La genesi e lo sviluppo della civilta greca. La Grecia insulare
di Luigi Caliò
Isola (gr. Λῆμνος; lat. Limnos) dell’Egeo settentrionale antistante la costa della Troade, di origine vulcanica. Omero (Od., VIII, 281, 294; Il., I, 594) sostiene che gli abitanti di Lemno erano Senti, una popolazione di origine tracia; per Erodoto invece (IV, 145; V, 26-27; VI, 136-140) gli antichi abitanti erano Pelasgi che Tucidide (IV, 109) identifica con quei Tyrrhenoi che Filocoro (FGrH, 328, fr. 100) e Diodoro Siculo (X, 19, 6) dicono essere gli abitanti di Lemno fino alla minaccia persiana. L’analisi del rapporto tra i Tirreni di Lesbo e Imbro e gli Etruschi rimane ancora problematica e passa comunque attraverso la lettura della stele di Kaminia il cui testo, in una lingua che sembra ricordare l’etrusco di periodo arcaico, è ancora la testimonianza più significativa della cultura panellenica di Lemno.
L’isola ha avuto durante l’età del Bronzo una fase importante che si manifesta in una serie di siti, di cui il più importante è Poliochni sulla costa est. Gli scavi qui effettuati hanno rivelato una cultura molto prossima a quella di Troia e di Lesbo e hanno individuato quattro città sovrapposte, due di età neolitica, una premicenea e la più recente databile alla tarda età del Bronzo. Una cinta muraria con torri e porte, conservata fino all’altezza di 5 m, è stata costruita intorno al 2000 a.C. Nonostante Poliochni sia il sito più indagato, la ricerca recente ha rinvenuto all’interno dell’isola una rete di insediamenti che mostra un’occupazione diffusa di Lemno durante l’età del Bronzo. Malgrado gli scarsi ritrovamenti di tipo miceneo sull’isola, l’importante apparato di miti che coinvolge l’isola e la testimonianza delle tavolette di Pilo confermano diffusi rapporti tra Lemno e il mondo egeo.
Il passaggio dall’età del Bronzo al Geometrico sembra essere avvenuto senza interruzioni brusche. In età geometrica l’isola mostra una cultura non greca che produce una ceramica in bucchero grigio, anche se alla fine del Geometrico sull’isola compare una ceramica di produzione locale con decorazioni dipinte subgeometriche, probabilmente mutuate da Lesbo; si conosce per Lemno durante l’età geometrica l’esistenza di un culto di una divinità legata al fuoco di origine non greca, poi identificato con Efesto, officiato nel santuario presso Mosychlos. Testimonianze di età tardogeometrica provengono dalla necropoli a incinerazione di Efestia, dal santuario forse dedicato alla grande dea Lemnos e dagli strati più antichi della stipe votiva del Cabirio.
Dopo la conquista da parte di Milziade alla fine del VI secolo l’isola fu poi presa dai Persiani nel 512/1 a.C.; successivamente alle guerre persiane partecipa alla Lega delio-attica e accoglie numerose cleruchie. I due centri più importanti in periodo storico sono Efestia e Myrina, situati rispettivamente a nord e a ovest della costa, di cui tuttavia ancora sfugge l’impianto urbanistico; le due poleis pagavano separatamente tributo (un talento e mezzo per Myrina e tre per Efestia). A Efestia è stato trovato un santuario arcaico la cui fase più antica si data alla prima metà del VII sec. a.C. e che probabilmente fu distrutto dai Persiani. In periodo più tardo sull’area del santuario si sviluppò un quartiere artigianale di ceramisti attivo tra il III e il II sec. a.C.; l’area del santuario fu frequentata fino al III sec. d.C. Oltre al santuario sono stati portati alla luce nella polis un teatro con gli impianti scenici, di cui si conosce soprattutto la fase romana, alcune case tardo antiche e un’importante fase bizantina. Meno cospicui i rinvenimenti a Myrina di cui si riconoscono parte delle mura e alcuni resti del tracciato viario, una necropoli di periodo arcaico e classico e l’esistenza di un santuario di Artemide citato dalle iscrizioni.
