La genealogia di Costantino
Nel corso del 310 d.C., in vista del quinto anniversario della sua ascesa al trono imperiale, l’imperatore Flavio Valerio Costantino (306-337 d.C.) deve affrontare una grave crisi dinastica che ha l’effetto di minare la sua legittimità, e che potrebbe persino segnare la fine del suo regno. Nella primavera di quell’anno, infatti, Costantino, dopo aver dispiegato un esercito ragguardevole nel sud della Gallia in previsione di una possibile offensiva contro il suo collega Massenzio in Italia, è costretto a lasciare temporaneamente le truppe sotto il comando del suocero Massimiano per recarsi a nord ed effettuare una campagna militare sul Reno, contro i franchi. In questi frangenti Massimiano, approfittando della situazione, si proclama ancora una volta imperatore, contravvenendo così al ritiro forzato impostogli con il congresso di Carnuntum alla fine del 308 d.C. Non appena ricevuta la notizia, Costantino conduce a termine la sua campagna contro i franchi per portarsi celermente nella Gallia meridionale, ove pone sotto assedio Massilia, città in cui si trova Massimiano, il quale, nonostante le sue imponenti difese, preferisce trattare con Costantino e aprirgli le porte. Massimiano è così consegnato alla mercé del genero; ma quel che si verifica a questo punto non è del tutto chiaro, e anzi il resoconto più dettagliato scritto da un contemporaneo, quello di Lattanzio, mostra le tracce evidenti di una fantasia sfrenata1. La morte di Massimiano – poco importa se uccisosi di sua stessa mano o assassinato per ordine di Costantino – rappresenta certamente, secondo le regole della Realpolitik, la soluzione di un problema. A questo punto, però, si pone un altro problema altrettanto grave. La morte violenta del genero, e nonno adottivo nella linea di successione imperiale, mina alla base le pretese stesse di regno avanzate da Costantino. È quindi a ogni costo necessario istituire un nuovo legame genealogico, che possa giustificare l’esercizio da parte di Costantino dei poteri imperiali: i propagandisti di corte si mettono subito all’opera, quindi, per fornire quanto prima una soluzione conveniente, che una volta escogitata, però, sia destinata ad avere lunga risonanza. Viene diffusa, infatti, la notizia che Costantino è un discendente dell’imperatore Claudio II e che dunque il suo potere imperiale si basa sul diritto di nascita, anziché su una mera scelta operata con riguardo alle sue virtù2. Fornendo una durevole base di legittimazione alla dinastia flavia (306-363 d.C.), questa rivelazione di mezza estate del 310 d.C. permette a Costantino di superare la crisi dinastica scatenata dalla morte di Massimiano e di consolidare il proprio potere.
La critica storica moderna esercitatasi sulle fonti letterarie della tarda antichità prende le mosse dal riconoscimento del fatto che questa rivelazione dell’estate 310 d.C., molto opportuna, costituisca un indizio riguardo alla data di composizione dell’Historia Augusta3. Secondo quella che fino a qualche tempo fa era communis opinio, tale opera storica sarebbe stata composta da sei diversi autori al tempo della prima tetrarchia (293-305 d.C.). Trattando di imperatori romani da Adriano (117-138 d.C.) fino a Carino (283-285 d.C.), l’opera costituisce la continuazione – ben più scabrosa e meno affidabile – del De vita Duodecim Caesarum di Svetonio. Sotto il nome di Trebellio Pollione, autore ipotetico della vita di Claudio II, l’Historia Augusta fornisce in particolare una versione assai elaborata della discendenza di Costantino da Claudio II, sebbene in essa si finga che tale biografia sia stata scritta in un momento in cui Costanzo I era ancora soltanto Caesar, ovvero prima del 1° maggio 305 d.C.4 Questa datazione è, però, platealmente contraddetta da quel che scrive il panegirista del 310 d.C., che afferma esplicitamente di essere il primo a rivelare tale segreta genealogia costantiniana5: un segreto tanto ben nascosto da non essere conosciuto da nessuno, o soltanto da pochi, non può certo contemporaneamente circolare nella forma elaborata che si riscontra in una biografia che, teoricamente, sarebbe stata ‘pubblicata’ almeno cinque anni prima. Così, da un lato le falsificazioni dell’identità dell’autore e della data di stesura dell’Historia Augusta vengono messe a nudo per quel che sono6, dall’altro la frode dell’invenzione genealogica costantiniana ne risulta a sua volta smascherata in quanto tale7. L’affermazione di una discendenza costantiniana da Claudio II può dunque essere spassionatamente giudicata un’invenzione dovuta alla necessità politica del momento. Ovviamente, non è che una delle tante invenzioni servite a creare l’immagine politica di un Costantino maximus Augustus.
Secondo le regole del genere letterario del panegirico, i temi iniziali di un’orazione che rientra in tale genere comprendono sia la patria (πατρίς) sia i maiores (πρόγονοι) del principe di cui si tessono le lodi. Questo, almeno, prevedono i precetti forniti dal retore Menandro in un manuale scritto nella seconda metà del III secolo, e successivamente seguiti dalla gran parte degli oratori del IV secolo8. Giuliano l’Apostata, ad esempio, così dichiara nella sua prima orazione giuntaci, in onore del cugino Costanzo II: «È infatti consuetudine che i panegirici null’altro considerino maggiormente degno di essere ricordato che la patria e i maiores»9. Analogamente, elogiando Teodosio I in occasione della visita dell’imperatore a Roma nel 389 d.C., Latino Pacato Drepanio accenna in particolare alla Spagna, «terra più beata delle altre» e «madre [...] di prìncipi», prima di trattare «più a lungo» delle virtù del padre dell’imperatore10. Le origini costituiscono infatti una fonte di legittimità e di potere, e i maiores stessi possono assumere un particolare significato in relazione al loro luogo di provenienza.
Naturalmente, in un mondo nel quale la migrazione e la mobilità sociale sono non solo possibili11 ma anche incoraggiate, può accadere che il luogo di nascita di una persona differisca dalla sua patria. Nella tarda Repubblica, d’altra parte, la diffusione della cittadinanza romana comporta che chiunque sia nato in Italia ora abbia due patriae, ovvero la sua città natale e Roma12. Inoltre, la terra degli antenati di un individuo e il luogo in cui quell’individuo risiede per un tempo esteso possono anch’essi differire, come si desume da noti esempi di filosofi o mercanti, e come si osserva nel caso di Posidonio di Apamea. Ed è questa, possiamo ritenere, la situazione che si riflette nella celebre massima di Pacuvio: «patria est, ubicumque est bene»13. In breve, l’idea stessa di patria è in certa misura suscettibile di essere modellata secondo le circostanze e i desideri dell’individuo.
È d’altra parte paradossale che, malgrado la città di Naisso sia unanimemente riconosciuta come la patria dell’imperatore Costantino, si sia costretti a restare invece nell’ignoranza o nell’incertezza riguardo alla patria di suo padre, Costanzo I14. Certo, ci si può appellare a un’affermazione, piuttosto approssimativa, di Sesto Aurelio Vittore, secondo la quale tutti i tetrarchi provengono dall’Illirico15. Non si ha, tuttavia, alcuna fonte fededegna che offra una testimonianza specifica circa il luogo di origine di Costanzo I16. Le affermazioni sulla provenienza della dinastia flavia dalla provincia di Dacia Mediterranea sono infatti invalidate da un’evidente confusione tra le figure di Claudio II e quelle degli antenati della famiglia di Costantino17. Parafrasando e correggendo un’analisi assai incisiva di tali testimonianze, si può dunque affermare che è possibile che la Dacia Mediterranea sia la patria di Claudio II, o di Costanzo I, o forse di nessuno dei due18. Nonostante la sua natura vaga e imprecisa, l’indicazione generica dell’Illirico come patria di Costanzo I rimane la localizzazione migliore e più credibile.
Alla luce delle testimonianze relative agli altri membri della tetrarchia, del resto, tale conclusione generale appare inoppugnabile, pur in mancanza di indicazioni specifiche per la figura di Costanzo. Vale però la pena di osservare che la testimonianza stessa di Sesto Aurelio Vittore è problematica, visto che anch’egli presta fede alla fallace notizia della discendenza della dinastia flavia da Claudio II19. Per quanto attiene invece all’autore dell’Historia Augusta, è chiaro che egli trae palese ispirazione da nomi di personaggi storici che fanno parte della dinastia flavia, riuscendo in tal modo ad accordare il falso con le sue proprie invenzioni20. Le coordinate fornite per i colleghi di Costanzo nella tetrarchia sono invece molto più affidabili. Per cominciare, si può ritenere che Diocleziano provenga da Salona, sebbene si abbia pure un’esplicita notizia di una sua provenienza dalla cittadina di Dioclea, anch’essa situata nella Dalmazia21. Massimiano proviene da Sirmium, in Pannonia22. Galerio viene da una comunità rurale, in Dacia Nova, che egli successivamente rifonda sotto il nuovo nome di Romuliana, in onore di sua madre23. Suo nipote Massimino è originario della stessa regione, e lo stesso pare potersi dire di Severo24. Infine, benché il nome della cittadina di cui è oriundo non sia tramandato, anche Licinio proviene dalla Dacia Nova25. In breve, la decisione di Diocleziano di includere Costanzo in questo gruppo sarebbe difficile da comprendere se questi fosse stato originario di una regione diversa dall’Illirico. Di conseguenza, pur se basata su un’erronea fiducia nella discendenza claudia di Costantino, l’opinione di Vittore sembra ben fondata.
Se ci si concentra sulla figura di Costantino, colpisce il fatto che i panegiristi siano altrettanto reticenti a proposito della sua patria, nonostante il fatto – o piuttosto la voce – che egli sia nato e sia stato allevato in una città vicina al luogo in cui l’imperatore Claudio II consegue una significativa vittoria sui goti. La circostanza avrebbe ben potuto essere sfruttata a onore di Costantino; eppure su questo particolare regna un silenzio assoluto. Come si è osservato nell’introduzione, il panegirista di cui è pervenuta l’orazione del 310 si guarda bene dall’istituire tra Claudio II e Costantino un legame fino ad allora sconosciuto. In simili circostanze il silenzio è molto eloquente, non solo costituendo la prova eclatante che Naisso non era considerata la patria di Claudio II, ma anche dimostrando che fino a quella data la città non era ancora vista neppure come la patria di Costantino. L’affermarsi di Naisso come patria di Costantino è infatti successivo alla rivendicazione, da parte dell’imperatore, di Claudio II come proprio antenato, e perciò una palese elaborazione di essa.
D’altro canto, la data tardiva delle prime testimonianze letterarie di tale rivendicazione sembra piuttosto rafforzare il sospetto di una manipolazione imperiale della storiografia, intesa a facilitare l’esercizio del potere. Scrivendo nel 336/337 d.C., solo qualche mese prima della morte di Costantino, il senatore Giulio Firmico Materno cita proprio Costantino come esempio contro l’efficacia dell’astrologia; ed è in tale contesto che l’autore accenna a Naisso come luogo di nascita dell’imperatore: «apud Naissum genitus»26. Solo pochi anni più tardi, l’anonimo autore di una breve biografia latina di Costantino dice a proposito delle sue origini, nel contesto di un paragrafo dedicato alla madre Elena: «natus Helena matre vilissima in oppido Naisso atque eductus»27. Queste prime testimonianze letterarie valgono però soltanto ad appurare ciò che l’imperatore Costantino desidera che la gente creda. Considerando, perciò, le rivendicazioni palesemente false riguardo l’età di Costantino e la sua discendenza da Claudio II, si deve respingere senza riserve l’indicazione di Naisso come suo luogo di nascita e patria. Le fonti letterarie, insomma, riflettono semplicemente la versione più recente dell’autorappresentazione propagandistica di Costantino.
