La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Dodecaneso
di Luigi Caliò
Arcipelago situato nell’Egeo sud-orientale, a ridosso della costa dell’Asia Minore di cui fa parte geograficamente; appartengono al Dodecaneso (gr. Δωδεκάνησος) 14 isole: Calimno, Patmos, Lipsos, Leros, Astypalaia, Karpathos, Kasos, Coo, Nysiros, Rodi, Telos, Syme, Chalki, Megisti. Il nome Dodecaneso è moderno e si riferisce a un gruppo di 12 isole che nel 1908 avevano protestato contro il governo turco per la fine dei privilegi che erano stati loro concessi da Solimano il Magnifico (1495-1566).
Nell’antichità il Dodecaneso doveva la sua fortuna al fatto che, insieme con le Cicladi, forniva un ponte per la navigazione tra l’Asia Minore e la Grecia continentale; l’importanza commerciale della zona si impose fin dall’Elladico Medio, ma è soprattutto all’inizio dell’Elladico Tardo (ET) che si stabilirono contatti importanti tra Creta da una parte e Rodi, Coo, Telos, Karpathos dall’altra. Dopo un periodo di coabitazione nel sito di Trianda i Micenei si sostituirono ai Minoici nello sfruttamento delle potenzialità commerciali dell’arcipelago, aumentando il traffico e il raggio d’azione dei propri commerci. La presenza micenea nel Dodecaneso è molto intensa nell’ET IIIA2, mentre declina nell’ET IIIB, in concomitanza con la distruzione di Troia, per rifiorire all’inizio del periodo successivo (ET IIIC) forse a causa dell’arrivo di nuove popolazioni dal Peloponneso, fenomeno evidente soprattutto nella zona nord-ovest di Rodi (Ialiso) e a Coo. Ultimamente tuttavia la portata di questa ricostruzione storica è stata messa in dubbio dal fatto che il materiale importato rinvenuto non sarebbe così importante da poter giustificare l’idea di una immigrazione di individui. Lo scenario proposto, quindi, è che i siti minori si vadano spopolando a favore di Ialiso, probabilmente per il richiamo costituito dalla prosperità commerciale della città, ma forse anche per motivi di sicurezza; a questo quadro sembra tuttavia sfuggire parzialmente Camiro dove alcune tombe a camera sono state riutilizzate proprio all’inizio di questo periodo e, in un caso, si può parlare di una costruzione ex novo della tomba.
Dopo il periodo miceneo, secondo la tradizione, i Dori arrivarono a Rodi con a capo Tlepolemo che divise l’isola in tre città: Ialiso, Lindos e Camiro. Da un punto di vista archeologico il Dodecaneso mostra precoci segni di ripresa già durante il X sec. a.C., che vede le isole già in un ruolo di mediazione tra l’Occidente e l’Oriente; a Coo e a Rodi si trova ceramica di imitazione attica, mentre alcune forme ceramiche testimoniano rapporti con Cipro e alcuni vasi di forma e decorazione egittizzante documentano fin da questo periodo forti relazioni con l’Egitto. A Coo questa fase è testimoniata soprattutto dalla necropoli del Serraglio in cui le sepolture a inumazione offrono una sequenza continua dal Protogeometrico fino alle fasi finali del periodo geometrico, mentre sono più frammentarie e tarde le testimonianze a Rodi, anche se a Ialiso e Camiro si hanno testimonianze di ceramica protogeometrica. In particolare a Camiro l’analisi preliminare della stipe votiva ha potuto far risalire la nascita del santuario dell’acropoli alla fine del X sec. a.C., con una notevole precocità rispetto alla maggioranza dei santuari greci e probabilmente dello stesso santuario di Lindos. Durante il periodo mediogeometrico nella necropoli del Serraglio si trovano diversi vasi di importazione fenicia e il Dodecaneso in questo periodo inizia ad aprirsi maggiormente ai mercati orientali, tendenza che continua nel tardo Geometrico quando un’ampia area che si estende da Rodi a Chio e in Asia Minore dalla Caria al fiume Ermo presenta una koinè culturale che si esplica soprattutto nella ceramica di questo periodo, ma anche nei bronzi e in particolare nelle fibule. Diversi sono alla fine del Geometrico gli oggetti anche preziosi, di bronzo, oro, avorio, faïence, di importazione orientale; nello stesso tempo la ceramica rodia accoglie motivi decorativi tipici delle regioni della Grecia occidentale e in particolare dell’Attica, ma all’interno di un disegno fortemente rielaborato localmente che predilige una grande metopa centrale decorata, mentre accanto alla ceramica di più genuina fattura geometrica si trova a Rodi una produzione di imitazione cipriota levantina, soprattutto di vasi di piccole dimensioni per gli unguenti. La presenza contemporanea nel Dodecaneso di tante tradizioni decorative diverse ha ricordato ad alcuni la tradizione (Castore di Rodi) di un’antica talassocrazia rodia, che tuttavia deve essere ridimensionata; il Dodecaneso infatti sembra partecipare solo marginalmente al flusso commerciale che invece interessa Corinto e l’Eubea e la notizia di Strabone (XIV, 2, 10), secondo cui anteriormente alla I Olimpiade (776 a.C.) i Rodi navigarono in Italia e Spagna fondando colonie in Occidente, non trova riscontro nella realtà archeologica ed è un anacronismo che si riferisce a fatti più tardi.
Le due grandi stipi votive di Lindos e di Camiro ci testimoniano la vitalità della regione nel periodo arcaico, mentre poco si conosce degli abitati di questa epoca. A Lindos il santuario sull’acropoli si sviluppa a partire dal VII sec. a.C. e probabilmente negli anni centrali del secolo successivo, sotto il potere tirannico di Cleobulo, riceve la prima sistemazione monumentale. Si costruisce un tempio prostilo, tetrastilo, con cella allungata, mentre l’acropoli è terrazzata e resa accessibile da una scalinata obliqua. Il santuario, di fama internazionale, accoglie offerte da Cipro, dall’Oriente e dall’Egitto, tra cui diverse dediche del faraone Amasis. Probabilmente sempre all’influsso dell’attività del tiranno sono da ascrivere le costruzioni sulla collina di Camiro: la cisterna, perfettamente conservata sotto i resti della stoà ellenistica, e il tempio arcaico. Nel caso di Camiro è possibile tentare un’analisi dell’abitato arcaico a partire dai resti di epoca ellenistica che sembrano mantenere la più antica planimetria; la città si presenta in pianta con un sistema viario ortogonale che si arrampica lungo le pareti della collina fino all’acropoli, attraverso una serie di terrazze nelle quali si trovano gli isolati abitativi. Si tratta di un’anticipazione in periodo arcaico dello stesso sistema, con vie ortogonali e terrazzamenti, che caratterizzerà successivamente le città theatroeidès, come la stessa città di Rodi, di periodo tardo classico, che probabilmente trova un prototipo proprio nelle poleis presinecistiche.
Una fase arcaica importante si ha anche per Coo, le cui testimonianze di maggiore rilievo provengono dalle necropoli e il cui abitato arcaico, quello di Coo-Meropide, è stato individuato nell’estremità nord-occidentale dell’isola, nella zona della collina del Serraglio, dove è stato recentemente portato alla luce un tratto delle mura di difesa forse appartenente alla cinta costruita da Alcibiade nel 410 a.C.
Le isole del Dodecaneso, tributarie del re persiano alla fine del periodo arcaico, sono un elemento importante nello scacchiere delle guerre persiane; i satrapi della Caria avevano il controllo di alcune isole dell’Egeo, tra cui Nysiros, Calimno, Coo, ma la defezione di Rodi costrinse la flotta persiana a occuparsi dell’isola e ad assediare Lindos, dove si era rifugiata la popolazione dell’isola. Dopo le guerre persiane le isole dell’Egeo furono liberate, ma alcune pagavano tributo alla Lega delio-attica: Calimno, Astypalaia, Karpathos, Kasos, Coo, Rodi, Syme, Chalki; Rodi in particolare appariva nei resoconti con i nomi delle sue tre città distinti. Il fallimento della spedizione siciliana da parte di Atene offre l’occasione a Rodi di uscire dalla Lega delio-attica e nel 411 il partito oligarchico, su istigazione dell’esule Dorieus della famiglia dei Diagoridi di Ialiso, sostenuto da Sparta, riesce a rovesciare il governo democratico. Coo, che tenta in un primo momento di seguire Rodi, viene riportata nella Lega ateniese dall’intervento armato di Alcibiade. Non si conosce esattamente quale politica interna abbiano seguito i Diagoridi a Rodi, ma molto probabilmente come primo passo si occuparono dell’unificazione politica dell’isola. Infatti tra l’anno della rivoluzione oligarchica e la fondazione della città di Rodi l’unico documento che si conosce è un decreto di prossenia sulla base del quale si può supporre l’esistenza di una sorta di sympoleia che avrebbe preluso al sinecismo iniziato nell’autunno del 408 a.C. La fondazione della città di Rodi, non effettuata sotto la spinta egemone di uno dei centri presinecistici, non ha tuttavia precluso lo sviluppo delle antiche città che, soprattutto nei casi di Lindos e Camiro, mostrano un forte sviluppo in periodo ellenistico, mentre ne risente sicuramente Ialiso entro il cui territorio è edificata la nuova capitale.
La costruzione di Rodi dà grande impulso allo sviluppo dell’area e in particolare le sue grandi strutture portuali e di stoccaggio, oltre che la sua posizione favorevole lungo le grandi rotte commerciali, fanno diventare la città un centro di primaria importanza, da cui l’interesse di Atene di assicurarsene il controllo; dopo la ricostituzione della Lega delia, Rodi e Coo riuscirono a emanciparsi da Atene solo tra il 360 e il 350 a.C., con l’aiuto interessato di Mausolo, che ebbe così modo di iniziare una politica di forte controllo sulle isole. Solo con la morte di Alessandro Magno Rodi e Coo liberate dal controllo, cario prima e poi macedone, divennero indipendenti.
