La grande scienza. Biotecnologie e politiche dei brevetti
Biotecnologie e politiche dei brevetti
Il termine 'biotecnologia' è stato coniato dallo scienziato ungherese Karl Erky, che lo inserì nel titolo di un trattato pubblicato nel 1919 in cui si raccomandava l'impiego di metodi industriali in campo agricolo per aumentare la produzione di carne, grasso e latte. Il programma di Erky si basava su tecnologie che prevedevano il ricorso a processi di fermentazione per produrre una serie di beni quali, per esempio, la birra. La crescente consapevolezza di come i processi microbiologici siano in effetti di carattere chimico trasformò questa branca della microbiologia in un'impresa volta a sfruttare i sistemi biologici su scala industriale. Il programma zootecnico di Erky faceva eco ai tentativi di sintetizzare alcuni prodotti chimici (per es., l'acetone e il butanolo a partire dall'amido di patata) intrapresi con successo in Inghilterra da Chaim Weizmann (1874-1952). Molti di questi primi programmi biotecnologici erano ispirati a ideali di progresso sociale, soprattutto nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Inducendo gli organismi viventi a produrre combustibili, alimenti e materiali di fondamentale importanza, infatti, si poteva emancipare la società industriale dai limiti e dai conflitti legati alla scarsità di alcuni prodotti.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la biotecnologia industriale fu ampiamente utilizzata nella produzione di una serie di farmaci, come, per esempio, la penicillina, mentre, negli anni Sessanta e Settanta, furono intrapresi progetti volti a indurre gli organismi unicellulari a trasformare gli idrocarburi in proteine commestibili e i rifiuti degli animali da cortile in miscele benzina-alcol. Questi sforzi furono incoraggiati dai governi di alcuni paesi quali il Giappone, la Germania e la Gran Bretagna, così come dalla Commissione europea, poiché promettevano non soltano di condurre alla produzione di medicine più efficaci e di una maggiore quantità di prodotti alimentari e di materiali, ma anche di sostenere la competitività di queste nazioni minacciata dal declino di alcune industrie manifatturiere tradizionali.
La nascita, negli anni Settanta, di una nuova biotecnologia, a seguito della scoperta che i geni sono costituiti dal DNA e dei nuovi metodi di manipolazione di questa fondamentale molecola che è alla base della vita, diede un fortissimo impulso e impresse un nuovo orientamento a questi sforzi. Era stato poco tempo prima scoperto che alcune proteine, chiamate enzimi di restrizione, tagliavano il DNA in corrispondenza di siti specifici. Uno di questi enzimi era l'EcoRI, così chiamato in quanto rinvenuto in Escherichia coli e perché tagliava in frammenti il DNA nei punti in cui conteneva l'informazione genetica di un certo tipo di resistenza agli antibiotici. I frammenti di DNA tagliati dall'enzima si ricongiungevano spontaneamente perché dal taglio risultavano due estremità viscose complementari che, in quanto tali, tendevano a connettersi tra loro; ma soprattutto, queste estremità viscose si integravano una con l'altra indipendentemente dalla fonte del DNA. Così, due frammenti di DNA tagliati dall'EcoRI potevano facilmente essere uniti tra loro, e ciò permetteva di ottenere in provetta, con una certa facilità, qualsiasi combinazione di filamenti di DNA.
Herbert Boyer, microbiologo presso la San Francisco medical school dell'Università della California, e Stanley Cohen conoscevano già questa caratteristica dell'EcoRI quando, nel novembre del 1972, si incontrarono a Honolulu, nelle Hawaii, dove si erano recati per assistere a una conferenza scientifica. Cohen era membro della Medical school faculty dell'Università di Stanford - il suo laboratorio si trovava due piani sotto quello di Paul Berg - e in quel momento stava conducendo una serie di ricerche sulla resistenza batterica agli antibiotici. I geni responsabili di questa resistenza tendevano a localizzarsi nei plasmidi, anelli extracromosomici di DNA che si trovavano in alcune cellule batteriche. Per studiare questi geni, Cohen aveva ideato una serie di metodi piuttosto sommaria destinata a isolarli e poi a inserirli in E. coli, dove si sarebbero moltiplicati. L'EcoRI, che era stato scoperto nel laboratorio di Boyer, forniva un modo più elegante di realizzare l'intera procedura. Con questo enzima, infatti, un frammento contenente il DNA della resistenza agli antibiotici poteva essere tagliato da un plasmidio e ricombinato con un altro. Quindi, attraverso una tecnica di tipo chimico, il plasmidio ibrido poteva essere inserito in E. coli, trovandovi l'ambiente adatto alla sua moltiplicazione.
