La grande scienza. La genetica del comportamento
La genetica del comportamento
La convinzione che i caratteri comportamentali si trasmettano da una generazione alla successiva è antica. Per centinaia di anni gli uomini hanno sfruttato questo fatto nell'allevamento degli animali domestici e ipotizzato che ciò spiegasse, sotto molti aspetti, anche il nostro comportamento. Con l'avvento della genetica, la questione dell'ereditarietà del comportamento si è trasformata nella ricerca di quali geni influenzino un dato comportamento e come essi lo facciano. Per l'uomo, l'influenza genetica sul comportamento è un problema ancora fortemente controverso e si conosce poco dei meccanismi che la regolano. In particolare, non si sa ancora come discernere l'influenza dei geni da quella dell'ambiente. Per gli animali da laboratorio lo studio dei geni che influenzano il comportamento si focalizza su quegli aspetti dello stesso che si possono manipolare e studiare geneticamente, in condizioni in cui sono minimizzate le differenze ambientali tra gli individui.
Lo studio delle influenze genetiche sul comportamento è stato affrontato in due modi diversi: inattivando l'espressione di particolari geni e studiando le variazioni naturali del comportamento. La prima strategia utilizza le mutazioni per stabilire il ruolo di un gene nel comportamento e i meccanismi di funzionamento, mentre la seconda cerca di mappare e identificare i geni responsabili di variazioni naturali nel comportamento degli animali che vengono tenuti in laboratorio.
Le principali informazioni ottenute da questi studi condotti su animali in laboratorio hanno rivelato che la relazione tra geni e comportamento è complessa: più geni contribuiscono a un singolo aspetto del comportamento e ogni gene partecipa a molteplici aspetti di esso. Il comportamento è una proprietà emergente dall'interazione di molti sistemi all'interno dell'organismo. I geni codificano la sintesi delle proteine, le proteine costruiscono i costituenti delle cellule, le cellule formano il sistema nervoso e altri organi, il sistema nervoso, in ultimo, dà origine al comportamento. I geni possono così influenzare il comportamento partecipando a tutti i maggiori processi biologici quali lo sviluppo, la fisiologia e la biochimica dei segnali intracellulari. Qui si esaminerà, come esempi di funzione di tali geni il moscerino della frutta Drosophila melanogaster, organismo di cui si conosce ormai molto, per poi discutere in dettaglio le implicazioni relative alla comprensione dell'azione genica sul comportamento.
L'induzione di nuove mutazioni costituisce il modo classico di procedere dei ricercatori che desiderano chiarire i meccanismi genetici che regolano i processi biologici. Selezionando mutazioni che influenzano o danneggiano un particolare comportamento, sono stati identificati numerosi geni implicati in quel determinato carattere comportamentale. Questo tipo di strategia è stato messo a punto dai genetisti dei microorganismi, quando la biologia molecolare era ancora agli inizi, e fu poi utilizzata come tecnica raffinata per lo studio dello sviluppo embrionale del moscerino della frutta, D. melanogaster (Greenspan 1990).
I mutanti ottenuti risultano modificati in modo molto più drastico che in individui in grado di sopravvivere nell'ambiente naturale. Tali mutanti non rappresentano, pertanto, la variazione genetica naturale e non ci forniscono, dal punto di vista strettamente genetico, alcuna comprensione immediata delle differenze che si verificano nelle popolazioni naturali. D'altra parte, essi costituiscono il punto di partenza per la comprensione dei meccanismi genetici fondamentali che, negli organismi, sono alla base del comportamento. In alcuni casi, i geni identificati come responsabili di gravi mutazioni presentano anche una leggera variabilità in Natura, variabilità che può giustificare in parte le differenze comportamentali naturali. Inizieremo con il prendere in considerazione le mutazioni indotte e i dati che possiamo trarne riguardo alle basi genetiche dei meccanismi comportamentali.
Gli animali dotati di vista possiedono meccanismi complessi per rispondere ai movimenti che avvengono intorno a loro. Ciò è particolarmente vero per quegli animali che devono muoversi rapidamente, come gli insetti che volano. Una parte di questo repertorio di risposte visive durante il volo può essere osservato in laboratorio.
Nel moscerino della frutta sono stati isolati diversi mutanti difettivi per la risposta oculomotoria. Indagini successive hanno mostrato che molti di questi erano completamente ciechi, e presentavano danni a livello dei componenti dell'apparato per la fototrasduzione. Si è osservato che molte mutazioni, tuttavia, influenzavano il comportamento in maniera più diretta. Un mutante risultava normale sia per la visione a livello della retina sia per quanto riguarda la risposta fototattica, ma presentava una deficienza selettiva nel rilevamento del movimento: rispondeva in modo normale a una singola striscia in movimento, tuttavia non riusciva a rispondere, come avrebbe fatto un moscerino normale, a una griglia oppure a una disposizione casuale delle strisce.