Il luogo di culto più importante dell’isola è il Cabirio, scoperto a nord-est di Efestia nel sito della moderna Chloi. Le iscrizioni che provengono dal santuario si datano tra il V sec. a.C. e il III sec. d.C. Il Cabirio si articola su due terrazze. Su quella settentrionale è stato portato alla luce un telesterion con portico antistante di 12 colonne doriche e la sala divisa in 3 navate da 2 file di colonne; nella zona posteriore della sala si trovano 4 ulteriori vani, forse degli adyta. L’intero complesso di periodo ellenistico si data probabilmente intorno al 200 a.C. Sulla terrazza meridionale si trova un altro edificio, la cosiddetta “basilica”, che è un secondo telesterion di pianta analoga al primo ma di dimensioni minori, costruito con materiale di spoglio nel III sec. d.C., quando forse l’edificio ellenistico non era più in uso. A nord-ovest di questo secondo complesso è stata rinvenuta una stipe votiva con materiale databile tra l’VIII e il VI sec. a.C.
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di Luigi Caliò
L’isola (gr. Λέσβος, Ἴσσα, Πελασγία, Μυτιλήνα, Μυτιλήνη, Μιτιλήνα; lat. Himerte, Lasia, Aegira, Aethiope, Macaria; nei testi hittiti Lazpa), la più grande tra le isole greche dopo Creta e l’Eubea, si trova a ridosso della costa dell’Asia Minore, della quale fa parte geograficamente, all’entrata del Golfo di Adramyttos (Edremit). Due importanti golfi si aprono nelle coste dell’isola, a sud il Golfo di Kalloni (chiamato in antico Pyrrhaios Buripos) e a sud-est quello di Geras, mentre l’interno è montagnoso.
Secondo la tradizione Lesbo prese il suo nome dall’eroe tessalo Lesbos, figlio di Lapithos, sposo di Methymna, figlia del re Makar, e discendente da Deucalione e nonno di Aiolos, fondatore della tribù degli Eoli. In periodo preistorico, durante l’Elladico Antico e l’Elladico Medio, l’isola presenta una cultura molto vicina a quella della Troade e lo stesso Omero sottolinea la vocazione orientale dell’isola chiamandola “sede di Mekar” e inserendola tra i tributari di Priamo (Il., XXIV, 544). Meno significativi i rinvenimenti di periodo miceneo che si limitano a pochi esemplari di ceramica locale e a frammenti di una produzione di imitazione micenea, anche se la ricerca archeologica è ancora parziale. In periodo storico l’isola, abitata da genti eoliche (Hdt., II, 178), conta sei poleis: Mitilene, Metimna, Antissa, Eressos, Pyrrha, cui si aggiunge Arista, abitato sotto il controllo di Mitilene (Hdt., I, 151). Alceo (fr. 129 Voigt) ci parla di un santuario comune a tutti i Lesbi dedicato a Zeus, alla Madre Eolia e a Dioniso Kemeinos, identificato con il tempio pseudodiptero di Mesa.