A differenza della contestualizzazione operata più sopra per l’invenzione della discendenza di Costantino da Claudio II, non si può determinare con altrettanta precisione il momento della decisione di rivendicare Naisso come patria di Costantino. Con ogni verosimiglianza, però, esso è da collocare nel contesto delle guerre civili, più specificamente negli anni 317-318 d.C.28 Conviene ricordare, infatti, che Naisso a quest’epoca è la città principale della provincia della Dacia Mediterranea, e che si trova all’incrocio viario tra le città di Sirmio e di Serdica29. Conseguentemente Naisso è un centro di grande importanza, non solo, dunque, per il significato ideologico di cui viene a caricarsi nel ‘nuovo Impero’ di Diocleziano e di Costantino, ma anche dal punto di vista strategico. Come si è detto, anche Licinio proviene dalla provincia della Dacia Nova, fatto che potrebbe aver influito sulla scelta costantiniana di Naisso. Naisso e la Dacia Nova sono fondamentali nella lotta di Costantino contro Licinio per l’egemonia nei Balcani negli anni 316-324 d.C. Pur avanzata in tempo di guerra civile, però, la rivendicazione di Naisso come patria costantiniana non sarà mai più smentita. In un modo che richiama alla mente la scelta dioclezianea di Salona, abbiamo testimonianze sparse di sporadici soggiorni di Costantino a Naisso durante gli ultimi due decenni del suo regno. Le informazioni relative alla pubblicazione di rescripta imperiali dimostrano la sua presenza in città il 25 luglio 31930, il 13 maggio 32931 e il 25 agosto 33432. Costantino non si limita, tuttavia, alla mera presenza in determinati momenti, ma piuttosto si preoccupa di ricostruire la città su vasta scala («quod oppidum postea magnifice ornavit»)33. Di conseguenza, come si può riscontrare più tardi in vari momenti, nel corso del IV secolo, la città di Naisso è percepita come patria di coloro che appartengono o vogliono dare l’impressione di appartenere alla dinastia flavia34.
In ultima analisi, la leggenda si rivela più duratura della realtà storica e ben più adattabile agli scopi e alle ambizioni della politica imperiale. La rivendicazione che Costantino sia «nato e cresciuto a Naisso» implica che la città sia la sua patria, e così è riconosciuta dagli antichi. Ad esempio, Giuliano l’Apostata parla dell’origine «tracia» della sua famiglia35. Incredibile dictu, tale rivendicazione è universalmente accettata dai moderni, sebbene soffra degli stessi difetti evidenziati in quella di una discendenza di Costantino da Claudio II, o nelle palesi manipolazioni dell’età di Costantino tese a farlo sembrare un ‘ragazzo’ all’epoca della Grande Persecuzione. Proprio come le cartoline altrui utilizzate da Bob Dylan per dare di sé un’immagine più consona all’idea di un artista americano del XX secolo, la scelta di Naisso come patria e l’associazione di quella città con l’eclatante vittoria di Claudio II sui goti assicurano a Costantino una preminenza indiscussa tra i suoi colleghi nella tetrarchia. La costruzione di una verità storica funzionale contribuisce così al suo successo politico, e la scelta della patria va di pari passo con la nuova genealogia proposta.
Fra le tante opere pubbliche compiute a Roma durante i due decenni del regno congiunto di Diocleziano (284-305 d.C.) e di Massimiano (285/286-305 d.C.), il restauro del teatro di Pompeo Magno occupa senz’altro un posto di rilievo, a causa della posizione e della storia del monumento36. Pur essendo oggi meno conosciuto delle terme di Diocleziano, meglio conservate, o della sistemazione del Foro romano ancora visibile in uno dei bassorilievi sull’arco di Costantino, il teatro di Pompeo Magno ha un ruolo preminente fra i vari luoghi di riunione per l’intrattenimento e il tempo libero sparsi nella capitale imperiale. Ne è perciò effettuato un attento restauro, e le iscrizioni commemorative di questi lavori sono ben curate:
Genio Iovii Aug(usti),
Iovia porticu eius a fundamentis
absoluta excultaque,
Aelius Dionysius v(ir) c(larissimus) operi
faciundo37.
Genio Herculei Aug(usti),
Herculea porticu eius
a fundamentis absoluta
excultaque,
Aelius Dionysius v(ir) c(larissimus) operi
faciundo38.
In quanto cure dedicate alla ricostruzione di un edificio dalle fondamenta (a fundamentis), questi lavori di restauro del teatro di Pompeo Magno possono essere considerati come simbolo dell’opera di restaurazione compiuta da Diocleziano e da Massimiano con la creazione di quel che si definisce ‘nuovo Impero’, ovvero tetrarchia39. Il Basso Impero romano, infatti, rappresenta una sorta di versione completamente ripensata del principato. Questo processo implicava una riflessione approfondita sul fondamento divino del potere, che trova chiara esemplificazione nel riferimento a Diocleziano come Iovius Augustus e al suo collega Massimiano come Herculeus Augustus. A tutti gli effetti un collegio imperiale composto di quattro membri, la tetrarchia inizia il 1° marzo 293, quando Diocleziano e Massimiano nominano Galerio e Costanzo quali loro rispettivi colleghi, chiamandoli a collaborare al governo dell’Impero40. Insigniti del titolo di Augusti, i due colleghi più anziani sono dunque affiancati da due colleghi più giovani, che hanno il titolo di Caesares41. Tale sistema non è una creazione ex nihilo, ma rappresenta piuttosto il risultato di una fase di sperimentazione durata alcuni anni. Sarebbe perciò sbagliato ritenere il modello tetrarchico rigidamente e compiutamente definito fin dall’inizio. Al contrario, sembra che Diocleziano inizialmente non pensasse neppure a un collega di rango pari al suo. Mentre Diocleziano proclama Massimiano Caesar a Milano, il 21 luglio 285 – qualche mese dopo la disfatta di Carino sulle rive del fiume Margo (Morava) – questi assume il rango di Augustus soltanto il 1° aprile 286, in Gallia, a seguito di una pretesa vittoria militare di notevole portata. All’osservatore spassionato, però, sembra assai probabile che Diocleziano abbia semplicemente acconsentito a posteriori a quella che, in realtà, fu un’usurpazione42. Comunque sia, gli anni di regno di questi due imperatori non si allineano prima della proclamazione dei Caesares Costanzo e Galerio, nel 293 d.C.43 E, ciononostante, anche in seguito si riscontrano asimmetrie, come testimonia il fatto che Diocleziano e Massimiano non abdicano in coincidenza del loro ventesimo anniversario, nel 303 d.C., ma due anni più tardi, nel 305 d.C. In breve, pur funzionando al meglio delle circostanze come un coro, secondo la nota descrizione di Giuliano l’Apostata, la tetrarchia è il risultato di un’evoluzione graduale di idee e non un sistema pianificato in anticipo fin nei minimi dettagli44.
Coniugando teorizzazioni sulla monarchia e sano pragmatismo, la tetrarchia si basa su un sistema di stretti rapporti familiari fra i quattro imperatori. Chiedersi se questi rapporti siano fittizi oppure concreti, è solo un’infruttuosa speculazione, considerando le modalità con cui si creano legami familiari fin dall’inizio dell’Impero: Cesare Augusto è figlio adottivo di Giulio Cesare e, non essendo riuscito nemmeno lui a generare un figlio maschio, si vede costretto a adottare a sua volta Tiberio Cesare. Nel caso che qui interessa, Diocleziano ha solamente una figlia, Valeria, mentre Massimiano ha un figlio, Massenzio, evidentemente troppo giovane. All’assenza di eredi di età idonea a partecipare all’amministrazione dell’Impero, bisogna perciò rimediare tramite matrimoni e adozioni. Così, Diocleziano assume Galerio come collega in Oriente dopo avergli dato in sposa sua figlia Valeria e averlo adottato come figlio. E analogamente Massimiano assume come suo collega in Occidente Costanzo, dandogli in moglie la sua figliastra Teodora e adottandolo come figlio. Tutti e quattro gli imperatori, si deve notare, appartengono alla gens Valeria, visto che Diocleziano ha anche adottato Massimiano come fratello al momento della nomina di quest’ultimo, a metà del 285 d.C.45 Come nel caso della dinastia antonina, e in un modo che rievoca quello in cui la dinastia severiana è rappresentata come la continuazione di essa, la tetrarchia sa dunque mettere in campo i classici strumenti dinastici dell’adozione e del matrimonio al fine di creare una nuova famiglia imperiale articolata in due rami.
Per distinguere i due rami, Diocleziano e Galerio sono di norma denominati imperatores Iovii, mentre Massimiano e Costanzo sono detti imperatores Herculii46. L’affermazione di una discendenza rispettivamente da Giove e da Ercole risale a un momento anteriore all’instaurazione della tetrarchia, anche se i primi passi di questo processo sono avvolti nell’oscurità. Già a partire dal 286 d.C., se non prima, Diocleziano e Massimiano assumono i loro epiteti di Iovius e Herculius, e si coniano monete che commemorano Giove ed Ercole come loro divinità tutelari47. I panegiristi seguono quest’esempio, impiegando tale concetto della discendenza divina per sopperire alla mancanza di origini nobili dei due imperatori. Così, ad esempio, nel panegirico pronunciato dinanzi a Diocleziano e Massimiano riuniti a Milano nel 291 d.C. l’oratore apre il discorso con una frase che indica in modo chiaro e netto che Diocleziano è considerato un discendente di Giove: «Ille siquidem Diocletiani auctor deus praeter depulsos quondam caeli possessione Titanas et mox biformium bella monstrorum»48.
Naturalmente, la stessa adulatoria adesione si rileva nei confronti della pretesa ascendenza erculea di Massimiano49. Verso la fine dello stesso panegirico, l’oratore arriva ad apostrofare gli imperatori come se fossero gli dei stessi da cui affermano di discendere: «sancte Iuppiter et Hercules bone»50. Secondo una celebre formula, con ogni verosimiglianza modellata su un verso dell’Eneide virgiliana, i tetrarchi sono «discesi dagli dei ed essi stessi creatori di dei»51.
Questo, dunque, il sistema monarchico che fa da sfondo agli esordi della carriera imperiale di Costantino, verso la metà del 306 d.C. A seguito dell’abdicazione di Diocleziano e di Massimiano il 1° maggio 305 d.C., Costanzo e Galerio divengono Augusti, mentre Severo e Massimino diventano i loro rispettivi Caesares. Il 25 luglio 306 d.C., subito dopo la morte di suo padre Costanzo, Costantino è proclamato imperatore dall’esercito, radunato nella città di Eburacum (York)52. Costantino ne invia notizia a Galerio, che dà una risposta assai accorta, riconoscendolo come membro del nuovo collegio imperiale con il rango inferiore di Caesar53. Figlio di Costanzo e nipote adottivo di Massimiano, Costantino è a questo punto a tutti gli effetti un membro della dinastia erculia al governo dell’Occidente. Per commemorare tale riconoscimento della sua legittimità, e nella prospettiva di un’imminente campagna militare contro i franchi, Costantino fa produrre fibule d’oro a uso degli ufficiali del suo esercito54: se ne conserva una, nel Museo di Antichità di Torino, che reca l’iscrizione Constantine Caes(ar), vivas! Herculi Caes(ar), v[i]ncas!55.