Il mutante, conosciuto come optomotor-blind (cieco per il sistema oculomotore), successivamente risultò essere un mutante dello sviluppo (Heisenberg et al. 1978). In particolare, a livello dei lobi ottici più prossimali, esso manca di uno specifico gruppo di neuroni di grandi dimensioni chiamati fibre giganti orizzontali (HS) e fibre giganti verticali (VS). In altre parole, il difetto del comportamento causato da questa mutazione è in realtà un difetto nella formazione, durante lo sviluppo, di una parte ben distinta del sistema visivo. Studi di elettrofisiologia condotti su specie di mosche di dimensioni più grandi hanno mostrato che questi neuroni sono sensibili al movimento in una gran parte del campo visivo; essi ricevono segnali ad ampio spettro dai neuroni presenti nei lobi ottici più periferici. Tali neuroni sono stati identificati anche in Drosophila con una tecnica di marcatura delle cellule che, durante la stimolazione visiva, vanno incontro a un aumento dell'attività metabolica (Bausenwein et al. 1990). Il fenotipo comportamentale di questo mutante dimostra direttamente il ruolo critico delle cellule in un particolare aspetto della risposta oculomotoria, ruolo che potrebbe essere soltanto ipotizzato se ci si basasse unicamente sulle proprietà fisiologiche.
Il gene optomotor-blind è stato clonato ed è stata determinata la sua sequenza nucleotidica (Pflugfelder et al. 1992). Tale gene codifica una proteina che presenta una certa omologia con i fattori trascrizionali (proteine che controllano l'espressione genica), fatto che è in accordo con un ruolo rilevante durante lo sviluppo. Tuttavia, si è osservato che l'espressione di questo gene non è limitata ai neuroni giganti HS e VS ma si estende anche a buona parte dei lobi ottici prossimali (Poeck et al. 1993). In altri termini, l'espressione di tale gene non è esclusiva dei neuroni HS e VS. Ci si chiede come può, allora, la mutazione optomotor-blind produrre un difetto così specifico.
Con un'analisi successiva è stato dimostrato che il gene riveste molteplici ruoli durante lo sviluppo, come risulta dalla presenza di numerose regioni regolative (siti di controllo presenti nel gene e preposti all'attivazione in tempi e luoghi specifici). Mutazioni in queste varie regioni producono diversi difetti di sviluppo, alcuni dei quali molto più gravi della semplice perdita di cellule HS e VS (Brunner et al. 1992). La mutazione originale optomotor-blind era dovuta alla distruzione della regione di controllo, denominata ORLI, che interessa i neuroni HS e VS. Danneggiamenti di regioni di controllo adiacenti producono alterazioni progressivamente più drastiche nello sviluppo del lobo ottico fino all'eliminazione completa del gene (knock-out), che è letale e che produce un'alterazione totale dello sviluppo dei lobi ottici.
Così, anche se questo gene possiede un ruolo primario nello sviluppo degli interi lobi ottici, a causa dell'organizzazione delle sue regioni regolative può subire mutazioni che portano a uno specifico fenotipo comportamentale. Di questo, a sua volta, è stata chiarita la funzione nell'organizzazione del comportamento: la specificazione dei neuroni giganti HS e VS che percepiscono il movimento.
Per un organismo, il comportamento riproduttivo ha una grande importanza evolutiva e varia considerevolmente tra le specie. Il corteggiamento e l'accoppiamento in Drosophila sono comportamenti geneticamente programmati, nel senso che il maschio e la femmina non necessitano di esperienze precedenti: il comportamento riproduttivo consiste in un sequenza di azioni stereotipate il cui normale adempimento richiede tra maschi e femmine uno scambio di segnali olfattivi, visivi e uditivi ben definiti. Ciascun segnale, a sua volta, aumenta il livello di interesse dell'altro partecipante e provoca un comportamento guidato da regioni del sistema nervoso centrale specifiche a seconda del sesso.
I maschi, durante il corteggiamento, sono molto più attivi delle femmine. Nella prima fase del corteggiamento conosciuta come orientamento (orientation) il maschio si trova di fronte all'addome della femmina, a pochi millimetri, e se la femmina si muove la segue continuando a guardare il suo addome. Successivamente, il maschio raggiunge e tocca l'addome della femmina con le sue zampe anteriori (tapping). In seguito, il maschio estende una delle sue ali perpendicolarmente rispetto all'asse del proprio corpo facendola vibrare per produrre un canto di corteggiamento tipico della sua specie, composto da una serie alternata di suoni bassi e ritmati.
A questo punto il maschio si avvicina ulteriormente ed estende il suo apparato boccale per lambire i genitali della femmina (licking), poi, se tende a proseguire, proverà a montarle sopra nel cosiddetto 'tentativo di copulazione' (attempted copulation) piegando il suo addome sotto quello della femmina e iniziando il contatto tra i genitali. Una volta iniziato, l'accoppiamento continua normalmente per venti minuti prima che i due moscerini della frutta si distacchino l'uno dall'altro. La femmina è molto meno attiva del maschio: essa deve rimanere immobile mentre il maschio le lambisce i genitali ed esegue i tentativi di copulazione e, alla fine, deve permettere al maschio di penetrarla.
Tale scenario si verifica quando maschi normali corteggiano femmine vergini. Se la femmina si è già accoppiata, non permetterà al maschio di copulare e lo respingerà con tutte le sue forze protrudendo il suo ovopositore in direzione della testa del maschio (Spieth 1974).
La comprensione dell'aspetto programmatico del corteggiamento dei moscerini della frutta rappresenta una grande sfida nello studio del comportamento. Parte delle difficoltà cui si va incontro non è di natura genetica: in che modo il sistema nervoso effettua una sequenza stereotipata di eventi che sembrano susseguirsi come se fosse una registrazione, ma ogni volta in maniera non identica? A questa domanda ci sono risposte diverse per ciascun organismo. Un altro ordine di difficoltà è di tipo genetico: quali sono i geni coinvolti e in che modo questi dirigono il meccanismo neuronale che realizza il programma? Lo studio di varianti genetiche in Drosophila ha tentato di rispondere a tale domanda.