La ricerca archeologica trova per l’età geometrica una certa difficoltà, dovuta al fatto che non si conosce una ceramica eolica geometrica dipinta. A partire dal 730 a.C. si trovano a Lesbo alcune importazioni che in qualche modo possono offrire un aggancio cronologico; ceramica tardogeometrica rodia, da Corinto e dalle Cicladi è stata rinvenuta ad Antissa, sulla costa nord-occidentale dell’isola, che in questa fase è il sito che ci offre più informazioni; nell’abitato sono stati rinvenuti due edifici absidati di notevoli dimensioni, probabilmente templari, che si sono succeduti cronologicamente. Il primo forse risale al IX sec. a.C., il secondo, costruito in opera poligonale, si data all’inizio del VII secolo. In associazione con gli edifici, oltre a poca ceramica dipinta tardogeometrica importata, si è trovata una ceramica monocroma grigia di tradizione anatolica che si fabbrica a Lesbo dal Bronzo Medio fino al VI secolo inoltrato. A Mitilene nel X secolo c’era un insediamento nella piccola isola (Nisì) di fronte al sito dell’abitato di periodo storico, collegata alla terraferma mediante ponti; sempre allo stesso secolo risalgono i primi resti del culto di Apollo Maloeis, nel cui santuario sono stati trovati un edificio absidato e un deposito di ceramica. Nell’ultima fase dell’VIII sec. a.C. Lesbo mostra una certa crescita economica e politica che la porta a inviare coloni nella Troade. Ceramica eolica e greco-geometrica è stata rinvenuta a Hamaxitus e a Colonae, ma è soprattutto nel sito della città di Troia, dopo la sua rifondazione nel 750 a.C. (Troia VIII), che si trovano materiali molto simili a quelli rinvenuti ad Antissa. Il crescente potere dei Lesbi in questa area li porta poi a contendere agli Ateniesi il possesso della colonia eolica di Sigeion nell’Ellesponto.
Tra la fine del VII e l’inizio del VI sec. a.C., le liriche di Alceo e di Saffo ci pongono di fronte a una raffinata società aristocratica, strutturata in eterie chiuse ed elitarie in lotta tra di loro per il primato politico. Intorno al 600 a.C. Saffo fu costretta all’esilio, forse in Sicilia, a causa della situazione politica interna della polis di Mitilene; più complessa la vicenda politica di Alceo, la cui famiglia alleata di Pittaco, uno dei sette sapienti, combatté contro il tiranno Melancro, partecipò poi alla battaglia contro gli Ateniesi per il possesso del Sigeo e alla fine tramò contro il tiranno Mirsilo, il cui nome tradisce un’origine anatolica. Alceo fu quindi costretto all’esilio, mentre Pittaco si accordò col tiranno e condivise con lui il potere per essere poi eletto, dopo la morte del tiranno, esimnete in carica per 10 anni. Nello stesso periodo Lesbo partecipa alla fondazione del Panhellenion a Naukratis dove è stata rinvenuta ceramica di origine lesbia lungo tutto il VI sec. a.C. Lo stesso fratello di Saffo, Carasso, si trovava in quel momento in Egitto per i propri commerci. A questa fase risale la fondazione del santuario di Cibale a Nisì.
Caduta sotto il dominio persiano, Lesbo fu tributaria di Ciro e nel 499 a.C. si unì alla rivolta ionica contro i Persiani partecipando con 70 triremi nel 494 alla battaglia di Lade, vinta dagli stessi Persiani. Dopo la battaglia di Micale (479 a.C.) aderì alla Lega delio-attica. Nel 428 a.C. i Lesbi, insieme agli Eoli d’Asia Minore, tentarono di emanciparsi dalla Lega delio-attica formando una sorta di koinòn con centro a Mitilene; la polis si ingrandì occupando la costa dell’isola, fu ampliato il porto commerciale e furono fortificati i nuovi quartieri. Assediata dagli Ateniesi, nel 427 a.C. ricadde sotto il controllo di questi ultimi che inviarono sull’isola circa 2700 cleruchi. Lesbo passò poi sotto il protettorato spartano dopo la vittoria di Egospotami e di nuovo sotto gli Ateniesi nel 392 a.C. Ateniesi e Spartani si contesero il possesso dell’isola fino al 357 a.C., quando questa fu obbligata a riconoscere la dominazione persiana e sull’isola si installò un governo oligarchico. Nel IV sec. a.C. furono restaurate le mura e fu costruito un acquedotto di cui si trovano i resti nei pressi della chiesa di Haghios Therapon; sempre nello stesso periodo, in un’area chiamata Khorafa, nei pressi del teatro, che è stato rinvenuto nella sua forma di epoca romana, sono stati portati alla luce alcuni mosaici di IV secolo che rappresentano scene delle commedie di Menandro. Forse dello stesso periodo, o di poco posteriore, sono le mura di Eresos.
