La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Pireo
di Ida Baldassarre
Demo attico (gr. Πειραιεύς, Πειραεύς, Πειραιός; lat. Piraeus), appartenente alla tribù Hippotoontide; dal V sec. a.C. fu il porto di Atene in sostituzione del Falero, situato in una baia troppo aperta e meno sicura. Occupava tutta la grossa penisola a sud-ovest di Atene, nel sinus Saronicus, articolata nelle tre penisole di Eetionea (la più piccola, a nord-ovest), Aktea (la più grande, a sud-ovest a 8 m s.l.m.) e Munichia, a est (con la omonima collina che si alza fino a 86 m, scendendo con ripide pareti a sud e a ovest). Comprendeva i tre porti naturali di Kantharos, Zea e Munichia ed era separato dalla pianura di Atene da una lingua di terra bassa e, in antico, paludosa, chiamata Halai o Halypedon a nord (Xen., Hell., II, 4, 30 ss.; Harp., s.v.) e Halmyris a sud-est (IG, II, 1059; Hesych., s.v.).
Secondo le fonti (Strab., I, 3, 18; Suda, s.v. ἓμβαπoς; Plin., Nat. hist., II, 201; Harp., s.v. Ἁλύπεδoν), la penisola sarebbe stata in tempi remotissimi divisa dalla terraferma e completamente circondata dal mare che arrivava fino a Moschato e alla collina di Sikelia, presso Atene; in tal modo viene spiegata anche l’origine del nome di P. che si fa appunto derivare da πέρας (al di là). La paludosità della piana di Halypedon e il fatto che una parte della regione costiera tra Falero e P. fosse sommersa anche in tempi storici, rispecchierebbero questa situazione. L’assestamento della costa tuttavia è antico, come dimostrano i ritrovamenti di stazioni preistoriche appunto vicino alla costa, che hanno dato anche materiale di Dimini. L’importanza però del P. come porto di Atene fu compresa e sostenuta per primo da Temistocle, il quale riuscì a convincere gli Ateniesi della necessità di conquistarsi un potere navale e nel 494/3, durante il suo primo arcontato, iniziò la fortificazione della penisola e la costruzione delle opere portuali, fornendo ad Atene uno dei più completi porti dell’antichità. I lavori, interrotti dalle guerre persiane, furono portati a termine intorno al 470 a.C.
Tutti e tre i porti, di cui l’entrata naturale a Munichia e a Kantharos era stata ridotta dalle costruzioni di solidi moli, furono inclusi in un circuito di mura. Il piano generale di fortificazione fu completato tra il 460 e il 445 unendo il P. ad Atene mediante le Lunghe Mura, di cui fu costruito prima il muro nord, e il muro del Falero, essendo probabilmente ancora in funzione questo porto (Thuc., I, 107, 1; 108, 3 ss.). Nel 403 a.C., alla fine della guerra peloponnesiaca, Lisandro impose la distruzione di tutte le fortificazioni del P. e delle Lunghe Mura e vendette per 30 talenti le attrezzature portuali che ne erano costate 1000 (Isocr., VII, 67 u). Dal P. partì la restaurazione democratica di Trasibulo che nel 403 a.C. si fortificò a Munichia. A soli dieci anni di distanza Conone, vincitore nella battaglia navale di Cnido, nel 395/4 ricostruì le fortificazioni del P. e le Lunghe Mura, ad eccezione del muro del Falero, reso ormai inutile dall’abbandono di questo porto e dalla presenza del muro sud; restaurò le opere portuali, gli arsenali e il tempio di Afrodite, dedicando una statua di Atena, opera di Kephisodotos il vecchio, ad Atena Soteira. Incominciò così il periodo di maggiore splendore per il P. le cui fortificazioni vennero, sotto Licurgo, rimaneggiate e adattate alle nuove esigenze belliche, che implicavano l’uso di macchine da guerra.
Nella seconda metà del secolo però la concorrenza di Rodi e Delo diminuì l’importanza commerciale del porto, mentre la potenza navale ateniese usciva distrutta dalla guerra lamiaca (322 a.C.). Sotto la dominazione macedone, la fortezza di Munichia fu occupata dai successori di Alessandro che vi installarono un presidio, mantenendolo quasi ininterrottamente dal 322 fino al 229 a.C., eccetto i brevi periodi 307-294 e 273-263 a.C. La guarnigione macedone al P. non ebbe solo un significato politico, perché l’importanza commerciale del porto permetteva a chi ne aveva il controllo di entrare, relativamente, in concorrenza con Rodi e Delo, empori di Tolemeo, e con Efeso e Mileto, il cui controllo passava tra Tolemeo e i Seleucidi.