Durante l'incontro a Honolulu, Boyer e Cohen decisero di unire le proprie forze per realizzare il programma di ricerca relativo alla tecnica di ricombinazione. Nella primavera del 1973 Boyer aveva già creato per Cohen tre plasmidi ibridi, ognuno dei quali conteneva un differente gruppo di geni di diversa provenienza. Cohen riuscì a inserirli in E. coli, constatando che in questo batterio i geni estranei erano in grado di replicarsi e di svolgere la loro funzione. Uno di questi gruppi proveniva da un diverso tipo di E. coli, mentre gli altri due derivavano da altre specie di microorganismi. In seguito Cohen osservò che gli ibridi rappresentavano una breccia nelle barriere che di solito separano le specie biologiche, aggiungendo che gli scienziati specializzati in questo genere di ricerche li chiamavano 'chimere di DNA', perché dal punto di vista concettuale erano analoghi alla chimera mitologica (una creatura con una testa di leone, un corpo di capra e una coda di serpente). Più tardi, questi ibridi, così come le tecniche impiegate per crearli, furono denominati 'DNA ricombinante'. I biologi molecolari riconobbero che le tecniche di ricombinazione potevano essere impiegate per modificare praticamente ogni organismo, incluse le piante, gli animali e persino gli esseri umani.
Per alcuni scienziati, il fatto che l'uomo fosse in grado di creare con una certa facilità combinazioni di materiale genetico sconosciute in Natura era allettante ma, al tempo stesso, decisamente inquietante. Essi temevano infatti che, se molti ibridi di DNA si sarebbero senza dubbio rivelati innocui, altri - per esempio, i batteri contenenti geni sospettati di essere all'origine del cancro - avrebbero potuto invece essere molto pericolosi per la salute umana. In seguito a questi timori, nel corso di un incontro internazionale svoltosi nel febbraio 1975 ad Asilomar, un centro per conferenze nascosto tra le foreste di sequoie e di pini della Penisola di Monterey, nei pressi di Pacific Grove, molti insigni biologi, incluso James D. Watson, che con Francis H.C. Crick aveva scoperto la struttura del DNA, avanzarono una richiesta di moratoria di gran parte delle ricerche relative al DNA ricombinante, in attesa di una verifica dei pericoli potenzialmente derivanti da queste indagini. La proposta di moratoria fu accolta quasi all'unanimità dai centoquaranta biologi che partecipavano alla conferenza.
In un certo senso, la conferenza di Asilomar coincise con l'introduzione del concetto di responsabilità morale in campo scientifico. I biologi molecolari non volevano incorrere nella stessa condanna morale che gravava sui fisici dopo lo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima. Alcuni anni dopo Asilomar, un biologo molecolare, ricordando quell'evento, affermò che la conferenza "presentava molti elementi tipici di una riunione religiosa", aggiungendo: "ho sentito molti colleghi maledire il peccato, altri confessare di aver peccato, e vi era la diffusa consapevolezza di dover proseguire senza più peccare in futuro".
Non tutti gli scienziati che presero parte alla conferenza di Asilomar cosideravano immorale la tecnica del DNA ricombinante. Tra questi ostinati vi erano due premi Nobel: Joshua Lederberg, secondo il quale i pericoli a essa connessi erano stati esageratamente enfatizzati, e il suo collega Watson, che si era amaramente pentito di essersi in un primo momento schierato a favore della moratoria. L'assemblea, tuttavia, tornò a considerare con grande attenzione i rischi di questa tecnica quando un avvocato fece osservare che se qualcosa non avesse funzionato nel corso di un esperimento di ricombinazione, lo scienziato che lo aveva effettuato sarebbe stato considerato personalmente responsabile dei danni che ne sarebbero derivati. Nonostante ciò, comunque, sia coloro che ritenevano reali i pericoli potenziali di questa tecnica, sia quelli che la consideravano innocua non volevano interrompere le ricerche. I vantaggi scientifici di tali indagini, infatti, promettevano di essere incalcolabili. I due gruppi di scienziati si trovarono infine d'accordo nel discutere su come proseguire le ricerche in tutta sicurezza, giungendo a formulare una serie di raccomandazioni da tenere presenti durante le ricerche sul DNA ricombinante, che furono alla base delle linee guida emanate dai National institutes of health verso la metà del 1976 per controllare le ricerche finanziate a livello federale. La salute pubblica e la sicurezza dovevano essere protette, confinando in speciali strutture di contenimento le ricerche che avevano come oggetto organismi creati con la tecnica del DNA ricombinante e progettando dal punto di vista biologico tali organismi in modo da impedirne la sopravvivenza in caso di fuga.