Le esplorazioni di Alessandro Magno e dei suoi successori in Oriente e la crescente richiesta di beni di lusso incrementarono il commercio tra l’Oriente e il Mediterraneo e Rodi si propose come principale centro commerciale dell’Egeo. L’importanza strategica ed economica che il Dodecaneso assunse in periodo ellenistico fu la causa delle continue attenzioni che i sovrani ellenistici ebbero verso l’arcipelago, di cui l’episodio più importante fu l’assedio di Rodi nel 305 a.C. Di fatto la ricchezza di Rodi deriva proprio da una politica di equidistanza tra i vari regni ellenistici, il tentativo dei primi Tolemei di proporsi come egemoni nel Mediterraneo orientale, la nascita di Tolemeo II Filadelfo a Coo (309/8 a.C.) e motivi commerciali e culturali (attraverso il porto di Rodi avveniva la distribuzione del grano egiziano nel Mediterraneo), il Dodecaneso e il regno d’Egitto sembrano accomunati da interessi analoghi, che si tradurranno tra il III e il II sec. a.C. in una koinè culturale e artistica, senza tuttavia che si sia imposto mai un protettorato diretto da parte dell’Egitto. Il declino della potenza navale egiziana nell’Egeo ha rinsaldato comunque i rapporti tra il regno d’Egitto e le isole, le quali si sono sostituite, soprattutto Rodi, nel controllo di questa porzione di mare a partire probabilmente dalla prima guerra cretese (205-201 a.C.), nella quale Rodi e Coo hanno combattuto contro i pirati cretesi. A partire dal 300 a.C. Rodi e Coo si propongono come centri di cultura importanti a causa della loro stretta connessione con l’ambiente culturale alessandrino. Il legame culturale tra le due aree ha probabilmente permesso la pubblicazione e la preservazione di un così relativamente ampio numero di opere di scrittori insulari; d’altra parte Rodi era in periodo ellenistico un centro importante per il commercio dei libri che alimentava la raccolta della biblioteca di Alessandria e nella stessa Rodi e a Coo erano presenti delle biblioteche di rilievo, probabilmente situate nel ginnasio. Oltre a questi dati, la presenza massiccia di anfore di tipo rodio ad Alessandria (oltre 80.000) è la chiara testimonianza dell’importanza dei traffici commerciali che legavano le due regioni.
Il terremoto del 228/7 a.C. colpì l’isola violentemente, ma fu in qualche modo alla base della sua fortuna in periodo ellenistico. Le fonti antiche ci danno un resoconto dettagliato degli aiuti che i maggiori sovrani di quel tempo inviarono all’isola per la ricostruzione. I sovrani d’Egitto rivestirono un ruolo di primo piano nella ricostruzione di Rodi dopo il terremoto; Tolemeo, legato a interessi economici con Rodi, inviò tra l’altro capomastri e operai per la ricostruzione degli edifici. Le numerose epigrafi che riportano sottoscrizioni per il reperimento dei fondi per lavori edilizi ci testimoniano l’emergenza della ricostruzione tra la fine del III sec. a.C. e l’inizio del successivo non solo nella città rodia, ma anche nelle antiche poleis presinecistiche e soprattutto a Camiro, dove le sottoscrizioni rinvenute sono cinque.
La ricostruzione dei grandi santuari terrazzati di Lindos e di Camiro tra la fine del III e l’inizio del II sec. a.C. e la costruzione del coevo santuario di Asclepio, Igeia e Omonia nel demos di Isthmos a Coo e quello successivo di Asclepio nella stessa isola sono la più alta espressione dell’architettura scenografica tipica del Dodecaneso e sarà più tardi direttamente ripresa dai santuari ellenistici laziali. Queste architetture insulari riprendono direttamente canoni ed elementi dell’architettura alessandrina, non solo nelle partiture architettoniche, ma anche nella monumentalità della costruzione, soprattutto per quanto riguarda Camiro.
In questo periodo il Dodecaneso conosce le prime frequentazioni da parte dei mercanti italici e romani. Nella prima metà del III sec. a.C. si data una dedica bilingue di un Italico nel santuario di Athana a Lindos. Il rinvenimento di questa epigrafe è fondamentale per analizzare l’inizio del movimento dei mercatores nell’Egeo meridionale. Da questo momento le isole del Dodecaneso e le città costiere dell’Asia Minore saranno meta di frequentazione di Italici che in alcuni casi, come a Coo, sono organizzate in collegi retti da un magistrato. Per tutto il periodo ellenistico il Dodecaneso e Rodi in particolare avranno un ruolo chiave nel commercio del grano nel Mediterraneo cui si affiancava la distribuzione di vino prodotto nelle isole (soprattutto famoso quello di Rodi e Coo) e in Asia Minore; ma accanto a queste produzioni maggiori venivano esportati anche il legno di cipresso, usato per le trabeazioni dei tetti, che cresceva nel Sud dell’Egeo e in particolare a Coo e a Calimno, il marmo di Laitos che si estraeva a Rodi, vicino a Lindos e ugualmente marmi erano estratti a Coo, Calimno, Syme, mentre la prosperità di Calimno e Syme si basava sull’esportazione di spugne, mercato forse sfruttato da Rodi (Plin., Nat. hist., XXXI, 11, 47). A partire dal IV sec. a.C. a Coo si produceva seta. Il commercio doveva essere gestito da mercanti locali, i cui affari possono a volte essere seguiti dalle testimonianze epigrafiche, che erano divisi in camere di commercio. Se ci si basa sulle testimonianze delle fonti letterarie e su quelle, ancora in parte lacunose, dei timbri di anfora, si possono delineare a grandi linee le direttrici del commercio rodio nel Mediterraneo, che verso oriente si snodavano sull’asse che lega il Ponto a nord e la Siria e l’Egitto a sud; in un secondo momento il grano che arrivava a Rodi dai centri produttori veniva in parte smaltito in Occidente, ma in questo caso siamo meno certi che il commercio avvenisse per mano degli stessi Rodi; è invece più verosimile che proprio i Rhomaioi si occupassero dei carichi verso l’Italia.
Il partner commerciale più importante per Rodi rimane per tutto l’Ellenismo l’Egitto; lo testimoniano le fonti antiche, ma soprattutto l’altissimo numero (80.000 ca.) di anfore rodie rinvenute nella sola Alessandria. Di fatto le strutture portuali di Rodi provvedevano allo stoccaggio e allo smercio verso l’Occidente del grano egiziano. Questo rapporto sembra rinsaldarsi nella seconda metà del III sec. a.C. e soprattutto dopo la battaglia di Raphia (217 a.C.), quando i Tolemei abbandonano definitivamente la loro politica mediterranea.
I rovesci diplomatici subiti da Rodi dopo la pace di Apamea (188 a.C.), la perdita del suo territorio (Pereia) in Asia Minore e soprattutto la creazione del porto franco di Delo da parte dei Romani non hanno impedito a Rodi e Coo di continuare a giocare un ruolo fondamentale nel commercio degli aridi per tutto il II sec. a.C. Il Dodecaneso fu colpito dalla guerra contro Mitridate, che tentò anche di assediare Rodi. Nel 42 a.C., periodo della guerra civile romana, Cassio occupò Rodi, s’impadronì dei suoi tesori, della sua flotta, delle sue opere d’arte e uccise importanti cittadini. Augusto accordò a Rodi il titolo di città alleata e Vespasiano la incorporò definitivamente nell’Impero romano. Visitata da s. Paolo, nel II sec. d.C. si era sviluppata a Rodi una piccola comunità cristiana. Primo vescovo noto è Photinòs al tempo di Diocleziano (fine del III sec. d.C.), ma già nel IV secolo il vescovo di Rodi aveva il titolo di Metropolitano con la giurisdizione sulle diocesi dell’arcipelago.
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di Luigi Caliò
La città di Rodi (gr. Ῥόδος; lat. Rhodus, Rhodos) venne fondata nel 408 a.C. dal governo aristocratico capeggiato dai Diagoridi. La nuova fondazione venne effettuata nella punta nordorientale dell’isola, nel territorio di Ialiso.
Secondo la tradizione antica la città fu pianificata da Ippodamo di Mileto, ma la notizia è dubbia per problemi legati alla cronologia dell’architetto. L’impianto viario ortogonale rimanda sicuramente alle città ippodamee, ma rispetto a quelle la pianta delle città presenta delle anomalie, come, ad esempio, la costruzione su un terreno non pianeggiante. La città in questo modo si adagia sul fianco di una collina, che viene superato attraverso terrazzamenti i cui dislivelli sono colmati da strade in salita o da scalinate. Le fonti antiche chiamano la città theatroeidès, termine che nell’interpretazione moderna è stato interpretato come “a forma di teatro”, tanto che le ricostruzioni del tessuto viario di Rodi proposte prima delle ricerche di Kondis prevedevano un sistema di strade posto a raggiera come i cunei di un teatro. Il termine, che si ritrova in Diodoro Siculo (XIX, 45, 3; XX, 83, 2), ricorre anche in una pagina di Vitruvio il quale, traducendo dal greco di Diodoro, usa la perifrasi theatri curvaturae similis per descrivere la forma della pianta di Alicarnasso, la cui fondazione è della metà del IV sec. a.C. e il cui impianto deve molto a quello rodio. In questo periodo il Dodecaneso è fortemente legato politicamente (Rodi fa parte dei possedimenti di Mausolo) e culturalmente alle città della terraferma.
In realtà il termine theatroeidès sembra avere a che fare solo marginalmente con la forma del teatro, quanto piuttosto con l’idea della visione libera, non costretta da strutture murarie che potevano limitarla. Questo sistema legava il porto alla città che poteva essere ammirata nella sua interezza da chi giungeva via mare. Lo stesso tipo di impianto, che si ritrova, oltre che a Rodi e ad Alicarnasso, anche a Coo e a Cnido, è peculiare di ambienti aristocratici o monarchici e permette di inserire all’interno del tessuto urbano una serie di monumenti altamente rappresentativi. Poche tuttavia sono le notizie sui monumenti cittadini prima del 228/7 a.C., anno in cui la città di Rodi fu sconvolta dal noto terremoto, che fra l’altro fece crollare la statua colossale di Halios; dalle notizie sull’assedio da parte di Demetrio Poliorcete alla fine del 305 a.C. possiamo desumere che in quel periodo dovessero essere quindi ultimati le strutture difensive della città e quelle legate al commercio, gli arsenali e i cantieri navali, oltre che tutte le infrastrutture per rendere la città abitabile e funzionale. Diodoro nel suo racconto sull’assedio ci informa dell’esistenza di due porti, di cui uno poteva essere chiuso con catene. Sappiamo inoltre che il culto di Apollo dell’acropoli era attivo durante il III sec. a.C., anche se le strutture superstiti sono databili al I sec. a.C. Immediatamente dopo l’assedio i Rodi edificarono al centro della città un Tolemaion, all’interno del quale era praticato il culto di Tolemeo Sotèr con feste annuali, che occupava una posizione centrale all’interno della città.