L’isola fu liberata dal giogo persiano da Alessandro Magno nel 332 a.C. e successivamente passò nelle mani dei Diadochi con alterne vicende, partecipando nel III sec. a.C. alla Lega nesiota promossa dai Tolemei. Nel 196 a.C. Flaminino proclamò l’indipendenza delle poleis greche e Lesbo godette di un momento di particolare tranquillità durante il quale Mitilene si ingrandì notevolmente con abitazioni particolarmente lussuose; in questo periodo venne costruito il teatro, che aveva una capacità di circa 10.000 spettatori. Delle antiche città dell’isola, Pyrra fu distrutta da un terremoto nel 221 a.C., Antissa si alleò con Perseo e fu saccheggiata dai Romani, Eressos si trovò sotto l’egemonia di Mitilene. Nell’88 a.C. Lesbo partecipò alla rivolta antiromana di Mitridate con gravi conseguenze per gli insediamenti dell’isola che mostrano segni di distruzioni e di saccheggio dei maggiori santuari cittadini. Nel 66 a.C. Mitilene fu resa da Pompeo città alleata, privilegio che fu poi rinnovato sotto Cesare nel 45 a.C. La città di Mitilene celebrò il retore Potamon, che aveva condotto le trattative con i Romani, con l’erezione di un edificio (il Potamoneion) nel quale erano conservati i decreti ufficiali di Roma. In periodo romano Lesbo godette di una fase di prosperità economica e artistica. Sull’isola sono stati trovati diversi mosaici di notevole fattura e si conoscono numerose produzioni ceramiche importanti come quella di vasi invetriati a rilievo. Nei pressi del villaggio di Moria si trova la parte meglio conservata dell’acquedotto che in epoca romana portava l’acqua dal Megali Limni a Mitilene. In età cristiana Lesbo aveva diverse basiliche; in epoca bizantina l’isola fu il luogo di esilio della principessa Irene, prima di subire durante l’VIII sec. d.C. saccheggi da parte dei Saraceni.
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di Aglaia Archontidou-Argyri
Isola (gr. Χίος; lat. Chios, Chius) dell’Egeo orientale, la quinta per grandezza, con una superficie di 823 km2. Dalle fonti letterarie antiche si apprende che, al tempo delle migrazioni delle tribù greche, a Chio si erano stabiliti gli Ioni, arrivati dall’Eubea, che si sarebbero amalgamati con i vecchi abitanti, i Pelasgi e i Cari. I ritrovamenti archeologici testimoniano, fin dal Neolitico, insediamenti sulla costa più settentrionale e su quella più meridionale dell’isola, ad Haghios Galas e a Emporion, che ebbe particolare fioritura nella prima e nella tarda età del Bronzo. Gli insediamenti micenei a Emporion furono distrutti da un incendio e abbandonati al tempo dell’arrivo degli Ioni sull’isola.
I primi ritrovamenti archeologici di età storica sono costituiti da tombe protogeometriche nella città di Chio e a Vourlidia, da resti di costruzioni e da ceramica da Phana e da Emporion, che attestano il rapido insediamento degli Ioni in tutta l’isola. Chio fu retta inizialmente da una monarchia, ma, dalla metà del VII sec. a.C., si affermò la tipica forma della città-stato. I numerosi e importanti ritrovamenti di questi ultimi anni testimoniano la prosperità e la ricchezza dell’isola. Notevoli resti del periodo arcaico provengono da Emporion, ove si trovava il santuario di Atena. Al di fuori dell’acropoli, fortificata con una cinta lunga 800 m, alle pendici della collina del Profitis Ilias fu fondata un’importante città, che costituisce un raro esempio d’insediamento organizzato degli inizi del periodo arcaico; i suoi resti più antichi risalgono all’VIII sec. a.C. Le case presentano una pianta a megaron, o sono dei semplici vani rettangolari. Nella zona del porto sorgeva anche un santuario extra moenia del quale non è stata finora identificata la divinità.