Gli scienziati e i profani si interrogarono tuttavia a lungo sulle incognite della tecnica del DNA ricombinante. Robert Sinsheimer, un biologo molecolare, dichiarò: "Siamo sul punto di divenire i creatori, gli inventori di nuove forme che sopravviveranno a lungo ai loro artefici e che evolveranno seguendo il loro destino. Prima di sostituirci al Creatore dovremmo chiederci se siamo in grado di operare altrettanto bene". Alcuni osservatori critici evidenziarono il fatto che consentire a un'élite di biologi guidati da interesse personale di stabilire le linee guida della ricerca in questo campo equivaleva, per riprendere le parole usate da un professore di biologia del MIT (Massachusetts institute of technology), a "permettere al presidente della General motors di definire le norme relative alle cinture di sicurezza". Inoltre, l'emanazione delle linee guida da parte dei National institutes of health prospettava un conflitto di interessi, dal momento che questo organismo si trovava in tal modo sia a regolare sia a promuovere le ricerche relative alla tecnica del DNA ricombinante.
A Cambridge, nel Massachusetts (dove hanno sede la Harvard University e il MIT), così come in molti altri Stati degli USA e all'interno del Congresso, i dissidenti contribuirono a promuovere una serie di iniziative di carattere legislativo volte a imporre severe restrizioni alle ricerche relative alla tecnica del DNA ricombinante, se non a interromperle del tutto. Nel corso di un meeting dell'American medical writers association, il senatore del Massachusetts Edward Kennedy dichiarò: "Siamo sul punto di entrare in una nuova era caratterizzata dalla partecipazione pubblica a una serie di decisioni politiche di grande importanza per la scienza". Molti biologi temevano le conseguenze dell'immissione del concetto di responsabilità sociale in campo scientifico. Uno di loro affermò con grande amarezza che ci si era lasciati andare a "provvedimenti punitivi analoghi a quelli adottati nel Medioevo contro le streghe e gli stregoni", mentre un altro, in riferimento alle "norme relative alla perquisizione e al sequestro" contenute nel provvedimento di uno degli Stati degli USA, dichiarò: "sembra di leggere un progetto di legge contro i narcotici". Uno dei promotori della moratoria, il biologo Berg, parlando a nome di molti suoi colleghi affermò: "Questo approccio politico alle questioni scientifiche è divenuto qualcosa di disastroso, un vero incubo […]. Credo che la società abbia più da temere dalle intromissioni del governo nella conduzione della ricerca scientifica che dalle indagini relative alla tecnica del DNA ricombinante".
Watson consigliò ai suoi colleghi di "recarsi a Washington per dire ai membri del Congresso che coloro che diffondono queste notizie allarmanti fanno parte di una strana coalizione di ambientalisti sognatori e di aderenti alla sinistra per i quali la genetica non è che uno strumento per asservire le masse". I biologi molecolari fecero notare ai legislatori e ai reporter che non si dovevano porre limiti alle ricerche relative alla tecnica del DNA ricombinante, non soltanto perché erano innocue, ma anche perché, attraverso l'ingegneria genetica, avrebbero potuto portare con sé straordinari benefici pratici. Essi pensavano che questa tecnica avrebbe potuto rivoluzionare la medicina, consentendo la sostituzione dei geni responsabili delle malattie con geni sani, la farmaceutica, convertendo i batteri in fabbriche per la produzione di farmaci, e l'agricoltura, permettendo alle piante di fissare l'azoto dall'aria.
In effetti, nonostante le minacce che incombevano su quest'area d'indagine, le ricerche relative alla tecnica del DNA ricombinante si svilupparono sempre più rapidamente, grazie alle numerose prospettive aperte non soltanto in ambito scientifico, ma anche in quello commerciale. Nei primi mesi del 1977, l'Università di Stanford e quella della California inoltrarono una richiesta di brevetto per gli usi commerciali della tecnica di unione dei geni elaborata da Cohen e Boyer. Questa richiesta era in linea con la politica dei National institutes of health, che avevano stretto accordi istituzionali in merito ai brevetti con sessantacinque università - tra le quali figuravano Stanford e l'Università della California - concedendo loro il diritto di opzione sulla proprietà di qualsiasi invenzione effettuata nel corso delle ricerche finanziate dai National institutes of health.