I resti archeologici di quest’ultima si datano esclusivamente dopo il 228/7 a.C. La zona più conosciuta è quella dell’acropoli, sulla collina di Santo Stefano. La sommità della collina conserva i resti di un grande tempio dedicato ad Apollo Pizio al centro di un ampio temenos e un secondo edificio dedicato ad Artemide, sempre dentro lo stesso recinto, mentre l’area della terrazza inferiore è occupata dallo stadio, dall’odeion e da un ginnasio. La datazione proposta per l’intero complesso è il I sec. a.C., anche se il materiale epigrafico, che attribuisce il santuario ad Apollo Pizio, testimonia la presenza del culto sull’acropoli almeno dal III sec. a.C. A nord di questa area è situato il santuario di Atena e Zeus Polieus, forse fondato insieme alla città. Nella città bassa i resti antichi sono scarsi, sepolti sotto l’attuale struttura urbana; il monumento più importante, nella piazza dell’Arsenale (oggi piazza Syme), è il tempio di Afrodite, identificato da iscrizioni, forse databile alla fine del III sec. a.C. Per il resto monumenti importanti come il santuario di Halios, il Tolemaion o il tempio di Iside sono stati ubicati all’interno del tessuto urbano solo ipoteticamente.
La zona intorno la città è occupata dalle necropoli; le più antiche, di IV sec. a.C., si trovano a ovest della città antica e sono costituite da tombe “a cassa” sia scavate nella roccia sia costruite. In periodo ellenistico iniziano a essere utilizzate tombe a camera scavate nella roccia e arricchite con facciate architettoniche monumentali, di cui l’esempio più cospicuo è la cosiddetta “tomba dei Tolomei”, probabilmente tardoellenistica, che si presenta con un ampio basamento scandito da semicolonne, sormontato probabilmente da una piramide a gradini. Nello stesso periodo si diffondono anche gli ipogei.
In periodo ellenistico Rodi divenne una città famosa come centro culturale e intellettuale; il rinvenimento a Rodi, nella parte sud della città ai piedi del monte Saint-Etienne, di epigrafi che contengono cataloghi di autori e opere testimonia l’esistenza in questa zona di una biblioteca e del ginnasio che la doveva ospitare; forse in questo luogo dovevano trovare posto anche le scuole di retorica e di filosofia attestate dalle fonti e attive fino in periodo romano. Particolarmente importanti erano anche i suoi ateliers di scultura; dalle fonti sappiamo che alcuni nomi importanti come Lisippo o Briasside lavorarono a Rodi e che Chares, il creatore del Colosso, nacque a Lindos; ma è soprattutto l’abbondante materiale epigrafico che ci dà un’idea delle dimensioni imponenti del fenomeno e che ha permesso di ricostruire famiglie di scultori e botteghe che hanno lavorato sull’isola, ma anche in Asia, in Grecia e, in alcuni casi, in Italia. Nel corso del periodo imperiale quest’attività era ancora importante e Plinio (Nat. hist., XXXIV, 36), intorno al 60 d.C., ricorda la presenza di 73.000 sculture sull’isola di Rodi.
Durante il primo Impero Rodi mantenne la sua importanza commerciale e culturale e fu scelta come luogo di residenza da Tiberio tra il 6 a.C. e il 2 d.C., anche forse per la sua formale indipendenza da Roma. Pausania (VIII, 43, 4) ci informa di un programma di ricostruzioni promosso dall’imperatore Antonino Pio dopo il terremoto del 142 d.C. Tuttavia la fase romana della città è rappresentata soprattutto dalle strutture del tetrapilo e da una porzione di una via colonnata, databile all’inizio del III sec. d.C.
Resti cristiani sono stati trovati nella zona dell’acropoli, negli strati superiori dello scavo del tempio di Afrodite; fuori la Porta di S. Giovanni sono stati trovati resti di una basilica paleocristiana con pavimento a mosaico. Nel 345 e nel 515 d.C. l’isola fu colpita da due violenti terremoti e probabilmente in occasione di uno di questi si deve collocare il definitivo abbandono del sito.
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di Enzo Lippolis
Il sito (gr. Λίνος) è caratterizzato da un breve tavolato roccioso (acropoli) dominante due insenature naturali e separato dai rilievi dell’interno da un avvallamento naturale (area su cui si estende la città bassa), in una posizione strategica notevole sulla costa meridionale dell’isola di Rodi. Con i centri di Ialiso e Camiro costituisce una delle tre comunità più antiche e importanti, prima della costituzione di una capitale comune sinecistica (408/7 a.C.).
Gli scavi sono stati condotti in diverse fasi, prima da una missione danese guidata da K.F. Kinch (1902-14), poi dalla Soprintendenza Archeologica del Dodecaneso durante l’occupazione italiana (rilevamenti e restauri condotti da L. Laurenzi e da M. Paolini) e infine da una nuova missione danese di E. Dyggve (1959-60) e dall’Eforia greca e si sono concentrati soprattutto sull’acropoli, interessando solo in minima parte la città bassa e le necropoli.
Le tracce più antiche della frequentazione umana risalgono all’età neolitica e come le successive attestazioni di una presenza micenea non permettono di documentare l’esistenza di un insediamento stabile. La documentazione archeologica aumenta a partire dalla fase cronologica geometrica, coincidendo con le prime attestazioni di un’importante destinazione sacra della parte più alta dell’acropoli, presso la sua estremità meridionale, elemento costante ed epicentro ideale della comunità sino all’età tardoantica. La storia di questo culto si identifica nello sviluppo della comunità lindia sia come luogo di identificazione culturale e religiosa, sia come istituzione di rilievo politico nel sistema delle relazioni con le altre comunità dell’isola. Tra VIII e VII sec. a.C. anche L. sembra coinvolta in un fenomeno di emigrazione coloniale, realizzatosi spesso in associazione con altre comunità e che sembra indirizzarsi in direzioni diverse, verso la vicina costa dell’Anatolia (Phaselis, Soloi), verso la Libia, a Cirene (in compartecipazione con l’isola di Thera) e in Italia a Gela (in compartecipazione con un nucleo cretese), dove l’acropoli manteneva culto e nome (al plurale) della città rodia.
Le informazioni sul santuario principale della città migliorano solo a partire dal VII e, in maniera più chiara e diretta, dal VI sec. a.C., mentre precedentemente la sua presenza è attestata unicamente da oggetti votivi fuori contesto (Blinkenberg 1931); la divinità, forse identificata all’origine esclusivamente in un simbolo aniconico, in età storica acquista i caratteri di un’Atena dorica che riveste soprattutto una valenza poliadica, con un processo simile a quello riconoscibile nel culto di Atena presente nelle altre due acropoli dei centri di Ialiso e di Camiro. La tradizione mitologica attribuisce l’origine della venerazione a Danao e alle figlie, fermatisi a L. nel corso del viaggio dall’Egitto verso Argo. La monumentalizzazione del luogo di culto sembra doversi attribuire a Cleobulo, personaggio che esercitò un potere tirannico su L. tra il secondo e il terzo venticinquennio del VI sec. a.C.; a questo periodo risalirebbe il rifacimento del tempio originario, con la costruzione di una cella allungata dotata di una fronte prostila tetrastila, probabilmente di ordine dorico. Altre tracce monumentali attestano l’ampiezza dell’intervento, che sembra essersi esteso a una ristrutturazione dell’intera acropoli: si tratta soprattutto dei resti di una scalinata obliqua e centrale, collegata a strutture di terrazzamento laterali che potrebbero avere investito tutta la superficie disponibile, caratterizzata da una pendenza da sud a nord. Già in questa fase il santuario acquista una dimensione e una fama internazionali, divenendo un simbolo rappresentativo della comunità locale; dediche note dalle fonti e documenti archeologici permettono di registrare un incremento dei rapporti e delle attività commerciali, in cui un ruolo particolare sembra rivestito dall’Egitto, confermando la notizia di importanti doni, come una statua della divinità dedicata dal faraone Amasis, in cui si è voluta riconoscere traccia di un’identificazione sincretistica tra Atena e l’egiziana Neith (Francis - Vickers 1984).
Anche nell’isola di Rodi il V sec. a.C. è caratterizzato da difficili vicende politiche e segnato dall’alternanza tra regimi democratici e restaurazioni aristocratiche, avvenimenti spesso influenzati dai cambiamenti politici dello scenario internazionale; verso il 408 a.C. ha compimento un’importante trasformazione di tipo sinecistico che conduce alla creazione di una capitale comune dal nome stesso di Rodi, sorta nel territorio di Ialiso, che soppianta progressivamente i tre abitati originari (Ialiso, Camiro, Lindo) soprattutto nel ruolo politico interno ed esterno. Il progetto sembra essere stato patrocinato dalla famiglia ialisia dei Diagoridi e conduce a un complesso sistema amministrativo che non prevede l’abolizione istituzionale delle tre poleis originarie, le quali tuttavia subiscono un forte ridimensionamento. Da questo momento il servizio religioso nel santuario di Atena sembra rivestire una nuova importanza, come occasione di prestigio nella carriera sacerdotale dei membri delle famiglie aristocratiche e abbienti, contribuendo ad agevolare l’accesso alle massime cariche dello stato comunitario. La ricostruzione del complesso religioso risponde perciò alle esigenze rappresentative dei ceti dirigenti dell’isola di origine lindia, permettendo di manifestare l’accrescimento economico e la sicurezza politica raggiunte da Rodi in età ellenistica.