Successivamente, nell’autunno del 307, Costantino si riappropria del rango di Augustus, approfittando del caos seguito al colpo di Stato compiuto a Roma da Massenzio proprio a imitazione di quanto aveva fatto Costantino a Eburacum. L’Augustus senior Massimiano, padre di Massenzio, riconosce Costantino quale Augustus nel corso della sua visita in Gallia, durante la quale egli sollecita l’appoggio di Costantino contro Galerio, e dà inoltre in sposa a Costantino sua figlia Fausta. Facendo di necessità virtù, l’oratore designato per quell’occasione dice:
Cuius tanta maturitas est ut, cum tibi pater imperium reliquisset, Caesaris tamen appellatione contentus exspectare malueris ut idem te qui illum declararet Augustum. Siquidem ipsum imperium hoc fore pulchrius iudicabas, si id non hereditarium ex successione crevisses, sed virtutibus tuis debitum a summo imperatore meruisses56.
Passando poi alla lode diretta dell’anziano imperatore davanti al suo neo-genero, l’oratore si dà a evocare esplicitamente le gesta di Massimiano, a riprova della sua pretesa discendenza da Ercole:
Nunc enim sequitur ut, quoniam virtutes tuas, Constantine Auguste, socero praedicavi, tu quoque (licet optime scias) tamen audias quam te principis ornet adfinitas. Hic est qui nomen ‹quod› accepit a deo principe generis sui dedit vobis, qui se progeniem esse Herculis non adulationibus fabulosis sed aequatis virtutibus comprobavit57.
Dialogando con ambo le parti nella disputa tra Galerio e Massenzio, Costantino sembra aver continuato a incoraggiare la propria rappresentazione pubblica sia come membro della tetrarchia sia come membro della gens Herculia. Quale figlio del Divus Constantius e figlio adottivo del senior Augustus Massimiano, Costantino è pienamente giustificato nel considerarsi uno degli imperatores semper Herculii58.
Nelle iscrizioni commemorative di Costantino erette nei territori direttamente sotto il suo dominio, si mette in rilievo la sua discendenza dagli imperatori suoi predecessori – ovvero Costanzo e Massimiano –, ma non si fa alcun cenno alla sua appartenenza alla dinastia erculia. Ad esempio, in un’iscrizione di Lugdunum (Lione) si celebrano soltanto i parenti imperiali di Costantino di ascendenza diretta: «Imp(eratori) Caes(ari) / Fl(avio) Val(erio) / Constantino / p(io) f(elici) / Aug(usto) / [M. Aur(eli)] / [Val(eri) Max-] / [imiani Aug(usti)] / nepoti / divi / Constanti / Aug(usti) / p(ii) filio»59.
L’affermazione tetrarchica di una genealogia divina è qui accantonata per enfatizzare piuttosto i legami tra l’imperatore in carica e i suoi immediati predecessori sul trono. In breve, a queste iscrizioni commemorative mancano il linguaggio pagano della tetrarchia e le immagini a esso connesse presenti nel panegirico. Sembra così che il dettato epigrafico anticipi la conversione di Costantino al cristianesimo.
La differenza di tono tra queste iscrizioni collocate nel territorio soggetto a Costantino e quelle innalzate in altre regioni dell’Impero è, però, notevole. Un ottimo esempio del perpetuarsi del linguaggio religioso della tetrarchia è fornito da un’iscrizione commemorativa eretta dagli imperatori radunati a Carnuntum intorno alla metà di novembre del 308 d.C., durante una riunione che deve affrontare la crisi del sistema politico creato da Diocleziano. Secondo una veneranda tradizione di Roma antica, le decisioni politiche si accompagnano qui al tentativo di propiziarsi il favore divino: «D(eo) S(oli) I(nvicto) M(ithrae) / fautori imperii sui / Iovii et Herculii / religiosissimi / Augusti et Caesares / sacrarium / restituerunt»60.
Nonostante il fallimento della tetrarchia che si può constatare negli ultimi anni, il linguaggio di questa iscrizione rispecchia l’idea di governance collegiale formulata da Diocleziano nei precedenti decenni. Vi si trova dunque il riferimento esplicito a imperatori Iovii e Herculii (Diocleziano, Galerio, Licinio e Massimino da un lato, Massimiano e Costantino dall’altro) come se nulla di grave fosse accaduto negli ultimi tre anni.
Tale differenza si riscontra anche nelle testimonianze numismatiche. Al contrario di ciò che ci si potrebbe aspettare in considerazione delle affermazioni contenute nei panegirici, non vi è alcuna traccia della dinastia erculia e dell’asserita discendenza da Ercole sulle monete coniate nei territori soggetti a Costantino. I rari casi in cui, invece, sul dritto è rappresentato Costantino e sul rovescio Ercole, provengono da territori sotto il controllo di Massenzio o di Massimino61. Nel primo caso, la moneta che qui interessa risulta coniata a Ticinum nel 307/308, apparentemente per commemorare il matrimonio di Costantino con Fausta, sorella di Massenzio. Nel secondo caso, la moneta corrisponde a emissioni per Licinio e per Massimino, e pare essere stata coniata nel 312/313 con il possibile intento di contribuire a mantenere la pace. Comunque sia, impressiona l’assenza di menzioni o raffigurazioni di Ercole all’interno della gran massa delle coniazioni costantiniane, fatto che suggerisce una precoce propensione di Costantino per il cristianesimo.
Concludendo, vale la pena di notare la differenza tra il comportamento sollecito di Costantino (e successivamente di Massenzio) e la subdola negligenza di Galerio e Massimino nei confronti del defunto Costanzo. Costanzo è il primo membro della tetrarchia a morire, e la questione della sua divinizzazione si rivela assai problematica. Galerio rifiuta di riconoscerlo come divus, perché ciò legittimerebbe ulteriormente l’usurpazione di Costantino62. Per contro, Costantino inizia naturalmente il suo regno proclamando suo padre divus e, a quanto pare, compiendo i riti tradizionali associati a questo passo63. Tali onori collocano implicitamente Costantino all’interno della dinastia erculia della tetrarchia, ma gli permettono anche di compiere i primi, accorti passi verso la creazione della dinastia flavia. Per il momento, fino alla crisi di mezza estate del 310, Costantino si accontenta semplicemente di modificare le formule ereditate, restando così entro il quadro della tetrarchia. Soltanto quando la morte di Massimiano rende inevitabile la rottura col passato, Costantino e i suoi collaboratori cominciano a elaborare modalità di reinterpretazione della figura del divus Constantius tali da poter fornire le basi per una dinastia indipendente dalla tetrarchia.
Il tentativo di usurpazione di Massimiano, a metà del 310 d.C., scatena una crisi di legittimità che comporta, di necessità, una rottura con la dinastia erculia fondata dallo stesso senior Augustus quasi un quarto di secolo prima. Costantino si preoccupa, perciò, di fondare la dinastia flavia partendo dall’immagine di suo padre, il divus Constantius. Considerato però che la legittimità di Costanzo si basava in origine sul suo rapporto con Massimiano, vi è ora l’urgente bisogno di trovare un nuovo fondamento legittimante che giustifichi una genealogia imperiale alternativa. Tale è il contesto in cui un ‘segreto’, finora accuratamente tenuto nascosto, è rivelato: Costantino è imperatore non solo per i suoi meriti, ma anche, e principalmente, per nascita. La sua famiglia paterna, si afferma ora, discende dall’imperatore Claudio II:
A primo igitur incipiam originis tuae numine, quod plerique adhuc fortasse nesciunt, sed qui te amant plurimum sciunt. Ab illo enim divo Claudio manat in te avita cognatio qui Romani imperii solutam et perditam disciplinam primus reformavit immanesque Gothorum copias Ponti faucibus et Histri ore proruptas terra marique delevit, utinam diuturnior recreator hominum quam maturior deorum comes. Quamvis igitur ille felicissimus dies proxima religione celebratus imperii tui natalis habeatur, quoniam te isto habitu primus ornavit, iam tamen ab illo generis auctore in te imperii fortuna descendit. Quin immo ipsum patrem tuum vetus illa imperatoriae domus praerogativa provexit, ut iam summo gradu et supra humanarum rerum fata consisteres, post duos familiae tuae principes tertius imperator. Inter omnes, inquam, participes maiestatis tuae hoc habes, Constantine, praecipuum quod imperator ‹ortus es› tantaque est nobilitas originis tuae ut nihil tibi addiderit honoris imperium nec possit fortuna numini tuo imputare quod tuum est, omisso ambitu et suffragatione64.
Questa nuova genealogia del potere imperiale di Costantino è stata talora interpretata come una riaffermazione del principio dinastico65. Una simile opinione, tuttavia, sembra non tenere nel dovuto conto l’idea fondamentale che informa le cosiddette dinastie giovia ed erculia della tetrarchia: diis geniti et deorum creatores. A ben guardare le cose, la sostituzione di Claudio II a Massimiano è semplicemente un aggiustamento genealogico reso necessario dalla morte e dalla damnatio memoriae di Massimiano stesso. Bisogna riscrivere la storia per poter ancora considerare Costanzo come la fonte della legittimità del potere attualmente esercitato da Costantino.
La scelta di un ascendente imperiale fittizio cade, dunque, su Claudio II, e per vari motivi. Sebbene, infatti, una sola sia la ragione di grave necessità che impone ai consulenti di Costantino una falsificazione genealogica, si può intravvedere più di un motivo per cui la figura di Claudio II risulta particolarmente adatta all’uopo. Di rado la storia è semplice o lineare: per le sue origini oscure, per la brevità del suo regno e per la sua fama di guerriero, Claudio II è certamente una scelta assai opportuna.
Salvo il fratello Quintillo, che muore poco dopo un mese di regno, Claudio II non aveva parenti o almeno, se pure ve ne furono, la loro memoria non sopravvive nella storiografia fino a poter essere strumentalizzata da Costantino e dai suoi collaboratori66. Con notevole buon senso, e con pragmatismo forse dettato dalle circostanze, l’oratore del 310 e quanti altri trattano di quest’argomento negli anni immediatamente successivi rimangono discretamente sul vago, omettendo di citare, nella successione genealogica, alcun nome che colleghi Claudio II con Costanzo67. La famiglia e le origini di Claudio II sono infatti talmente oscure da non permettere di azzardare per lui altra origine che la generica provenienza dall’Illirico, denominazione geografica antica che del resto fa il paio per genericità con quella moderna di ‘Balcani’68. L’anonimo autore dell’Historia Augusta è palesemente inattendibile e, in questo caso, non sa scegliere tra la Dalmazia e la Dardania, addirittura utilizzando quest’ultimo toponimo per suggerire una genealogia eroica che collega Claudio II con la città di Troia69.
L’attrattiva esercitata dall’oscurità delle origini di Claudio II è accresciuta dal fatto che egli regna per brevissimo tempo. Sebbene coinvolto nell’assassinio di Gallieno, Claudio II gode di un regno talmente breve da renderlo, da un punto di vista propagandistico, innocuo a tutti gli effetti. Vale infatti la pena di osservare che, eccetto l’anziano Settimio Severo, Claudio II è l’unico imperatore del III secolo a morire per cause naturali. Osservazione, questa, che è tanto più impressionante se si rammenta che sono quasi una cinquantina gli imperatori, usurpatori o aspiranti al trono negli anni 235-284 d.C.70 Sono tipiche le morti violente di Aureliano e di Probo, entrambi generali vittoriosi che cadono vittime rispettivamente di un assassinio e di un ammutinamento. Morto, invece, di peste a Sirmio (Sremska Mitrovica) nella tarda estate del 270, Claudio II non regna abbastanza a lungo da riuscire ad alienarsi i più intimi collaboratori, oltre che l’esercito e il Senato. Conseguentemente, da morto è dichiarato divus ed è onorato con una vasta emissione monetaria che, decenni più tardi, ispirerà Costantino quando quest’ultimo comincerà a sua volta a creare divi per far rifulgere la propria dinastia71.