Le prospettive commerciali delle ricerche sul DNA ricombinante apparivano molto promettenti a Boyer che coltivava da lungo tempo l'ambizione, come egli stesso ebbe a dire ai tempi dell'annuario liceale, "di divenire un uomo d'affari di successo" e nel 1975 aveva tentato inutilmente di ottenere finanziamenti per le sue ricerche. Nel gennaio dell'anno seguente Boyer ricevette la visita di Robert A. Swanson, un ventottenne considerato l'enfant prodige del capitale di rischio, il quale si rivelò molto interessato alle prospettive commerciali della tecnica del DNA ricombinante. Swanson si era laureato nel 1970 in biochimica e in business administration al MIT e, di recente, si era trasferito a San Francisco, dove era junior parter nella società di Kleiner e Perkins. Dopo aver a lungo discusso, Boyer e Swanson decisero di costituire una società per lo sfruttamento commerciale della tecnica del DNA ricombinante con un capitale iniziale di 1000 dollari, versati in parti uguali da Swanson e da Boyer, che per far fronte a questo impegno avrebbe dovuto ricorrere a un prestito. La società, costituita il 7 aprile 1976 con un capitale addizionale che includeva i 100.000 dollari forniti da Thomas Perkins della società Kleiner and Perkins, fu chiamata Genentech, acronimo di 'Genetic engineering technology'.
Boyer e Swanson decisero che il primo progetto della Genentech doveva essere incentrato sulla produzione, attraverso le tecniche di ricombinazione, di insulina umana. Tutta l'insulina terapeutica usata nel mondo era ricavata dal pancreas di vacche e maiali macellati. Le proiezioni effettuate dalla Eli Lilly & Co., che si basavano su almeno l'80% di tutte le vendite di insulina effettuate negli Stati Uniti, indicavano che il fabbisogno dei malati americani di diabete sarebbe probabilmente aumentato oltre le possibilità dell'estrazione animale. In un primo momento, la Genentech realizzò un progetto pilota dimostrando che, con le tecniche di ricombinazione, l'E. coli poteva essere indotto a produrre la somatostatina, una proteina presente nel cervello che fino ad allora era ricavata da animali macellati. Fu un risultato trionfale non solo dal punto di vista scientifico, ma anche commerciale. Usando due galloni di batteri geneticamente modificati, la Genentech produsse lo stesso quantitativo di somatostatina ottenuto nel corso di una complicata serie di ricerche durata un anno e per la quale era stato necessario procurarsi i cervelli di mezzo milione di pecore. La somatostatina chimicamente sintetizzata costava 30.000 dollari al grammo e, secondo le previsioni della Genentech, in futuro il prezzo di questa sostanza si sarebbe abbassato fino a raggiungere i 300 dollari al grammo e oltre. La stampa degli Stati Uniti diede grande risalto a questo evento, che dimostrava non soltanto la possibilità di usare la tecnica di giunzione dei geni per produrre un'ampia gamma di proteine utili, ma anche che la biologia molecolare era entrata nella fase dell''applicazione industriale', per usare le parole di Boyer. Il "Business week" riassunse così la situazione: "Una minuscola società di San Francisco, costituitasi solo due anni fa, ha ottenuto uno straordinario risultato nel campo della ricerca biomedica, facendo mangiare la polvere ai suoi concorrenti".
Incoraggiata da questo successo, la società rivolse la sua attenzione all'insulina umana. Il 2 settembre 1978, nel corso di un'affollata conferenza stampa, la Genentech annunciò al mondo di aver prodotto geneticamente quest'ormone e di aver stretto, due settimane prima, un accordo con la Eli Lilly & Co. per la sua produzione e commercializzazione. Tutti i quotidiani e le riviste più importanti degli Stati Uniti annunciarono la straordinaria notizia, a eccezione del "New York Times" che quel giorno non uscì a causa di uno sciopero. Quando, verso la metà dell'ottobre 1980, la Genentech divenne una società quotata in borsa - con la sigla di GENE - le sue azioni furono quotate a più del doppio del prezzo d'offerta di 35 dollari, lasciando stupefatti gli osservatori di Wall Street.