Nella periferia settentrionale della città di Chio, a Vrontados, si trova la Daskalopetra, che è stata identificata col santuario di Cibele. A Phana, dal porto profondo e sicuro, era l’importante santuario di Apollo Faneo che ha restituito notevoli resti architettonici del tempio ionico. Nella stessa città di Chio sono stati identificati resti di costruzioni e botteghe di ceramica di età arcaica; è un periodo in cui la caratteristica ceramica chiota conosce una grande fioritura sia nell’isola sia nella sua colonia Naukratis. Rilevante fu anche, in età arcaica, il livello raggiunto dalle officine di scultori, la cui importanza è documentata dal ricordo degli scultori Archermos e Mikkiades.
La decadenza di Chio ebbe inizio quando i Persiani posero fine allo stato lidio e imposero a Chio il tiranno Stratti, scacciato quando nel 499 a.C. scoppiò la rivolta ionica. Nel 493 a.C., dopo la presa di Mileto, Chio fu devastata dai Persiani. Sottomessi, gli abitanti dell’isola furono costretti a seguire Serse nella spedizione contro la Grecia, ma disertarono nel 479 a.C. dopo la battaglia navale di Micale. Indipendente, Chio aderì alla Lega ateniese a cui rimase fedele fino alla guerra del Peloponneso. La città di Chio con le sue necropoli occupava, in età classica, quasi la stessa superficie della città odierna. Le ceramiche, insieme al raffinato vino di Chio, viaggiavano in tutto il Mediterraneo e sulle coste del Ponto Eusino. Gli scavi hanno portato alla luce gruppi di tombe della necropoli classica ai margini occidentale e settentrionale della città. Vicino alla chiesa degli Haghi Anarghyri è stata rinvenuta la stipe del santuario di Demetra e Kore.
Trasformatasi la Lega ateniese in un tormentoso regime dispotico, Chio defezionò nel 412 a.C. e conobbe allora la punizione degli Ateniesi. La città si salvò grazie alle mura ben costruite e alle strutture difensive del suo porto. Come è dimostrato dai dati di scavo, nel V sec. a.C. si ebbero restauri nel tempio di Apollo Faneo e nel IV sec. a.C. al santuario vennero aggiunte altre costruzioni. A Emporion si ebbero ristrutturazioni del santuario e, nel IV sec. a.C., l’aggiunta di un altare all’entrata del tempio di Atena. Fu riparato anche il tempio del porto, su cui furono costruite in seguito le basiliche. Gli Ateniesi, al tempo della defezione degli abitanti di Chio, conquistarono Delphini vicino alla costa orientale e poi la fortificarono. Nel 406 a.C. gli Spartani guidati da Callicratida s’impadronirono della città; gli scavi hanno portato alla luce un tratto delle mura costruite dagli Ateniesi nel 412 a.C. Gli Spartani, dopo la vittoria navale di Egospotami del 405 a.C., insediarono decarchie nell’isola. Dopo la vittoria di Conone nel 394 a.C. furono scacciate le guarnigioni degli Spartani e Chio aderì alla nuova Lega ateniese, in cui rimase anche quando l’egemonia della Grecia fu assunta da Epaminonda e dai Tebani.
