La genesi e lo sviluppo della civilta greca. Arcadia
di Yanis Pikoulas
Regione (gr. 'Αρκαδία, lat. Arcadia) del Peloponneso priva di sbocchi sul mare (Strab., VIII, 595; Paus., VIII, 1, 1-3), che comprendeva la parte interna dell’Arcadia attuale e parte dell’Elide, dell’Acaia, della Corinzia e dell’Argolide. Le alte montagne dell’Arcadia (Erymanthos, Aroania, Kyllene, Artemision) costituirono i confini naturali della regione a nord e a est, in contrapposizione a quelli meridionali e occidentali, che cambiavano continuamente, specialmente dopo la fondazione di Megalopoli nel IV sec. a.C. L’Arcadia è attraversata da numerosi fiumi e torrenti che appartengono ai bacini idrografici del Ladon e dell’Alfeo. Il clima doveva essere molto simile a quello attuale, dal momento che non vi sono notevoli variazioni nella fauna e nella flora. Solo il suolo ha subito un notevole cambiamento a causa della diminuzione delle aree boscose e ampie zone sono a tutt’oggi incolte.
Insufficienti sono le nostre conoscenze sulla preistoria e sulla protostoria dell’Arcadia. Sappiamo che gli Arcadi giunsero da nord all’inizio del II millennio a.C. Le fonti li indicano come autoctoni e proselenous (“più antichi della luna”) e l’appellativo Pelasgòs era considerato equivalente ad Arkàs. Gli Arcadi trovarono e assorbirono elementi indoeuropei, i Pelasgi, e per questo furono identificati e ritenuti autoctoni e primi abitanti del Peloponneso. La popolazione degli Arcadi era costituita da cinque ethne (gli Azanoi, i Mainalioi, gli Eutresioi, i Kynourioi e i Parrhasioi). Tali ethne avevano forti rapporti tribali e, molto probabilmente, non furono intaccati dai Micenei. Non rimasero influenzati neanche dalla discesa dei Dori, dal momento che occupavano la parte più interna e meno produttiva del Peloponneso. Il rapporto sul piano linguistico tra Cipro e Arcadia si deve al fatto che il dialetto arcadico era parlato in un’ampia zona geografica: emigrati arcadofoni portarono a Cipro questo dialetto e vennero a formare il dialetto arcado-cipriota unitamente alle relazioni tra le due regioni. Al contrario il rapporto tra l’Arcadia e l’Italia e tutto ciò che si trova nei miti è creazione di epoca romana, frutto di una politica specifica. Dall’esplorazione in superficie sappiamo che in numerose parti dell’Arcadia sono presenti insediamenti neolitici e dell’età del Bronzo. Di questi solo l’insediamento di Asea è stato scavato sistematicamente e pubblicato. Importanti erano, comunque, gli insediamenti preistorici a Haghiorghitika e nella pianura di Tegea, a Gortsouli di Mantinea, a Orchomenos, a Pheneos, a Stymphalos, nella zona di Kalavryta, a Demetra, a Palaikastro e a Sfakovouni presso Gortynias e in altre località nella piana di Megalopoli. Poco sappiamo circa il passaggio al Geometrico; supponiamo però che sia avvenuto pacificamente e senza cambiamenti su larga scala. Reperti di età geometrica, anche se scarsi, si trovano in tutta l’Arcadia e fanno supporre uno sviluppo ininterrotto e continuo.
Dall’ordinamento tribale si svilupparono città o gruppi di abitati (demoi). L’Arcadia orientale ebbe uno sviluppo più veloce di quello della parte sud-occidentale della regione, che mantenne fino al IV sec. a.C. l’organizzazione tribale. Nel Stymphalos periodo arcaico, Tegea, Mantinea e Orchomenos furono notevoli centri urbani e la crescita urbana si diffuse in tutta la regione, specialmente dopo la costituzione della Lega peloponnesiaca; questa mise le basi per il successivo sviluppo dell’Arcadia nel periodo classico. Dal punto di vista politico l’Arcadia seguì Sparta e frequenti furono gli episodi bellici specialmente con Tegea e Mantinea. La discesa dei Tebani nel Peloponneso, dopo la battaglia di Leuttra (371 a.C.), cambiò lo statu quo. Gli Arcadi si presentarono sul palcoscenico storico formando la Lega arcadica, frutto della quale fu la Megale Polis (Megalopoli). Da allora in poi l’obiettivo principale di Sparta fu la sottomissione di Megalopoli e gli scontri divennero frequenti. Gli Arcadi sostennero dapprima Filippo II di Macedonia e in seguito Cassandro, partecipando, più o meno volontariamente, al conflitto tra Diadochi ed Epigoni. La costituzione della Lega achea estese a tutta la regione le controversie contro Sparta e contro gli Etoli (guerra cleomenica e guerra sociale).