Una parte dell'apparato neuronale si forma, durante lo sviluppo del cervello, in modo differente nel maschio e nella femmina. Tali differenze sono sotto il controllo dei geni che regolano la determinazione del sesso. In Drosophila, a differenza dei vertebrati, la determinazione del sesso non è controllata dagli ormoni (quali testosterone, estrogeni, ecc.), ma è dettata da quanti cromosomi X possiede la cellula rispetto agli autosomi (rassegna in Hall 1994a). Il fatto che i geni che determinano il sesso regolino il comportamento sessuale emerge non soltanto dalla differenza di comportamento del maschio rispetto alla femmina, ma, soprattutto, nell'ambito di esperimenti in cui in un moscerino parte del cervello si sviluppa come maschio e il resto come femmina ‒ in quello che è denominato 'mosaico genetico' ‒ si è visto che il comportamento dipende da quali porzioni del cervello sono maschili e quali femminili (Hall 1994a; Greenspan 1995). In alcuni casi, il moscerino mostrerà comportamenti caratteristici di entrambi i sessi; in altri casi, i moscerini maschi proveranno a corteggiare senza distinzione sia maschi sia femmine (Ferveur et al. 1995; O'Dell et al. 1995). Si ritiene che queste regioni si sviluppino in maniera differente nei maschi e nelle femmine, sebbene tali differenze, a livello di anatomia macroscopica, non siano così ovvie.
La determinazione del sesso in Drosophila coinvolge una serie di geni mediante un processo a cascata innescato dal rapporto tra il numero di cromosomi X e il numero degli autosomi in ciascuna cellula. A monte di questa cascata troviamo geni come Sex-lethal, transformer e transformer-2 che influenzano tutti o quasi tutti gli aspetti del differenziamento sessuale. Geni gerarchicamente più a valle, come, per esempio, doublesex e fruitless, controllano precisi aspetti del differenziamento sessuale.
Studi condotti sul gene fruitless hanno permesso di stabilire una connessione tra comportamento nel corteggiamento e sviluppo sessuale. Mutazioni di questo gene influenzano soltanto il comportamento maschile bloccando il corteggiamento; mutazioni drastiche lo bloccano del tutto, mentre mutazioni non drastiche lo bloccano nelle fasi finali cosicché i mutanti maschi non arrivano mai alla copulazione. Essi, inoltre, corteggiano insistentemente altri maschi (Hall 1978; Gailey e Hall 1989; Ryner et al. 1996).
Coerentemente con questa idea, il prodotto del gene fruitless si trova soltanto in porzioni ristrette del cervello del maschio, molte delle quali corrispondono a siti precedentemente mappati nei mosaici genetici (Lee et al. 2000).
Nelle fasi di corteggiamento di Drosophila gli stimoli olfattivi giocano un ruolo importante. I maschi e le femmine producono tipi distinti di feromoni e sia la capacità di emetterli sia quella di rispondere a essi è determinante per scatenare un certo comportamento e per la scelta dell'oggetto da corteggiare. La produzione di feromoni avviene nell'addome (Jallon e Hotta 1979), lontano dai siti del cervello che controllano il comportamento. Di solito i mutanti che presentano una generica deficienza dell'olfatto hanno scarse capacità di corteggiamento (Hall 1994a): ciò tuttavia non fornisce molte informazioni su quali odori siano importanti e su come essi influenzino il comportamento.
In Drosophila l'orientamento sessuale sembra essere basato anch'esso sul sistema olfattivo ed è, inoltre, sotto il controllo dei geni per la determinazione del sesso. Se si sviluppano moscerini tali che i loro cervelli sono per la maggior parte geneticamente maschili, ma che sono femminili nei centri responsabili della elaborazione degli stimoli olfattivi, essi corteggeranno altri maschi con la stessa frequenza con cui corteggiano le femmine (Ferveur et al. 1995). Questa scoperta non solo dimostra che l'olfatto è importante per il riconoscimento sessuale, ma anche che le regioni del cervello responsabili della preferenza sessuale sono differenti da quelle che danno origine al programma di corteggiamento stesso.
Sebbene questi risultati possano sembrare suggestivi in relazione alle numerose ricerche e alle controversie sull'orientamento sessuale dell'uomo e sulle sue possibili basi genetiche, non è possibile fare alcuna diretta estrapolazione dai moscerini all'uomo. Come ricordato in precedenza, tutti questi studi su Drosophila sono stati progettati in modo tale da minimizzare o eliminare le variazioni dell'ambiente in cui questi insetti vengono allevati. Un'indagine di questo tipo non si potrà mai applicare agli studi sull'uomo.
A un livello di controllo più sofisticato, ci sono geni che controllano, in maniera più sottile, il comportamento nel corteggiamento. Quando un moscerino maschio presenta una mutazione che influenza i ritmi biologici, il corteggiamento, all'osservazione, è del tutto normale, ma a una registrazione amplificata il canto di corteggiamento risulta anomalo. Il canto, che viene prodotto dalle vibrazioni dell'ala del maschio, è costituito da una serie di pulsazioni con una frequenza di circa 30 al secondo. Il ritmo è dato da una leggera, ma regolare, variazione nell'intervallo tra le pulsazioni. Vale a dire che il maschio aumenta gradualmente e successivamente diminuisce questo intervallo per produrre un canto lievemente oscillante, con un periodo di circa 60 secondi (Kyriacou e Hall 1980).