Dopo la vittoria nella battaglia di Isso, del 332 a.C., Alessandro Magno divenne il regolatore delle questioni politiche a Chio che, dopo la sua morte, fece parte dello stato dei Macedoni. Passò successivamente sotto l’influenza di Tolemeo I dei Seleucidi e quindi dei re di Pergamo. Nel periodo ellenistico (III-II sec. a.C.) la città fu spostata più a sud. All’età tardoellenistica e agli inizi dell’epoca romana appartengono ricchi e numerosi ritrovamenti e i resti di case e di edifici pubblici scoperti nella città; nella valle, in località Delphini, è stato trovato un impianto agricolo; ad Aipos abitazioni di allevatori e di agricoltori; ricche vestigia di questo periodo sono state anche trovate a Volissòs, a Phana, a Emporion, a Nagòs e a Komis. Nella guerra contro il re Antioco III di Siria e Mitridate, Chio si schierò a fianco dei Romani. Le conseguenze furono fatali per l’isola, che nell’86 a.C. subì l’ira del re del Ponto e del suo stratega Zenobio, il quale fece uccidere gli abitanti di Chio riuniti nel teatro. Quanti si salvarono furono condotti nel Ponto; di questi coloro che sopravvissero ritornarono a Chio con l’aiuto di Silla.
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di Luigi Caliò
È la più orientale delle Sporadi, a soli 2,5 km dalla costa dell’Asia Minore, cui appartiene geograficamente. L’isola (gr. Σάμος; lat. Samos) fu abitata fin dal III millennio a.C. da popolazioni di origine anatolica e, secondo Strabone (XIV, 637), i primi abitanti dell’isola erano Cari, che la chiamarono Parthenia; lo stesso nome greco dell’isola ha origini asiatiche, mentre il nome Imbrasos è di origine caria. L’isola è stata poi colonizzata da genti ioniche all’inizio del I millennio a.C.
Gli scavi condotti sul Kastro hanno trovato tracce dell’esistenza già in periodo neolitico di un insediamento che arriva, attraverso quattro fasi dell’abitato, fino alla prima età del Bronzo. Più continui sono i rinvenimenti nel santuario di Hera, che si trova a circa 5 km dalla città, dove sono state trovate tracce di una serie di insediamenti successivi che a partire dall’inizio del III millennio a.C. continuano fino a epoca tardomicenea e geometrica. Si conosce l’esistenza di un insediamento durante l’Antico e Medio Elladico con unità abitative circondate da un muro di cinta; nel Tardo Elladico (TE) I compaiono nel santuario e nei bothroi rinvenuti nella collina di Tigani, dove più tardi sorgerà la polis storica, i primi frammenti ceramici micenei. Importanti testimonianze di periodo tardomiceneo provengono da un tumulo di 6 m di diametro, situato nei pressi del santuario, che ha restituito ceramica del TE IIIA-B insieme a frammenti geometrici; tra gli altri rinvenimenti si trovano figurine di terracotta e alabastro, statuette di origine egiziana e oggetti orientali.
Il primo tempio del santuario è datato all’inizio dell’VIII sec. a.C. da un deposito di ceramica mediogeometrica trovato al di sotto della struttura; si tratta di un hekatompedon lungo 100 piedi sami (32,86 m) e largo 20 (6,5 m) con il tetto a spiovente sorretto da colonne di legno, 3 sulla fronte, rivolta a est, e una fila di 12 al centro del naòs. I muri esterni sono di mattoni crudi su uno zoccolo di blocchi di calcare. L’area sacra comprendeva anche un altare, probabilmente preesistente alla costruzione del tempio, e un’area pavimentata; le offerte di questa fase consistono soprattutto in figurine animali di terracotta. Non molto dopo, i Sami circondarono il tempio con una peristasi (17 x 7 sulla fronte e 6 sul retro), ampliando il tetto per coprirla; le colonne erano di legno con la base di pietra. Durante la vita dell’hekatompedon il santuario subì diversi interventi edilizi. La ceramica di periodo tardogeometrico rinvenuta nel santuario proviene da diverse aree dell’Egeo (Cicladi, Eubea Attica, Rodi) oltre a una produzione locale di stile atticizzante; contemporaneamente numerose furono le offerte di figurine di terracotta modellate sia a mano sia al tornio, soprattutto cavalli, ma anche buoi, arieti e figure umane. Diversi sono anche gli oggetti di legno che il terreno paludoso del santuario ha conservato, tra cui un poggiapiedi sorretto da due cavalli, probabilmente un arredo sacro, e quelli di bronzo, forse una produzione locale, ma che mostra profonde affinità con la bronzistica peloponnesiaca.
