La grande scienza. Fisica delle superfici
Fisica delle superfici
Nei solidi cristallini gli atomi sono disposti nei vertici di una struttura spaziale triplamente periodica, il reticolo. In un solido reale la periodicità è interrotta dalla presenza della superficie. In linea di principio la struttura di una superficie dovrebbe coincidere con quella di uno dei piani reticolari del cristallo. Di fatto ciò non avviene: (a) perché sulla superficie, più facilmente che all'interno del solido, esistono difetti che tendono a disordinarla e a renderla comunque non omogenea; (b) perché la superficie è spesso contaminata dalla segregazione di impurezze provenienti dall'interno del solido e dall'ambiente esterno e (c) perché gli atomi, a causa di una maggior libertà di movimento di cui godono sulla superficie, molto spesso si dispongono in posizioni diverse da quelle dell'interno del solido, il cosiddetto bulk, dando origine a un 'rilassamento' superficiale e in alcuni casi a una vera e propria 'ricostruzione superficiale', nella quale essi si dispongono nei vertici di un reticolo cristallino bidimensionale diverso da quello del bulk. Quest'ultimo fenomeno, molto vario e diversificato, presenta un notevole interesse teorico e verrà trattato nel seguito con maggior dettaglio rispetto a quelli descritti sommariamente in (a) e (b).
La ricostruzione provoca a sua volta una modifica della struttura e delle proprietà elettroniche superficiali che sono poi quelle che determinano molte proprietà fisiche, chimiche e tecnologiche del solido.
È necessario sottolineare subito che, dal punto di vista storico, è stato proprio l'effetto degli stati elettronici di superficie sulle proprietà di trasporto degli elettroni nei transistor che ha stimolato, a partire dagli anni Cinquanta, il grande sviluppo sia scientifico sia applicativo della fisica delle superfici solide. Gli stati elettronici di superficie erano stati previsti teoricamente per un semplice modello unidimensionale da Igor Tamm (1932) e, per un modello più realistico, suscettibile di un'applicazione ai 'semiconduttori', da William Shockley (1939). In questi modelli gli stati superficiali sono essenzialmente dovuti alla terminazione del potenziale periodico sulla superficie del solido. L'energia associata a tali stati spesso cade in una 'banda proibita' del solido non limitato (il bulk). È proprio questo fatto, che associa alla superficie nuovi livelli di energia, a modificare, talvolta drasticamente, le proprietà elettroniche del solido, soprattutto nel caso dei semiconduttori.
È interessante ricordare a questo punto che il rudimentale transistor realizzato nei Bell Telephone Laboratories di Murray Hill verso la fine della prima metà del secolo scorso, per ragioni apparentemente inspiegabili, non funzionò. Tale dispositivo, ideato nel 1948 da Shockley e Gerald L. Pearson, è mostrato schematicamente nella fig. 1. L'applicazione di un segnale alternato tramite il generatore G non richiede l'uso di potenza elettrica in quanto la differenza di potenziale è applicata ai capi del condensatore costituito dal semiconduttore S e dall'elettrodo metallico E. Il campo elettrico generato in tal modo nella regione superficiale del semiconduttore richiama (o respinge) elettroni che finiscono per muoversi in una specie di canale superficiale, modificando la resistenza elettrica del semiconduttore e conseguentemente la corrente che scorre nella resistenza esterna R. Ai capi di R si può misurare il segnale di uscita amplificato.
La spiegazione del mancato funzionamento fu data nel 1947 da John Bardeen sulla base di un lavoro in cui era discusso l'effetto degli stati di superficie sulla conducibilità elettrica dei semiconduttori: gli elettroni nel canale superficiale sono 'intrappolati' negli stati di superficie e non contribuiscono alla conducibilità del campione, rendendo impossibile il funzionamento del dispositivo. L'insieme di questi lavori portò tuttavia alla realizzazione di un transistor funzionante da parte di Bardeen e Walter H. Brattain (1948) e aprì una nuova era nell'elettronica.