A questo punto, i portavoce dell'industria biotecnologica iniziarono a prospettare la possibilità di produrre, attraverso le tecniche di ricombinazione, grandi quantità di enzimi, ormoni, anticorpi, vaccini e proteine utili. Alcuni critici osservarono che si trattava di previsioni azzardate e che sarebbe dovuto trascorrere un lungo periodo di tempo, prima che tali prodotti divenissero accessibili al pubblico. Queste cautele, tuttavia, furono soffocate dai resoconti che parlavano di rapidi progressi tecnici, come quello relativo alla creazione di batteri in grado di produrre l'ormone della crescita umana - prima di allora disponibile solo in ridottissime quantità - intrapresa dalla Genentech e da un'équipe dell'Università della California a San Francisco, e quello riguardante la produzione dell'interferone, una sostanza corporea ugualmente difficile da ottenere in grandi quantità, che si riteneva inibisse la diffusione delle cellule cancerogene e i virus, avviata da una nuova società, la Biogen. Alcuni professori parlarono di produrre gli ormoni della crescita animale ("eccitanti prospettive" commentò il "Wall Street journal") e di accelerare senza rischi la crescita e l'acquisto di peso nei bovini da macello e nei maiali. Nel marzo 1980, le sempre più vaste aspettative suscitate dalla biotecnologia portarono il "Newsweek" a dedicare la sua copertina ai 'nuovi miracoli del DNA'.
Nel 1978 furono costituite sei nuove imprese biotecnologiche e nel 1980 ne nacquero altre diciotto. Non solo le principali ditte farmaceutiche, ma anche i colossi del petrolio e della chimica si lanciarono nella realizzazione di progetti basati sulla tecnica del DNA ricombinante, avviando ricerche autonome o stipulando contratti di ricerca con le società in fase d'avviamento, talvolta ottenendo persino partecipazioni azionarie in alcune di esse. Nel 1978 i capitali azionari investiti nelle nuove società di ingegneria genetica ammontavano a circa 19 milioni di dollari; nel 1980 raggiunsero la cifra di 72 milioni di dollari, per poi subire un ulteriore aumento. Nel 1979 gli utili della Genentech raggiunsero i due centesimi di dollaro ad azione. Nel maggio 1980 si diffuse la notizia secondo la quale il valore nominale delle più famose ditte di unione dei geni - Genentech, Cetus, Biogen e Genex - era raddoppiato in sei mesi, raggiungendo complessivamente la cifra di 500 milioni di dollari.
Per i politici americani, le prospettive commerciali che la biotecnologia sembrava offrire erano enormemente vantaggiose e ricche di attrattive. Sin dall'inizio del decennio, la bilancia commerciale delle merci a basso contenuto tecnologico indicava un andamento sempre più negativo e aveva finito per raggiungere un deficit di 35 miliardi di dollari che, tuttavia, era stato compensato dal surplus commerciale dei prodotti dell'alta tecnologia che era quasi quadruplicato, fino a raggiungere nel 1979 i 39 miliardi di dollari. Vi era un sempre più vasto consenso sul fatto che "l'innovazione è divenuta la valuta più ricercata negli affari esteri", come fece notare un avvocato specializzato nel diritto dei brevetti a un comitato del Congresso. Tuttavia, il successo dell'innovazione americana sembrava essere in declino. Nel 1978 il numero dei brevetti concessi negli Stati Uniti, 66.000 circa, era rimasto più o meno invariato rispetto a quello del 1966, mentre la percentuale dei brevetti rilasciati a stranieri era quasi raddoppiata, passando dal 20% a circa il 40%.
Negli anni Settanta, tra i più importanti prodotti dell'alta tecnologia si annoveravano i computer, i semiconduttori e i prodotti chimici e farmaceutici; nel decennio successivo, la biologia molecolare era considerata da molti una delle tecnologie più promettenti. I National institutes of health, infatti, finanziavano largamente le ricerche incentrate sulla tecnica del DNA ricombinante e continuavano a promuovere la commercializzazione dell'ingegneria genetica attraverso una politica che favoriva la concessione di brevetti agli istituti accademici, chiedendo alle industrie solamente un'adesione volontaria alle linee guida dei regolamenti in tale campo. Nel gennaio 1980 questo organismo annunciò una seconda profonda revisione delle linee guida riducendo al minimo le restrizioni per la maggior parte degli esperimenti di ricombinazione ed esentando dai limiti di produzione sia la società Lilly sia la Genentech, che in tal modo poterono aumentare progressivamente i processi di ricombinazione e adeguarli alle loro necessità produttive.
Le apprensioni che provenivano dalla comunità dei biologi per quanto riguardava la tecnica del DNA ricombinante erano, nella maggior parte dei casi, molto diminuite, se non del tutto scomparse. Dopo più di tre anni e migliaia di esperimenti questa tecnica era ormai considerata innocua. Forse la prospettiva di nuove scoperte scientifiche e di elevati guadagni aveva messo a tacere molte critiche, ma è anche vero che, rispetto al periodo in cui erano state emanate le prime linee guida, era emersa una maggiore fiducia nei sistemi di controllo così come si erano evoluti - controlli che prevedevano sia a livello locale sia nazionale la partecipazione di rappresentanti del pubblico interesse alla definizione della regolamentazione. Di fatto, l'annuncio della nuova revisione non provocò un'ondata di proteste contro la sua opportunità sostanziale o procedurale.
