Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Contro le previsioni kantiane, logica formale e psicologia hanno fiorenti sviluppi nell’Ottocento. Basandosi soprattutto sul pensiero di Herbart e Bolzano, si afferma in Austria una tradizione ostile all’idealismo poi proseguita da Brentano, il cui recupero dell’intenzionalità rilancia temi ontologici e fenomenologici. Gli allievi di Brentano come Marty, Meinong, Twardowski e Stumpf oscillano tra posizioni di tipo psicologistico e una filosofia intesa come analisi concettuale rigorosa.
Logica e psicologia dopo Kant
Punto di partenza obbligato per l’analisi di questo periodo è un cenno alla posizione di Kant in merito alla logica formale e alla psicologia empirica. Da un lato, Kant riassorbe alcune istanze di queste due discipline rispettivamente nella sua logica “trascendentale” e nell’antropologia pragmatica. Più in generale, però, in alcune celebri pagine della Critica della ragion pura e nei Primi principi metafisici della scienza della natura, Kant pronostica per la logica formale e per la psicologia empirica, intesa come scienza, un futuro privo di sviluppi degni di nota. I fatti, notoriamente, si sono incaricati di smentire entrambi questi pronostici su tutta la linea. Fin dall’Ottocento la logica formale si sviluppa in modo assai fiorente perlopiù in contrasto col trascendentalismo kantiano e con l’idealismo; e così pure la psicologia, la quale tuttavia attraversa un percorso meno lineare e non sempre altrettanto ostile a istanze di matrice neokantiana. Tra i primi a difendere un approccio psicologico alla filosofia è Jakob Friedrich Fries, che nella Neue oder anthropologische Kritik der Vernunft [1807, Nuova critica della ragione] distingue tra contenuto e oggetto del conoscere: nel suo esercizio critico la ragione ha come “oggetto” i giudizi sintetici a priori, di cui consta il conoscere, ma di questo suo “contenuto” essa giudica necessariamente a posteriori. Non può esserci una conoscenza del tutto a priori dell’a priori: da qualche parte un riferimento all’esperienza psicologica va introdotto, e di fatto lo stesso Kant lo introduce. Fries promuove dunque una posizione che andrà sotto il nome di “psicologismo”, ma in una versione che non implica affatto lo “psicologismo logico”, ossia la riconduzione delle leggi del pensiero a modi di funzionamento della mente umana. Questa posizione si svilupperà invece perlopiù lungo percorsi diversi: da un lato, sulla scorta di alcune tesi di Friedrich Adolf Trendelenburg, autore delle Logische Untersuchungen [Ricerche logiche]; dall’altro, più scopertamente, presso autori eclettici come Christoph Sigwart (1830-1904) e, almeno in una prima fase, Theodor Lipps. Fries distingue invece rigorosamente il piano metafisico degli oggetti da quello gnoseologico dei contenuti, polemizzando pertanto con Eduard Beneke, che fonda l’intera filosofia sul metodo genetico dell’indagine psicologica. Per diverse ragioni, tra le quali l’antagonismo con Hegel e il suo allontanamento dall’insegnamento per motivi politici (il reintegro avvenne come professore di matematica e fisica), la fortuna di Fries è più limitata di quanto la caratura del suo pensiero possa lasciare supporre.
Molto più marcata è l’influenza di Johann Friedrich Herbart e di Bernhard Bolzano. Pur percorrendo strade diverse, questi due filosofi indirizzano in modo determinante la filosofia nell’Impero asburgico, dove avrà poi altrettanta influenza solamente Franz Brentano. Ora, mentre i primi due autori sono decisamente antipsicologisti, il caso di Brentano è in parte diverso: la complessità della posizione brentaniana si riflette nelle oscillazioni tra psicologismo e antipsicologismo rilevabili nella sua scuola. Dopo una premessa generale, considereremo dunque il pensiero di Herbart, Bolzano e Brentano per poi passare allo studio di alcuni autori legati a quest’ultimo, come Anton Marty, Alexius Meinong, Alois Höfler, Kazimierz Twardowski e Carl Stumpf.
