dei rischi e dei benefici, di analisi, cioè, che si giovano: (a) della messa a confronto dei dati scientifici riguardanti le conoscenze biologiche di base; (b) dell'appropriatezza metodologica delle ricerche e degli studi interdisciplinari; (c) della validità dei criteri e dei controlli di sicurezza; (d) della valutazione dei risultati e dei dati di fatto che emergono dalle osservazioni sull'introduzione di OGM vegetali in un'agricoltura che deve innovarsi nella sua multifunzionalità, garantendo, da un lato, la protezione degli ecosistemi e, dall'altro, la sicurezza d'uso degli OGM per l'uomo.
Un primo obiettivo è quello di procurare ai cittadini, agli operatori, ai consumatori, ai politici, alle autorità responsabili, una chiara percezione, un'informazione scientifica seria e obiettiva dei pericoli, effettivi e non ipotetici, dell'impatto degli OGM sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, sulla salute dell'uomo ma anche degli altri esseri viventi. Viviamo, come già detto, nella società del rischio, e anche l'agricoltura non è mai stata un'attività a rischio zero. Perciò, una scienza responsabile non può offrire totali garanzie, non dà mai certezze assolute o universali, ed è un'idea ingenua attendersi conferme di assenza di rischio per un qualsiasi procedimento scientifico-tecnico, per qualunque attività operativa, inclusi gli OGM. Una realistica valutazione dei rischi e dei benefici deve permettere di individuare una soglia di accettabilità tale che il rischio sia inferiore o per lo meno eguale a quello accettato per le colture tradizionali, ossia per le piante ottenute con i metodi convenzionali.
L'altro scopo fondamentale della valutazione responsabile e soggettiva dell'analisi dei rischi-benefici, consiste nel mettere gli organi politici, il legislatore sostenuto da molte e buone informazioni scientifiche, in condizione di adottare, coerentemente con il principio di precauzione, le decisioni sull'accettabilità dei rischi. Questo compito è di stretta pertinenza del potere politico il quale, di concerto con la comunità scientifica, potrà anche aggiornare e perfezionare, mediante un continuo monitoraggio degli effetti sull'ecosistema e sulla salute umana, le strategie di gestione dei rischi, cosicché il processo normativo abbia sempre quell'elevata e razionale credibilità che consolidi la fiducia della opinione pubblica.
L'analisi delle discipline biotecnologiche qui proposta può essere riassunta in alcuni punti.
a) Non sono state finora dimostrate né l'eventuale pericolosità alimentare degli OGM vegetali né l'esistenza di particolari modificazioni agli ecosistemi.
b) Le ricerche e le analisi sull'accettabilità degli OGM devono proseguire intensamente e in modo specifico, allo scopo di migliorare continuamente l'offerta di informazioni all'opinione pubblica chiarendo incertezze e preoccupazioni, e di procurare all'autorità politica motivati giudizi scientifici e tecnici per le decisioni di competenza.
c) La diffusione della prima generazione di piante GM, seppur limitata a poche specie e alla modifica di pochissime proprietà della pianta, è stata veloce e rilevante. La diversificazione di specie e di caratteri e l'espansione delle aree di coltivazione, offerte dal largo numero di piante GM di seconda generazione in avanzata sperimentazione, e probabilmente da qualche OGM animale, potrebbero procurare produzioni quantitativamente sostenibili e benefici più tangibili per la salute e il benessere del genere umano e per una maggiore compatibilità ambientale dell'agricoltura, contribuendo anche a sfidare le crescenti esigenze conseguenti all'incremento demografico nei paesi in via di sviluppo.
d) Certamente le agrobiotecnologie non sono la soluzione dei problemi, delle incombenze e delle situazioni di crisi che investono il settore agroalimentare e agroindustriale a livello mondiale. Ma, nella serie delle innovazioni generate dal progresso scientifico e tecnico per lo sviluppo della società umana sempre nel rispetto di criteri etici, le agrobiotecnologie e gli OGM rappresentano, per le loro potenzialità, occasioni non trascurabili; vanno perciò criticamente valutate, ma senza preconcetti e aprioristiche preclusioni. Le scelte si delineeranno nel confronto fra temi biologici, agroecologici, tecnologici, merceologici, agroindustriali e di redditività per il coltivatore e l'allevatore, ma soprattutto di biosicurezza alimentare e ambientale. Inoltre queste opzioni vanno giudicate anche in uno scenario macroeconomico di competitività, di evoluzione delle produzioni e dei consumi, e di riferimento alle situazioni locali fino al livello mondiale, alle politiche agricole e commerciali e ai rapporti internazionali. Grande attenzione andrà data agli assetti normativi, ai regimi brevettuali e, non ultimo, agli impegni per il sostegno, soprattutto da parte pubblica, dei progetti nazionali e internazionali di ricerca scientifica e tecnologica.
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