La biotecnologia, che aveva suscitato un forte interesse nei mercati finanziari, attirò anche l'attenzione dei politici federali degli Stati Uniti. I prodotti biotecnologici promettevano un aumento del surplus commerciale del paese nel campo dell'alta tecnologia, che sin dalla metà degli anni Settanta aveva compensato il deficit tutt'altro che irrilevante degli altri tipi di produzioni industriali. Nel 1980 il governo diede alla biotecnologia industriale un triplice impulso: le restrizioni che gravavano sulle ricerche relative alla tecnica del DNA ricombinante, già alleggerite dai National institutes of health, furono del tutto eliminate; il Congresso approvò il Bayh-dole act, che incoraggiava esplicitamente le università a brevettare e privatizzare i risultati delle ricerche nel campo dell'alta tecnologia finanziate a livello federale e, nel giugno di quell'anno, le prospettive della biotecnologia si ampliarono grazie a un'importantissima sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti relativa alla possibilità di munire di brevetto gli organismi viventi.
Il concetto di 'brevettabilità' era stato definito dal Congresso nel 1793 grazie a una legge sui brevetti formulata da Thomas Jefferson; secondo questa legge, era possibile ottenere brevetti per "ogni arte, macchina, manifattura o composizione di materia nuova e utile, o per ogni perfezionamento nuovo e utile delle medesime". La terminologia di Jefferson dominava - e ancora oggi domina - il diritto dei brevetti degli Stati Uniti, a eccezione della parola settecentesca 'arte', sostituita nel 1952, dopo un minuzioso esame della legge sui brevetti effettuato dal Congresso, con il termine 'processo'. Il codice dei brevetti non diceva nulla riguardo alla brevettabilità degli organismi viventi, ma questa possibilità sembrava essere negata da un precedente che risaliva al 1889, anno in cui il commissario dei brevetti degli Stati Uniti aveva formulato quella che finì per essere conosciuta come la dottrina del 'prodotto di Natura'. Secondo tale dottrina i processi di estrazione di ciò che è rinvenibile in Natura possono essere brevettati, mentre non lo possono essere gli oggetti naturali scoperti poiché non sono invenzioni, né possono, in quanto classi di oggetti, essere proprietà esclusiva di qualcuno. Nel Plant patent act del 1930, il Congresso aveva permesso di brevettare una sola classe di prodotti viventi: le piante che potevano essere ottenute tramite riproduzione asessuata.
Per quarant'anni non si registrarono estensioni della legge sui brevetti ad altre entità viventi ma, nel frattempo, era emerso il caso di Ananda Chakrabarty, biochimico della General electric company che, nel 1972, dopo aver prodotto geneticamente un batterio in grado di corrodere le chiazze di petrolio, aveva richiesto un brevetto per questo microrganismo. Il Patent office degli Stati Uniti glielo negò, sostenendo che un organismo vivente non poteva essere brevettato, anche perché era un prodotto della Natura. Chakrabarty ricorse più volte in appello fino a rivolgersi, verso la fine del 1979, alla Corte suprema degli Stati Uniti, presso la quale il suo caso fu archiviato sotto la voce Diamond versus Chakrabarty, dal momento che la posizione dell'ufficio dei brevetti era (formalmente) difesa da Sidney Diamond, commissario dei brevetti.
Quando giunse a essere esaminato dalla Corte suprema, il caso di Chakrabarty era ormai divenuto decisivo per gli interessi sociali ed economici relativi alla commercializzazione in forte espansione della biologia molecolare attraverso la biotecnologia. Chakrabarty non aveva impiegato la tecnica del DNA ricombinante per creare il suo batterio mangia petrolio, ma la questione che il suo caso sollevava - quella della possibilità di brevettare gli organismi viventi - riguardava direttamente i crescenti interessi relativi ai brevetti biotecnologici. Dieci memorie di 'amici' furono inserite nel caso, in gran parte favorevoli a Chakrabarty e redatte da esponenti della nascente bioindustria, da industriali farmaceutici, da avvocati specializzati in diritto dei brevetti, da rappresentanti di società professionali biomediche e da universitari che speravano di poter brevettare i risultati ottenuti nei loro laboratori di biologia.