All’inizio dell’ultimo venticinquennio del III sec. a.C. e dopo l’allontanamento definitivo dei Macedoni (229 a.C.), si notano segni di una fervida ripresa. Abbiamo notizia di una ricostruzione delle mura nel 229/8, nella quale però non sono prese in considerazione le Lunghe Mura: P. e Atene erano ormai due città separate e anche il raddoppiamento dei culti portuali in Atene ce lo conferma. Nel 200 a.C. subisce l’assalto distruttivo di Filippo, contro il quale però la flotta ateniese si era affiancata a Rodi; della flotta ateniese si parla ancora, in questo periodo, come alleata dei Romani contro Antioco nel 190 a.C. Ma la vera rinascita del P. riguarda l’attività commerciale. Cittadini da tutte le parti dell’Attica si preoccuparono di ristabilirsi nella città portuale, attratti dalle possibilità economiche. Mercanti del P. presero parte attiva al commercio internazionale che si sviluppò a Delo, mentre il marmo dell’Imetto e il pentelico, molto richiesti, partivano dal P. per Delo e Roma. Nella rinascita di Atene del II sec., la ripresa del P. è quindi una nota importante. È stato giustamente notato (Rostovtzev 1953) che l’incremento della monetazione con la massa delle civette del nuovo stile che apparvero ora sul mercato, non fu tanto dovuta a una restaurazione parziale dell’impero ateniese, ma alla crescente importanza di Atene e del P. nel commercio del tempo.
Dopo il 146, seguendo le sorti di Atene, praticamente soggetta a Roma, anche il P. divenne porto dei Romani. Una radicale distruzione della città, alleatasi con Mitridate, si ebbe con Silla, (App., Mithr., XXX, 14-15; Strab., IX, 395-396; Paus., I, 2, 2; Plut., Sull., XIV), che l’attaccò dalla parte di terra e la distrusse, incendiandola completamente e risparmiando solo il tempio di Afrodite; distrutta definitivamente da Manco nel 396, non viene più nominata.
Il giro delle mura, con un percorso pressoché costante nonostante i numerosi rifacimenti, rinchiudeva P. in un anello fortificato che le Lunghe Mura collegavano ad Atene. Si componeva di tre parti, ciascuna con una sua funzione, il cui punto di sutura non è più chiaramente distinguibile: le mura lungo il mare con il forte di Munichia, il fronte verso terra e il forte di Eetionea al di là del porto del Kantharos. Incerto resta anche il modo come il forte di Eetionea si saldava al fronte cittadino. La fortificazione di Eetionea incominciava dalla punta sud della penisola omonima e andava in direzione nord fino al versante della collina (m 16,7) sulla quale era il tempio di Afrodite.
Le porte erano tutte sul fronte di terra, mentre sul fronte di mare esistevano solo posterule, di cui tre restano ad Aktea e una a Eetionea. Poco sappiamo intorno al numero e al preciso posto delle porte, di tre delle quali si salvano tuttora tracce; un’altra porta doveva esistere più a oriente, dopo il muro nord ed entro le Lunghe Mura, nell’odierno quartiere Γoυβατoυ-βαβαυγα, destinata appunto ad accogliere la strada interna alle Lunghe Mura: di essa non resta alcun rudere, ma è stata identificata dalle tracce della strada di accesso. Infine un documento del 1825, pubblicato nel 1947 (Meletopoulos 1947-49), che descrive le quattro porte ancora esistenti in quel tempo dandoci le distanze intermedie, ci permette di precisare il posto di una quarta porta, segnata da W. Judeich senza certezza all’altezza di Munichia e che si può invece porre con sicurezza a 160 m dal mare, precisamente dove oggi è via Kountouriatou. In questa stessa strada fu trovato l’horos (IG I, 894) di una strada di Munichia, connessa quindi con questa porta. È stata supposta anche una quinta porta presso l’incrocio col muro sud e, probabilmente, un’altra tra la porta di Eetionea e la porta cittadina.