L’occupazione romana portò cambiamenti nell’organizzazione politica e specialmente nelle strutture sociali ed economiche: venne sciolta la Lega achea, si stabilirono in Arcadia Italici e Romani, la terra passò nelle mani di pochi, si svilupparono l’allevamento del bestiame, a spese della coltura agricola, e l’artigianato specializzato. Le testimonianze di Strabone relative a un generale spopolamento a cavallo dei secoli I a.C. e I d.C. sono tuttavia da ritenersi eccessive. Nel 174/5 d.C. Pausania visitò l’Arcadia e la descrisse nel VII libro della Periegesi. I frammenti dell’Edictum de pretiis rerum venalium di Diocleziano, trovati a Tegea, a Kleitor, a Megalopoli e a Thelpousa, testimoniano la fioritura delle grandi città arcadiche nella tarda età imperiale. Le invasioni gotiche, alla fine del IV sec. d.C., segnarono la fine dell’epoca antica; erano già presenti in Arcadia popolose comunità cristiane e si ricordano i primi vescovi a Tegea e a Megalopoli.
A eccezione delle grandi città dell’Arcadia (Tegea, Mantinea, Orchomenos, Lousoi, Figalia, Alipheira, Gortys, Lykosoura, Megalopoli, Asea) i rimanenti insediamenti, per un totale di 60, non sono stati individuati. La ricerca degli ultimi anni ne ha riconosciuti alcuni, quantunque senza ricostruire ancora un’immagine completa del sistema urbanistico dell’Arcadia. La regione fu una delle più conservative dal punto di vista religioso. Il culto era analogamente attaccato alla tradizione, poiché mantenne rituali particolarmente antichi. Molte zone della regione erano direttamente identificate con il Dodekaitheon (Kyllene-Hermes, Lykaion-Zeus, Thelpousa-Asclepio, Lousoi-Artemide, ecc.) o con semidei ed eroi: Pan, Eracle, Telefo, Oreste. Dominava una divinità femminile sincretica, madre terra-potnia theròn, diventata poi Despoina-Demetra, con una forte presenza di Artemide e di Atena Alea. Zeus Lykaios a Lykaion, Lykosoura, Alea a Tegea, Artemide a Lousoi, Apollo Epicurio a Bassae (Figalia) furono culti e santuari che oltrepassarono i confini dell’Arcadia e acquistarono fama internazionale. Durante l’occupazione romana si attuò un’ampia risistemazione del culto e delle feste. Le divinità orientali importate e il culto imperiale costituirono un elemento nuovo.
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di Luigi Caliò
Città (gr. Μαντινέα, Μαντινέη, Μαντίνεια; lat. Mantinea) che sorge su un sito pianeggiante al centro della piana di M. L’insediamento più antico si trovava a circa 1 km a nord dal sito della città classica, sulla collina di Gortsouli, dove sono state rinvenute tracce di frequentazione tra il periodo geometrico e quello classico.