Un incendio che devastò il santuario, già posto dubitativamente verso la metà del IV sec. a.C. (Blinkenberg 1931), ora si può collocare con certezza nel 392/1 a.C. (Lippolis 1988-89); da numerosi elementi non sembra comunque aver provocato danni tali da rendere necessaria una ricostruzione integrale del complesso e l’evento è stato a torto enfatizzato nelle proposte ricostruttive avanzate dagli scavatori della missione danese per spiegare la ristrutturazione ellenistica. È tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., invece, che sembra essersi verificata un’altra occasione più grave di danneggiamento del complesso cultuale, in cui evidentemente furono anche persi i corredi ornamentali della dea e i servizi da banchetto che erano utilizzati per le cerimonie; è stata avanzata l’ipotesi che l’occasione possa essere collegata alle devastazioni compiute da Demetrio Poliorcete, all’epoca dell’occupazione e del saccheggio dell’isola, durante il terribile assedio posto contro la stessa capitale di Rodi (Lippolis 1988- 89). La successiva ricostruzione di epoca ellenistica sembra essersi realizzata in un arco di tempo abbastanza lungo, ma secondo un progetto unitario che trasformò completamente l’organizzazione arcaica dell’acropoli.
Gli interventi iniziarono con la risistemazione del tempio, forse ridedicato agli inizi del III sec. a.C., grazie al contributo di Kleandridas e Timotheos, che posero un’iscrizione dedicatoria sull’architrave della porta nel periodo in cui il padre Aleximachos rivestiva il sommo sacerdozio di Halios; a questa fase risale la trasformazione planimetrica dell’edificio arcaico, in parte conservato in una struttura anfiprostila tetrastila, con cella abbastanza stretta e allungata. All’interno rimangono evidenti tracce di un rivestimento delle pareti con pannelli suddivisi in due registri, forse in parte realizzati con elementi lignei e dipinti. Nella prima metà del III sec. a.C. fu realizzato un nuovo terrazzamento dell’acropoli, completamente monumentalizzata e suddivisa su tre livelli, con un cambiamento di orientamento rispetto all’organizzazione arcaica dell’area; su questa pianificazione si costruirono progressivamente portici e strutture di servizio, iniziando dalla sistemazione della parte più alta e meridionale, intorno al tempio, per concludere con quella inferiore settentrionale. Il livello superiore ospitò una monumentale stoà a paraskenia collegata a una corte interna colonnata che delimitava l’area templare, datata verso il 266 a.C. (Blinkenberg 1931); in un’ala di questo complesso, erroneamente noto come “propilei”, furono realizzati tre grandi ambienti destinati probabilmente ai banchetti ufficiali comunitari dei rappresentanti religiosi e amministrativi della società lindia (andròn).
Forse subito dopo il terremoto del 227/6 a.C. sulla terrazza mediana fu costruita un’altra grande stoà, anch’essa a paraskenia, ma caratterizzata dall’inserimento di un colonnato libero centrale che dava accesso alla grande scalinata diretta ai livelli superiori e al tempio. La terrazza inferiore sembra essere stata sistemata per ultima, ampliando la superficie disponibile per mezzo di concamerazioni a volta che ospitavano anche cisterne, attestate epigraficamente sin dal I sec. a.C. Forse in età tiberiana si rese necessario un restauro del complesso e fu effettuata la regolarizzazione del pianoro più basso, a settentrione, dove trovò posto un tempio, probabilmente dedicato al culto imperiale, che potrebbe essere stato restaurato in età dioclezianea, più che costruito in questa fase, come si era pensato (Dyggve 1960). All’imperatore fu dedicato un ciclo di statue iconiche familiari, eretto su un’esedra precedente, smontata dalla sua collocazione originaria e ridedicata in onore di Tiberio e della sua famiglia. Gli ultimi interventi noti nel santuario risalgono al II sec. d.C. e sono costituiti dal rinnovamento degli ulivi sacri dell’acropoli operato dal sacerdote Aglochartos, figlio di Moionis, e dal restauro del muro di cinta orientale curato da un altro sacerdote di Atena, P. Aelius Agetor.
Riveste particolare importanza la documentazione epigrafica raccolta negli scavi del santuario, comprendente la cosiddetta Cronaca di Lindos, scritta da Timachida, filologo della prima metà del I sec. a.C., che esprime bene la cultura antiquaria della Rodi contemporanea, con un’attenzione retrospettiva e una formalizzazione di quella tradizione religiosa strumento di potere per la classe aristocratica locale. La ricchezza epigrafica del santuario è costituita soprattutto dalle numerosissime iscrizioni dedicatorie e onorarie, che permettono di ricostruire stemmata di famiglie locali e forniscono informazioni importantissime per la conoscenza del cursus honorum religioso e per la ricostruzione della storia sociale della comunità lindia e della sua capacità di integrazione nella comunità collettiva di Rodi. Le fonti raccolte comprendono anche cataloghi di sacerdoti e attestazioni religiose che permettono di conoscere anche altre situazioni di culto, come quella di Zeus Polieus, che si affianca sulla stessa acropoli ad Atena a partire dagli inizi del III sec. a.C.
Le scoscese pendici che difendono l’acropoli conservano tracce della via di accesso al santuario e di alcuni monumenti minori; sotto lo stesso tempio, ad esempio, si apre una cavità naturale certamente compresa tra gli spazi di culto. Alla base della scalinata esterna di accesso all’altura si riconosce il monumento onorario di Agesandros, figlio di Mikion, opera dello scultore Pythokritos databile intorno al 180 a.C., che raffigurava il personaggio onorato (ora perduto) sulla poppa di una nave scolpita nella roccia. Su uno sperone tra la stessa acropoli e il porto fu riconosciuto dagli scavatori danesi un luogo consacrato per la macellazione rituale dei bovini, il boukopion. Della città bassa restano poche tracce; di particolare interesse appare il percorso di un acquedotto sotterraneo con paramento murario in opera quadrata, che sembra riflettere un’organizzazione urbanistica di tipo abbastanza regolare. Non è nota la collocazione dell’agorà e della monumentalizzazione politica della comunità, a eccezione del teatro, con il koilon in parte scavato nella roccia delle pendici sud-occidentali dell’acropoli e in parte costruito. Insieme a un tetrastoon quadrangolare vicino e posto più in basso, è attribuibile a età ellenistica.
Ancora poco note sono le necropoli dell’insediamento nelle sue varie fasi di vita, di cui si conoscono soprattutto due edifici monumentali. Il primo è una tomba a tamburo circolare sul capo di Hagios Emilianos, in opera quadrata e di incerta determinazione cronologica. Il secondo invece è realizzato in forma monumentale con una facciata architettonica scolpita nella roccia affiorante del Monte Krana, che fronteggia l’acropoli; il falso prospetto imita la tipologia delle stoài del santuario di Atena e in particolare di quella inferiore e costituisce l’accesso a una camera sepolcrale utilizzata nel corso del II sec. a.C.
C. Blinkenberg, Lindos, Fouilles de l’Acropole, 1902-1914, I, Les petits objectes, Berlin 1931; II, Les inscriptions, Berlin - Copenhague 1941.
E. Dyggve, Lindos. Fouilles de l’acropole 1902-1914 et 1952, III, Le Sanctuaire d’Athena Lindia et l’architecture lindienne, Berlin - Copenhague 1960.
A. Di Vita, s.v. Lindos, in EAA, IV, 1961, pp. 638-44.
E.D. Francis - M. Vickers, Amasis und Lindos, in BICS, 31 (1984), pp. 119-30.
V. Papadimitriou, The Anastylosis of the Ancient Monuments on the Acropolis of Lindos, in S. Dietz (ed.), Archaeology in the Dodecanese, Symposium (Copenhagen, April 7th to 9th 1986), Copenhagen 1988, pp. 169-71.
E. Lippolis, Il santuario di Athana a Lindo, in ASAtene, 66-67 (1988-89), pp. 97-157.
L. Wriedt Sørensen, Cypriote Terracottas from Lindos in the Light of New Discoveries, in Cypriote Terracottas. Proceedings of the First International Conference of Cypriote Studies (Brussels -Liège -Amsterdam, 29 May - 1 June, 1989), Brussels 1991, pp. 225-40.
J. Pakkanen, The Column Shafts of the Propylaia and Stoa in the Sanctuary of Athena at Lindos, in ProcDanInstAth, 2 (1998), pp. 147-59.
di Antonino Di Vita
Città (gr. Κάμιρος, Κάμειρος; lat. Camirus) situata sulla costa nord-occidentale dell’isola di Rodi, alle falde del Monte Acramite. La sua origine risale a età micenea (necropoli presso l’od. Kalavarda). L’abitato, almeno dall’età arcaica, si articolò in una città bassa attorno al porticciolo di Capo Milantio e in una città alta che occupò il pendio a conca di una collina che, per essere cinta da mura verso il mare, è stata comunemente detta “acropoli”.
Già dall’VIII sec. a.C. sullo stretto terrazzo che chiude in alto l’acropoli dovette alzarsi il tempio di Atena Kameiras fra i cui ex voto va annoverato un pregevole kouros arcaico. Rifatto più volte, il tempio, d’età ellenistica, fu probabilmente un periptero esastilo dorico. Una cisterna tagliata nella roccia, della capacità di ben 600 m3, raccoglieva le acque della spianata del tempio e, dopo il terremoto del 227/6 a.C., fu tagliata da una stoà ad ali, lunga poco più di 200 m, la quale fu creata come luogo di riposo dei pellegrini che si recavano al tempio e fu di grande significato urbanistico, concludendo dall’alto l’abitato dell’acropoli e costituendo il monumentale ingresso al temenos della dea. L’abitato, sia quello ellenistico sia quello romano (la città sembra non essere più risorta come tale dopo il terremoto che sotto Antonino Pio squassò l’isola di Rodi), appare ordinato in isolati ortogonali da un lato e dall’altro della strada che, serpeggiando, sale dal pianoro più basso della cavea naturale che ospitò questi quartieri alti alla stoà e al santuario di Atena.