Durante l’VIII sec. a.C. la città occupa già un’ampia area che supera i limiti dell’acropoli e che è delimitata da necropoli geometriche; la città, che le fonti ci dicono essere in questo periodo un importante centro commerciale, mostra già di possedere nell’alto arcaismo un sistema urbanistico evoluto e probabilmente una prima cinta muraria fu edificata durante il periodo arcaico. Le mura erano costruite con mattoni crudi su uno zoccolo di pietra e rinforzate da torri e da un fossato lungo il circuito occidentale. Alla metà del VI secolo sembra datarsi un tempio di Artemide fuori la cinta muraria a ovest della polis, che però è stato solo parzialmente indagato.
Nello stesso lasso di tempo il santuario di Hera trasforma profondamente le sue strutture. Intorno al 700 a.C. l’area sacra fu inondata da una piena dell’Imbrasos e l’intero complesso subì un profondo intervento di ricostruzione. Intorno al 670-650 a.C. fu riedificato il tempio, periptero (6 x 18), con la navata libera dal colonnato; la copertura piana poggiava le travi di sostegno a lesene che sporgevano dal profilo interno del muro della cella. Forse a questa fase si riferisce il fregio decorato a rilievo con una processione di guerrieri; all’interno della cella era custodita l’antica statua di culto aniconica, sostituita successivamente dalla statua di Skelmis o Smilis, la cui immagine forse è riprodotta su monete. Dopo la costruzione del tempio l’area sacra fu circondata da un temenos con ingresso monumentale e al suo interno fu costruita una stoà lunga 200 piedi, divisa in tre navate da due file di pilastri, e alcuni piccoli thesauròi destinati a raccogliere le offerte votive. Nei pressi si trovava anche la piscina sacra che veniva utilizzata per i bagni rituali dell’immagine di culto. Il santuario in periodo orientalizzante riceve numerose offerte votive, alcune particolarmente importanti, come quella di una figurina d’avorio di un giovane inginocchiato della metà del VII sec. a.C.
Durante la prima metà del VI sec. a.C. il santuario accoglie diverse dediche da parte di privati sia di statue singole sia di gruppi. In alcuni casi le iscrizioni hanno lasciato i nomi dei dedicanti, come per Cheramyes (il nome forse è di origine lidia), che intorno al 570 a.C. ha dedicato a Hera una statua femminile (della quale recentemente è stata rinvenuta una statua gemella, opera dello stesso scultore e facente parte dello stesso donario) e che ha fatto altre dediche negli anni successivi, o Isches che ha offerto un kouros colossale, o Gheneleos che ha dedicato al santuario tra il 560 e il 550 a.C. un gruppo formato da sei figure su un’unica base. Queste grandi dediche furono probabilmente offerte in corrispondenza della costruzione del nuovo tempio monumentale costruito tra il 570 e il 560 a.C. La costruzione del tempio fu affidata a Rhoikos e Theodoros; l’edificio, ionico, di poros misurava 51 x 102 m e aveva un doppio colonnato con 8 colonne sulla fronte, 21 sui lati lunghi e 10 nel retro; il pronao e la cella erano divisi in tre navate da due file di colonne. Sulla fronte la misura dell’intercolumnio decresceva dal centro alle estremità. In asse col tempio fu costruito un altare monumentale, cui si accedeva attraverso una rampa di scale e al posto della stoà fu edificato un secondo edificio templare, probabilmente quello dedicato ad Afrodite e a Hermes. All’epoca della conquista persiana dell’isola (530 a.C.), il tempio fu distrutto da un incendio.