Nonostante la brevità del suo regno, Claudio II ha modo di acquisire imperitura gloria militare. In primis, infligge una cocente disfatta agli alamanni nei pressi del lago Benaco (l’odierno lago di Garda), proteggendo così la Rezia e l’Italia72. Successivamente consegue una strepitosa vittoria sui goti nei pressi di Naisso, ponendo un freno alle loro scorrerie nell’area centro-danubiana73. Il fatto che, dunque, Claudio II sia chiamato in aiuto dalla città di Augustodunum (Autun), che vuole ritirarsi dal cosiddetto ‘impero gallico’ e rientrare sotto il governo centrale di Roma, non dovrebbe destare alcuna sorpresa. Nelle parole pronunciate dall’oratore di fronte a Costantino, a nome della città di Augustodunum (denominata anche Flavia Aeduorum in quest’epoca), nel 312 d.C.:
Sed tamen si illa vetustate obsoleverunt, quid haec recentia quae pueri vidimus? Attende, quaeso, quantum sit, imperator, quod divum Claudium parentem tuum ad recuperandas Gallias primi sollicitaverunt, exspectantesque eius auxilium septem mensibus clausi, et omnia inopiae miseranda perpessi, tum demum inrumpendas rebellibus Gallicanis portas reliquerunt, cum fessi observare non possent74.
Prima tra le comunità galliche a sollevarsi, Augustodunum paga pesantemente la sua disobbedienza con un assedio di sette mesi, seguito dal sacco infertole dalle truppe di Vittorino subito dopo la sua capitolazione75. Sebbene non riesca a portare soccorso alla città, Claudio II è ricordato in Gallia con favore. Per contro, e paradossalmente, la figura di Aureliano è ricordata in modo fugace e con toni ben più sobri, forse in parte proprio a causa delle conseguenze delle sue vittorie militari, che avevano riunificato la Gallia al resto dell’Impero76. Effettivamente i successi militari conseguiti da Claudio ne rendono possibile un ricordo nostalgico, a dispetto delle speranze irrealizzate della generazione precedente.
Impadronendosi, quindi, di una figura oscura sì, ma circondata da un alone di fama ancora quattro decenni dopo la sua morte, Costantino e i suoi collaboratori pongono con ciò nuove basi per la genealogia della dinastia flavia, sostituendo Massimiano con Claudio II. Idealmente, Costantino gode con il suo nuovo antenato dello stesso rapporto di ‘parentela’ che aveva con il fondatore della dinastia erculia. Si sa che la parola nepos può significare in latino cose diverse, ovvero ‘figlio di un figlio, o ‘figlio di un fratello o di una sorella’, o più genericamente ‘discendente’77. In spregio alla verità, gli adulatori di Costantino iniziano a definirlo nepos divi Claudi – e l’imperatore stesso, si può supporre, acconsente a questa definizione –, operando una diretta sostituzione linguistica per nepos M. Aureli Valeri Maximiani Augusti. Certo, sul lungo termine il fatto che Claudio II e Costantino abbiano diversi nomina gentilicia costituisce un ostacolo all’interpretazione di nepos come ‘figlio del figlio; né d’altra parte è possibile affermare che uno dei genitori di Costantino abbia avuto Claudio II per fratello. Di conseguenza, gli storici ovviamente hanno preferito dare della cosa un’interpretazione meno lineare, secondo la quale ci sarebbe una qualche discendenza indiretta. Per contro, molti contemporanei avrebbero potuto intendere nepos semplicemente come ‘discendente’. Tale interpretazione, del resto, trae forza proprio dall’ispirazione giulio-claudia della propaganda costantiniana, e dal fatto che l’oratore Lattanzio è presente alla corte imperiale in Gallia durante il periodo 310-31278. In versi ben noti a Lattanzio Ovidio, apostrofando il dio Cupido, scrive, secondo una variante antica del testo79, nei seguenti termini di Cesare Augusto: «Caesar, ab Aenea est qui tibi fratre nepos»80.
Tramite la figlia di un fratello – seguendo il venerando precedente fornito dalla dinastia giulio-claudia in relazione a Cupido e Venere – Costantino può ben essere un discendente di Claudio II. Ciò che inizialmente importa, però, è l’invenzione in sé: la finezza della possibile spiegazione viene in un secondo momento.
Secondo un’espressione ben trovata dell’oratore del 310, Costantino è nato per regnare: «Non fortuita hominum consensio, non repentinus aliquis favoris eventus te principem fecit: imperium nascendo meruisti»81. È un’idea, questa, che trova in seguito riscontro nelle epigrafi, che prendono atto della sua supposta parentela con Claudio II. Vi è, ad esempio, un accenno a tale legame di parentela in un’iscrizione innalzata in un momento non meglio determinato negli anni 312-324 d.C.:
Imperat(o)r Caesar
Fl(avius) Constanti(n)us Maximus
pius felix in(v)ictus Aug(ustus)
filius divi C(on)stanti nepos
divi Cl(a)udi
formam aqu(a)e virginis
vetustate con(l)apsam a fon-
tibus renova(t)am arquaturis
eminentibus omn(ib)us dirutam pecunia
sua populi Romani (nec)essario usui
tribuit e(xh)iberi
curante Centullio V(al)eriano v(iro) c(larissimo) cur(atore)
aquarum et Minic(iae) d(evoto) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius82.
Secondo tale formulazione, plasmata su modelli costantiniani in cui figurava Massimiano83, Costantino rimane un imperatore di terza generazione all’interno della sua famiglia.
Tale visione dei fatti sembra essere stata ben accetta non solo all’esercito e ai burocrati imperiali, ma anche al Senato. È negli anni fra il 312 e il 315 d.C. che, con ogni verosimiglianza, il Senato decreta che una statua dorata di Claudio II sia innalzata accanto all’immagine cultuale di Giove nel tempio capitolino di quest’ultimo, e che un suo busto clipeato venga collocato all’interno della Curia Iulia con il pretesto che egli ha salvato le vite dei suoi concittadini84. La data precisa della creazione di queste opere d’arte è rivelata dalla notizia fornita dall’autore dell’Historia Augusta, secondo la quale il busto è ancora visibile al momento in cui egli scrive85. Visto che la documentazione disponibile indica che la Curia Iulia fu distrutta da un incendio intorno al 285, probabilmente a causa di un conflitto armato avvenuto in città e dovuto alla guerra civile in corso tra Carino e Diocleziano, il busto clipeato deve essere necessariamente collocato dopo la ricostruzione dell’edificio da parte di Diocleziano86. Considerando che la figura di Claudio II non ha alcuna rilevanza al tempo dei tetrarchi87, ma risulta decisamente importante per Costantino in quanto presunto fondatore della dinastia flavia, sia l’immagine clipeata sia la statua capitolina sono da datare probabilmente al periodo tra la battaglia del ponte Milvio e il decimo anniversario di Costantino, il momento in cui, precisamente, furono tributati all’imperatore, da parte del Senato, onori pubblici quali in primis l’arco di Costantino. Le sculture retrospettivamente dedicate a Claudio II formano dunque un tutt’uno con una serie di onori e di dediche dal carattere di stretta attualità, tese a procurarsi il favore del nuovo Maximus Augustus.
Di pari passo con questi visibili segni d’onore pubblici, anche la tradizione storiografica relativa alle figure di Gallieno e di Claudio II viene modificata in maniera sostanziale. Con uno sguardo rivolto al passato recente, e parallelamente alle invenzioni della propaganda costantiniana contro Massenzio, anche la figura di Gallieno è trasformata in quella di un tiranno88. Per contro, Claudio II è nobilitato attribuendogli una condotta irreprensibile e una morte generosamente eroica sul campo di battaglia, anziché a causa della peste89. Si afferma, anzi, che era stato designato successore da Gallieno mentre questi giaceva ferito sul letto di morte, e si racconta inoltre che un certo Gallonio Basilio gli avrebbe trasmesso le insegne del potere imperiale90. In seguito, secondo questa nuova tradizione, Claudio II avrebbe consultato, prima di marciare contro i goti che devastavano la regione dell’Illirico, i libri Sibillini e, seguendo il loro consiglio, avrebbe sacrificato volontariamente la sua vita in battaglia, con la pratica della devotio, per la salvezza di Roma91. Secondo quanto viene riferito, Claudio II avrebbe detto infatti al princeps senatus Pomponio Basso di essere lui stesso «il primo uomo dello Stato» al quale l’oracolo alludeva92. Qui, come nella descrizione anodina del suo colpo di Stato, la ripresa del modello repubblicano fornito dalla famiglia dei Deci è una palese invenzione, che si spiega con il fatto che, quasi due decenni prima, nella stessa regione imperatori omonimi avevano perso la vita in battaglia contro i goti93. Assumendo una forza particolare, però, se inventata nel periodo 312-315 d.C., questa storia trae anche un valore aggiunto dal contrasto, costruito per fini adulatori, tra la morte ignominiosa di Massenzio presso il ponte Milvio e la fine gloriosa di Claudio II a Naisso (e ancora una volta stupisce la labilità della tradizione storiografica, giacché la morte di quest’ultimo si verifica in realtà a Sirmio).
In seguito, la guerra civile fra Costantino e Licinio, in due distinte fasi, dà ulteriore impulso all’invenzione genealogica e alla falsificazione storiografica. In ballo sono le regioni dell’Illirico e dell’Oriente. È vitale, per poter trionfare, avvincere le menti e i cuori tanto di chi serve nell’esercito quanto di coloro che credono in Cristo. Da ciò il paradosso di una galleria di ritratti familiari che si amplia sempre di più. Un corollario di questa esigenza di aumentare la legittimità dei contendenti è il bisogno, da parte dei collaboratori sia di Costantino sia di Licinio, di risalire sempre più indietro nel tempo per rendere più venerande e antiche le loro rispettive ascendenze imperiali. Questo è quanto sembra essere accaduto, se si analizzano con cura le testimonianze disperse nelle raccolte giuridiche e nelle opere storiche delle generazioni successive, senza respingerle sbrigativamente come occasionali e miserevoli finzioni tese soltanto al divertimento degli intenditori. Ad ogni modo, i Petronii Probi, una delle massime famiglie senatoriali del IV secolo, scelgono di partecipare a questo esercizio di falsificazione genealogica solo dopo la fine della guerra civile. Così facendo danno prova della loro lealtà in un momento in cui ciò non comporta rischi, presumibilmente con lo scopo di allacciare legami più stretti con la dinastia flavia. Vale fra l’altro la pena di ricordare che l’invenzione della discendenza da Claudio II è talmente potente che lo stesso Giuliano l’Apostata non la sconfesserà mai, nonostante il suo profondo e ben radicato odio per lo zio e per i cugini.
La guerra civile tra Costantino e Licinio conosce due distinte fasi, separate l’una dall’altra da un intervallo di sei anni94. Nella prima fase (316-317 d.C.) Costantino riesce a strappare a Licinio il controllo dell’Illirico, nella seconda (323-324 d.C.), invece, Costantino conquista l’Oriente grazie a una campagna militare condotta contro le forze di Licinio in Tracia e nell’Asia Minore nord-occidentale. Tenendo conto non solo delle testimonianze numismatiche, ma anche delle valenze storiche dei precedenti imperatori, si possono associare a ciascuna di queste due fasi della guerra civile distinte elaborazioni genealogiche.