Le femmine rispondono al canto del maschio mostrandosi più recettive alle proposte di corteggiamento. Se a una femmina solitaria viene fatta ascoltare una registrazione del canto e, subito dopo, viene messa alla presenza di un maschio, essa si accoppierà più rapidamente rispetto a una femmina che non ha ascoltato il canto nei minuti precedenti (Schilcher 1976). I maschi che posseggono una mutazione nel gene period (per0) producono un canto in cui manca il normale ritmo. Se si riproduce un canto aritmico utilizzando il computer, e lo si fa ascoltare alla femmina come prestimolo, si noterà che esso ha meno effetto nell'accelerare l'accoppiamento (Greenacre et al. 1993). Un'altra mutazione nel gene period (pers) causa un ritmo con un periodo più corto, pari a 30 secondi invece di 55. Anche questo canto è meno efficace nello stimolare la femmina all'accoppiamento.
Quando il moscerino interrompe il canto, il suo orologio interno continua a funzionare. Vale a dire che il maschio può proseguire il canto poco più tardi con un ritmo che riprende a un punto corrispondente a quello in cui ci sarebbe stata l'oscillazione se avesse mantenuto il tempo anche durante la pausa. Il suo orologio interno richiede la presenza di un sistema nervoso sempre attivo. Ciò è stato dimostrato con un esperimento nel quale è stato prodotto in un maschio un blocco momentaneo dell'attività neuronale. I potenziali di azione di un neurone dipendono dal funzionamento dei canali del sodio, proteine di membrana che regolano i rapidi segnali elettrici aprendo canali che permettono agli ioni sodio di entrare nella cellula. In Drosophila esiste un ceppo mutante per il gene del canale del sodio tale che, a temperature elevate cessa di funzionare, determinando la riduzione di tutti i potenziali di azione e rendendo il moscerino privo di sensi, mentre, a temperature più basse, il gene funziona normalmente. Un rapido aumento della temperatura, mentre un maschio sta producendo il suo canto di corteggiamento, provoca l'interruzione del canto e la perdita di sensi. Se, dopo 30 secondi, la temperatura viene diminuita, il maschio riprenderà il canto, ma il ritmo sarà sfasato per un lasso di tempo pari a quello in cui la temperatura era più alta (Kyriacou e Hall 1985). In altre parole, il suo orologio biologico interno ha smesso di funzionare per un periodo corrispondente all'interruzione dei potenziali di azione.
Il gene period ha un sottile effetto sul corteggiamento. Un moscerino maschio con una mutazione che interessa questo gene può corteggiare e accoppiarsi con una femmina, anche se la mutazione rende il gene completamente inattivo così da abolire del tutto il ritmo. Malgrado la sua impercettibilità, l'azione del gene period non si limita alla sola modulazione di aspetti così particolari come il ritmo del canto durante il corteggiamento nel maschio. Si è invece visto che il gene period, originariamente isolato per i suoi effetti sui ritmi circadiani, caratteristici degli organismi viventi in genere (Konopka e Benzer 1971), regola molti ritmi biologici nel moscerino.
I moscerini mostrano delle preferenze, in certi momenti della giornata, per alcuni processi biologici come per esempio lo stato generale di attività, la schiusa delle pupe dei moscerini dopo la metamorfosi e la formazione della membrana vitellina attorno agli oociti delle femmine. Normalmente essi regolano il loro orologio interno in modo analogo all'uomo, basandosi sull'alternanza del giorno e della notte ma, anche se sottoposti a buio costante, sono in grado di mantenere il ritmo di 24 ore sotto l'influenza del loro orologio interno. Al contrario, quando i moscerini presentano mutazioni nel gene period, essi sono in grado di avere un normale ritmo ciclico se esposti a un ciclo di buio e luce di 24 ore, ma non riescono a mantenerlo quando sono tenuti in condizioni di buio costante. Il mutante per0, invece, non possiede un ciclo distinguibile, il mutante pers ha un ciclo di 19 ore, e un terzo mutante perl ha un ciclo di 29 ore.
Gli effetti delle mutazioni nel gene period sul ritmo del canto di corteggiamento ricalcano i difetti osservati nei ritmi circadiani. Ciò è tanto più evidente se si considera che il ritmo del canto impiega soltanto un minuto circa per compiere un ciclo. Sembra che il ruolo molecolare del prodotto del gene period sia quello di controllo di altri geni (Young 2000). Tale proteina è localizzata nel nucleo di molte cellule del sistema nervoso del moscerino e, in quelle che presumibilmente governano il ritmo circadiano, il livello del prodotto genico oscilla con un ciclo di 24 ore.
Sebbene non sia assolutamente l'unico gene coinvolto in questo fenomeno, sembra che il gene period rappresenti l'elemento centrale del meccanismo di misura del tempo dell'orologio interno e, in tal senso, svolge un ruolo molto specifico. D'altro lato, i ritmi influenzano molti aspetti differenti del comportamento di un moscerino cosicché le mutazioni nel gene period hanno effetti tanto vasti quanto il numero dei processi ritmici. Ciò fornisce una prospettiva diversa all'idea secondo la quale un tratto comportamentale è controllato dall'azione di molti geni differenti. Ciascun gene può influenzare molteplici comportamenti e ciascun comportamento può essere il prodotto dell'interazione di molti geni.