Due novità importanti sono emerse dalle nuove ricerche e riguardano la fontana che occupò l’area centrale del breve pianoro alla base della città alta. Monumentalizzata verso la metà del IV secolo, rimasta senza acqua prima del 279 a.C., fu trasformata in aula, rimanendo l’elemento centrale dell’area sacra inferiore, costituita da essa nonché da un’area scoperta che le stava innanzi verso nord, dove aveva sede un altare monumentale e che era fiancheggiata non da uno, come si credeva, ma da due templi sui lati est e ovest. Dal recente esame dei dati di scavo, rimasti finora inediti, sappiamo che nell’ultima fase di vita della città una stretta massicciata di lastre sopraelevate sul suolo d’età ellenistica costituiva una sorta di breve “via sacra” fra l’intercolunnio centrale dell’aula, che aveva sostituito nella sacralità della funzione l’originaria fontana, e l’ingresso al centro della fronte monumentale che chiudeva questo vero e proprio temenos inferiore, da nord. Tale via era fiancheggiata da decine di ex voto su alte basi, ex voto che avevano finito con l’occupare tutta l’area di quella che è stata da H. Lauter considerata, e non senza qualche ragione almeno per l’età ellenistica, una hierà agorà. Inoltre s’è scoperto che a pendant del tempio comunemente detto “di Apollo”, il quale costituiva il limite occidentale di questa “agorà sacra”, un altro e più piccolo tempio in antis, anch’esso aperto a sud, era sorto a chiudere verso oriente l’area davanti alla ex fontana. Una bassa gradinata, a est del grande altare, portava sia a questo tempio sia a una piccola esedra a sud di esso.
Dalla lettura delle nuove planimetrie, fra cui una relativa alla zonizzazione della città, appare evidente che i nuclei attorno ai quali si costituì la C. arcaica, visse la sua non mediocre agiatezza la C. ellenistica e morì la C. romana, furono due: l’area sacra sul pianoro alto, possesso della divinità poliade, e l’area sacra della spianata bassa, costituitasi attorno a una fontana che sgorgava al nascere di essa (e che almeno dal primo III secolo presentò una fronte partita da pilastri e pilastri con semicolonne incassate, la quale ci ha conservato le famose liste dei damiurgi, i sacerdoti eponimi camiresi), mentre un recinto, con altari – il supposto hierothiteion – dove anche gli stranieri potevano partecipare ai sacrifici, sorgeva presso il margine settentrionale della stessa spianata.
Per le liste dei damiurgi: M. Segre - G. Pugliese Carratelli, Tituli Camirenses, in ASAtene, 27-29 (1949-51), pp. 145-57 (con bibl. ult.); 30- 32 (1952-54), p. 227.
In generale:
L. Laurenzi, s.v. Camiro, in EAA, II, 1959, pp. 285-87.
R.E. Wycherley, s.v. Rhodes, in PECS, pp. 755-58.
A. Di Vita, Due rilievi tardoellenistici da Camiro, in RM, 102 (1995), pp. 101-13.
Per l’urbanistica, da ultimi:
A. Di Vita, Camiro. Un esempio di urbanistica scenografica d’età ellenistica, in Akten des 13. Internationalen Kongresses für Klassische Archäologie (Berlin, 1988), Mainz a.Rh. 1990, p. 482 ss.
L.M. Caliò, Il santuario di Camiro. Analisi delle strutture e ipotesi di ricostruzione della grande stoà dorica, in Orizzonti, 2 (2001), pp. 85-107.
di Charis Kantzia
Isola (gr. Κῶς; lat. Cos) del gruppo del Dodecaneso (Sporadi meridionali) nell’Egeo sud-orientale, presso la costa dell’Asia Minore, all’imbocco dell’omonimo golfo. Patria di Ippocrate (460-370 a.C.), il padre della scienza medica, Coo era rinomata nell’antichità per la sua scuola medica e per l’Asklepieion che è oggi il sito archeologico più importante dell’isola.
Le prime tracce di insediamenti risalgono alla fine del IV millennio a.C. (Neolitico tardo - Bronzo Antico) e furono rinvenute nella caverna di Aspri Petra presso il villaggio di Kephalo. Nel periodo ellenistico, nell’isola vi erano sei demi costituitisi successivamente al sinecismo del 366 a.C. intorno ad altri insediamenti più antichi. Il demo degli Isthmiotai, nell’area dell’odierno villaggio di Kephalo, è il sito più verosimilmente identificabile con Astypalaia, l’antica capitale dell’isola. A Palatia, un piccolo tempio dorico del V sec. a.C. dedicato a Demetra domina le rovine di un’acropoli cinta da mura. Più a sud sono stati scoperti un piccolo teatro ellenistico e due templi dorici, uno dei quali era verosimilmente dedicato ad Asclepio. I demi affiliati degli Antimachidai e degli Aigelioi, nell’area dell’odierno villaggio di Antimacheia, erano il centro dell’antico culto di Eracle. Il demo degli Halasarnithai presso l’attuale Kardamena era il centro di un antichissimo culto tribale tributato ad Apollo Pizio e a Eracle. Sul pendio orientale della collinetta di Tholos, coronata dall’acropoli, fu rinvenuto un piccolo teatro ellenistico, ora completamente distrutto. Un piccolo santuario delle divinità eleusine situato a Kyparissi, presso l’odierno agglomerato di Amaniou, si trovava nel demo degli Halentioi, vicino all’attuale villaggio di Pylì. In questo villaggio sono visibili le rovine di un heroon ellenistico dedicato a Charmylos. Il demo dei Phyxiotai era nell’area dell’odierno paese di Asfendiou e quello degli Hippiotai tra Mastichari e Zipari, nel cui territorio è stato scavato un santuario di Hera.
La città di Coo costituisce un raro esempio di centro urbano costiero abitato ininterrottamente sin dal 2200 a.C. Nel 1933 un rovinoso terremoto permise agli archeologi italiani di esaminare a fondo la città antica e questo compito viene oggi continuato dal Servizio Archeologico Greco. Il primo insediamento fortificato sorse alla fine del Bronzo Antico (2200 a.C.) sulla bassa collina del Serraglio presso il porto naturale. A esso succedette una grande città che fiorì nel Tardo Minoico (1550-1450 a.C.): essa aveva ampie vie, fognature ed edifici palaziali muniti di polythyra. Nel periodo successivo, che vide l’arrivo di coloni micenei, la città si estese sull’intera collina e divenne un’importante stazione commerciale micenea. I cimiteri della città, con 84 tombe a camera contenenti ricchi arredi funerari, sono stati esaminati a Elaionas e a Langada, 1 km a sud della città.
Dal 1150 al 950 a.C. vi fu un periodo di oscurità: l’estensione della città diminuì, verosimilmente a causa dell’arrivo di coloni dori dall’Argolide, quindi la maggior parte del sito venne occupata da un cimitero protogeometrico-geometrico (950-700 a.C.). Sono state scavate 110 tombe di diverse tipologie. Le sepolture dei bambini erano munite di ricchi corredi costituiti specialmente da ceramica di produzione locale, ma anche da manufatti importati dalla Fenicia e da Cipro. Gli scavi mostrano chiaramente che nel corso del periodo arcaico (secc. VII-VI a.C.) ebbe inizio una nuova era di prosperità per l’insediamento sulla collina di Serraglio, adesso identificata con Coo-Meropis. Sono stati portati alla luce importanti edifici di quel periodo tra cui due santuari dedicati a Demetra e ad Atena. Nella necropoli, situata a 1 km di distanza a ovest, sono state esaminate circa 200 inumazioni, cremazioni e sepolture in pithos.
Nel 411 a.C. la città fu fortificata da Alcibiade e una parte di queste fortificazioni è stata portata alla luce sulle pendici occidentali della collina. Appartiene a questo stesso periodo un laboratorio per la lavorazione della ceramica, nel quale si producevano tre tipi diversi di anfore destinate a tre vini di produzione locale. Le anfore rinvenute recano una vasta gamma di marchi tra cui un granchio, emblema ufficiale dell’isola. Nel 366 a.C. il sinecismo ebbe un ulteriore sviluppo. Seguendo l’esempio di Rodi, intorno all’insediamento più antico venne costruita una nuova città dalla pianta ippodamea. La città, dal piano urbanistico particolarmente elegante, fu portata alla luce in massima parte dagli scavi italiani eseguiti negli anni 1929-43. Sono ancora oggi visibili tracce delle mura fortificate munite di torri quadrangolari e rotonde che cingevano la città; due moli fortificati proteggevano il porto dove è stato rinvenuto l’arsenale militare.
La città era attraversata da est a ovest da un viale centrale largo 33 m, nella cui parte settentrionale erano concentrati gli edifici pubblici. Nell’agorà, lunga più di 300 m, sorgevano un tempio, verosimilmente dedicato al re Eumene, e un altare di Dioniso con un fregio in rilievo a imitazione dell’altare di Pergamo. A nord dell’agorà, fuori delle mura, vi erano due santuari gemelli dedicati ad Afrodite Pontia e Pandemos e il santuario di Eracle. Nella parte occidentale sorgeva il ginnasio, lungo 200 m e con un peristilio. Adiacente a esso si trovavano lo stadio e un edificio monumentale, recentemente portato alla luce, identificato con la palestra. Il teatro è situato nella parte meridionale della città, immediatamente all’interno delle mura. Coo continuò a prosperare sotto i Romani. Il decumanus maximus, fiancheggiato da portici, sostituì il viale centrale della città ellenistica. Su entrambi i lati del decumanus e del cardo ortogonale a esso, sorgevano vasti bagni pubblici, un’elegante latrina ora restaurata, l’odeion (anch’esso parzialmente restaurato) e sontuose dimore ornate da affreschi e da vivaci mosaici come la Casa Romana e la Casa di Europa.
L’Asklepieion, situato su un terreno in lieve pendio 3,5 km a sud-ovest della città, fu fondato nel IV sec. a.C. e dal 242 a.C. in poi divenne il centro verso cui affluiva tutto il mondo greco. Fu scavato negli anni 1901-1905 dal tedesco R. Herzog e parzialmente restaurato dagli Italiani. Era disposto su tre livelli collegati da monumentali scalinate; le terrazze più alte e più basse erano cinte da portici da cui si accedeva agli alloggiamenti posti sul retro. Sulla terrazza mediana si trovavano il tempio ionico e l’altare di Asclepio con decorazioni eseguite dai figli di Prassitele, un oikos per il clero e un tempio romano dedicato ad Apollo. La terrazza superiore, dominata dal grande tempio dorico di Asclepio, fu costruita all’inizio del II sec. a.C. Nel periodo romano vi fu aggiunto un bagno pubblico. Il santuario e la città venivano riforniti di acqua potabile dalla sorgente Vourina, situata a sud-est del santuario e protetta da una camera monumentale a forma di alveare.