Le Lunghe Mura che, come abbiamo detto, correvano vicino e parallele, si aprivano circa 700 m prima delle mura del P., incontrandosi con esse molto più distanziate. La loro lunghezza di circa 9000 m (60 stadi) è calcolata invece da Tucidide in 40 stadi perché forse misurata dal diateichisma di Cleone. Esse dovevano avere aperture in punti determinati per lasciar passare il Cefiso. Della via che correva all’interno si distinguono ancora, in alcuni punti, le tracce. In una sporgenza del muro sud, all’altezza di Munichia si trovano i resti di un santuario o heroon. Quanto alle strutture delle mura, benché quelle del P. siano le meglio documentate epigraficamente e storicamente, tuttavia non possediamo testimonianze archeologiche e stratigrafiche tali da poter attribuire loro sempre una datazione assolutamente sicura. Sulla base delle sezioni di fortificazioni che si sono conservate (per la maggior parte intorno ad Aktea, fino al piccolo porto di Freattis; a Munichia, sulla punta della baia di Koumountourou; a Eetionea intorno alla Porta Aphrodision; in città, pochissimi resti del fronte di terra, vicino alle porte sopra nominate), si sono distinti nove periodi costruttivi, secondo la diversità delle tecniche murarie; corrispondono ad altrettanti restauri delle mura i quali, però, effettuati sempre parzialmente, non lasciano cogliere con chiarezza la loro successione stratigrafica.
Le fonti relative alle fortificazioni non ci aiutano molto a precisare la datazione o, quanto meno, la successione cronologica di questi diversi modi costruttivi. Sappiamo che nel 378 a.C. P. era ancora senza porte (Xen., HG, V, 4, 20). Ancora per il IV secolo riferimenti non molto chiari sembrano suggerire alcune opere di fortificazione intorno al 355 (Nep., Timoth., IV, 1; Xen., Vect., VI, 1), mentre un rinnovamento delle fortificazioni menzionato da Demostene (XIX, 125), è confermato forse dall’iscrizione IG II2, 244 (339-8), dove si accenna espressamente a Munichia e alle Lunghe Mura. Non sappiamo se la guarnigione macedone fortificò Munichia, sappiamo tuttavia che nel 307 a.C. Munichia fu distrutta da Demetrio Poliorcete (Plut., Demetr., IX ss.; Diod. Sic., XX, 45) e proprio nel 307-304 a.C. l’iscrizione IG II2, 463 testimonia un riadattamento delle mura ai nuovi sistemi difensivi e offensivi mediante la costruzione di un corridoio coperto, con finestre per le macchine da guerra, e un fossato, che potrebbe identificarsi con quello che è stato trovato davanti alla porta di Eetionea.
Dei tre porti quello più a est, Munichia, e quello di Zea avevano carattere militare e furono quindi i primi a essere organizzati. Munichia (il moderno Turkolimano) era difeso da sbarramenti artificiali con torri terminali. Intorno alla costa erano costruiti alloggi per navi (νεώρια o νεωσoίκoι) che costituivano la parte principale dell’attrezzatura portuale specie per le navi da guerra che non erano sempre in mare. Si trattava di capannoni coperti da tetto a doppio spiovente, con stilobati paralleli discendenti in acqua, lunghi 37 m e larghi 6,25 m, i cui resti, di età cononica, sono ora sommersi per l’abbassamento della costa. Essi si appoggiavano, dietro, a un muro su cui correva una strada definita da horoi che delimitavano la zona portuale dal resto della città. La parte di costa restante era riempita di arsenali.
Sul colle di Munichia (Haghios Ilias) si conservano resti di costruzioni in roccia, sotterranee, non sicuramente databili, probabilmente opere di rifornimento idrico. Sul lato nord-ovest del colle stesso si trovava l’antico teatro, nominato più volte dalle fonti e dalla letteratura antica perché in esso si riunirono numerose assemblee popolari; ora non più visibile, è stato tuttavia identificato dagli scavi del secolo scorso. Forse vicino si trovava l’ancora sconosciuto tempio di Dioniso di cui si è trovato un horos (IG I2, 868). Sempre a Munichia si trovava un temenos dell’eroe Munichos (forse la costruzione sul molo est), l’ancora non identificato Bendideion e il santuario di Artemide Munichia, del quale gli scavi del 1935 sul promontorio a ovest del porto hanno portato alla luce numeroso materiale votivo, testimoniante una continuità di culto dall’età tardogeometrica, non tuttavia resti di costruzioni.