L’occasione della guerra civile del 316-317 d.C., da non confondersi con il pretesto ufficiale fornito da Costantino per il suo attacco, è offerta dalla nascita di Costantino II, il primogenito fra i tre figli nati dall’unione di Costantino con Fausta Massima95. Con la nascita di Costantino II diviene ridondante lo schema tetrarchico nella forma allora vigente, nella quale Bassiano, cognato di Costantino e di Licinio, ha il ruolo di Caesar. Un indizio delle intenzioni dinastiche di Costantino sta nell’attribuzione, da parte sua, del nome di Claudius a Costantino II, così che il suo nome completo sia Flavius Claudius Constantinus96. Sconfessando Bassiano e strappando l’Illirico a Licinio, Costantino si installa presso il medio corso del Danubio, intraprendendo campagne militari e rappresentandosi, anche nelle coniazioni monetarie, come il successore legittimo dei tetrarchi e degli antecedenti imperatori illirici del III secolo. Di particolare rilievo è la produzione, in quantità massicce, di monete che celebrano il divus Claudius optimus imperator, il divus Maximianus fortis imperator e il divus Constantius pius princeps97. Colpisce la modulazione degli epiteti secondo gli aspetti propagandisticamente salienti della personalità di ciascun sovrano, ma non meno eclatante è la riabilitazione di Massimiano, che aveva subìto la damnatio memoriae soltanto sei anni prima. Forse dovuta all’intervento della figlia Fausta Massima, tale riabilitazione fa del resto comodo anche a Costantino, visto che Massimiano proviene da Sirmio e che onorare la sua memoria potrebbe aiutarlo a conquistarsi gli animi degli abitanti della regione98.
La volontà di controllo su tutto l’Impero e, forse, la nascita di Costante, terzogenito e ultimo dei figli di Costantino e di Fausta Massima, sembrano aver contribuito alla decisione di Costantino di scatenare l’offensiva da cui ha origine la guerra civile degli anni 323-324 d.C. Licinio ha per erede un solo figlio, contro i quattro figli di Costantino (Crispo, Costantino II, Costanzo II e Costante) con i quali questi potrebbe costituire una nuova tetrarchia99. Durante il periodo che precede lo scontro armato, pare che i collaboratori di Costantino e di Licinio abbiano in vario modo manipolato le genealogie imperiali al fine di cercare di giustificarne l’esercizio del potere. Se le notizie riportate dall’Historia Augusta e dall’Epitome de Caesaribus non sono soltanto triviali invenzioni per il puro gusto del falso, si deve pensare che corresse voce che Licinio fosse – incredibile dictu – un discendente di Filippo I e di Filippo II, e che d’altra parte si favoleggiasse, per quanto attiene a Costantino, che il suo presunto antenato Claudio II fosse figlio naturale di Gordiano II o di Gordiano III.
Secondo l’autore dell’Historia Augusta, Licinio ordina la distruzione di un monumento funebre per Gordiano III nei pressi di Circesium per desiderio di essere considerato un discendente della coppia padre-figlio Filippo I (244-249 d.C.) e Filippo II (244/247-249 d.C.). L’iscrizione descritta in rapporto a questo cenotafio è una palese falsificazione. Tuttavia Licinio aveva effettivamente regnato sulla regione in questione a seguito della sua vittoria su Massimino, e dunque il racconto potrebbe avere un fondamento di verità: «quem titulum evertisse Licinius dicitur eo tempore quo est nanctus imperium, cum se vellet videri a Philippis originem trahere»100.
Gli studiosi moderni sono però, a buon diritto, poco propensi a fidarsi delle testimonianze della Historia Augusta, se non corroborate da altre fonti. Ciononostante, il fatto che i cristiani considerino Filippo come un imperatore incline alla loro causa potrebbe fornire una spiegazione per tale sorprendente scelta di un antenato fittizio da parte di un imperatore che, secondo una fonte ben più attendibile, proviene dalla Dacia Ripensis ed è, perciò, un compaesano illirico di Costantino101. Come si vedrà fra breve in relazione all’affermazione che i Petronii Probi fossero parenti di Claudio II, le fantasiose ascendenze genealogiche tramandate dalla Historia Augusta possono essere infatti il prodotto della quanto mai fertile immaginazione storiografica dell’inizio del IV secolo, anziché essere mere elaborazioni del poco affidabile autore dell’Historia Augusta stessa102.
Si viene inoltre a sapere che, secondo l’autore dell’Epitome de Caesaribus, l’imperatore Claudio II sarebbe nato da un’unione extra-coniugale tra un adolescente Gordiano II o Gordiano III e una donna più anziana. Senza paralleli nella storia romana, e degna dei passi più scabrosi dell’Historia Augusta, tale notizia era, secondo quanto asserisce l’autore, assai diffusa: «Hunc plerique putant Gordiano satum, dum adulescens a muliere matura institueretur ad uxorem»103.
Anche qui la tentazione dello storico moderno di respingere una simile storia da bordello come «an absurd fable» è, comprensibilmente, molto forte104. Sarà tuttavia il caso di chiedersi se l’invenzione di questa storia non si debba ad altro che a mero gusto per i racconti lascivi. L’asserita discendenza da un imperatore, anche se illegittima, è uno strumento di consenso molto potente. Sia la provenienza dei Gordiani dall’Asia Minore sia i loro presunti legami di parentela con i Gracchi e gli Ulpii (ovvero da un lato con i fratelli celebri come tribuni della plebe nella tarda Repubblica, e dall’altro con l’imperatore Traiano) rendono la storia potenzialmente utile a Costantino nel suo tentativo di strappare l’Oriente a Licinio105. Inoltre, secondo il perverso criterio degli antichi di guardare alla storia da un punto di vista genealogico, la tradizione della responsabilità di Filippo I per la prematura morte di Gordiano III permetterebbe a Costantino di asserire che quella da lui mossa contro Licinio è una guerra di vendetta per la morte del suo supposto antenato106. Tutto sommato, sembra che ancora una volta il momento del sorgere della falsificazione non vada cercato né alla fine del IV secolo né all’inizio del V, ma piuttosto durante il preludio a una rinnovata guerra tra Costantino e Licinio.
Pare, infatti, che in questo medesimo contesto della seconda fase della guerra civile tra Costantino e Licinio faccia la sua comparsa anche l’imperatore Aureliano, riabilitato come divus e definito parente (parens) di Costantino. In una legge indirizzata a Capestrino e plausibilmente datata al 324 d.C., Costantino cita l’esempio di Aureliano per quanto riguarda il trattamento fiscale cui si devono sottoporre i terreni non coltivati: «Cum divus Aurelianus parens noster civitatum ordines pro desertis possessionibus iusserit conveniri»107.
Rifacendosi a una consistente tradizione storiografica, i cristiani bollano Aureliano come uno tra i persecutori della Chiesa, e Costantino stesso di lì a poco pronuncerà su di lui un analogo giudizio di fronte a un’assemblea cristiana108. Tuttavia Aureliano, a quel che si riportava, era originario dell’area della Dacia Ripensis o della Moesia Superior, o addirittura della città di Sirmio. Di conseguenza, il ricorso a lui come ulteriore membro della famiglia – sempre più allargata – di Costantino non fa scalpore. Anzi, considerando la propensione di Aureliano per la venerazione del Sol Invictus e il ricordo positivo delle sue gesta militari, Aureliano rappresenta un’assai utile aggiunta alla genealogia costantiniana nel momento in cui si facevano i preparativi per lo scontro finale con Licinio.
Conclusosi lo scontro, tra chi vuole dare testimonianza della sua fedeltà al vincitore c’è persino chi giunge a manipolare la propria onomastica familiare pur di apparire imparentato con la dinastia Flavia. È infatti a partire da questo momento, verso la metà del terzo decennio del IV secolo, che si riscontra il curioso fenomeno per cui burocrati ambiziosi cominciano a utilizzare il nomen gentilicium Flavius in prima posizione, quasi fosse il loro prenome secondo il sistema onomastico classico latino109. Si hanno così figure come – per nominare soltanto alcuni fra i personaggi più in vista – Flavio Ablabio (console nel 331) e Flavio Optato (console nel 334).
È proprio in questo periodo, precisamente intorno al 328 d.C., che Sesto Claudio Petronio Probo nasce in una della più eminenti famiglie senatoriali della Roma tardoantica110. Attestato soltanto da un’iscrizione che commemora il suo patronato di Capua111, il nome Claudius acquista un senso accettabile solo entro questo quadro generale, corroborando in un certo modo l’informazione riportata dall’autore dell’Historia Augusta e dimostrando che l’invenzione genealogica non è da attribuire tanto alla fertile immaginazione del suo scrittore, quanto piuttosto alle aspirazioni politiche degli stessi Petronii Probi112. Secondo l’Historia Augusta, infatti, c’è chi afferma che l’imperatore Probo (276-282 d.C.) sia parente di Claudio II: «Multi dicunt Probum Claudi propinquum fuisse, optimi et sanctissimi principis, quod quia per unum tantum Graecorum relatum est, nos in medio relinquemus. Unum tamen dico, quod in ephemeride legisse me memini a Claudia sorore Probum sepultum»113.
Come nel caso del testo dell’iscrizione sul cenotafio per Gordiano III, anche qui permangono forti dubbi circa la realtà dell’ephemeris di cui si parla114. Ciononostante, l’affermazione aggiuntiva di un rapporto di parentela tra Probo e i Petronii Probi ci suggerisce, se non altro, le ragioni della manipolazione genealogica: «Sane quod praeterire non potui, cum imago Probi in Veronensi sita fulmine icta esset, ita ut eius praetexta colores mutaret, aruspices responderunt huius familiae posteros tantae in senatu claritudinis fore, ut omnes summis honoribus fungerentur»115.
Magnificare la propria ascendenza affermando un’adfinitas con Probo è un passo del tutto naturale per i Petronii Probi. Ma, una volta compiuto tale passo, non vi è più alcun ostacolo a un’ulteriore ‘promozione’ mediante l’affermazione per la quale tale imperatore illirico sarebbe parente di un altro sovrano, la cui figura è assai rilevante al presente. Così i Petronii Probi si trasformano in parenti di Costantino con un processo molto sofisticato di ricomposizione genealogica, in un momento in cui molti sono propensi a manifestare la propria fedeltà alla dinastia Flavia. L’attribuzione del nome Claudius al neonato Sesto Petronio Probo è semplicemente un altro esempio della facilità con cui si possono costruire identità nella speranza di fare fortuna nel mondo politico.
Grazie agli straordinari successi di Costantino, anche la sua scelta di Claudio II come antenato della dinastia Flavia dà adito, nei decenni successivi alla sua morte, a molteplici e variegate rappresentazioni dei fatti. La retorica ufficiale si focalizza sulle virtù manifestate dal divus Claudio II, mentre la storiografia cerca di precisare meglio il rapporto di parentela con la dinastia flavia. Dall’una e dall’altra parte, non difetta l’ingegnosità.
Scrivendo a proposito del regno di suo cugino, Costanzo II, e poi in alcune sue riflessioni più generali sulle qualità dei suoi predecessori sul trono, Giuliano si occupa in modo esplicito di Claudio II in più di un’occasione. La precisa parentela con la dinastia flavia non viene mai da lui indagata, ma rimane indiscusso il fatto che Claudio II fornisce un caposaldo emblematico per la dinastia flavia.