Il primo transistor, con contatti metallo-semiconduttore semplicemente pressati contro la superficie (transistor di tipo A, fig. 2), era un dispositivo poco affidabile, difficilmente miniaturizzabile, che non avrebbe potuto competere con i tubi elettronici che, seppure ingombranti e grandi dissipatori di potenza, erano all'epoca dispositivi tecnologicamente molto avanzati. Esso venne però subito sostituito da un dispositivo molto più piccolo e affidabile, il transistor a giunzione sviluppato, sempre presso i Bell Telephone Laboratories, soprattutto da Shockley (1949). Tale transistor era costituito dall'unione di due giunzioni n-p (o p-n) ossia da una struttura n-p-n (o p-n-p). Nella giunzione si ha un trasferimento di carica (per es., di elettroni dal materiale n a quello p) e conseguentemente si manifesta una barriera di potenziale che, in condizioni d'equilibrio, impedisce l'ulteriore passaggio di elettroni. Nel transistor la prima giunzione viene polarizzata da una differenza di potenziale esterna di segno tale da ridurre l'altezza della barriera, mentre la seconda giunzione viene polarizzata in modo da aumentarla. Inoltre la parte centrale (chiamata base e costituita, per esempio, da materiale p) ha uno spessore così piccolo, inferiore al libero cammino medio di un elettrone nel materiale p, da permettere a tutti gli elettroni iniettati da un segnale esterno nella prima giunzione di raggiungere la seconda. Si ha cioè all'incirca la stessa corrente attraverso le due giunzioni, che hanno però resistenze assai diverse, perché la seconda barriera ha una resistenza assai maggiore della prima, a causa della polarizzazione. Si ottiene così una considerevole amplificazione del segnale d'ingresso. Il transistor a giunzione o bipolare è tuttora molto usato, soprattutto nei dispositivi di potenza.
In un certo senso anche il transistor di tipo A può essere pensato come la successione di due giunzioni metallo-semiconduttore. L'area attiva del semiconduttore rappresenta la base. Per il funzionamento è necessario che la distanza tra le due punte sia più piccola della lunghezza di ricombinazione nel semiconduttore, analogamente a quanto richiesto per lo spessore della base nel transistor a giunzione. La presenza di stati elettronici di superficie nella zona intermedia del transistor, la cosiddetta base, ancora una volta però poneva problemi: era possibile, per esempio, che in una struttura n-p-n la zona p presentasse (a causa di tali stati) caratteristiche superficiali di tipo n, creando un canale che cortocircuitava le due giunzioni.
Era assolutamente necessario comprendere e controllare le proprietà associate agli stati di superficie per sviluppare i processi tecnologici usati nella fabbricazione dei transistor. Fu questa la causa del grande sviluppo della fisica delle superfici dei solidi a cominciare dagli anni Cinquanta.
Gli stati associati alle imperfezioni o alla contaminazione della superficie potevano essere controllati migliorando il trattamento meccanico di politura abrasiva e il successivo attacco chimico (etching) che asporta la parte danneggiata meccanicamente. Al contrario gli stati associati alla diversa disposizione degli atomi superficiali erano difficilmente controllabili trattandosi di processi intrinseci alla superficie stessa.
Ci si accorse comunque che questi stati erano associati prevalentemente all'esistenza di legami chimici non saturi sulla superficie. Per esempio nel caso del Si e del Ge, semiconduttori del IV gruppo o covalenti che cristallizzano nella struttura del diamante, esistono uno o due legami non saturati per atomo di superficie a seconda dell'orientazione del piano superficiale: uno per la superficie (111) e due per quella (100). Si tratta dei cosiddetti legami pendenti (DB, dangling bond) mostrati nella fig. 3 per la superficie (111). Per neutralizzare questi legami è necessario ossidare in modo controllato la superficie creando uno strato di pochi piani reticolari di ossido di Si, processo chiamato passivazione. Il biossido di silicio, vale a dire il quarzo, è un ottimo isolante anche se la struttura chimica dell'ossido superficiale è tuttora controversa.
