La Francia del 2015 è in preda a una profonda crisi identitaria. Il malessere francese parte da lontano. È dall’esaurimento della fase dei ‘gloriosi trent’anni’ (1945-75) che la Francia si interroga e, guardandosi allo specchio, ritrova l’ombra di se stessa. Questa sindrome del declino si è aggravata con l’esplodere della crisi economica e si è ulteriormente acuita nel corso della presidenza Hollande, come testimoniano le tante Cassandre che annunciano a colpi di best seller (si pensi, tra il 2014 e il 2015, ai successi di Nicolas Baverez, Michel Houellebeck, Eric Zemmour o Emmanuel Todd) la fine della Repubblica e il ‘suicidio’ francese. Un’angoscia che si manifesta sotto molteplici forme: clima generalizzato di antipolitica, trionfo del voto sanzione, populismo virulento impersonato da Marine Le Pen, radicale euroscetticismo, tensioni xenofobe e timori di una progressiva islamizzazione della società.
Una percezione diffusa di declino nazionale il cui primo combustile è evidentemente la crisi economica, con la sua preoccupante coda di 3,5 milioni di disoccupati. Su questo terreno il 2015 non ha portato l’attesa inversione di rotta. Apertosi a gennaio con il sorpasso da parte del Regno Unito sulla Francia come quinta potenza economica mondiale, è proseguito con la stagnazione registrata al secondo trimestre, che si è accompagnata a un incremento sostanziale del debito pubblico, che a ottobre 2015 ha raggiunto il 97% del PIL (a fronte del 64,4% ereditato da Sarkozy nel 2007 e dell’85,2% lasciato da quest’ultimo a Hollande nel 2011). A confermare queste difficoltà è intervenuto, a settembre 2015, il taglio del rating francese (da AA1 a AA2) operato da Moody’s. L’agenzia americana ha sottolineato come l’anemia economica transalpina proseguirà a medio termine a causa dei vincoli istituzionali e politici che nell’attuale contesto si sommano a un alto tasso di disoccupazione strutturale e alla perdita di quote di mercato internazionale.
Proprio la dimensione esterna rappresenta un ulteriore elemento di crisi identitaria per una nazione abituata a giocare un ruolo geopolitico di primo piano. Se l’ultimo biennio ha fatto registrare un ritrovato attivismo francese tanto in Medio Oriente quanto in Africa, il declino internazionale di Parigi è visibile soprattutto in Europa dove lo storico asse franco-tedesco appare ormai un ricordo del passato. L’arrivo di Hollande all’Eliseo era stato presentato come l’occasione per ridefinire alleanze ed equilibri nell’Eu, con l’obiettivo di porre fine alla spirale d’austerità imposta dal tandem Merkel-Sarkozy e rilanciare la crescita. Verificata l’impraticabilità di una rivendicazione di autonomia da Berlino e consapevole del potenziale divisivo delle tematiche europee all’interno del proprio partito e dell’opinione pubblica, Hollande sconta una crescente marginalità nell’Eu (emblematica l’irrilevanza di Parigi a fronte del protagonismo tedesco nell’emergenza migratoria dell’estate 2015). L’ultimo fronte di questa crisi identitaria è propriamente politico e investe direttamente la massima carica istituzionale francese. Da subito il crollo di popolarità del capo dello stato è stato impressionante. A partire dal 2013 Hollande ha ripetutamente battuto qualsiasi record negativo nella storia della Quinta Repubblica: il 70% di scontenti raggiunto da Chirac nel giugno 2006 e il 72% totalizzato nell’aprile 2011 da Sarkozy sono stati superati da Hollande già dalla primavera 2013; a ottobre 2015, prima degli attentati del 13 novembre, la percentuale di coloro che si dichiarano scontenti dell’attuale capo dello Stato toccava il 76%.
Al pari del suo predecessore Hollande sconta un’incapacità di risultati di fronte alla crisi ma esiste anche un problema specifico legato alla sua figura e alla sua interpretazione della funzione presidenziale. Se l’immagine di una ‘presidenza normale’ si è rivelata molto utile durante la campagna elettorale, una volta all’Eliseo essa ha rappresentato un’anomalia all’interno di un sistema politico caratterizzato da una tradizionale solennità della funzione, in cui il capo dello stato assurge al ruolo di vero e proprio monarca repubblicano, soprattutto in tempi di crisi e di angoscia collettiva. Tuttavia se il contesto politico resta estremamente difficile e Hollande appare oggi come il più debole tra i presidenti della Quinta Repubblica, il clima nei suoi confronti è progressivamente cambiato nel corso del 2015. Dai tragici attentati terroristici di gennaio e novembre Hollande non è più guardato dai francesi come un capo dello stato assente e molle ma come un presidente rispettabile. Questo non ha modificato in maniera sensibile il suo livello di popolarità né consente di ipotizzare che Hollande possa rivaleggiare con Marine Le Pen o Sarkozy nella corsa all’Eliseo del 2017. Ma il cauto recupero di autorevolezza presidenziale rappresenta un barlume di speranza di arginare il disincanto democratico che da anni ha investito la Francia, convincendola dell’inevitabilità del suo declino.