Nel panegirico pronunciato in lode di Costanzo II nel 355 d.C., Giuliano pone l’accento sulla ricchezza della materia che potrebbe essere oggetto del suo discorso celebrativo, per poi cominciare dalla parata tradizionale degli antenati più insigni, con l’evocazione della figura di Claudio II:
᾽Αλλ᾿ ὑπὲρ τῆς εὐγενείας τῆς σῆς ἴσως ἄξιον ἐπὶ τοῦ παρόντος ἐν βραχεῖ διελθεῖν· ἀπορεῖν δὲ ἔοικα κἀνταῦθα πόθεν ἄρχεσθαι χρή· πρόγονοί τε γάρ εἰσί σοι καὶ πάπποι καὶ γονεῖς ἀδελφοί τε καὶ ἀνεψιοὶ καὶ ξυγγενεῖς βασιλεῖς ἅπαντες, αὐτοὶ κτησάμενοι τὴν ἀρχὴν ἐννόμως ἢ παρὰ τῶν κρατούντων εἰσποιηθέντες. Καὶ τὰ μὲν παλαιὰ τί δεῖ λέγειν, Κλαυδίου μνησθέντα, καὶ τῆς ἀρετῆς τῆς ἐκείνου ἐναργῆ παρέχειν καὶ γνώριμα πᾶσι τεκμήρια, τῶν ἀγώνων πρὸς τοὺς ὑπὲρ τὸν ῎Ιστρον οἰκοῦντας βαρβάρους ἀναμιμνήσκοντα, καὶ ὅπως τὴν ἀρχὴν ὁσίως ἅμα καὶ δικαίως ἐκτήσατο, καὶ τὴν ἐν βασιλείᾳ τῆς διαίτης λιτότητα, καὶ τὴν ἀφέλειαν τῆς ἐσθῆτος ἐπὶ τῶν εἰκόνων ὁρωμένην ἔτι116.
I successi militari e la giustizia, insieme all’assenza di qualunque ostentazione, sono le virtù per le quali Claudio II può essere citato come modello dinanzi ai suoi pretesi discendenti. E un analogo linguaggio si dispiega nel panegirico pronunciato in seguito in onore di Eusebia, moglie di Costanzo II117.
Col passare degli anni, e dopo l’ascesa ai vertici della società romana, Giuliano ha occasione di chiarire ancor meglio i motivi per cui stima la figura di Claudio II: alludendo alla leggenda per cui la vittoria di Naisso è conseguita da Claudio grazie al ricorso alla devotio – questa, almeno, sembra l’unica possibile interpretazione della ‘magnanimità’ (μεγαλοψυχία) attribuita a Claudio –, Giuliano pone l’azione eroica del suo antenato sotto una luce che si direbbe patriottica: τούτοις ἐπεισέρχεται Κλαύδιος, εἰς ὃν ἀπιδόντες οἱ θεοὶ πάντες ἠγάσθησάν τε αὐτὸν τῆς μεγαλοψυχίας καὶ ἐπένευσαν αὐτοῦ τῷ γένει τὴν ἀρχήν, δίκαιον εἶναι νομίσαντες οὕτω φιλοπάτριδος ἀνδρὸς ἐπὶ πλεῖστον εἶναι τὸ γένος ἐν ἡγεμονίᾳ118.
Costantino e i suoi figli godono dunque di lunghi regni non a causa delle loro proprie virtù, ma piuttosto grazie alla buona disposizione degli dei nei confronti del fondatore della dinastia flavia. Nonostante il suo viscerale e comprensibile odio per i cugini, e per Costanzo II in particolare, Giuliano non mette mai in questione la costruzione costantiniana del passato della famiglia. Vale, anzi, la pena di ricordare che egli stesso porta il nome di Claudius119. E si può inoltre sospettare, cogliendo forse nel segno, che l’emulazione di Claudio II spieghi in parte la tragica conclusione della spedizione contro i persiani nel 363 d.C.
A differenza dei panegiristi, agli storici tocca il compito di affidare alla scrittura il corso degli eventi, consapevoli che della storia non potranno mai essere i protagonisti. Così, sin dal momento della morte di Costantino – se non già prima, a partire dall’opera storiografica di Prassagora di Atene – gli storici si preoccupano di risolvere il problema posto dall’affermazione ufficiale per la quale Costantino sarebbe nepos di Claudio II. È un curioso paradosso, e anche un sintomo di difficoltà, il fatto che il termine nepos sia trasferito da Costantino a suo padre Costanzo.
Scrivendo poco dopo la morte di Costantino, l’autore della prima parte dell’Anonymus Valesianus usa un linguaggio che indica chiaramente come egli abbia capito che Costantino era pronipote di Claudio II in base al presupposto che Costanzo era figlio di un fratello di Claudio: «Constantius [...] Claudii [...] nepos ex fratre»120. Tale interpretazione è in accordo con la consueta enfasi che si pone sulla discendenza paterna, ma chiaramente non riesce a tener conto della differenza fondamentale tra i nomina gentilicia. È presumibilmente per questa ragione che l’autore della perduta Kaisergeschichte, composta verso la metà del IV secolo, introduce un interessante miglioramento121: secondo questo autore, Costantino era bisnipote di Claudio, in quanto Costanzo era figlio di una figlia di Claudio. L’opera storiografica di Sesto Aurelio Vittore è affetta da una lacuna proprio laddove ci si sarebbe attesa una tale informazione122, mentre l’Epitome de Caesaribus tace in merito; ma un ulteriore riflesso di questa stessa versione si riscontra nel compendio storico di Eutropio: «Constantius per filiam nepos Claudii»123. Le stesse informazioni, poi, sono tramandate da Girolamo: «Constantius Claudii ex filia nepos»124. L’unica differenza tra i due autori, di fatto irrilevante, risiede dunque nella scelta della preposizione e nell’ordine delle parole. Tale la situazione nel tardo IV secolo, quando l’autore dell’Historia Augusta decide di applicare il suo ingegno nel cercare di far luce su un soggetto tanto opaco. Con stupefacente coraggio, e totale disprezzo per la verità storica, l’autore combina fra loro due soluzioni fino ad allora alternative: Costanzo diviene così il bisnipote di Claudio II, presentato come figlio della figlia (Claudia) del fratello (Crispo) di Claudio II125. Tale compressione temporale delle generazioni è ovviamente inaccettabile, tanto più se applicata a un personaggio nato attorno al 250 d.C., ma del resto non è meno verosimile di quella che sorge dall’affermazione per la quale Claudio II sarebbe un figlio illegittimo di Gordiano III.
Paradossalmente, però, proprio quest’ultima soluzione è destinata a riscuotere grande favore presso i successivi autori che si occuperanno di Costantino. Nonostante la genesi trasparente di questa falsificazione, a risultare attraente è l’abbondanza di dettagli che l’autore dell’Historia Augusta sembra fornire. Il desiderio di sapere prevale sulla capacità di prendere atto dell’inattingibilità, ormai, di determinate verità storiche.
Le genealogie costituiscono spesso un elemento della narrazione storica impiegato per giustificare l’esercizio del potere, sia politico che religioso. Subordinando la storia di una comunità a quella di un individuo, il passato viene strumentalizzato per definire il presente. Ed è tanto più facile farlo laddove il passato è stato ormai dimenticato, e per questo è suscettibile di essere riscritto a piacimento da chi intenda giustificare l’ordine costituito. Le genealogie, in breve, sono una fonte di potere. D’altro canto, è proprio nel riflesso delle significative – e apparentemente fra loro inconciliabili – modificazioni propagandistiche via via apportate alla genealogia costantiniana, quale essa fu variamente ‘ricostruita’ col passare degli anni, che si può percepire il mutare, nel tempo, della natura stessa del potere di Costantino e dei suoi discendenti.
Ringrazio vivamente gli amici e colleghi Donatella Bucca e Francesco D’Aiuto per la loro preziosa e paziente assistenza nella revisione del testo italiano: mi è stato molto utile discutere con loro, non solo di questioni linguistiche, e gliene sono perciò molto grato. Ovviamente, mia sola è la responsabilità di qualsiasi inesattezza o errore che, a dispetto della loro revisione, sia rimasto nel testo.
1 Lact., mort. pers. 29-30. Per questo episodio si vedano anche Paneg. 7(6)14-20; Eus., h.e. VIII 13,15; Eus., h.e. VIII app. 2-3; Anon. Vales., I 5,29; Eus., v.C. I 47,1; Aur. Vict., Caes. 40,22; Eutr., X 3,2; epit. de Caes. 40,5; Oros., hist. VII 28,9-10; Eucher., pass. Acaun. 7; Zos., II 11, 14,1; Theoph. Conf., Chron. a.m. 5796; Zonar., XII 13; cfr. MGH CM I 231 a. 310; Io. Ant., fr. (FHG IV 602); Suid., s.v. Διοκλητιανός.
2 Per tale affermazione si veda più avanti, al paragrafo Divus Claudius optimus imperator.
3 H. Dessau, Über Zeit und Persönlichkeit der Scriptores Historiae Augustae, in Hermes, 24 (1889), pp. 337-392. Per il contesto storico di questa scoperta si veda R. Syme, Emperors and Biography. Studies in the Historia Augusta, Oxford 1971, pp. 266-268. Lo storico britannico sottolinea giustamente che furono gli specialisti di prosopografia, e non gli studiosi e i critici della letteratura, a svelare la falsificazione dei fatti relativi alla sua pubblicazione.
4 h.A. Claud. 1,1.
5 Paneg. 6(7)2,1, passo che sarà discusso in dettaglio nel paragrafo Divus Claudius optimus imperator.
6 Naturalmente c’è stato anche chi ha rifiutato di accettare queste conclusioni, nonostante la loro logica appaia ferrea: cfr. ad es. A. Momigliano, Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, p. 119 nota 24.
7 Anche in questo caso si sono volute rifiutare, da parte di alcuni, tali logiche conclusioni, cfr. ad es. A. Lippold, Constantius Caesar, Sieger über die Germanen: Nachfahre des Claudius Gothicus?, in Chiron, 11 (1981), pp. 347-369; Id., Kaiser Claudius II. (Gothicus), Vorfahr Konstantins d. Gr., und der römische Senat, in Klio, 74 (1992), pp. 380-394; F. Chausson, Stemmata Aurea. Constantin, Justine, Théodose. Revendications généalogiques et idéologie impériale au IVe siècle ap. J.-C., Roma 2007.
8 Men. Rh., 215,18.
9 Iul., Or. I 5B,4,1-2.
10 Paneg. 2(12)4,2-5; 2(12)5,1-4.
11 Cfr. il caso di Aurelius Gaius, AE 1981, 777; Th. Drew-Bear, Les voyages d’Aurelius Gaius, soldat de Dioclétien, in La géographie administrative et politique d’Alexandre à Mahomet, Actes du Colloque de Strasbourg (Strasbourg 14-16 juin 1979), Strasbourg 1981, pp. 93-142.
12 Cic., leg. 2,5.
13 Cic., Tusc. V 37,108.
14 Ad esempio R. Syme, The Ancestry of Constantine, in Bonner Historia-Augusta-Colloquium 1971, Bonn 1974, pp. 237-253, in partic. 237, 247.
15 Aur. Vict., Caes. 39,26.
16 Cfr. R. Syme, The Ancestry of Constantine, cit., p. 236.
17 Iul., Mis. 348C, 350D, 367C.
18 R. Syme, The Ancestry of Constantine, cit., p. 247.
19 Aur. Vict., Caes. 34,7.
20 h.A. Claud. 13,2-3.
21 Lact., mort. pers. 9,11; 19,5; 52,3; Eutr., IX 19,2.
22 epit. de Caes. 40,10; cfr. Paneg. 2(12)2,3 e 3(11)3,9.
23 epit. de Caes. 40,15.