Il dispositivo della fig. 1 fu trasformato usando l'ossido stesso del semiconduttore come dielettrico nel condensatore tra semiconduttore ed elettrodo (attualmente chiamato gate). Il dispositivo funzionò come dimostrato nel 1960 da D. Khang e M.M. Atalla e costituì il prototipo di quello che ora viene chiamato MOSFET (metal oxide semiconductor field effect transistor) oppure più semplicemente MOS. La planarità insita nella struttura geometrica del MOS, evidente dalla fig. 1, ha permesso di inserire nei 'circuiti integrati' vari milioni di transistor MOS su un singolo chip rendendo possibile la straordinaria potenza di calcolo dei moderni elaboratori.
Può essere interessante notare che tra l'esperimento che ha verificato il mancato funzionamento del dispositivo della fig. 1 e l'invenzione del MOS sono trascorsi ben tredici anni. Ancora più interessante e in un certo qual modo sorprendente è osservare che già negli anni Trenta esistevano brevetti che enunciavano il principio di funzionamento del MOS. La mancanza di un'adeguata tecnologia, la scarsa caratterizzazione dei materiali, l'inesistenza di sia pur rudimentali nozioni di fisica delle superfici hanno però ritardato di trenta anni questa importante invenzione; tale ritardo evidenzia il fatto che nella moderna elettronica dello stato solido spesso non è tanto importante l'idea quanto la capacità di realizzarla praticamente.
La soluzione di problemi tecnologici associati al funzionamento dei transistor ha portato alla conoscenza della struttura microscopica di molte superfici, della ricostruzione superficiale e della cristallografia di superficie, tutti fenomeni di interesse fondamentale.
Dal punto di vista sperimentale un notevole progresso si ebbe negli anni Sessanta con lo sviluppo della tecnologia dei vuoti ultraspinti (UHV, ultra high vacuum) che permisero di osservare e manipolare le superfici in ambienti con pressioni inferiori a 10 −10 tor (circa 1013 volte minori della pressione atmosferica). Le superfici ottenute in UHV furono chiamate 'superfici pulite' per distinguerle dalle 'superfici reali' di interesse prettamente tecnologico.
Per osservare la struttura delle superfici si usano elettroni di bassa energia, da circa 10 a 100 eV che, penetrando pochissimo nel solido, sono ideali per essere diffratti essenzialmente dallo strato superficiale. Quando le superfici pulite sono osservate con il LEED (low energy electron diffraction) mostrano il fenomeno della ricostruzione superficiale. Nella fig. 4, per esempio, è mostrato il diagramma LEED di una superficie di Si(111) sfaldato in UHV. Nella parte (B) della figura sono indicate con circoletti pieni le macchie (spot) che ci si aspetterebbe di vedere se la superficie avesse la stessa struttura dell'interno del cristallo e con crocette le macchie di ordine semiintero osservate sperimentalmente. Si vede che nella direzione [011̄] la dimensione della cella elementare è raddoppiata.
Dal punto di vista matematico, una superficie ricostruita è descritta da una matrice 2×2 che trasforma i vettori base della cella elementare della superficie ideale nei vettori base della cella elementare della superficie ricostruita. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli angoli della cella elementare rimangono invariati e si può usare una notazione semplificata dovuta a E.A. Wood (1963): la superficie ricostruita viene indicata facendo seguire agli indici di Miller del piano cristallografico la notazione m×n dove m e n in genere, ma non sempre, sono interi positivi che indicano i rapporti tra i lati della cella elementare della superficie ricostruita e quelli della superficie ideale. Per esempio: Si(111)2×1 significa che sulla faccia (111) della superficie ricostruita del silicio gli assi sono rimasti gli stessi ma le dimensioni della cella sono raddoppiate nella direzione del primo asse. Una superficie non ricostruita viene indicata con 1×1. Qualora la cella elementare risulti ruotata di un angolo α si aggiunge alla notazione precedente il termine Rα. Se la cella elementare è 'centrata' o 'primitiva' si può anteporre la lettera c o p come in c(m×n) o p(m×n).