In che misura gli esempi citati finora, riguardanti geni che influenzano il comportamento, sono applicabili alla diversità di comportamenti presente in Natura? Possono gli stessi geni, che in esperimenti di laboratorio si trovano come mutanti del comportamento, essere responsabili della variazione naturale del comportamento fuori del laboratorio? Quali tipi di variazione genetica del comportamento esistono in Natura?
La misura della variazione esistente in Natura si può osservare nelle differenze tra animali domestici e animali selvatici. Il processo di addomesticazione consiste nel selezionare, generazione dopo generazione con incroci controllati, particolari caratteri molti dei quali comportamentali. In assenza di variazione genetica non c'è possibilità di selezione. Così, l'esistenza di specie domestiche e la presenza di differenze tra le razze di una stessa specie indica che c'è una naturale e significativa variazione nel comportamento.
Per studiare il meccanismo con cui i geni regolano questi caratteri si può ricorrere all'incrocio di razze che sono state selezionate per differenze comportamentali. Due razze differenti vengono incrociate, la progenie (F1) viene osservata per le caratteristiche comportamentali e, successivamente, i singoli individui vengono incrociati l'uno con l'altro. La progenie risultante (F2) rivelerà se la differenza comportamentale è dovuta a un singolo gene, a pochi o a molti geni a seconda di quanti differenti fenotipi presenta. In questo modo sono stati effettuati incroci tra cani per determinare la base genetica di caratteri come il puntamento, la paura del colpo di fucile e l'adattamento al guinzaglio. In tutti i casi, i caratteri analizzati presentano un tipo complesso di ereditarietà, ossia sono ereditabili, e tuttavia non sono mai controllati da uno o pochi geni essendo chiaramente poligenici. Lo stesso tipo di risultati è stato ottenuto in esperimenti sull'ereditarietà di differenze comportamentali nell'ambito di una razza. Sono state ottenute informazioni su ratti, api e moscerini, selezionati per la loro abilità ad apprendere più o meno rapidamente. Dopo molti anni di studio si può concludere che tali caratteri hanno delle componenti ereditarie prevalenti ma che sicuramente non sono controllati da uno o da pochi geni.
Una delle poche eccezioni a questa tendenza è stata ottenuta mediante un esperimento analogo realizzato sul moscone, Phormia regina, operando una selezione per differenze nello stato eccitatorio centrale (CES). Il moscone protrude la proboscide quando i suoi peli sensoriali sono stimolati con una soluzione di saccarosio, ma non con la sola acqua. Durante la stimolazione di un solo pelo con il saccarosio, il moscone estrofletterà la proboscide in risposta allo stimolo con l'acqua di un pelo diverso. La selezione di individui che mostravano livelli alti oppure bassi (o assenti) di risposta a questo tipo di stimolazione ha portato alla generazione di due linee pure.
Esperimenti di incrocio tra le due linee e tra individui della FI hanno dimostrato che tale carattere è prevalentemente controllato da un singolo locus principale (Tully e Hirsch 1982).
Questo dato, nella sua semplicità genetica, è insolito. Il fatto che tali effetti possono essere attribuiti a singoli geni significa che essi possono, in linea di principio, essere identificati e studiati per il modo con cui essi influenzano il comportamento. La difficoltà risiede, tuttavia, nella mappatura dei geni in un organismo come il moscone, che ha un repertorio poco sviluppato di marcatori genetici e di strategie di clonaggio genico. Una soluzione a questo problema potrebbe essere ottenuta con lo sviluppo di migliori marcatori genetici da utilizzare in tali organismi. A questo scopo sono stati identificati marcatori polimorfici del DNA, clonati e mappati a intervalli regolari lungo i cromosomi dell'uomo, del cane e del topo. I caratteri genetici vengono successivamente mappati correlando l'eredità del fenotipo comportamentale con un dato marcatore in una linea conosciuta. Tali linee consistono in famiglie nel caso dell'uomo, linee consanguinee o incroci sperimentali nel caso del cane e del topo. Teoricamente con questa tecnica possono essere mappati anche caratteri poligenici, sebbene con una difficoltà maggiore. Una volta mappati, i geni possono essere potenzialmente clonati, come è stato già fatto, nell'uomo, per molti geni che causano malattie ereditarie.
Una soluzione alternativa per identificare variazioni comportamentali naturali è quella di cercarle in un organismo che sia già a un livello sofisticato per quanto riguarda l'analisi di genetica molecolare, come nel caso del moscerino della frutta. Le larve del moscerino della frutta presentano un polimorfismo nel comportamento locomotorio associato alla ricerca e all'assunzione di cibo (foraging). Questo polimorfismo comportamentale che si osserva in Natura, si ritrova sia nei ceppi di Drosophila cresciuti in laboratorio sia in quelli selvatici. Il comportamento di foraging viene valutato misurando la lunghezza della traccia del percorso fatto dalle larve durante l'esplorazione per il cibo su una piastra di agar coperta di lievito (Sokolowski 1992).
Le larve si dividono in due categorie: erranti e sedentarie (rover e sitter). Le erranti, in un determinato intervallo di tempo, lasciano una traccia più lunga rispetto alle larve sedentarie.