Nel momento del primo sinecismo, databile tra il 470 e il 460 a.C., era stata già predisposta la cinta muraria di forma ovale, distrutta dopo la resa allo spartano Agesipoli nel 385 a.C. Di questa prima fase della città si conoscono alcune strutture che sono emerse sotto l’impianto urbano più tardo. La fortuna di M. deriva dalla sua posizione, al centro di un bacino collegato a un sistema di valli, che favoriva il commercio interno e l’agricoltura. La città aveva inoltre un’importante funzione strategica contro le rivalse degli Spartani in questa zona e tale ruolo era stato ampiamente considerato al momento del sinecismo del 370 a.C. M. doveva tuttavia supplire la mancanza di un’acropoli con un’alta capacità difensiva delle sue mura che, costruite tra il 365-360, subito dopo il sinecismo, rimangono ancora oggi una delle cinte antiche più pregevoli. Le mura erano costruite in mattoni crudi su un basamento di pietra finemente costruito, i cui conci presentano l’emplecton. La cinta muraria era stata studiata secondo le tecniche di guerra del periodo, che difettavano ancora della presenza di un’artiglieria apprezzabile, ma prevedevano una difesa attiva della città attraverso una serie di sortite e di attacchi all’accampamento nemico. La forma ovale della cinta si presta a una notevole facilità di comunicazione e la continuità della linea non interrotta da angoli, offre in modo minore il fianco agli attacchi nemici. La cortina muraria era difesa da una serie di torri (ca. 126, comprese quelle delle porte) e le porte erano protette da torri circolari; lungo l’intera cinta si trovavano diverse postierle per le sortite dei soldati a difesa della città. Il valore difensivo della cinta era accresciuto dallo scavo di un nuovo canale nel quale erano convogliate le acque del fiume Ophis. Il progresso della poliorcetica con l’inizio dell’ellenismo tuttavia rese presto obsolete queste fortificazioni che nel corso del III sec. a.C. furono espugnate più volte.
A parte le mura il resto della città non è stato oggetto di studi specifici dopo gli scavi francesi della fine del XIX secolo. Uno dei complessi più conosciuti è quello dell’agorà che, profondamente rimaneggiato in periodo romano, ha comunque lasciato tracce di edifici che risalgono alle prime generazioni dopo la fondazione della nuova città, tra il 370 e il 320 a.C., tra cui il più importante è il teatro, costruito con intenti politici più che drammatici. L’antica agorà presentava una stoà ad ali lungo il lato sud della piazza e un edificio ipostilo di forma quadrangolare nel lato nord che forse può essere identificato con il bouleuterion. Il periodo classico ed ellenistico di M. è inoltre documentato dalle necropoli situate a nord. Dal 221 a.C. fino al periodo adrianeo la città viene chiamata Antigoneia. La fase romana della città è testimoniata dagli edifici che sorgono intorno all’agorà, tra cui una grande esedra e le stoài che bordano il lato nord e quello est della piazza; una necropoli a sud-est della città ha restituito corredi di periodo tardoromano.
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di Luigi Caliò
Città (gr. Μεγάλη Πόλις ; lat. Megalopolis) posta all’interno di un bacino collegato a un sistema di valli all’interno di un complesso montagnoso.
La regione non aveva nessun importante insediamento urbano fino alla fondazione tra il 370 e il 367 a.C. della città di M. (Paus., VIII, 27; Diod. Sic., XV, 72, 4), che ne diventa la polis principale, oltre che la capitale della Lega arcadica. Tuttavia l’area presenta testimonianze archeologiche almeno a partire dal V secolo, quando nella regione si nota una crescita demografica della popolazione rurale e un aumento della produzione agricola. Da Pausania sappiamo che prima del sinecismo dovevano esserci nell’area 39 comunità (20 per Diodoro) e accanto a questi nuclei abitativi sono state trovate tracce archeologiche di fattorie o di piccoli insediamenti a scopo agricolo. Nel IV secolo, tuttavia, questa distribuzione diffusa sul territorio sembra venire meno forse proprio in concomitanza del sinecismo, fino quasi a scomparire in periodo romano. Il sinecismo, promosso da Epaminonda dopo la vittoria di Leuttra (371 a.C.), fa parte della politica tebana antispartana che si esplica attraverso la costruzione di città fortificate che contrastassero la potenza militare spartana.