La fig. 5 presenta vari esempi di ricostruzione superficiale e le relative notazioni matriciali e di Wood. Si noti che la sola simmetria non è sufficiente a individuare la posizione dei singoli atomi (si confrontino nella figura le sezioni (A) e (B) che rappresentano due ricostruzioni diverse con la stessa simmetria) e che d'altra parte esiste una certa arbitrarietà nella scelta della cella elementare (si vedano nella figura le sezioni (D) e (E) che rappresentano la stessa ricostruzione).
La ricostruzione superficiale è molto comune nei semiconduttori, mentre si incontra più raramente nei metalli. Il legame metallico infatti è assai poco localizzato e l'energia non dipende molto dalla posizione dei singoli atomi. Le energie associate alla ricostruzione sono dell'ordine di 10−1 eV/atomo nei semiconduttori e di 10−2 nei metalli.
Nella Tav. I sono riportati alcuni esempi di ricostruzione in semiconduttori e in metalli. Si vede che il fenomeno è assai vario e complesso. Alcuni tipi di ricostruzione presentano vere e proprie transizioni di fase al variare della temperatura. Tipica è la transizione 2×1→ 7×7 che avviene nel Si(111) a circa 250 °C.
A tuttora non esiste un'unica teoria che riesca a inquadrare correttamente tutti questi fenomeni. Si può affermare genericamente che nei semiconduttori covalenti la ricostruzione tende a minimizzare il numero dei legami superficiali non saturati. Poiché nei legami sp3, tipici dei semiconduttori covalenti, l'energia associata agli angoli tra i legami è esigua rispetto a quella associata alla lunghezza dei legami, la ricostruzione avviene spesso con spostamenti degli atomi che conservano approssimativamente le reciproche distanze ma non gli angoli tra i legami.
Nei metalli, dove invece le energie implicate nelle ricostruzioni sono molto piccole, le interazioni repulsive tra gli atomi favoriscono la formazione di superfici rilassate o ricostruzioni con celle elementari molto grandi come per Au(111)23×1. In alcuni casi l'interazione repulsiva può provocare l'espulsione di intere file di atomi come, per esempio, in Au(110)2×1 o Pt(110)2×1, chiamate ricostruzioni con fila mancante (missing row).
Poiché la sola simmetria non è sufficiente per descrivere compiutamente la ricostruzione superficiale, in linea di principio si potrebbe pensare di usare il LEED dinamico, misurando la variazione dell'intensità delle singole macchie al variare dell'energia degli elettroni; tuttavia gli urti multipli degli elettroni rendono difficile tale analisi, specie nel caso di celle elementari che contengono un grande numero di atomi.
Il problema deve essere affrontato usando varie tecniche sperimentali quali, per esempio, la microscopia a effetto tunnel (STM, scanning tunneling microscopy), la fotoemissione risolta in angolo, proprietà ottiche delle superfici, la diffusione di ioni o di atomi, la diffrazione di elettroni di alta energia e confrontando i risultati con le previsioni teoriche.
Nelle Tavv. IIa, IIb, III e IV verranno illustrati alcuni esempi significativi di ricostruzione nei semiconduttori.
Generalmente le configurazioni d'equilibrio delle varie ricostruzioni superficiali corrispondono a minimi di energia libera. Il calcolo di tale energia, effettuato nell'ambito della meccanica quantistica, può tuttavia essere eseguito solo a partire da un modello definito di ricostruzione. Poiché i modelli possibili sono numerosissimi, tali calcoli sono inadeguati per prevedere specifiche ricostruzioni. Inoltre l'accresciuta mobilità degli atomi di superficie altera significativamente il contenuto entropico all'energia libera. Appare cioè necessario trattare contemporaneamente il problema elettronico e quello vibrazionale.