Numerose basiliche paleocristiane dai magnifici pavimenti a mosaico sparse in tutta l’isola testimoniano la prosperità del periodo paleocristiano. Tra i monumenti bizantini degni di nota figura una fortezza a Palio Pylì, costruita sulle rovine di un’acropoli micenea e al cui interno si trovano alcune chiese affrescate. Le fortezze medievali di Coo e di Antimachia costituiscono notevoli esempi di architettura militare dei Cavalieri Ospedalieri i quali dominarono l’isola dal 1309 al 1522. Anche la presenza ottomana è significativa ed è rappresentata da alcune moschee esistenti nella città. Nel Museo Archeologico è conservata una notevole raccolta di sculture, di ceramiche dei periodi miceneo e geometrico e di mosaici come quello in cui è rappresentato Asclepio che mette piede sull’isola. Una raccolta di frammenti architettonici è conservata nella fortezza dei Cavalieri Ospedalieri.
Per la città di Coo:
L. Laurenzi, L’Odeion di Coo, in Historia, 5 (1931), pp. 592-602.
L. Morricone, Scavi e ricerche a Coo (1935-1943). Relazione preliminare, in BdA, 1950, pp. 54-75 e 219-331.
Id., Eleona e Langada. Sepolcreti della tarda età del Bronzo, in ASAtene, 43-44 (1965-66), pp. 5- 311.
Id., Scavi e scoperte nel “Serraglio” e in località minori (1935-1943), ibid., 50-51 (1972-73), pp. 139-396.
Id., Sepolture della prima età del Ferro a Coo, ibid., 56 (1982), pp. 6-427.
C. Kantzia, Recent Archaeological Finds from Kos. New Indications for the Site of Kos-Meropis, in S. Dietz - I. Papachristodoulou (edd.), Archaeology in the Dodecanese. Symposium (Copenhagen, April 7th to 9th 1986), Copenhagen 1988, pp. 175-83.
Per il resto dell’isola:
D. Levi, La grotta di Aspripetra a Coo, in ASAtene, 8-9 (1929), pp. 169-246.
L. Laurenzi, Nuovi contributi alla topografia storico-archeologica di Coo, in Historia, 5 (1931), pp. 603-26.
P. Schazmann, Das Harmyleion, in JdI, 49 (1934), pp. 110-27.
G. Pugliese Carratelli, Il demos Coo di Isthmos, in ASAtene, 41-42 (1963-64), pp. 147-202.
C. Kantzia, Το ιερο του Απολλωνα στην Αλασαρνα της Κω. Το ιστορικο μιας καταστροφης, in ADelt, 39 (1984), pp. 140-62.
Per la storia:
S.M. Sherwin-White, Ancient Cos. A Historical Study from the Dorian Settlement to the Imperial Period, Göttingen 1978.
W.R. Paton - E. L. Hicks, The Inscriptions of Kos, Oxford 1991.
L. De Matteis, Il bordo con venationes nel mosaico del “Giudizio di Paride” di Coo, in L’Albania dal tardoantico al medioevo. Aspetti e problemi di archeologia e storia dell’arte, in CARB XL (1993), pp. 111-24.
K. Höghammar, Sculpture and Society. A Study of the Connection between the Free-Standing Sculpture and Society on Kos in the Hellenistic and Augustan Periods, Uppsala 1993.
C. Kantzia, Ενα κεραμικο εργαστεριο αμφορεων του πρωτου μισου τον 4ου αι. π.Χ. στην Κω, in Γ Επιστημονικη Συναντηση για την Ελληνιστικη Κεραμικη. Χρονολογημενα συνολα, εργαστηρια (Θεσσαλονικη, 24-27 Σεπτεμβριου 1991), Athinai 1994, pp. 323-54.
M. Livadiotti, Il tempio di Zeus Alseios a Coo. Un nuova ipotesi di interpretazione, in Palladio, 7, 14 (1994), pp. 19-28.
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di Dario Palermo
L’isola di Creta (gr. Κρήτη; lat. Creta), dopo aver costituito per molti secoli il centro culturale e politico dell’Egeo durante l’età del Bronzo, conosce in età storica uno sviluppo culturale che in qualche misura la differenzia dal resto del mondo greco, alternando momenti di grande fioritura a periodi di isolamento e di stagnazione. Nella considerazione degli scrittori greci di età classica, l’isola presenta due diversi aspetti: da un lato, gli autori antichi esprimono spesso ammirazione per leggi e forme di governo delle città presenti nell’isola, un’ammirazione strettamente legata al ricordo del suo passato mitico, simboleggiato dal nome del re e legislatore Minosse; dall’altro le fonti mantengono un pressoché totale silenzio, interrotto soltanto da notizie fortuite e non sistematiche, sulle vicende storiche delle sue città. La ricostruzione della storia di Creta dall’età del Ferro in poi rimane così sostanzialmente affidata alle testimonianze archeologiche, sull’interpretazione delle quali si sono spesso divisi i giudizi degli studiosi moderni, oscillanti fra un’esaltazione delle peculiarità della cultura cretese e la negazione di qualsiasi apporto dell’isola alla formazione e sviluppo della civiltà greca, talvolta legata a nefaste considerazioni di tipo razziale; a tali posizioni va opposto un ponderato riconoscimento delle caratteristiche artistiche e culturali dell’ambiente cretese, della sua funzione di mediazione fra Oriente e Occidente e del suo inserirsi nel complesso del mondo greco arcaico.
La testimonianza delle fonti antiche è significativa anche per ciò che riguarda il popolamento dell’isola e cioè in definitiva la sua storia più antica; va ricordato a questo proposito il passo di Omero (Od., XIX, 175-77) dove si ricorda che l’isola era abitata da cinque stirpi diverse: Achei, Eteocretesi, Pelasgi, Dori e Cidoni. Non è difficile riconoscere nelle prime tre stirpi i discendenti delle popolazioni che abitarono l’isola durante l’età del Bronzo; d’altro canto genti eteocretesi, le cui incomprensibili iscrizioni ne attestano la sostanziale anellenicità, sopravvivono nella Creta occidentale, intorno a Praisos, fino a età ellenistica. Più complesso è il problema dei Dori, in quanto è impossibile stabilire in quale momento l’isola, che pure in età storica è profondamente segnata da caratteristiche di lingua e di istituzioni di tipo dorico, conosce l’arrivo di queste popolazioni. Al passo omerico va accostata anche la testimonianza di Erodoto (VII, 171) che ricorda, per i momenti successivi alla morte di Minosse, un lungo periodo di pestilenze, spopolamenti e migrazioni che avrebbero trasformato la composizione etnica dell’isola.
Un riflesso di questi eventi si è creduto di poter cogliere nell’improvviso apparire, durante la parte finale dell’età del Bronzo (TM IIIC e Subminoico), dei cosiddetti “insediamenti di rifugio”, città situate in luoghi aspri e facilmente difendibili, la cui occupazione prosegue in diversi casi fino al successivo periodo protogeometrico; fra essi Karphì, Vrokastro, Kavousi, Praisos e Priniàs. Va però ricordato come attraverso tutto il periodo considerato continuino a rimanere attivi anche centri che non possiedono affatto le caratteristiche di facile difesa di quelli sopra ricordati; in particolare, Cnosso e Festo, conosciute la prima attraverso le ricche necropoli e la seconda per il suo insediamento, non sembrano conoscere significativi momenti di frattura nella loro storia fra la tarda età del Bronzo e il successivo periodo protogeometrico. Quest’ultimo periodo, poi, conosciuto approfonditamente solo per quel che riguarda la parte centrale dell’isola, fra l’area di Cnosso e la Messarà, sembra in realtà essere un periodo di crescente prosperità per molti dei centri cretesi.
Dal X sec. a.C. in poi, le necropoli cretesi, nelle quali le sepolture sono ancora costituite dalla tholos o dalla tomba a camera di tradizione tardominoica, all’interno delle quali il rito dell’incinerazione va prendendo il posto dell’inumazione, presentano infatti ricche deposizioni, con materiali metallici e oggetti preziosi, anche d’importazione. La ceramica rimane ancora, nel repertorio delle forme e delle decorazioni, legata alla tradizione tardominoica, con la persistenza di tipi come quello del vaso a staffa; si vanno però inserendo elementi protogeometrici, come il motivo dei cerchi o dei semicerchi concentrici, derivati dalla contemporanea ceramica attica; influssi attici, insieme a importazioni dalla stessa area, dalle Cicladi e da Cipro, sono presenti soprattutto a Cnosso. A partire dal IX secolo i centri cretesi conoscono un progressivo afflusso di beni di lusso di origine orientale, che ha fatto supporre la diretta immigrazione di Orientali nell’isola. Un tesoro di oreficerie, rinvenuto nel dromos di una tomba a tholos del circondario di Cnosso, sembra indicare che artigiani siriaci si siano in questo periodo installati a Cnosso, portando nell’isola le tecniche orientali di lavorazione dei metalli preziosi. È questo d’altro canto il periodo in cui cominciano le prime deposizioni nella grotta-santuario di Zeus sul Monte Ida. Nella seconda metà del IX sec. a.C. anche lo stile delle ceramiche del periodo detto Protogeometrico B presenta un’audace e singolare commistione di elementi tardominoici e orientali.