Il 16 giugno 1980 la Corte dichiarò, con l'esigua maggioranza di cinque membri contro quattro, che il fatto che il prodotto di un'invenzione fosse vivo o inanimato era un fatto irrilevante, che il batterio non era un prodotto della Natura ma di Chakrabarty e che, quindi, poteva essere brevettato. Il presidente della Corte suprema Warren Burger rese nota l'opinione della maggioranza elogiando la terminologia usata da Jefferson nella legge sui brevetti del 1793 - ancora largamente impiegata nel Codice dei brevetti - che, a suo parere, esprimeva in modo eccellente la filosofia del suo autore, "secondo cui l'ingegno deve ricevere un generoso incoraggiamento". Rifiutando le richieste dell'Ufficio dei brevetti, il presidente sostenne che le frasi impiegate nel Codice potevano essere applicate ai microrganismi viventi. I microrganismi di Chakrabarty erano nuove composizioni di materia, un prodotto del suo ingegno e non della Natura e, in quanto tali, potevano essere muniti di brevetto in base alle leggi in vigore.
Dopo la sentenza del caso Chakrabarty, molti sostennero che dal punto di vista legale questa decisione apriva la strada alla brevettabilità di forme più elevate di vita, inclusi gli animali e, forse, persino gli esseri umani. In effetti, nel 1984, un biologo della Marina, Standish K. Allen, e alcuni suoi collaboratori dell'Università di Washington inoltrarono una richiesta di brevetto per una versione della Crassostrea gigas, un'ostrica del Pacifico che questi ricercatori avevano perfezionato dotandola di un assetto cromosomico triplo. I funzionari dell'Ufficio dei brevetti rifiutarono la richiesta di Allen, sostenendo che né il caso Diamond versus Chakrabarty né nessun'altra sentenza autorizzavano la brevettabilità di un animale superiore, anche se invertebrato. Allen e i suoi colleghi ricorsero in appello e, nel 1987, il Board of patent appeals and interferences dell'Ufficio dei brevetti e dei marchi emanò una sentenza, oggi conosciuta con il nome di Ex parte Allen che, pur negando la concessione del brevetto per una questione di ordine tecnico, decretò la brevettabilità in via di principio di un animale.
La sentenza Ex parte Allen dissipò uno dei principali timori del pubblico nei confronti della biotecnologia, affermando che gli esseri umani non potevano essere brevettati in virtù del tredicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che, proibendo la riduzione in schiavitù, non consentiva di rivendicare il diritto di proprietà su un essere umano.
Negli Stati Uniti durante il periodo compreso tra la sentenza del caso Chakrabarty e quella del caso Allen, un gruppo di biologi iniziò a produrre geneticamente diversi animali soprattutto per scopi di ricerca - per esempio, per studiare il differenziamento delle cellule a partire da un uovo appena fecondato o per esplorare le dinamiche genetiche del cancro. I loro sforzi, tuttavia, produssero animali che risultarono essere nuove composizioni di materia e che, in alcuni casi, presentavano usi commerciali che potevano essere brevettati. Basandosi sul caso Chakrabarty, nel 1985 l'Ufficio dei brevetti degli Stati Uniti concesse per la prima volta un brevetto per una pianta prodotta geneticamente e, nel 1988, autorizzò il primo brevetto della storia per un animale (si trattava di un topo geneticamente modificato a Harvard particolarmente predisposto al cancro).
Negli anni Novanta, un crescente numero di società biotecnologiche si sono dedicate alla progettazione genetica di piante resistenti agli insetti infestanti e ai pesticidi o in grado di conservarsi a lungo dopo il raccolto. Alcune società agricole hanno tentato di modificare geneticamente a questo scopo diversi animali cercando, per esempio, di ottenere pecore che producessero lana di migliore qualità o vacche e maiali che fornissero una maggiore quantità di carne magra. Piccoli gruppi di pionieri dell''agricoltura molecolare' hanno tentato di modificare geneticamente diversi animali domestici in modo da trasformarli in fabbriche per la produzione di proteine umane utili, macromolecole molto costose e generalmente difficili da ottenere, in alcuni casi praticamente impossibili da reperire.