Tra Munichia e Zea, lungo la costa, si trovano numerose cisterne, il santuario rupestre di Zeus Meilichios con nicchie in roccia e il cosiddetto Serangeion, nel luogo ora chiamato Σπηλια Παρασκευα; interamente scavato nella roccia, sotto il livello della strada, con accesso ora impraticabile anche dalla parte del mare, si componeva di una serie di ambienti e corridoi intorno a una sala rotonda con nicchie quadrate tutto intorno alla parete, forse con funzione di spogliatoi. Gli antichi autori (Iseo, IV, 33; Aristofane, in una commedia perduta: Γεωργoί; Phot., s.v.; Hesych., s.v.; Suid., s.v.), si riferiscono al Serangeion indifferentemente come a un bagno o come a un santuario.
Nella parte nord-orientale di Zea, non lontano dal luogo di ritrovamento dell’iscrizione cui essa si riferisce, si doveva trovare la celebre skeuotheke di Filone, conosciuta dalla lunga e dettagliata epigrafe relativa alla sua fondazione, che permette una ricostruzione abbastanza sicura. L’iscrizione si data al 346 a.C. circa e la costruzione si può porre tra il 340 e il 330. Opera di Filone eleusino, spesso citata tra le opere più rimarchevoli del P. (Strab., IX, 395; Vitr., Praef., VII; Plin., Nat. hist., VII, 38, 1; Plut., Sull., XIV; App., Mithr., XLI), è chiamata λυθίνη per distinguerla da altre, evidentemente di legno; era adibita alla costruzione e riparazione di navi e alla custodia dei materiali delle navi stesse.
A ovest di Zea, poco lontano dalla costa, si trovano ancora gli scarsi resti del secondo teatro del P., datato al II sec. a.C. per le sue analogie col teatro di Atene, nella sistemazione di questo tempo. Presenta un proscenio con stilobate in marmo dell’Imetto con sette colonne senza scanalature per pinakes, e quindi a intervalli aperti, di cui l’apertura centrale era doppia delle altre, con architrave dorico e parascaenia con cinque colonne in facciata. Il sepolcro di Temistocle citato dalle fonti (Diod. Sic. apud Plut., Them., II; Paus., I, 1, 2), è stato identificato in uno, ora sommerso, presso l’entrata orientale del porto del Kantharos, dove, nel 1953, si è ricostruita anche una colonna di poros i cui sette tamburi giacevano sparsi nelle vicinanze.
Il porto principale del P., il più occidentale dei tre, il cui nome Kantharos ne rispecchia la forma, era il porto commerciale di Atene, ma il suo angolo meridionale era riservato a navi da guerra con 94 neúria, ora scomparsi. Altre installazioni belliche, probabilmente, bordavano la costa interna di Eetionea. Tutta la rimanente zona est, compreso l’angolo nord-est, costituiva il cosiddetto Emporio, riservato al traffico commerciale. Una banchina allargava il piano di approdo con dei moli, di tre dei quali conosciamo il nome: il Διάζευγμα, riconosciuto in un molo diagonale quasi al centro della banchina, sotto il molo moderno; il Χώμα e il διά μέσoυ Χώμα (che potrebbero anche identificarsi), forse nella sporgenza nord-occidentale del porto, quasi prolungamenti della sporgenza stessa (rispettivamente verso sud e verso ovest se si tratta di due moli distinti).
La regione era delimitata da horoi, due dei quali, trovati l’uno presso la Dogana di età moderna e l’altro presso l’odierna piazza Karaiskakis, ci hanno dato precisamente i confini nord e sud. Era bordata da una serie di portici, cinque secondo lo scoliaste di Aristofane (Pax, 145), aperti verso il mare, ornati di statue (Paus., I, 2 ss.): di uno di essi si conosce il nome, Δεῖγμα (Xen., HG, V, 1, 21; Lys., LXXV, 6). L’angolo settentrionale era bordato dalla Mαχρὰ Στoὰ, costruita da Pericle e probabilmente da identificarsi anche con l’Ἀλφιτόπoλις (Ar., Ach., 548, Schol.). In collegamento con la Mαχρὰ Στoὰ, era un’agorà commerciale, distinta da quella cittadina, detta ippodamea. Intorno al Kantharos e su Aktea si stendeva la città vera e propria, ippodamea. Fu costruita, secondo le fonti, nel tempo delle guerre persiane (Ar., Eq., 327, Schol.), ma la sua datazione viene abbassata anche a età periclea, onde accordare cronologicamente le altre fondazioni di città attribuite a Ippodamo, Thurii e Rodi. Senza dubbio Ippodamo intervenne nel tracciato del P., ma la presenza della città moderna non permette di restituire il piano antico e gli elementi messi in luce sono rari.