La città, attraversata dal fiume Helisson, era circondata da una grande cinta muraria in mattoni crudi su un basamento di pietra che doveva comprendere anche ampi spazi non urbanizzati, che potevano essere sfruttati in caso di assedio secondo una tecnica di difesa tipica del IV sec. a.C. A sud del fiume si trovava il complesso dedicato alle riunioni politiche costituito da un grande teatro e dal Thersilion, un edificio ipostilo che era utilizzato per le riunioni del Consiglio dei Diecimila. A nord del fiume il complesso dell’agorà, parzialmente conosciuto dagli scavi, era bordato nel lato nord dalla Stoà di Filippo, databile nel primo ellenismo e poi restaurata da Filopemene. Nel lato orientale dell’agorà è stato rinvenuto il santuario di Zeus Soter, costruito probabilmente intorno al 340 con statue di culto di Zeus Soter e Artemide Soteira realizzate da Cefisodoto, da identificare con Cefisodoto il giovane attivo dopo la metà del IV sec. a.C., e Xenofon. Seguendo la descrizione di Pausania, trovavano spazio nella zona dell’agorà diversi altri culti, legati alle antiche tradizioni dell’Arcadia e in particolare della chora da cui ha preso il via il sinecismo.
Nonostante le devastazioni subite prima della battaglia di Sellasia (223 a.C.) e la nota di Strabone (VIII, 8, 1) sull’abbandono di M., la città acquista nuova importanza per opera di Filopemene e ha ancora le funzioni di una polis in periodo imperiale come testimoniano le iscrizioni e le monete di periodo severiano. In periodo protoimperiale ai siti rurali sparsi sul territorio si sarebbero sostituiti insediamenti più grandi, forse legati a grandi proprietà. Tuttavia, Pausania quando visita M. vede una città in declino e tale situazione dovette poi continuare per tutta l’epoca tardo imperiale. La mancanza di insediamenti rurali sembra documentare un progressivo abbandono della zona durante la tarda antichità o, più probabilmente, una conversione a un’economia pastorizia, meno identificabile archeologicamente, ma di cui un indizio potrebbe essere il rinvenimento di una serie di pozzi, apparentemente non legati a insediamenti, al cui interno è stato trovato materiale che si data dall’età arcaica all’impero.
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di Luigi Caliò
Secondo la tradizione la città (gr. Τεγέα) fu fondata da Aleos, che nel IX sec. a.C. compì il sinecismo di nove demoi e fondò il santuario di Atena Alea; un sinecismo vero e proprio tuttavia non sembra sia avvenuto prima dell’inizio del V sec., mentre il santuario di Atena ha una storia molto antica, con attestazioni di frequentazioni del sito a partire dall’epoca micenea e il rinvenimento nell’area di figurine e di fibule datate al XII sec. a.C.
Recenti indagini hanno messo in luce una continuità d’uso del santuario a partire dal tardo periodo miceneo; numerose sono le testimonianze della frequentazione del santuario per tutto il periodo geometrico e alla metà dell’VIII sec. a.C. la ricchezza delle offerte testimonia un’attività cultuale importante, che supera ampiamente il bacino di T.; alla fine del VII secolo si data il primo grande tempio in marmo dorico periptero con 6 x 18 colonne. Si tratta di un edificio significativo che si data di poco anteriormente al tempio di Hera a Olimpia e che testimonia a T. un uso antico dell’architettura di marmo. Nel 560 a.C. la città, dopo una lunga contesa, fu sottomessa da Sparta. Nel 395 il tempio fu completamente distrutto da un incendio (Paus., VIII, 45, 4) e la ricostruzione successiva fu affidata a Skopas di Paro, dopo il suo ritorno dall’Asia, intorno al 340 a.C. Il tempio aveva una peristasi di 6 x 14 colonne e una cella allungata con pronao e opistodomo con sette semicolonne corinzie lungo i lati. Rimangono in situ le fondazioni delle statue di culto: l’antica statua arcaica in avorio di Atena scolpita da Endoios e il gruppo di Asclepio e Igea opera dello stesso Skopas. Della decorazione scultorea del tempio rimangono pochi frammenti, relativi ai fregi e ai frontoni con la caccia al cinghiale calidonio a est e la lotta tra Achille e Telefo a ovest.