In Europa e negli Stati Uniti, la pratica di brevettare e di manipolare geneticamente gli animali ha dato luogo a un inasprimento del dissenso nei confronti dell'ingegneria genetica. Dopo il dibattito sulla tecnica del DNA ricombinante svoltosi negli anni Settanta, coloro che criticavano queste pratiche hanno continuato a mettere in dubbio la legittimità della biotecnologia, sostenendo che gli organismi così prodotti potevano alterare i delicati equilibri ecologici e che, in ogni caso, la loro creazione era un atto di hybris, una manifestazione del desiderio di sostituirsi a Dio. Con lo sviluppo dell'industria biotecnologica, l'attenzione dei critici si è spostata sulla questione della possibilità di brevettare gli organismi viventi, il punto più debole del travolgente sviluppo della biotecnologia. Secondo alcuni, questo tipo di brevetti favorirebbe la costituzione di monopoli in aree di vitale importanza quale, per esempio, quella dell'industria alimentare; per altri, l'ingegneria genetica infligge gravi sofferenze agli animali, e per altri ancora la pratica di brevettare gli organismi viventi è sacrilega perché trasforma esseri creati da Dio in merci. Negli anni Novanta, periodo durante il quale il Progetto del genoma umano ha favorito la rapida identificazione e la brevettabilità dei geni, un dissidente ha messo in guardia il Congresso degli Stati Uniti affermando che "siamo nel bel mezzo di una battaglia etica per la proprietà del patrimonio genetico".
Le critiche si sono moltiplicate quando, verso la fine degli anni Novanta, gli alimenti modificati hanno iniziato a essere disponibili sul mercato. Negli Stati Uniti, questi alimenti - come quelli derivanti dal granturco, dalla soia, dal cotone da colza e dal latte - erano onnipresenti e quindi difficili da distinguere ed evitare. In seguito, essi hanno fatto irruzione anche nei mercati stranieri. Il loro arrivo in Europa è stato accolto da proteste e atti di boicottaggio; i contestatori li hanno definiti 'cibi di Frankenstein', sostenendo la loro potenziale pericolosità per la salute umana in quanto contenenti proteine non presenti nelle varietà naturali. Successivamente, la protesta si è diffusa anche negli Stati Uniti con la conseguenza che un certo numero di supermercati e di ristoranti si è rifiutato di comprare o servire prodotti geneticamente modificati.
Negli Stati Uniti, i contestatori non sono riusciti in alcun modo a indurre il governo a modificare la sua politica nei confronti della biotecnologia, ma in Europa essi hanno rallentato la concessione di un brevetto della Harvard University per il suo oncotopo, poi rilasciato nel 1991, e hanno ostacolato l'emissione da parte della Commissione europea, il braccio esecutivo della Comunità, di una direttiva esauriente sulla biotecnologia che, tra l'altro, avrebbe facilitato la procedura per brevettare gli organismi viventi. Discussa sin dal 1988 dal Parlamento europeo, la direttiva è stata approvata nel 1998 e soltanto perché era stata formulata in modo da includere esplicite restrizioni di ordine etico - per la prima volta nel mondo - in relazione a ciò che poteva essere brevettato. Sostenendo che i brevetti biotecnologici devono salvaguardare la dignità e l'integrità della persona, la direttiva proibisce di concedere brevetti per parti del corpo umano, embrioni umani, prodotti della clonazione umana, e così via. Essa inoltre proibisce di concedere brevetti per animali se le sofferenze inflitte a questi ultimi durante il processo di modificazione (per es., genetica) superano i benefici (per es., medici) prodotti. Per la prima volta, la direttiva raccomanda inoltre al Gruppo per l'etica scientifica e le nuove tecnologie della Commissione europea di esercitare un incessante controllo su "tutti gli aspetti della biotecnologia".
Alla fine del XX sec. l'industria biotecnologica, guidata dagli Stati Uniti e dall'Europa e dotata di ramificazioni in Asia e in America Latina, è ormai consolidata. Nel 1999, essa ha prodotto 20 miliardi di dollari di guadagni solo negli Stati Uniti. L'industria biotecnologica comprende le società in fase di avviamento, molte delle quali nate dai laboratori accademici, così come le più importanti ditte farmaceutiche e molti colossi del petrolio e della chimica che hanno finanziato programmi di ricerca autonomi o hanno acquistato alcune delle società emergenti.
La maggior parte degli alimenti geneticamente modificati disponibili nel 2000 è stata progettata per venire incontro alle esigenze dei produttori agricoli. Un importante esempio in questo senso è quello della soia Round-up ready della Monsanto, progettata in modo da resistere al pesticida Round-up prodotto da questa società. Secondo gli analisti, quando l'industria biotecnologica agricola produrrà beni utili per i consumatori finali, il conflitto con essa diminuirà. In ogni caso, la biotecnologia agricola costituisce solamente il 10% circa dell'industria biotecnologica, mentre il restante 80 o 90% circa delle società biotecnologiche produce test farmaceutici e sanitari. Indipendentemente da quanto accadrà nel futuro alla biotecnologia agricola, il settore biomedico di questa industria continuerà a svilupparsi e a godere del sostegno del pubblico, così come degli investitori, grazie alla sua importanza nel campo della cura della salute.
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