La filosofia austriaca e le sue fonti
Messa a confronto con la tradizione tedesca nella quale hanno un ruolo di spicco idealismo e neokantismo, la filosofia austriaca presenta alcune specificità i cui caratteri verranno emergendo. Tuttavia, sarebbe sbagliato immaginare che essa si sia mossa su binari totalmente autonomi. Questa diffusa tesi storiografica affonda le radici nel desiderio tutt’altro che neutrale ed evidenziabile fin da La concezione scientifica del mondo (1929), il manifesto del Circolo di Vienna, di individuare in Austria una compatta tradizione alternativa all’idealismo, capace di condurre direttamente alla nuova filosofia “scientifica” collocandosi alle radici della filosofia analitica. Diversi fattori inducono però a relativizzare questa immagine. Va considerata anzitutto l’importanza di figure come quella di Hermann Lotze, che a Gottinga è maestro di Gottlob Frege ma che ha contatti strettissimi con la scuola di Brentano (pensiamo a Marty, Stumpf, Husserl). In senso analogo depongono la diffusione dello herbartismo ma anche la biografia di Brentano, che da Würzburg giunge a Vienna, come si dirà, per ragioni contingenti; nonché, per converso, quella di Stumpf, suo allievo prediletto, che per interessamento di Dilthey ottiene una cattedra a Berlino. La filosofia austriaca è quindi tutt’altro che autarchica, benché sia senza dubbio impermeabile all’idealismo e al neokantismo. E tale impermeabilità, sopratutto, non va ricondotta a uno speciale genio mitteleuropeo, ma è riconducibile a circostanze storiche ben precise. Il sistema educativo dell’impero asburgico adotta infatti assai per tempo provvedimenti volti ad escludere Kant e l’idealismo dai curricola scolastici e accademici, privilegiando invece la diffusione del pensiero di Herbart. Successivamente, Brentano opera in modo non meno mirato ad affermare e consolidare l’influenza della propria scuola in seno a quella che nell’immortale definizione di Robert Musil (che studia con Stumpf a Berlino) diverrà la “Kakania”, dalla sigla K.-K. per “imperial-regio”. La specificità della filosofia austriaca è dunque frutto di politiche culturali dietro le quali non è difficile intravedere preoccupazioni legate alle vicende politiche (prima e dopo il 1848) congiunte a questioni di natura confessionale – anche se, nell’intento di privilegiare il punto di vista cattolico, l’Austria finisce con l’osteggiare filosofi della caratura di Bolzano e Brentano.
Herbart e la “psicologia come scienza”
Il progetto della Psychologie als Wissenschaft [1824-1825, Psicologia come scienza], che Herbart vuole fondata sulla metafisica, sull’esperienza e sulla matematica, nasce dall’insoddisfazione verso la concezione kantiana e fichtiana dell’io, che non può essere né mera funzione trascendentale, né soggetto di una posizione d’essere che è assoluta ma inservibile, perché indifferenziata. Sul piano metafisico, Herbart aggiorna la metafisica leibniziana riaffermando la sostanzialità dell’anima. L’esperienza, poi, mostra che le rappresentazioni vengono e vanno: esse crescono di intensità fino a occupare l’intera scena psichica e poi nuovamente scomparire al sopraggiungere di altre rappresentazioni. Nell’ipotesi di una “capacità” complessiva dell’anima e della reciproca “inibizione” tra le rappresentazioni, Herbart escogita un sofisticato sistema di calcolo della loro “forza” reciproca. Naturalmente il fenomeno è solo in parte accessibile alla percezione interna: voler cogliere il decrescere delle rappresentazioni fino alla “soglia” della coscienza sarebbe come pretendere di assistere al proprio addormentamento, perché dedicando attenzione a una certa rappresentazione le si impedisce appunto di scomparire dalla coscienza. Herbart studia attentamente le condizioni dell’equilibrio (“statica dello spirito”) e del decorso nel tempo (“meccanica dello spirito”) delle serie di rappresentazioni. Diversamente da quanto pensava Kant, è dalla “complicazione” e “fusione” delle rappresentazioni che derivano le idee di spazio e tempo. Analogamente, anche le categorie non vanno intese nel senso kantiano, ossia a priori. Ogni rappresentazione si riallaccia a ciò che è precedentemente e simultaneamente nella coscienza (spazio/tempo), nonché a ciò la cui riproduzione essa favorisce (concetti). In tal modo, Herbart può distinguere nettamente la genesi psicologica del concetto dal valore ideale del medesimo e intendere la logica in modo indipendente dalla psicologia, come verrà ribadito nella sua scuola ad esempio da Moritz Wilhelm Drobisch (1802-1896).