24 Anon. Vales., I 4,9; cfr. Aur. Vict., Caes. 40,1.
25 Anon. Vales., I 5,13. A fronte del ritrovamento di pezzi di argenteria commemoranti il decimo anniversario di Licinio, ci si potrebbe addirittura chiedere se anche quest’ultimo non provenisse da Naisso. Cfr. P. Petrović, Naissus: A Foundation of Emperor Constantine, in Roman Imperial Towns and Palaces in Serbia, ed. by D. Srejović, Belgrade 1993, pp. 55-81 in partic. 75; cat. n. 107.
26 Firm., math. I 10,13.
27 Anon. Vales., I 2,2.
28 Si veda la serie di monete per i divi Claudius, Constantius e Maximianus: RIC VII, pp. 180, 252, 311, 312, 395, 430, 503.
29 NP VIII, E. Wirbelauer, s.v. Naissus, p. 698.
30 Cod. Theod., II 15,1; II 16,2S. Secondo l’uso recente, la lettera S maiuscola fa riferimento allo studioso Otto Seeck, che ha suggerito numerosi emendamenti nella datazione di rescripta del III e del IV secolo. Vedi O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr. Vorarbeit zu einer Prosopographie der christlichen Kaiserzeit, Stuttgart 1919.
31 Cod. Theod., XI 27,1S.
32 Cod. Theod., XI 39,3.
33 Anon. Vales., I 2,2. Cfr. P. Petrović, Naissus: A Foundation of Emperor Constantine, cit., pp. 55-81. Non è ancora chiaro se egli abbia anche fatto qualche intervento nella villa che si trova nel vicino sobborgo di Mediana: ivi, pp. 69-74.
34 Ad es. Amm., XXI 10,6; XXVI 5,1.
35 Iul., Mis. 367C; cfr. 348C, 350D.
36 LTUR IV, P. Gros, s.v. Porticus Pompei, pp. 148-149; LTUR V, P. Gros, s.v. Theatrum Pompei, pp. 35-38; cfr. Amm., XVI 10,14.
37 ILS 621.
38 ILS 622.
39 L’espressione ‘Nuovo Impero’ è usata da E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, ed. by D. Womersley, I, London 1994, p. 359 («Like Augustus, Diocletian may be considered as the founder of a new empire»; nel cap. XIII del volume I, pubblicato nel 1776), ed è ripresa inter alios da T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982. Per l’uso moderno del termine ‘tetrarchia’ si veda D. Vollmer, Tetrarchie: Bemerkungen zum Gebrauch eines antiken und modernen Begriffes, in Hermes, 119 (1991), pp. 435-449.
40 T.D. Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine, cit.
41 Cfr. Diocl., praef.
42 O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, Stuttgart 1895-1921, I, pp. 25-26; D.S. Potter, The Roman Empire at Bay, A.D. 180-395, London 2004, p. 649 nota 115. Cfr. la discussione a proposito dell’ascesa al trono di Teodosio I in seguito al disastro di Adrianopoli: H. Sivan, Was Theodosius I a Usurper?, in Klio, 78 (1996), pp. 198-211; R.M. Errington, The Accession of Theodosius I, ivi, pp. 438-453. In quel caso, la testimonianza di Temistio (Or. XIV 182C-D) pare decisiva, indicando la natura locale dell’iniziativa: «[L]a virtù ti ha reso imperatore e Graziano l’ha annunciato». Una discussione esaustiva ed equilibrata del dibattito è ora offerta da P. Maraval, Théodose le Grand (379-395). Le pouvoir et la foi, Paris 2009, pp. 29-43. Dalla biografia di Massimiano, va ricordato, emergono sia una sua propensione all’usurpazione del potere imperiale (306, 307/8, 310) sia l’accettazione del suo potere da parte dei suoi colleghi.
43 A. Rousselle, La chronologie de Maximien Hercule et le mythe de la Tétrarchie, in Dialogues d’Histoire ancienne, 2 (1976), pp. 445-466, in partic. 445-454.
44 Iul., Caes. 315A
45 Cfr. Lact., mort. pers. 20; A. Rousselle, La chronologie de Maximien Hercule, cit., p. 457.
46 Ad es. Paneg. 7,2,5.
47 F. Kolb, Diocletian und die Erste Tetrarchie. Improvisation oder Experiment in der Organisation monarchischer Herrschaft?, Berlin 1987, pp. 63-66.
48 Paneg. 11(3)3,4: «Il dio da cui proviene Diocleziano non soltanto ha scacciato in passato i Titani, che volevano impadronirsi del cielo, e ha poi fatto guerra ai mostri dalla doppia natura», trad. it. G. Micunco, in Panegirici Latini, a cura di D. Lassandro, G. Micunco, Torino 2000.
49 Paneg. 11(3)3,5.
50 Paneg. 11(3)16,2.
51 ILS 629. Per la probabile ascendenza virgiliana di questo motivo si veda Verg., Aen. IX 641-642; U. Huttner, Der Kaiser als Garant sakraler Kontinuität: Überlegungen zu CIL III 709, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 146 (2004), pp. 196-201; cfr. Paneg. 11(3)2,4.
52 Cfr. T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Malden 2011, p. 89 app.
53 Lact., mort. pers. 25.
54 Cfr. M. Aimone, Costantino e l’ideologia religiosa della Tetrarchia. A proposito di una fibula d’oro torinese e delle sue iscrizioni, in Quaderni della Soprintendenza archeologica del Piemonte, 23 (2008), pp. 111-135.
55 ILS 681.
56 Paneg. 7(6)5,3: «La tua maturità l’hai subito dimostrata: tuo padre ti aveva lasciato l’impero, ma tu hai preferito contentarti del titolo di Cesare, e aspettare che a dichiararti Augusto fosse lo stesso principe che l’aveva fatto con tuo padre. Giudicavi che più illustre sarebbe stato lo stesso impero, se non l’avessi ricevuto per successione ereditaria, ma l’avessi meritato dal sommo imperatore in premio delle tue virtù», trad. it. D. Lassandro, in Panegirici Latini, cit.
57 Paneg. 7(6)8,1-2: «Devo ora, infatti, passare a fare le lodi di Massimiano: le tue, o Costantino Augusto, le ho già fatte a tuo suocero, ma ora anche tu, anche se già sai, devi udire quanto onore acquisti imparentandoti con questo principe. È lui che ha trasmesso a voi il nome ricevuto dal dio che dà origine alla tua stirpe, lui che, non in virtù di favole adulatorie, si proclama progenie Ercole, ma che ha dimostrato di esserlo compiendo imprese di uguale valore», trad. it. D. Lassandro, in Panegirici Latini, cit.
58 Paneg. 7(6),2,5.
59 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Uberlieferung, Stuttgart 1990, n. 40, «All’imperatore Cesare Flavio Valerio Costantino pio felice Augusto, di Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto nipote e del divo Costanzo Augusto pio figlio».
60 ILS 659 = CIL III 4413, «Al dio Sole invitto Mitra, sostenitore del loro impero, gli Iovii e Herculii religiosissimi Augusti e Cesari hanno restaurato questo luogo di culto».
61 RIC VI, p. 99.
62 S. MacCormack, Art and Ceremony in Late Antiquity, Berkeley 1981, pp. 106-111; B. Leadbetter, Galerius and the will of Diocletian, London 2009, pp. 166-167.
63 Cfr. RIC VI, p. 256 n. 202.
64 Paneg. 6(7)2,1-5: «Comincerò, dunque, dal dio che è alla prima origine della tua famiglia: i più, forse, ancora non sanno chi sia, ma chi ti ama lo conosce benissimo. È dal divo Claudio tuo avo che discende la tua famiglia, da colui, cioè, che per primo ristabilì nell’impero romano la disciplina venuta meno e ormai perduta, che per terra e per mare annientò le terribili orde dei Goti, che avevano fatto irruzione dagli stretti del Ponto e dalla foce dell’Istro: magari gli fosse stato concesso più tempo per ristabilire gli uomini, e non fosse andato così presto a fare compagnia agli dei! Il felicissimo giorno che abbiamo da poco devotamente celebrato è ritenuto il natale del tuo impero, poiché questo giorno per primo ti ha visto ornato della veste imperiale; ma è, tuttavia, dal divo Claudio, origine della tua famiglia, che viene a te la fortuna dell’impero. E fu proprio quell’antico privilegio della casa imperiale ad innalzare all’impero anche tuo padre, per poi portare te al grado più alto e al di sopra delle sorti del genere umano: tu, dopo due prìncipi della tua famiglia, terzo imperatore. Tra tutti coloro che partecipano della tua maestà, Costantino, questo, lo ripeto, tu hai di particolare: sei nato già imperatore; ed è tale la nobiltà della tua origine, che la dignità imperiale non ti ha reso più grande, né può la Fortuna considerare merito della tua divinità ciò che è soltanto merito tuo; né è stato necessario brigare o cercare raccomandazioni», trad. it. D. Lassandro, in Panegirici Latini, cit.
65 Cfr. ad es. A. Marcone, Costantino il Grande, Roma-Bari 2000, pp. 22 segg. Visto che il concetto di domus divina era fondamentale per la tetrarchia, appare preferibile la formulazione di F. Kolb, Herrscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001, pp. 59 segg.
66 Per il breve regno di Quintillo si veda D. Kienast, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischen Kaiserchronologie, Darmstadt 19962, p. 233.
67 Cfr. h.A. Claud. 13,2, ove abilmente si dispiega una serie di nomi che realmente si riscontrano nella storia successiva della dinastia flavia.
68 Cfr. R. Syme, The Ancestry of Constantine, cit., p. 238.
69 h.A. Claud. 11,9.
70 Per un tentativo di bilancio, si veda ad es. B. Lançon, Le monde romain tardif, IIIe-VIIe siècle ap. J.-C., Paris 1992, p. 5, ove si conteggiano settanta imperatori per il periodo 192-284 d.C.
71 Cfr. S. MacCormack, Art and Ceremony, cit., pp. 106-111; colpisce il contrasto con Aureliano, che viene definito divus presso alcune delle fonti letterarie, ma per il quale non esiste alcuna emissione monetaria che registri l’epiteto. La stessa sorte toccò a Probo: Paneg. 4(8)18,3 (sub divo Probo).
72 epit. de Caes. 34,2; RIC V. 1, nn. 108 e 247-250; ILS 569. Cfr. CIL V 4869, che è una dedica a Claudio II da parte dei Benacenses, dove pure non si fa alcun accenno a questa vittoria. Come osserva M. Festy, Pseudo-Aurélius Victor: Abrégé des Césars, Paris 1999, p. 159, è strano che l’Epitome de Caesaribus sia l’unica fonte letteraria a registrare la vittoria di Claudio sugli alamanni.
73 Nonostante i dubbi avanzati da Alföldi in un contributo alla prima edizione della Cambridge Ancient History (A. Alföldi, The Sources for the Gothic Invasions of the Years 260-270, in The Cambridge Ancient History, XII, The Imperial Crisis and Recovery A.D. 193-324, ed. by S.A. Cook et al., Cambridge 1939, pp. 721-723), si propende attualmente a riconoscere la storicità di tale vittoria, distinguendola da un’altra precedentemente conseguita da Gallieno nei Balcani. Si veda U. Hartmann, Claudius Gothicus und Aurelianus, in Die Zeit der Soldatenkaiser: Krise und Transformation des Römischen Reiches im 3. Jahrhundert n. Chr. (235-284), hrsg. von K.-P. Johne, U. Hartmann, T. Gerhardt, Berlin 2008, pp. 297-323, in partic. 303-304.