Poco si conosce della città antica, che si trovava a nord-est del santuario: rimangono resti della cinta muraria, di forma ovale, in mattoni crudi su un basamento di pietra, forse da datarsi, per le somiglianze della progettazione con quella di Mantinea, alla prima metà del IV sec. a.C. e alcuni edifici nei pressi dell’agorà. Tra questi un teatro rettilineo, la cui prima fase appartiene al IV secolo, ma che ha subito rifacimenti in periodo ellenistico. Secondo Pausania (VIII, 47, 5) nella città ci doveva essere anche un secondo tempio di Atena Poliatis, il cui santuario era chiamato Eryma (“il bastione”) perché Kepheus, figlio di Aleos, aveva ottenuto da Atena la grazia che T. non fosse mai presa. Altri luoghi sacri sono menzionati da Pausania come quello di Artemide Hegemone o i culti ricordati nell’agorà, ma non sono stati ancora individuati con certezza dalla ricerca archeologica. Ancora florida ai tempi di Strabone e di Pausania, la fase romana della città è documentata da un macellum e una pesa riportati in luce nell’area dell’agorà oltre che da rinvenimenti di epigrafe e di statue dall’area della città. Tra il teatro e l’agorà è stata scavata una basilica di V sec. d.C. Distrutta da Alarico nel V sec. d.C., fu rifondata dai Bizantini con il nome di Nikli.
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di Dario Palermo
Città (gr. Λυκόσουρα, Λυκοσοῦρα) dell’Arcadia, distante 7 km da Megalopoli, presso il confine con la Messenia. La fondazione mitica risale a Lykaon figlio di Pelasgos; solo poche rovine – le mura del V-IV sec. a.C., un impianto termale romano – rimangono della città, nota soprattutto per il santuario della divinità locale Despoina (“la signora”), identificata con Persefone - Kore.
Il santuario, sito a nord della collina che ospita la città, è descritto da Pausania (VIII, 37, 1-6) e gli scavi archeologici, effettuati dal 1889 in poi, hanno confermato la sostanziale veridicità della descrizione del periegeta, mettendo in luce un altare monumentale, chiamato da Pausania megaron, e un portico dorico sui lati nord ed est dell’area sacra, davanti al quale sorgono tre altari dedicati a Demetra, Despoina e alla Grande Madre. Il tempio dedicato alla divinità del luogo è un piccolo prostilo di ordine dorico con sei colonne sulla fronte, datato fra il IV e il II sec. a.C.
La cella del tempio fu in età romana pavimentata a mosaico ed è quasi interamente occupata da un grande basamento sul quale era collocato un gruppo statuario, opera di Damophon di Messene, artista attivo nella sua patria e in altri centri del Peloponneso durante il II sec. a.C. Il gruppo, per la cui ricostruzione ci si può giovare anche di una moneta della vicina Megalopoli, era alto in tutto circa 5,7 m, e mostrava le figure di dimensioni colossali di Despoina seduta, con la cesta in grembo, vicino alla madre Demetra che regge una face. Ai lati delle due dee sono presenti anche Artemide e il titano Anytos, tutore e forse paredro di Despoina, rappresentato come un guerriero racchiuso nell’armatura. Del gruppo sopravvivono solo pochi frammenti, oggi divisi fra il Museo Nazionale di Atene e il piccolo museo di L.; la testa di Artemide, di ispirazione prassitelica, la figura di Demetra dal panneggio fidiaco e soprattutto la testa barbata del titano, dal rendimento patetico che si ispira all’arte ellenistica. Si conserva anche un ampio tratto panneggiato del velo sacro di Despoina, riccamente decorato con figure del repertorio classico. Si tratta quindi di un artista eclettico, ricordato dalle fonti anche come restauratore dello Zeus fidiaco di Olimpia, che ben si colloca nella temperie del gusto neoclassico della tarda età ellenistica.
Saggi effettuati nel 1966 nel tempio hanno suggerito una datazione al II sec. d.C., in età adrianea, del basamento che reggeva il gruppo scultoreo e in conseguenza è stata proposta tale data anche per l’attività dello scultore. La cronologia tradizionale del II sec. a.C. continua però nonostante questi risultati a essere preferita dagli studiosi.
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