Rispetto alla linea di sviluppo della psicologia scientifica che passa dalla “psicofisica” di Gustav Theodor Fechner (1801-1887) per giungere alla fondazione da parte di Wilhelm Wundt, a Lipsia, del primo laboratorio di psicologia sperimentale, lo herbartismo impone un approccio più filosofico alla psicologia, che ha una parte molto rilevante nel pensiero austriaco. Rinunciando alla misurazione degli stimoli fisici, ma non all’ideale di scientificità e all’uso della matematica, la psicologia herbartiana finisce per risultare compatibile con le idee dei fisiologi della scuola praghese come Jan Purkinje o Ewald Hering. Questi oppongono al più o meno esplicito neokantismo dei colleghi tedeschi della scuola di Johannes Müller – come Hermann von Helmholtz – sostenitori del principio delle energie nervose specifiche, idee e principi che in parte rimontano alla scienza della stagione romantica e alla Teoria dei colori di Goethe. Nella sua fortunata Analisi delle sensazioni (1886) anche Ernst Mach insiste anzitutto sugli aspetti qualitativi della percezione in generale, e in particolare delle forme spaziali. Questo genere di approccio riceve poi grande impulso quando Christian von Ehrenfels, nel celebre scritto Le qualità figurali, sviluppa le idee machiane alla luce della lezione brentaniana dell’intenzionalità, giungendo a una teoria che rappresenta un’importante stazione lungo la strada verso la teoria della Gestalt . Ad ogni modo, l’influenza di Herbart nell’Impero asburgico non si limita alla psicologia scientifica ma si estende alla pedagogia e all’estetica, non ultima quella musicale con l’influente saggio Il bello musicale (1854) di Eduard Hanslick, che, pur muovendo da presupposti teorici eclettici trova appoggio nel praghese Robert Zimmermann (1824-1898), l’allievo di Bolzano poi avvicinatosi allo herbartismo.
Logica e matematica nell’opera di Bolzano
Presi i voti nel 1800, Bernhard Bolzano diviene docente di scienza religiosa a Praga, dove la sua adesione alla causa boema e a principi progressisti gli aliena tuttavia le gerarchie al punto da essere sospeso dall’insegnamento. Recuperando al pari di Herbart la nozione leibniziana di forza, Bolzano intraprende un sistematico smantellamento degli esiti della dialettica trascendentale kantiana. Per quanto riguarda in particolare la psicologia, Bolzano si spinge in Athanasia (1827) a una dimostrazione razionale dell’immortalità dell’anima – concetto al quale Kant aveva invece notoriamente rinunciato. Semplificando, si potrebbe dire che mentre Herbart riforma la psicologia empirica allontanandola dalla vecchia psicologia delle facoltà, Bolzano rifonda la psicologia razionale, sicché non meraviglia la loro compatibilità di fondo a dispetto delle oggettive differenze di stile e linguaggio. Ma sopratutto, nella Wissenschaftslehre [1837, Dottrina della scienza] Bolzano sviluppa la logica, ben più ampiamente di Herbart e secondo modalità decisamente innovative. Sono soprattutto la nozione di “rappresentazione in sé” e di “proposizione in sé” a connotare la posizione bolzaniana in senso rigorosamente antipsicologistico. Rappresentazioni e proposizioni in sé non sono il correlato di un atto psichico, né di una formulazione linguistica, la cui presenza o assenza non ne intacca in alcun modo la natura. Bolzano difende dunque un deciso platonismo semantico. Pur mancando ancora di un’assiomatica formalizzata, Bolzano anticipa così la moderna logistica in quanto definisce a partire dal regno dall’inseità logica tutte le principali nozioni della disciplina. In campo matematico i meriti di Bolzano non sono poi inferiori, in quanto formula per primo la teoria detta degli insiemi anticipando il lavoro di Cantor. L’influenza di Bolzano sul pensiero del tempo è ostacolata dalla sua figura politicamente scomoda, ma giunge per varie strade a indirizzare la filosofia austriaca con particolare riguardo alla logica e alla pedagogia.