Samo conobbe il suo massimo splendore sotto la tirannide di Policrate, che coincide con un periodo di grande fermento edilizio e di espansione territoriale. Sull’acropoli (Astypaleia) si trovava il palazzo fortificato di Policrate, del quale tuttavia non rimangono tracce. Il porto era limitato da due moli che chiudevano in un solo bacino il porto militare e quello commerciale; la tecnica marittima dell’isola, particolarmente avanzata, prevedeva la presenza delle cosiddette Samaine (Plin., Nat. hist., VII, 209), navi addette al trasporto dei cavalli, e di strutture portuarie per il ricovero delle navi (Hdt., III, 45). Il piano edilizio di Policrate prevedeva anche il tunnel, lungo circa 1 km, opera di Eupalino di Megara, che portava l’acqua dalla fonte Agiades fino alla zona del porto.
A Policrate si deve inoltre l’impulso alla ricostruzione del tempio nel santuario di Hera. Il nuovo tempio, costruito su alto podio, era ionico, diptero con 3 file di colonne sulla fronte e profondo pronao diviso in tre navate da due file di 5 colonne; la fronte aveva 8 colonne, il retro 9 e i lati lunghi 24 colonne; la cella era ipetra. Le colonne più antiche, coeve all’inizio dei lavori, sono di poros con base e cautelo in marmo. La fabbrica continuò a lungo e il tempio non fu mai terminato; ancora nel II sec. d.C. una nuova scala di accesso sostituì la rampa di periodo greco.
Dopo la tirannide di Policrate, Samo partecipò alle guerre persiane e alla guerra tra Atene e Sparta e nel 395 a.C. divenne una colonia ateniese. Durante tutto il periodo classico il santuario continuò a essere attivo e Strabone (XIV, 1-14) menziona diverse opere come i quadri di Timanthes, Parrhasios e Apelle e tre statue di Mirone che rappresentavano Zeus, Atena e Eracle e di cui sono state rinvenute le basi. In periodo ellenistico venne costruita la nuova agorà, che sorgeva dietro il porto e i cui edifici si conoscono soprattutto attraverso le iscrizioni: una stoà, un agoranomio, un archeion (archivio per i decreti statali), due ginnasi. Allo stesso periodo si devono datare anche i resti del teatro, così come le prime strutture di una villa sul Kastro e di un altro complesso, più ricco, sulle pendici della collina. Nell’area sud-ovest della polis è stata rinvenuta una struttura ginnasiale attiva fino al I sec. a.C. Dopo la battaglia di Magnesia Samo fu ceduta a Eumene II dai Romani e divenne parte della provincia d’Asia a partire dal 129 a.C.
In periodo romano la città fu abitata soprattutto nella parte sudoccidentale, mentre la cittadella continuò a essere occupata dalla villa e successivamente da una basilica cristiana. La zona sud-ovest della città ospitò un importante impianto termale. Il santuario di Hera continua a ricevere offerte e costruzioni durante tutto il periodo romano. Nel I sec. d.C. fu restaurato l’altare del santuario che venne sostituito con una copia di marmo e nel II sec. d.C. furono costruiti due piccoli templi dietro l’altare. Nell’area sacra sono stati rinvenuti diversi resti di periodo romano come offerte votive, naiskoi, un’esedra, bagni, un monumento onorifico della famiglia di Cicerone, abitazioni private. Nel 260 d.C. il santuario subì la distruzione da parte degli Eruli. Nel V sec. d.C. fu sede di una basilica cristiana a tre navate. I rinvenimenti di reperti di epoca bizantina durante lo scavo dell’acquedotto di Eupalino indicano che nel VII sec. d.C. l’isola era abitata da una comunità che utilizzava la galleria come rifugio.
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