Il periodo geometrico sembra essere per le città cretesi un momento di particolare splendore. A Cnosso esso è conosciuto attraverso le deposizioni delle tombe delle necropoli di Fortetsa e dell’area della Facoltà di Medicina; un intero quartiere di età geometrica occupa a Festo l’area antistante alla facciata del palazzo minoico. Necropoli di quest’età, nelle quali il rito funerario è soprattutto l’incinerazione, sono conosciute anche a Eleutherna e a Priniàs. Nel centro di Dreros, posto sulle montagne che si affacciano da est sul Golfo di Mirabella, è stato individuato un complesso pubblico, datato alla fine dell’VIII sec. a.C., che comprende un’agorà e un tempio a pianta rettangolare, con la tradizionale caratteristica della banchina sulla quale, all’inizio del secolo successivo, vennero disposti tre sphyrelata o statuette di lamina di bronzo che forse rappresentano le divinità venerate nel tempio. Una forte componente orientale e, più specificamente, fenicia è osservabile nell’apprestamento di culto rinvenuto nella cella del tempio di Kommos, centro portuale sulla costa meridionale dell’isola che particolare importanza doveva avere nei rapporti fra Creta e l’Oriente.
Il VII sec. a.C. rappresenta il momento più significativo della storia cretese arcaica. Nasce nell’isola in questo periodo un particolare stile scultoreo, che unisce motivi tipologici orientali ed egiziani in una ricerca formale che nel tendere alla monumentalità si colloca alle origini dello sviluppo dell’arte greca; esso è detto dedalico dal nome del mitico artista cretese e si ritrova sia nella piccola plastica sia nella grande statuaria in pietra, che a Creta per la prima volta viene applicata all’architettura. Particolarmente rilevante nell’elaborazione dello stile dedalico è la posizione di Gortina, dove i ricchi rinvenimenti della stipe del tempio di Atena sull’acropoli hanno rivelato il fiorire di una scuola di scultura i cui prodotti si distribuiscono per tutto il secolo. Notevole sviluppo ha in questo periodo il centro di Afratì-Arkades, la cui necropoli ha restituito grandi quantità di ceramiche figurate e bronzi. Caratteristica dell’arcaismo cretese è ancora la produzione di stele di pietra con decorazione incisa, un gruppo delle quali, a destinazione funeraria, proviene da Priniàs; figure in lamina di bronzo lavorata a giorno provengono soprattutto dal santuario di Hermes e Afrodite a Kato Symi.
L’emergere di Gortina come centro egemone nella Messarà nei primi decenni del secolo è percepibile anche dalla contemporanea scomparsa del vicino centro di Festo; ugualmente significativa ci sembra la ripresa di attività alla fine del VII sec. a.C. in quest’ultimo centro, in concomitanza con il cessare delle deposizioni nella stipe votiva del santuario di Gortina, indizi di una dinamica interna fra le due città che ha riflessi sulla storia dell’intera isola: non sarà inutile ricordare che nel 689 a.C., nel periodo cioè del primo apparire di Gortina, dalla parte meridionale di Creta parte il contingente di coloni che partecipa, insieme ai Rodi, alla fondazione di Gela in Sicilia. La provvisoria eclissi di Gortina alla fine del secolo sembra d’altro canto inserirsi anch’essa in un complesso di eventi che segnano profondi mutamenti nella storia dell’isola. A Cnosso cessano le deposizioni nelle necropoli; il centro portuale di Kommos scompare. Acquistano invece importanza centri sino ad allora marginali, come Praisos, Palaikastro, Sitia o Axos, dove si sviluppa una scuola di scultura.
La deposizione in diversi santuari dell’isola, e soprattutto ad Arkades, di un gran numero di armi fa pensare che in questo periodo si possa essere verificato un grande evento bellico che mutò gli equilibri politici dell’isola; ed è possibile che il centro che ne uscì vittorioso fosse la città di Lyttos. La mancanza di documentazione che si osserva, per la prima metà del VI secolo, nei maggiori centri di Creta e che ha costituito uno dei maggiori problemi dell’archeologia cretese, tanto da far definire questo periodo la vera Dark Age dell’isola, potrebbe così trovare una spiegazione; certamente gli effetti di questo evento non devono essersi protratti molto a lungo, in quanto una ripresa di vita, a Gortina, è testimoniata dalla cospicua serie delle iscrizioni arcaiche, che culmina, agli inizi del V sec. a.C., con la grande iscrizione nella quale è raccolto il corpus delle leggi della città.
Nella seconda metà del VI e nel V sec. a.C., Creta rimane comunque, dal punto di vista archeologico, poco conosciuta. Sembra cessare in questo periodo la produzione di ceramica figurata, anche se uno scudo fittile del Museo di Chanià attesta la presenza di una produzione di ceramica figurata a Creta nel VI secolo; sono presenti invece, anche se non in grandi quantità, materiali importati da altre parti del mondo greco. Agli inizi del V secolo comincia la coniazione di moneta da parte di diverse città cretesi, in primo luogo Gortina. La monetazione cretese è abbondante e di buona fattura artistica, ma ha scarsa circolazione al di fuori dell’isola, dimostrando un certo isolamento delle città cretesi dal resto del mondo greco. Lo stesso isolamento è d’altra parte deducibile dal comportamento delle medesime città nei riguardi della spedizione persiana, allorché i Cretesi si rifiutarono di partecipare al comune impegno anti-persiano trincerandosi dietro giustificazioni che facevano riferimento a eventi appartenenti al passato mitico (Hdt., VII, 169).
Il periodo ellenistico sembra essere un’epoca di notevole fioritura per Creta ed è abbondantemente testimoniato da molti insediamenti e necropoli; esso non ha però finora ricevuto particolare attenzione da parte degli studiosi e rimane pertanto poco conosciuto. In questo periodo le città cretesi sembrano vivere in un perenne stato di guerra, durante il quale il dominio dell’isola viene spartito fra Cnosso e Gortina; fra i centri più importanti di questo periodo sono anche Kydonia e Hierapytna. Un’intera città di età ellenistica ricopriva le rovine del Palazzo di Festo, ma i suoi resti sono stati quasi del tutto distrutti per mettere in luce le testimonianze di età precedente; allo stesso periodo sembra risalire l’intero impianto della città di Latò, con la sua agorà trapezoidale, già erroneamente attribuita a età arcaica. Alla tarda età ellenistica sembra appartenere il teatro di Aptera, una delle più grandi città cretesi di età classica, ancora quasi del tutto sconosciuta da un punto di vista archeologico. Fra il III e il II sec. a.C. a Gortina viene costruito un lungo muro di fortificazione che racchiude le colline che delimitano la città a nord; l’opera presenta due fasi costruttive, nella prima delle quali gli scavatori hanno riconosciuto la cinta muraria, ricordata da Strabone, che fu donata alla città da un Tolemeo, probabilmente il quarto. Fortificazioni di età ellenistica sono conosciute anche ad Aptera, a Festo e a Priniàs, dove sull’area della città arcaica si situa una fortezza a pianta quadrata con torri agli angoli.
Numerosi templi vengono ricostruiti o costruiti ex novo in questo periodo; fra quelli di nuova edificazione uno dei più significativi è l’Asklepieion di Lebena sulla costa meridionale dell’isola, costruito nel IV sec. a.C. vicino a una fonte di acque terapeutiche che attirava visitatori da tutto il mondo greco. Fasi ellenistiche hanno anche i grandi santuari, come il Diktynnaion, il Pythion di Gortina e il santuario di Kato Symi. Caratteristica della Creta ellenistica è un’abbondante produzione di ceramica a vernice nera, decorata a volte a rilievo; certamente fabbricati a Creta sono anche alcuni esemplari di hydriai decorate a fogliami su fondo chiaro, nello stile alessandrino della necropoli di Hadra. A Festo vengono prodotti in questo periodo anche pithoi con decorazione a rilievo.
La conflittualità endemica delle città cretesi e l’ospitalità che alcune di esse accordavano alle flotte di pirati che infestavano l’Egeo fornì a Roma l’occasione per un intervento nell’isola. Dal 69 al 67 a.C., infatti, il console Q. Cecilio Metello, detto per la sua impresa Cretico, conquistò l’isola con rapide campagne di guerra. Da allora, e fino a età bizantina, Creta visse un lungo periodo di pace, inserita in una provincia senatoria che comprendeva anche la Cirenaica, della quale Gortina, la più filoromana delle città cretesi, divenne capitale e sede del governatore. Cnosso, la principale avversaria dell’intervento romano, fu invece ridotta sotto Augusto a colonia, unica fra tutte le città dell’isola. La vita ricca e pacifica delle comunità cretesi sotto il dominio romano, della quale ci mancano notizie storiche, ma che sappiamo dalle iscrizioni essersi svolta nel segno di un’accorta politica di continuità istituzionale con i periodi precedenti, è testimoniata dalla costruzione di grandi opere pubbliche, ma anche dallo sfarzo di numerose ville private spesso ornate da mosaici e dalla ricchezza dei corredi tombali, deposti spesso in sepolture costituite da camere scavate nella roccia, frequenti nell’area di Cnosso o suggestivamente disposte lungo la riva del mare nel centro portuale di Matala. La città di età romana meglio conosciuta è certamente Gortina; numerosi sono però, e sparsi su tutta l’isola, i centri nei quali sono osservabili monumenti o tracce di età romana, anche se quasi nessuno di essi, tranne Gortina e Cnosso, è stato sistematicamente indagato. Pare che l’isola abbia goduto particolare fioritura nel II sec. d.C., sotto Traiano e Adriano, fatti oggetti di culto a Lyttos, dove ai due imperatori fu dedicata un’area che ha restituito basi iscritte pertinenti a statue di grandi dimensioni. Numerosi terremoti, di cui il primo è attestato nel 46 d.C., sembrano aver colpito l’isola durante l’età romana causando distruzioni e successive ricostruzioni di monumenti; a partire dal V sec. d.C. la diffusione del cristianesimo determinò in molte città cretesi la costruzione di edifici di culto, soprattutto basiliche, di cui fra le più grandi e più antiche è quella di Haghios Titos a Gortina.
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di Dario Palermo
Antica città cretese (gr. Ἀρκάδης). La sua fondazione viene fatta risalire a un nucleo di popolazioni di origine arcadica che, secondo le fonti letterarie antiche, si stanziarono sull’isola in epoca imprecisata.