Franz Brentano e l’intenzionalità della coscienza
Ordinato sacerdote cattolico e ottenuta la cattedra di filosofia a Würzburg, Brentano attraversa dopo il 1870 una crisi religiosa in parte dovuta alla sua opposizione al dogma dell’infallibilità papale, che lo conduce ad abbandonare l’abito. Costretto a lasciare l’insegnamento a Würzburg, Brentano ottiene la docenza a Vienna, ma l’intenzione di prender moglie lo induce ad abbandonare momentaneamente l’Austria e la cattedra di professore ordinario alla quale, contrariamente alle sue aspettative, per esplicita opposizione imperiale non verrà mai più chiamato. Da libero docente, Brentano tiene a Vienna per un quindicennio lezioni affollate da figure di primo piano della cultura del tempo. Lasciato l’insegnamento, Brentano si stabilisce dapprima in Italia e infine in Svizzera. Docente di eccezionali qualità, Brentano influenza profondamente la filosofia del tempo, anche grazie alle attività divulgative della Società filosofica viennese da lui fondata. Ma il suo pensiero è destinato a lasciare una profonda traccia nel panorama filosofico contemporaneo generale: da un lato, Brentano è all’origine di movimenti di pensiero molto influenti quali la fenomenologia di Husserl; dall’altro, senza il rilancio brentaniano della nozione di intenzionalità nella Psicologia dal punto di vista empirico (1874) non si comprendono ampi settori del dibattito nella filosofia analitica contemporanea.
Brentano ritiene che il metodo della filosofia debba essere quello della scienza naturale. Tuttavia, con ciò Brentano non si allinea tanto all’empirismo positivista quanto ad Aristotele, alla cui metafisica e psicologia egli dedica importanti contributi giovanili, tra cui lo scritto La psicologia di Aristotele (1867). Recuperando parallelamente un aspetto della filosofia cartesiana, Brentano ritiene che la massima evidenza conoscitiva si debba assegnare alla “percezione interna”, non a quella “esterna”. È qui il fondamento della “psicologia descrittiva” (o “psicognosia”) brentaniana, nella quale gioca un ruolo centrale la tesi dell’intenzionalità. La coscienza è caratterizzata, per Brentano, da quello che la scolastica medievale indicava con “intenzionalità”, ossia l’essere rivolto verso un oggetto: la sensazione al sentito, la rappresentazione al rappresentato, il sentimento e il desiderio all’oggetto sentito o desiderato, il giudizio a quello che Stumpf, con espressione destinata a notevole fortuna, chiamerà lo “stato di cose”. Parallelamente Brentano intraprende una riforma della logica, basata sulla riconduzione di tutti i giudizi categorici a giudizi esistenziali. Ad esempio, il giudizio “S è P” va inteso come “un SP è”. Tutti gli atti della coscienza sono allora “fondati” nella rappresentazione, che è il cardine intenzionale di tutte le specie d’atto. Per giudicare che un SP è (o per desiderare che SP sia) devo anzitutto “rappresentare” SP. Giudizi e “fenomeni di interesse”, come Brentano li chiama, sono dunque atti “sovraordinati” che si rivolgono all’oggetto intenzionato dalla rappresentazione. In Brentano, comunque, l’oggetto intenzionale cui la coscienza è rivolta è un oggetto immanente o “mentale”, non “trascendente”. Nella cosiddetta seconda fase “reista” del suo pensiero Brentano non mette in discussione questo aspetto, ma esclude che l’intenzionalità sia direttamente rivolta agli entia rationis introducendo una distinzione tra modo “diretto” e “obliquo” del rappresentare. Da questi cenni emerge solo in parte la straordinaria ricchezza tematica e la profondità delle riflessioni di Brentano, che affronta temi ontologici, psicologici, di estetica, di psicologia della percezione, di etica e di filosofia della storia con altrettanta freschezza di approccio. Saranno i suoi allievi a sviluppare aspetti che nella dottrina brentaniana si trovavano inestricabilmente interconnessi, per lo più andando al di là di quelle che erano le sue intenzioni, in qualche caso (Meinong, Husserl) con suo grande disappunto.