Conosciamo poi l’esistenza dell’agorà, la seconda del P., espressamente detta “ippodamea” dalle fonti, che si trovava nel punto più stretto della penisola, nei pressi della skeuotheke di Filone a cui dalla piazza si accedeva attraverso un propylon. Di essa ci restano solo notizie indirette delle fonti, che peraltro non la descrivono (Harp., s.v.; Phot., s.v.). Tenendo presente inoltre l’accurata delimitazione delle zone intorno ai porti militari e l’organizzazione del centro commerciale intorno al Kantharos con l’aiuto di portici specializzati, si può concludere (Martin 1951) che la caratteristica della pianta ippodamea non consiste già nella assoluta regolarità della rete stradale, trattata anzi con indipendenza per ciascun quartiere, ma nell’aver organizzato l’insieme appunto per quartieri, esattamente previsti e limitati (il dia…resin delle fonti). Anche gli horoi (IG I2, 887-896; 897-901) infatti si datano epigraficamente secondo due serie, di cui l’una, più antica, fissa a grandi linee le zone di dominio pubblico, l’altra, più recente, della metà del secolo, riguarda qualche grande edificio pubblico. Infine, all’interno di Zea altri horoi delimitavano i diversi edifici. Sappiamo (Ar., Av., 997, Schol.; Suid., s.v.) di un acquedotto costruito da Meton, ma esso, così come il santuario di Zeus Sotèr e di Atena Soteira (Paus., I, 1 ss.; Strab., IX, 1, 15) e altri santuari di culti stranieri, ci sono noti solo dalle fonti o dalle epigrafi.
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di Aliki Kokkou
Negli ultimi anni, in particolare in occasione di lavori edilizi, il P. è stato oggetto di ulteriori indagini archeologiche; purtroppo nella maggioranza dei casi non è stato possibile dare un’interpretazione univoca dei molti resti antichi scoperti; dei più significativi peraltro si darà qui un breve resoconto. Assai numerosi sono i resti di antiche cave di poros, dalle quali si estraeva la “pietra attica”, insieme a quelli di opere idrauliche e di serbatoi per l’acqua. La maggior parte delle cisterne, scavate nella roccia tenera, ha un aspetto campaniforme. Quasi tutte presentano, sulle pareti rocciose tagliate a gradini che permettevano la discesa all’interno, un rivestimento di malta idraulica. Notevoli sono anche i resti di case di età classica. Il loro principale interesse risiede nel fatto che danno un’immagine del piano regolatore progettato dall’architetto Ippodamo di Mileto. Altri dati, di particolare importanza per la topografia dell’antica città del P., sono offerti anche dalle seguenti scoperte: nel 1973 sono state portate alla luce nel porto di Zea parti di alcune darsene che, assieme a resti rinvenuti precedentemente, completano l’immagine di questo antico porto militare; avanzi di significative strutture del IV sec. a.C. e di età ellenistica sono stati scavati nel 1974 nel quadrilatero di fabbricati tra Leophoros Vas. Konstantinou e Leophoros Vas. Georgiou, di fronte al teatro comunale. Tali resti chiaramente appartengono al complesso di costruzioni dei Dionisiasti, scoperto nel 1884 durante lo scavo per le fondazioni del teatro. Un certo interesse presentano anche i resti di un altro complesso architettonico rinvenuti nel 1973 sulla collina di Mounichia; vi si distinguono almeno due fasi, del V-IV sec. a.C. e di età ellenistica. Le iscrizioni rinvenute, con dediche ad Artemide Mounichia, verosimilmente collegano questi ruderi con il santuario di Artemide rinvenuto nel 1935 nei pressi del porto di Munichia. Per la storia del grande porto commerciale del P. un particolare significato ha il settore di un edificio porticato scoperto in odòs Iasonos nel 1976. Largo 15,5 m si conserva per una lunghezza di 9 m e presenta all’esterno due file di pilastri. Si tratta con tutta probabilità del più meridionale dei cinque portici dell’Emporion, noti da testimonianze letterarie. Di grande importanza per la topografia del P. sono anche i resti scoperti nel porto di Zea nel 1988-89, che si identificano con la skeuotheke di Filone. Fino a oggi le rappresentazioni dell’aspetto di questo edificio, che si data al 447/6 a.C., si erano basate esclusivamente sul testo dell’iscrizione con le obbligazioni per la sua costruzione, rinvenuta nel 1882.
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