Quando si analizzano caratteri quantitativi non è rara una distribuzione bimodale di questo tipo, anche se non c'è stata alcuna selezione per quanto riguarda i fenotipi. Come per la maggior parte delle varianti comportamentali isolate da popolazioni naturali, i due tipi presentano distribuzioni quantitative sovrapposte. Tuttavia, quando sono stati prodotti ceppi omozigoti per il fenotipo errante o sedentario, essi presentavano una sovrapposizione minima e si è dimostrato che la differenza tra erranti e sedentarie è causata dall'azione di un singolo gene, denominato succesivamente foraging, in cui il fenotipo errante è geneticamente dominante su quello sedentario.
In seguito il gene foraging è stato mappato geneticamente, se ne è determinata la localizzazione cromosomica ed è stato sottoposto a un tipo di mutagenesi tradizionale che produce mutazioni più drastiche di quelle che si trovano in Natura (come optomotor-blind e fruitless). Questi studi hanno dimostrato che il fenotipo dominante rover poteva essere mutato nel fenotipo recessivo sitter, aprendo, così, una serie di interrogativi che normalmente vengono sollevati nel caso dell'analisi di mutazioni indotte più severe, ossia stabilire se il gene è essenziale (de Belle et al. 1989). Alcune delle nuove mutazioni del gene foraging erano letali, indicando che quella naturale era una forma lieve di mutazione. Successivamente sono state identificate numerose altre mutazioni vitali, l'analisi delle quali ha mostrato un effetto sulla locomozione dell'adulto. Così, il gene foraging è stato trovato e identificato come una blanda mutazione comportamentale naturale; attraverso la mutagenesi è stato possibile creare alleli più drasticamente letali; questi, a loro volta, hanno reso possibile l'identificazione e il clonaggio del frammento di DNA che contiene il gene. In base alla sequenza di DNA, si è visto che il foraging codifica la sintesi di una proteinchinasi cGMP-dipendente (Osborne et al. 1997). Come per le altre chinasi discusse in precedenza, anche la chinasi cGMP-dipendente è implicata in modificazioni di vario tipo dell'attività neuronale. La differenza errante/sedentario è di tipo enzimatico: il fenotipo errante presenta un'attività enzimatica maggiore rispetto al fenotipo sedentario. Non si conosce ancora in quale parte del cervello si manifesti tale differenza.
Il caso del gene foraging risulta molto significativo perché dimostra che una leggera alterazione nell'attività di un gene vitale è capace di produrre una differenza significativa del comportamento.
Non esiste una netta distinzione tra i geni identificati in seguito a mutazioni indotte in laboratorio e quelli identificati tramite i polimorfismi naturali. In linea di principio, non c'è motivo per cui alcuni dei geni mutati non possano anche variare in Natura. Se inizialmente il gene foraging fosse stato mutagenizzato, per studiare la proteinchinasi cGMP-dipendente, le prime mutazioni sarebbero state probabilmente letali (o perlomeno relativamente gravi). Se poi si fossero andate a cercare variazioni naturali del gene, si sarebbero trovate le varianti erranti e sedentarie (a patto che qualcuno fosse stato così accorto da prendere in considerazione quel particolare comportamento).
Una situazione analoga è stata riscontrata per il gene period che regola i ritmi biologici. Come descritto in precedenza, esso è stato originariamente scoperto tramite una serie di mutazioni drastiche indotte in laboratorio. Ci si aspetta che una mutazione che distrugge tutti i ritmi dell'animale sia causa di bassa sopravvivenza in Natura, mentre mutazioni blande del gene period potrebbero, invece, permettere una sopravvivenza piuttosto buona.
Una volta che il gene è stato identificato e clonato, sono state cercate variazioni nella sequenza del DNA e ne sono state trovate sia tra specie diverse sia all'interno della stessa specie D. melanogaster. Trovata una variazione nella sequenza nucleotidica, si può determinare se questa differenza causa una modificazione nel comportamento. Quando la sequenza è stata confrontata con la specie strettamente correlata D. simulans, sono state riscontrate alcune differenze. Queste erano per lo più contenute in una regione localizzata a circa metà del gene, distinguibile in quanto codifica una lunga ripetizione dei due amminoacidi treonina e glicina (per es., TGTGTGTGTG...) (Colot et al. 1988). Questa mutazione di 'origine spontanea' è sembrata particolarmente interessante perché D. melanogaster e D. simulans hanno lo stesso ritmo circadiano di 24 ore, ma differiscono per il ritmo del canto durante il corteggiamento del maschio: maschi della specie D. simulans presentano infatti un ritmo oscillante ogni 40 secondi mentre i maschi di D. melanogaster ogni 60 secondi.
Le differenze tra D. simulans e D. melanogaster suggeriscono che lo stesso gene mantiene la temporalità di una funzione (ritmo circadiano) mentre permette all'altra funzione (ritmo del canto) di variare. Con tecniche di genetica molecolare è possibile individuare le regioni del gene responsabili della variazione del ritmo del canto. Per mezzo dell'ingegneria genetica è stato prodotto un gene period misto, una nuova versione che codificava la sintesi di una proteina in cui la regione centrale del gene period di D. simulans sostituiva la regione corrispondente del gene period di D. melanogaster. La porzione centrale trasferita conteneva le ripetizioni TG e le sequenze adiacenti. Questo gene 'chimerico' è stato successivamente introdotto in un ceppo di D. melanogaster in cui mancava il gene period; in tal modo questo moscerino aveva come unica fonte funzionale il gene period funzionante (Wheeler et al. 1991).