La scuola di Brentano
Lo svizzero Anton Marty, assieme al tedesco Carl Stumpf, è tra i discepoli più legati a Brentano: entrambi lo seguono nelle alterne vicende religiose. Docente a Praga, Marty sviluppa in particolare nelle Untersuchungen zur Grundlegung der allgemeinen Grammatik und Sprachphilosophie (1908) una teoria del linguaggio basata sulla psicologia descrittiva brentaniana. Per Marty il linguaggio esprime una comunicazione mirata, dunque “intenzionale” anche nel senso corrente del termine, non solo in quello tecnico brentaniano. Marty distingue espressioni autosemantiche (ad esempio i nomi) e sinsemantiche (ad esempio, congiunzioni o preposizioni): della prima categoria fanno parte i contenuti della rappresentazione, del giudizio e dei fenomeni di interesse. Il contenuto del giudizio, che corrisponde alla “proposizione in sé” di Bolzano o allo “stato di cose” di Stumpf, è inteso come significato della proposizione. Ciò è possibile perché Marty aderisce alla riforma brentaniana della logica: la proposizione “S è P”, trasformata in “un SP è”, è quanto il parlante suggerisce all’interlocutore per così dire reduplicando l’intenzionalità. Tuttavia lo statuto ontologico del significato, per Marty, non è quello dell’idealità della specie, come accade in Husserl: il significato non “è” ma “diviene”, o meglio “co-diviene” all’interno della situazione comunicativa. Marty risolve così diversamente dal secondo Brentano il problema dell’ontologia dei contenuti del giudizio, aprendo la strada a una filosofia del linguaggio che influenzerà tra gli altri Karl Bühler e che presenta anche oggi tratti di notevole attualità.
A Graz, Alexius Meinong sviluppa una filosofia al cui centro si colloca la “teoria dell’oggetto”. Meinong muove da un’analisi psicologica delle relazioni, distinguendo tra “collettivi” (collezioni di oggetti indipendenti), “relazioni” tra elementi (a, b) e “complessioni”, che abbracciano la relazione assieme agli elementi stessi. La somiglianza tra due colori (a, b) esemplifica il caso della relazione, una melodia (r, le cui note siano a, b, ecc.) quello della complessione. Ne segue, per Meinong, che alcuni oggetti sensibili (la melodia) sono di natura ideale; mentre per converso esistono pure relazioni di natura reale, come ad esempio la “fusione tonale” di Stumpf. Nella fase matura, che si apre con il volume da lui curato Untersuchung zur Gegenstandstheorie und Psychologie (1904), Meinong introduce una più rigorosa distinzione tra psicologia e teoria dell’oggetto. Seguendo una distinzione di Twardowski di cui si dirà, Meinong non ritiene più che complessioni e relazioni siano “contenuti fondati” ma “oggetti fondati” ovvero “oggetti di ordine superiore”. Si apre così la strada verso la matura teoria dell’oggetto: in corrispondenza di rappresentazioni, giudizi, sentimenti e desideri si hanno per Meinong quattro specie primarie di oggetti (Gegenstände): obietti (Objekte), obiettivi (Objektive), valutativi, desiderativi. Meinong distingue tra le diverse modalità presenziali degli oggetti in questione, cui può competere l’“essere” o l’“extra-essere” (Außersein); e nell’ambito dell’essere l’“esistere” (nel tempo), proprio degli oggetti reali, o il “sussistere” (atemporale), tipico di quelli ideali. La teoria dell’oggetto non è quindi propriamente un’ontologia perché