74 Paneg. 5(8)4,2: «Ma tuttavia, se davvero i benefici più antichi sono caduti in oblio, che dire di quelli più recenti di cui da fanciulli siamo stati spettatori? Considera, ti prego, o imperatore, quanto sia importante il fatto che gli Edui per primi sollecitarono il tuo avo, il divo Claudio, a riconquistare le Gallie: in attesa del suo aiuto, furono assediati per sette mesi e patirono tutte le miserie della carestia e si decisero a lasciare le porte all’irruzione dei ribelli gallici solo quando, ormai stremati, non erano più in grado di difenderle», trad. it. D. Lassandro, in Panegirici Latini, cit.
75 Paneg. 5,4,2 (indirizzato a Costantino).
76 Cfr. Paneg. 8(5)4,3: Catalaunica clades; si veda anche D.S. Potter, The Roman Empire at Bay, cit., pp. 297-298: «the scope of the rewriting of history is breathtakingly thorough».
77 C.T. Lewis, C. Short, A Latin Dictionary, Founded on Andrew’s Edition of Freund’s Latin Dictionary, Revised, Enlarged and in Great Part Rewritten, Oxford, 1897, pp. 1200-1201; cfr. Paneg. 4(8)20,1, per ‘figlio del figlio’, ove la progressione di ‘figli’, ‘nipoti’ e ‘progenie’ non lascia spazio a dubbi interpretativi.
78 T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 177-178.
79 Per la lezione che sembra quella originale (Caesar, ab Aenea est qui tibi fratre tuus) e per le testimonianze divergenti dei manoscritti, si veda P. Ovidi Nasonis ex Ponto libri quattuor, recensuit J.A. Richmond, Leipzig 1990, p. 66 ad loc. Per il rifiuto della lezione nepos come una glossa intesa a spiegare tuus, si veda Publius Ovidius Naso: Epistulae ex Ponto III 1-3 (Kommentar), recensuit U. Staffhorst, Diss., Würzburg 1966, pp. 137-138, con riferimento alla bibliografia precedente.
80 Ov., Pont. III 3,62: «Cesare, il qual è tuo discendente tramite tuo fratello Enea».
81 «Non un consenso umano fortuito, non un qualche improvviso vento propizio ti fece principe: per nascita meritasti l’impero», Paneg. 6(7),3,1.
82 «L’imperatore Cesare Flavio Costantino Massimo / pio felice e invincibile Augusto, / figlio del Divo Costanzo e nipote / del Divo Claudio, / che la forma dell’Acqua Vergine, / la quale è deteriorata a causa dell’antichità, sia / rinnovata dalle sue origini ovunque in tutti gli / archi preminenti è fatiscente e a questo fine / ha disposto i suoi soldi per il bene del popolo Romano. / Il senatore Centullio Valeriano, curatore degli acquedotti e della / Minicia, si è curato di questo progetto per la sua santità e maestà». CIL VI 31564 = ILS 701 = Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 256. Per lo scioglimento di DNMQ nell’ultima riga, però, qui si è aderito all’interpretazione di F. Chausson, Stemmata Aurea, cit., p. 28 nota 8.
83 Si veda, ad esempio, Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., n. 40, citata e discussa nel precedente paragrafo.
84 epit. de Caes. 34,4; h.A. Claud. 3,3-4.
85 h.A. Claud. 3,3.
86 MGH AA IX 148, dove si assegna l’incendio al regno congiunto di Carino e di Numeriano, in un passo inspiegabilmente mancante dalla lunga discussione di P. Bruggisser, Le bouclier d’or de Claude le Gothique, un honneur étrangement nouveau, in Historiae Augustae Colloquium Genevense, n.s. 7 (1999), pp. 59-84. Il suggerimento di collegare la distruzione della Curia Iulia con le vicende della guerra civile nel tardo III secolo è già stato avanzato in R.W. Westall, The Forum Iulium as Representation of Imperator Caesar, in Mitteilungen des Deutschen Archaeologischen Instituts, Römische Abteilung, 103 (1996), pp. 83-118, in partic. 83, senza alcun riscontro né positivo né negativo nella successiva letteratura scientifica.
87 Nonostante Cod. Iust. II 13,1, ove si trova un riferimento al divus Claudius consultissimus princeps parens noster nella frase iniziale di una risposta giuridica indirizzata al prefetto del pretorio Aristobulo.
88 Ad es. Aur. Vict., Caes. 33,29.
89 Zos., I 40,2; per la peste: Eutr., IX 11,2; h.A. Claud. 12,2; Zos., I 46,2.
90 Aur. Vict., Caes. 33,28; epit. de Caes. 34,2; cfr. h.A Gall. 14,2; Claud. 1,3. La possibilità che Gallonio Basilio sia un’invenzione è stata ventilata da R. Syme, Emperors and Biography, cit., pp. 205-206; Id., The Ancestry of Constantine, cit., p. 250. La figura è stata invece accolta nella letteratura prosopografica precedente: PIR2 G 49; e, con riserve, PLRE I, s.v. Gallonius Basilius 5, p. 149.
91 Aur. Vict., Caes. 34,2-5; epit. de Caes. 34,3; cfr. Amm., XVI 10,3; XXXI 5,7.
92 Per la figura di Pomponio Basso, si veda PLRE I, s.v. Pomp(onius) Bassus 17, pp. 155-156.
93 Per la vicenda dei Decii della media Repubblica, si veda NP III, K.-L. Elvers, s.v. Decius, p. 347 nn. [I 1] e [I 2]. Si noterà inoltre che la devotio del figlio fornì la trama di una tragedia – Aeneadae sive Decius – di Accio: Tragicorum Romanorum Fragmenta3, pp. 326-328.
94 Aur. Vict., Caes. 41,8 (e anche 41,2); Ch. Habicht, Zur Geschichte des Kaisers Konstantin, in Hermes, 86 (1958), pp. 360-378.
95 T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 100-103.
96 PLRE I, s.v. Constantinus 3, p. 223.
97 RIC VII pp. 180, 252, 310, 311, 312, 395, 430, 503.
98 Per la possibilità di un intervento da parte di Fausta cfr. P. Maraval, Constantin le Grand. Empereur romain, empereur chrétien (306-337), Paris 2011, p. 144.
99 Cfr. T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power, cit., pp. 102-103.
100 h.A. Gord. 34,5: «Si dice che Licinio abbia rovesciato questo monumento nel momento in cui si è impossessato dell’Impero, perché voleva che si dicesse che egli fosse un discendente dei Filippi».
101 Per Filippo I e i cristiani si veda E. dal Covolo, I Severi e il cristianesimo. Ricerche sull’ambiente storico-istituzionale delle origini cristiane tra il secondo e il terzo secolo, Roma 1989.
102 In mancanza di altri indizi, tuttavia, è meglio continuare a ritenere che i nomi attribuiti dall’autore dell’Historia Augusta ai vari membri della famiglia di Claudio II direttamente collegati con l’ascendenza costantiniana siano il prodotto dell’immaginazione di questo autore.
103 epit. de Caes. 34,2: «Molti sono dell’avviso che quest’uomo sia stato generato da Gordiano, mentre quest’ultimo, da adolescente, imparava il sesso da una donna più grande».
104 R. Syme, The Ancestry of Constantine, cit., p. 251.
105 Per dubbi, però, si veda, LTUR II, W. Eck, s.v. domus: M. Antonius Gordianus, pp. 34-35.
106 Cfr. Hdt., I 13,2, per l’interpretazione della caduta di Creso come vendetta degli Eraclidi.
107 Cod. Iust. XI 59,1: «Visto che il divus Aurelianus nostro parente ordinò che i consigli delle città fossero tenuti responsabili dei terreni abbandonati». Cfr. P. Maraval, Constantin le Grand, cit., p. 225; cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government, AD 284-324, revised edition Oxford 2000, p. 67 nota 158; PLRE I, s.v. Capestrinus, p. 179.
108 Oratio ad sanctorum coetum 24,3. Lact., mort. pers. 6; Eus., h.e. VII 30,20-21; cfr. Iul., Caes. 313d-314a; Eutr., IX 14.
109 Cfr. J.G. Keenan, The Names Flavius and Aurelius as Status Designations in Later Roman Egypt, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 11 (1973), pp. 33-63; 13 (1974), pp. 283-304.
110 PLRE I, s.v. Sex. Claudius Petronius Probus 5, p. 736; cfr. OCD3, p. 1250.
111 PLRE I, s.v. Sex. Claudius Petronius Probus 5, p. 737 inscr. 18.
112 A. Giardina, Claudii e Probi, in Helikon, 15-16 (1975-1976), pp. 308-318.
113 «Molti dicono che Probo fosse parente di Claudio, un ottimo e santissimo imperatore. Tuttavia, visto che tale notizia è riportata da un singolo autore greco, noi la lasceremo in sospeso. Dico solo questo, di ricordarmi di aver letto in un’efemeride che Probo fosse stato sepolto da sua sorella Claudia», h.A. Prob. 3,3.
114 Cfr. F. Paschoud, Nicomaque Flavien et la connexion byzantine (Pierre le Patrice et Zonaras): À propos du livre récent de Bruno Bleckmann, in Antiquité Tardive, 2 (1994), pp. 71-82, in partic. 82.
115 h.A. Prob. 24,2: «Non posso comunque passare sotto silenzio il fatto che, allorché un ritratto di Probo fu colpito da un fulmine nella zona di Verona, di modo che ne risultò alterato il colore della sua pretesta, gli aruspici predissero che i discendenti di questa famiglia avrebbero goduto di tale rinomanza in senato, da arrivare a rivestire, tutti, le più alte cariche», trad. it. P. Soverini, in Scrittori della Storia Augusta, a cura di P. Soverini, Milano 1993.
116 Iul., Or. I 1,6c -7a: «È forse opportuno, a questo punto, parlare brevemente della tua nobiltà. Ancora una volta non so da dove devo cominciare. Avi, nonni, genitori, fratelli, cugini, parenti, tutti, nella tua famiglia, furono sovrani. Alcuni acquisirono legittimamente l’impero da soli, altri furono adottati dai regnanti. A che scopo richiamare cose antiche? Ricordare Claudio, presentare le prove universalmente note della sua virtù; rievocare le battaglie contro i barbari che abitano al di là del Danubio, come egli abbia acquisito l’impero nel rispetto delle leggi divine e di quelle umane, e rimembrare la semplicità del suo stile di vita quando regnava, e quella sobrietà nel vestire che ancor oggi ammiriamo nei suoi ritratti?», trad. it. I. Tantillo, in Id., Prima orazione di Giuliano a Costantino. Introduzione, traduzione e commento, Roma 1997.
117 Iul., Or. III 51A-52A.
118 Iul., Caes. 313 D: «Quindi entrò Claudio: tutti gli dei guardarono a lui e, ammirando la sua grandezza d’animo, accordarono alla sua discendenza l’Impero, ritenendo giusto che la stirpe di un uomo così amante della patria detenesse il potere il più possibile», trad. it. R. Sardiello, in Simposio. I Cesari, a cura di R. Sardiello, Lecce 2000.
119 PLRE I, s.v Fl. Claudius Iulianus 29, p. 477.
120 Anon. Vales., I 1,1.
121 A. Enmann, Eine verlorene Geschichte der römischen Kaiser und das Buch De Viris Illustribus Urbis Romae. Quellenstudien, in Philologus, Supplementband IV, 3 (1883), pp. 335-501.
122 Aur. Vict., Caes. 34,7.
123 Eutr., IX 22,1.
124 Hier., chron. a. Abr. 290.
125 h.A. Claud. 13,2.