L’addensarsi di testimonianze epigrafiche e monetali relative ad A. nell’area intorno ai villaggi moderni di Panaghia e Afratì indusse D. Levi a individuare il nucleo principale e più antico della città degli Arcadi di Creta sul colle del Profitis Ilias, un forte rilievo che si stacca dalle pendici occidentali dei Lassithi. La città, specie in età classica ed ellenistica, non doveva però essere limitata al solo colle ma, come indicano la forma plurale del nome e i resti archeologici, doveva essere formata da diversi nuclei abitativi dispersi su un ampio territorio. La vita della città è attestata fino a età bizantina.
Sulla vetta del colle del Profitis Ilias, Levi mise in luce i resti mal conservati di un forte probabilmente di età ellenistica con torri circolari. Sulle pendici orientali esplorò resti di abitazioni di età arcaica e classica. La scoperta più significativa fu però l’identificazione, sulle terrazze occidentali del colle, di una vasta necropoli con tombe che si dispongono fra l’età geometrica e il VI sec. a.C., le più monumentali delle quali erano a tholos o a pseudo-tholos e contenevano un gran numero di deposizioni; il rito prevalente era l’incinerazione. Ricchissimi risultarono i reperti recuperati, soprattutto ceramiche, ma anche materiali bronzei e faïences. La produzione vascolare è varia e caratterizzata dalla persistenza, fino alla piena età orientalizzante, della tradizione minoica. Caratteristiche della produzione di A. sono anche le ceramiche che imitano prototipi bronzei, spesso con una forte connotazione orientale. Numerose sono le importazioni da altri ambienti del mondo greco.
Negli anni Sessanta del Novecento, il sito di A. fu ripetutamente saccheggiato da scavatori di frodo, i quali rinvennero una notevole quantità di materiali andati dispersi. Fra di essi era un complesso di armi di bronzo. Si tratta di panoplie difensive, costituite da elmi, corazze e mitre riccamente decorate, realizzate a sbalzo e a incisione; su di esse si trovano iscrizioni che indicano trattarsi di armi catturate in battaglia al nemico. Le caratteristiche epigrafiche indicano che i dedicanti, o almeno alcuni di essi, dovevano essere cittadini di Lyttos; la qualità artistica delle rappresentazioni figurate ha fatto pensare a Gortina come possibile luogo di fabbricazione delle armature. Il complesso si data agli ultimi decenni del VII sec. a.C. e testimonia di un evento bellico, altrimenti sconosciuto, che coinvolse le due città.
Saggi di scavo effettuati dalle autorità greche dopo il rinvenimento hanno accertato che tutti gli oggetti provenivano da una grande area sacra circondata da un muro di temenos, il cui edificio principale era costituito da un grande ambiente rettangolare con banchina lungo tutto il perimetro interno, probabilmente un tempio. Altri saggi, nella stessa occasione, hanno messo in luce resti di abitazioni di età classica. Una recente ipotesi di D. Viviers nega la tradizionale identificazione di A. con il centro antico del Profitis Ilias, dove colloca piuttosto la polis di Dattala, nota da fonti epigrafiche. La città di A. sarebbe, secondo questa ipotesi, da localizzare nel territorio di Ini, pochi chilometri a ovest di Afratì e non nascerebbe prima del periodo tardoclassico o ellenistico.
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di Antonino Di Vita
Città cretese (gr. Γόρτυν, Γόρτυνς, Γόρτυς; lat. Gortyna) che ebbe origine, nel VII sec. a.C., dal sinecismo dei nuclei che in età geometrica occuparono la collina di Haghios Ioannis, che costituì poi l’acropoli cittadina, e le balze meridionali di Profitis Ilias.
Nel corso del VII sec. a.C. la città orientalizzante, frutto di un processo di aggregazione degli antichi poli geometrici, si stese in piano; mentre l’acropoli di Haghios Ioannis rimase sede del culto poliade, quello di Atena, di ascendenza addirittura micenea. Sulla cresta e sulle balze più alte di Pervolopetra-Armì-Haghios Ioannis sono state rinvenute e scavate fra il 1981 e il 1986 le fortificazioni che, in età ellenistica, coprirono G. da nord. Si tratta di due cinte murarie costruite in momenti diversi (III-II e primi decenni del I sec. a.C.), ma in parte sullo stesso tracciato, poste a controllo della via che sboccava nella pianura passando nella gola del Mitropolianòs, fra la collina dell’acropoli e quella di Pervolopetra. Il forte interro pluristratificato che copre le fasi più antiche di G. ha impedito di raggiungere l’abitato classico e tanto meno quello arcaico, ma di quello ellenistico oggi possiamo dire qualcosa poiché gli scavi di emergenza del 1978 e del 1979 ne hanno fatto ritrovare significative testimonianze. All’altezza dell’odierno villaggio di Mitropolis, sul versante sud, abitazioni sparse conobbero un periodo di vita fra il III e il II-I sec. a.C. Un abitato continuo è stato individuato circa 600 m a sud della stradale Haghi Deka-Mires ed è stato saggiato per una lunghezza di circa 250 m.
Alla piena età ellenistica va attribuito pure il lembo di necropoli scavato nel 1975 dall’Eforia classica di Iraklion, a ovest della città romana – la quale non superò mai di molto il Mitropolianòs – nei campi del locale Istituto Agrario. Più numerose le scoperte riguardanti la città romana. G., che aveva parteggiato per Ottaviano contro Cnosso, legata a Cleopatra e Antonio, dopo il 27 a.C., quando divenne capitale della provincia di Creta e Cirene, si arricchì di nuovi quartieri al di là del torrente che limitava l’area davanti al Pythion e che, colmato e ridotto a strada, servì a regolarizzare da est l’area stessa. A conclusione della vecchia città restava il veneratissimo Pythion, ad apertura della nuova un grandioso ginnasio (il cd. Pretorio) a ridosso dello stadio costruito agli inizi del I sec. a.C. Ai margini dello sviluppo programmato della città imperiale sorsero fra il II e il III secolo i tre più grandi edifici comunitari: da nord a sud, un anfiteatro, un grandioso teatro e il circo.
Nell’abitato stesso di Haghi Deka è stato identificato l’anfiteatro il cui muro di circuito settentrionale resta tuttora utilizzato dalle case del villaggio. Uno scavo d’emergenza dell’Eforia bizantina presso la chiesa dei Santi Dieci (1985) ha portato alla luce le fondazioni – assai distrutte – di un cuneo dell’edificio e la chiesetta appare essere sorta sull’asse maggiore (nord-ovest/sud-est) dell’arena. Più vicino all’abitato, del quale doveva costituire il margine orientale, fu costruito, fra l’età di Marco Aurelio e quella dei Severi, un grandioso teatro: si tratta dell’edificio che, sulla base di una incerta tradizione antiquaria e di un rilievo sommario e impreciso, è stato finora, ma erroneamente, ritenuto un anfiteatro. Ancora a circa 300 m verso sud è stato possibile identificare i carceres del circo, di ben 374 m di lunghezza e in uso fino ad età protobizantina.
Quanto, infine, al grande ginnasio protoimperiale, oggi sappiamo che esso e le terme dette Megali Porta stanno su una stessa striga orientata nord-est/sud-ovest (i prospetti settentrionali dei due edifici distano fra loro 410 m ca.) e appaiono aver fatto parte di isolati larghi intorno ai 98 m. Mentre il complesso della Megali Porta (come le maggiori terme di G., poste a chiudere da ovest la più grande piazza della città romana – probabilmente un’agorà mercantile –, sul cui lato nord sorsero due piccoli edifici pubblici pressoché gemelli e nel quale fu poi costruita una basilica cristiana) nacque fin dall’inizio (forse II secolo) nel cosiddetto “pretorio”, col finire del I secolo o all’inizio del II avvennero profonde trasformazioni. Distrutto da un terremoto, il ginnasio di I secolo, costruito tutto in bei blocchi lapidei attorno a un grandioso cortile a peristilio aperto a sud, fu in parte occupato da terme imponenti che durarono, con numerose modifiche e rifacimenti, fino alla ricostruzione della città a opera di Eraclio, avvenuta dopo un violentissimo sisma che fra il 618 e il 620 devastò non solo Gortina, ma anche Cnosso e forse l’intera isola. Eraclio appare in realtà come l’ultimo evergete di G.: sul pretorio di tardo IV sec. d.C., costruito sull’angolo nord-ovest del complesso ginnasio-terme a opera del praeses Icumenio Asclepiodoto Dositeo, eresse un’imponente basilica giudiziaria e grande impegno esplicò nella ricostruzione della rete idrica della città (42 cisterne-fontane) e dei monumenti cristiani.
La città cristiana ebbe il suo focus in una grandiosa basilica rinvenuta nel 1979 a metà strada fra Mitropolis, a sud, e San Tito, a nord. La basilica (larga 36 m e lunga più di 100 m) ebbe due fasi e in entrambe occupò un intero isolato fra una strada basolata proveniente da ovest/nord-ovest a sud, larga ben 6,6 m, e un grande spiazzo a nord. La prima basilica, a cinque navate, è attribuibile a età tardogiustinianea, la seconda è posteriore al 618-620.
Come tutta la città, anche questa basilica fu distrutta da un sisma di eccezionale potenza negli ultimi anni di regno di Costante II o nei primi di Costantino IV, intorno al 670. Evidenze di questo sisma sono testimoniate da tutta l’area della città e soprattutto dal quartiere di artigiani che, dopo un terremoto della metà del V secolo, venne a occupare la piazza fra il Pythion e il cosiddetto Pretorio. Attraversando almeno cinque fasi esso visse fino alla distruzione del 670 e uno dei forni di ceramisti in esso trovato, ancora nell’VIII secolo, produceva un particolare tipo di ceramica dipinta che ora sappiamo fabbricata in loco dal volgere del VI secolo e che appare la ceramica fine imperante a G. durante almeno tutto il VII e l’VIII secolo. Dopo il 670, spezzata per sempre l’unità cittadina, un nucleo di artigiani rioccupò parzialmente il quartiere e un piccolo cenobio s’installò anche fra le rovine della basilica di Eraclio; ma a parte questo e qualche altro nucleo che rimase abbarbicato qua e là fra le rovine dell’antica città per qualche decennio ancora, la popolazione ritornò sull’antica acropoli, già circondata da mura possenti probabilmente a opera di Eraclio.
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