Un notevole progresso verso la risoluzione di questi problemi si è avuto nel 1985 con l'introduzione del cosiddetto 'metodo di Car-Parrinello' (Car e Parrinello 1985) che, pur avendo applicazione generale, si è dimostrato particolarmente efficace nel calcolo della struttura delle superfici.
Questo metodo consiste nel simulare l'evoluzione di un insieme, costituito da un centinaio di atomi, a partire da uno stato iniziale come, per esempio, la superficie ideale.
L'energia del sistema dipende dalla posizione reciproca dei nuclei atomici e degli elettroni. La sua variazione induce una forza sui singoli atomi che li fa muovere in nuove posizioni. Il minimo dell'energia libera determina la condizione d'equilibrio. Il metodo richiede elevate potenze di calcolo ed è di difficile applicazione quando la cella elementare (della superficie ricostruita) contiene un grande numero di atomi.
Il metodo è stato applicato con successo al caso del Si(111)2×1 prevedendo la ricostruzione secondo il modello a catene, come mostrato nella fig. IIb, 4. L'applicazione a superfici diverse, specie se accompagnata da un'accresciuta potenza di calcolo, potrà chiarire gli elementi essenziali (i cosiddetti 'mattoni') della ricostruzione fornendo suggerimenti e idee guida per i modelli delle superfici più complesse.
Altri settori che probabilmente saranno oggetto di attenzione nel prossimo futuro sono: l'interazione elettrone-fonone in superficie, che potrà essere studiata sia con il già citato metodo di calcolo di Car-Parrinello, sia indagando la dipendenza dalla temperatura della posizione e la larghezza delle varie strutture che si osservano sperimentalmente, per esempio gli spettri ottici e di fotoemissione, e la diffusione elastica e anelastica di ioni e di atomi dalle superfici.
La forte interazione elettrone-fonone osservata in certi casi fa pensare a strutture parzialmente ioniche anche per le superfici dei semiconduttori covalenti, con un trasferimento di carica tra gli atomi della superficie ricostruita. Si veda, per esempio, la fig. IIa, 2 del modello di Pandey dove lo spostamento verticale degli atomi con legame π induce una carica negativa sull'atomo più alto e una positiva su quello più basso.
L'interazione superficie-ambiente esterno, che può dare origine a un ricoprimento ordinato (fig. 5), è pure un argomento di grande interesse specie perché lo studio del chemisorbimento su superfici ben caratterizzate può essere pensato come il primo passo per la comprensione della catalisi a livello atomico-molecolare.
La mobilità di atomi chemi- o fisisorbiti su strutture difettose o, comunque, con un confinamento spaziale è un problema aperto che sta attirando l'attenzione di molti fisici interessati a comprendere i meccanismi elementari del processo di crescita per mezzo di epitassia da fasci molecolari.
Molte ricostruzioni mostrate nella Tav. I sono stabilizzate dalla presenza di impurezze. L'affinamento delle tecniche sperimentali e un miglior controllo del processo di ricostruzione permetteranno di chiarire i motivi e i meccanismi per cui alcune impurezze influenzano selettivamente il processo di ricostruzione.
Una compiuta spiegazione da principî primi di tutte le forme e varietà di ricostruzioni superficiali (non solo nei semiconduttori ma nella più ampia classe dei metalli) appare al momento difficilmente raggiungibile. È tuttavia prevedibile che l'elucidazione dei meccanismi elementari che sono alla base dei processi di ricostruzione sarà in grado di offrire nel prossimo futuro criteri qualitativi per la previsione delle strutture superficiali e della loro interazione.
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