I moscerini risultanti presentavano il solito ritmo circadiano di 24 ore comune a entrambe le specie. Essi inoltre producevano un canto con l'autentico ritmo di D. simulans. Il gene reciproco in cui la regione centrale di D. melanogaster sostituisce quella corrispondente nel gene di D. simulans ha dato il risultato opposto: un canto di tipo melanogaster, ma nessun cambiamento del ciclo di 24 ore.
Il gene period sembra così tollerare piccole variazioni in una regione che interessa il ritmo del canto senza cambiare il ciclo delle 24 ore. Anche all'interno della specie D. melanogaster la regione centrale del gene presenta leggere variazioni nelle diverse popolazioni naturali (Peixoto et al. 1993).
Quando sono stati raccolti campioni di DNA da ceppi selvatici di moscerini catturati in una vasta area geografica che si estende da Bristol, in Inghilterra, a Casablanca, in Marocco, sono state trovate differenze nella stessa regione centrale del gene che include le ripetizioni TG e le sequenze adiacenti (Costa et al. 1992). Di questa sequenza si sono trovate tre versioni principali (alleli), e ciascuna area geografica le aveva rappresentate tutte e tre nella propria popolazione. L'allele predominante, tuttavia, non era lo stesso per ciascuna zona geografica, ma presentava una transizione graduale da nord a sud. Il fatto che la prevalenza allelica si correli con differenze climatiche induce a pensare che ciascun allele conferisca un vantaggio selettivo leggermente differente. Successive analisi comportamentali di queste varie popolazioni naturali hanno rivelato che le popolazioni con più lunghe ripetizioni TG erano più costanti nel mantenere la periodicità del ritmo circadiano, in seguito a fluttuazioni della temperatura (Sawyer et al. 1997).
Ciò è particolarmente importante negli animali che, come i moscerini, non regolano la loro temperatura corporea. Si è infatti osservato che la regione con ripetizioni TG più lunghe predominava nelle zone climatiche più a nord. I differenti alleli mostrano anche piccole differenze nel ritmo del canto, ma non è chiaro quanto queste variazioni siano rilevanti. Sarebbe veramente notevole se si trovasse che le femmine manifestano una preferenza per il canto di maschi con l'allele period più appropriato alla loro zona climatica.
L'idea che in Natura un gene possa variare in modo così circostanziato da aggiustarsi in accordo con le differenti nicchie ecologiche, trova enormi implicazioni evolutive e meccanicistiche. Tralasciando gli aspetti comunque interessanti dal punto di vista evolutivo, l'esempio serve anche a mettere in evidenza (a posteriori) che si sarebbe potuto isolare il gene period da individui normali se si fossero cercate variazioni comportamentali dei ritmi biologici nelle popolazioni naturali. Più in generale, il gene period dimostra che aspetti interessanti della struttura e funzione genica possono essere scoperti studiando l'evoluzione comportamentale. Questo significa sia che possiamo imparare molto su come i geni influenzano il comportamento, ricercando versioni naturali dei geni identificati in laboratorio, sia che questa influenza non è di tipo specialistico.
Sia che i geni siano stati identificati come mutanti sia come polimorfismi naturali, sono davvero pochi i casi in cui l'effetto è ristetto a un singolo comportamento oppure a un unico aspetto della biologia animale. Quando viene considerata nel contesto del comportamento visivo come proprietà emergente dei molti sistemi dell'organismo, questa pleiotropia non sorprende.
Per i geni che hanno un ruolo durante lo sviluppo tale da influenzare il comportamento, come i geni per la determinazione del sesso o il gene optomotor-blind, la mancanza di specificità deriva dalla promiscuità dell'azione genica durante lo sviluppo. La maggior parte dei geni implicati nello sviluppo adempie a molte funzioni distribuite in varie parti dell'animale e in vari stadi dello sviluppo (Hall 1994b; Greenspan e Tully 1994). I geni per la determinazione del sesso influenzano un'ampia gamma di caratteri sessuali dimorfici. Anche gli effetti più ristretti di fruitless si estendono oltre il comportamento del corteggiamento, e il gene omb è coinvolto nello sviluppo di ampie porzioni del cervello, non soltanto in quello delle cellule del movimento nei lobi ottici. Molti dei geni che interessano il comportamento codificano enzimi coinvolti nella trasduzione del segnale, quali la proteinchinasi cGMP-dipendente del gene foraging.
Queste osservazioni hanno importanti implicazioni per ciò che pensiamo riguardo all'influenza dei geni sul comportamento. Esse mostrano infatti che non ci può essere una semplice corrispondenza tra un particolare gene e un dato comportamento, ossia i geni non controllano il comportamento direttamente, anche in quei casi in cui un certo gene è assolutamente richiesto. È necessario, invece, cominciare a pensare in termini di una rete di geni che forma una matrice interconnessa in grado di produrre i circuiti e la capacità di trasmissione di segnali del sistema nervoso che, a sua volta, dà origine al comportamento. Tale modo di pensare rappresenta un allontanamento dal paradigma che ha guidato la biologia molecolare dagli anni Sessanta del XX sec. fino a oggi: la scomposizione di un processo nelle sue varie componenti e lo studio di queste singole parti fino a ottenerne una descrizione completa. Il fallimento di questo paradigma nella risoluzione dei problemi a livello di sistemi e di reti sta diventando sempre più evidente negli studi sulla trasduzione del segnale nelle cellule e nel funzionamento delle reti neurali, così come nel comportamento.
Per quanto riguarda l'uomo, la questione di quali siano le componenti ereditarie del comportamento è stata molto controversa, a causa delle sue implicazioni politiche.
All'inizio del XX sec., quando la genetica come scienza era ancora agli albori, c'è stata una corsa nell'attribuire tutti i caratteri umani, inclusi i tipi complessi di personalità e addirittura lo status socio-economico, agli effetti di singoli geni ereditati secondo il modello mendeliano. Questa posizione estremista di assoluto determinismo genetico alimentò il movimento eugenetico volto al miglioramento genetico della specie umana. A partire dalla metà del secolo, si verificò un netto cambiamento come risultato di diversi fattori: le puntuali critiche dei nuovi risultati ottenuti da alcuni genetisti, la nascita delle moderne scienze sociali con il loro riconoscimento delle influenze culturali e l'avversione per l'attuazione della ideologia eugenetica nella Germania nazista.
Il punto critico di questa controversia è il ruolo dell'ambiente. I fautori di uno stretto determinismo genetico negano che l'ambiente influenzi in modo significativo il comportamento, mentre i loro oppositori asseriscono che l'ambiente è tutto ciò che conta. La chiave per riconoscere e, in ultimo, identificare le componenti genetiche del comportamento è controllare le differenze ambientali o, nel caso di animali da laboratorio, l'ambiente stesso. Questo approccio ha consentito di gettare le basi per gli attuali studi sul ruolo dei geni nel comportamento degli animali.
Da questo punto di vista, gli studi sull'uomo presentano un grande ostacolo poiché non è possibile (o accettabile) controllare l'ambiente di un singolo individuo per fini sperimentali, a eccezione di alcuni casi, molto limitati, di volontariato. C'è il rischio che i risultati degli esperimenti genetici qui esaminati, possano servire per diffondere la nozione che il comportamento, incluso quello dell'uomo, è geneticamente determinato. È probabile, invece, che la predisposizione genetica abbia influenza soltanto su una piccola parte del nostro comportamento e che un'altra piccola sua frazione risulti determinata esclusivamente da fattori ambientali relativamente semplici. È molto importante, però, che la grande maggioranza dei fattori deterministici risieda, verosimilmente, in una moltitudine di interazioni tra fattori genetici.
Fatte queste precisazioni, è possibile valutare quanto gli studi genetici condotti sui moscerini e sui topi siano attinenti all'uomo. La conservazione dei geni tra le specie, includendo specie così diverse come il moscerino e l'uomo, è stata una delle scoperte più incredibili della biologia molecolare contemporanea. Il gene codificante la proteina precursore dell'amiloide, principale componente delle placche associate alla malattia di Alzheimer, si trova anche in Drosophila e i geni sono talmente simili che i mutanti di Drosophila possono essere completamente recuperati per mezzo del gene umano (Luo et al. 1992). Tuttavia le sequenze del DNA e delle proteine non sono le sole caratteristiche a essere conservate. C'è anche una conservazione significativa della funzione in genere, come mostrato nel ruolo simile giocato dal gene period nei ritmi circadiani umani.
Da simili dati si è tentati di estrapolare direttamente da una specie all'altra; tuttavia, una tale estrapolazione acritica non è giustificata. Il principale valore della conservazione è di tipo euristico e serve da guida per sviluppare teorie ed esperimenti, ai quali dovrà sempre seguire la necessaria verifica sperimentale. Per esempio, non c'è alcuna indicazione che i meccanismi per la determinazione del sesso che operano nel moscerino possano essere rilevanti anche per l'uomo. Questo dovrebbe invalidare i tentativi di estrapolare all'uomo gli effetti genetici sull'orientamento sessuale trovati nel moscerino.
La conoscenza delle sequenze geniche ha allargato la possibilità di accedere all'universo genetico. Una delle conseguenze più immediate di questo progresso sarà un'accelerazione della catalogazione dei geni che influenzano il comportamento. Per questioni quali il corteggiamento e i ritmi biologici del moscerino, un catalogo completo di sequenze geniche aiuterà a rispondere a certe domande, ma non sostituirà l'analisi funzionale del modo in cui i geni agiscono. L'analisi dei mutanti sarà ancora necessaria per dimostrare che cosa succede quando un gene è alterato, e l'insieme delle tecniche genetiche sarà ancora indispensabile per saggiare quando e dove un gene è realmente necessario e risulterà fondamentale studiare le variazioni naturali per capire come si esplicano gli effetti misteriosi delle variazioni genetiche.
Le conoscenze acquisite dagli studi che hanno preso in esame i geni e il comportamento degli animali in laboratorio ci saranno sicuramente utili quando ci confronteremo con l'abbondanza di dati che si stanno accumulando circa le possibili influenze geniche sul comportamento nell'uomo. Gli studi di mappatura stanno conducendo all'isolamento di nuovi geni coinvolti nel comportamento con una velocità destinata sempre più ad aumentare ora che disponiamo di una mappa dettagliata del genoma umano e della sequenza dei nostri geni. La lezione principale, già evidente, è che i geni permettono la vita ma non la determinano. La genetica ci informa sui meccanismi della vita, ma non cancella la nostra essenza come umani ‒ le capacità di riflettere, di valutare, di scegliere, che restano nostre, da mettere in pratica.
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