tematizza non l’essere, ma principalmente l’“essere-così” (l’“essere-cosa” e l’“essere-come”) degli oggetti, nella fondamentale ipotesi dell’indipendenza dell’essere-così dall’essere. L’indifferenza alla realtà e la moltiplicazione delle specie degli oggetti esporranno Meinong ad alcune celebri critiche del Bertrand Russell teorico della denotazione e di Gilbert Ryle, il quale parlerà di una “giungla” ontologica. Sotto il profilo psicologico, Meinong applica sistematicamente la distinzione tra il modo della realtà e quello della fantasia, distinguendo ad esempio sentimenti reali e sentimenti fantastici, che si rivelano particolarmente utili nella teoria estetica sviluppata dall’allievo Stephan Witasek (1870-1915). In particolare, in Über Annahmen (1902) Meinong affianca al giudizio in senso ordinario una forma meramente presuntiva di giudizio che egli chiama “assunzione”, nella quale si giudica senza tener per vero quanto si viene affermando. Nell’ambito della scuola di Graz, i temi psicologici sono sviluppati soprattutto da Vittorio Benussi (1878-1927), tra i padri fondatori della psicologia italiana. Nella Logik (1890) di cui è coautore assieme a Meinong, Alois Höfler (1853-1922), allievo anche di Ludwig Boltzmann, sviluppa invece una logica ispirata ai principi meinongiani della prima fase.
Twardowski e la scuola di Leopoli
Con la pubblicazione di Contenuto e oggetto (1894), dissertazione sostenuta a Vienna sotto la guida di Brentano, Kazimierz Twardowski incide profondamente sul pensiero del tempo. Animato dal proposito di fondare una scuola filosofica in Polonia, Twardowski realizza il proprio intento dando inizio alla scuola cosiddetta di Leopoli-Varsavia, che annovera tra i suoi esponenti alcuni insigni logici e filosofi del Novecento. Twardowski integra la psicologia brentaniana ponendo l’accento sulle difficoltà derivanti dalla mancata distinzione tra contenuto e oggetto del rappresentare. Come mostrano i casi di oggetti impossibili o inesistenti (il quadrato rotondo, la montagna d’oro), il contenuto della rappresentazione, che in quanto tale è reale come in tutti gli altri casi, va tenuto distinto dall’oggetto che è qui invece chiaramente inesistente. Inoltre, il medesimo oggetto può essere intenzionato da contenuti del tutto diversi: la “città natale di Mozart” e la “città che sorge sul sito di Juvavum” identificano il medesimo oggetto, ma i due contenuti non sono identificabili. Come si è detto, la distinzione in questione è decisiva per l’abbandono di precedenti posizioni da parte di Meinong, ma influenza anche Husserl, il quale però accusa Twardowski di psicologismo. Nel complesso, Twardowski sviluppa tuttavia strumenti atti a contrastare efficacemente lo psicologismo, come mostrano i fiorenti sviluppi della logica formale nella scuola polacca. Carl Stumpf insegna a Würzburg, Praga, Halle, Monaco e Berlino: la difficoltà a inquadrarlo senz’altro nella “filosofia austriaca” è uno degli esempi della necessità di non circoscrivere troppo rigidamente tale nozione. Stumpf prende alla lettera il principio brentaniano che il metodo della filosofia coincida con quello della scienza, adottando una prassi che include una nozione moderna di scienza e il ricorso alla sperimentazione. Nella prolusione rettorale berlinese, pubblicata con il titolo La rinascita della filosofia (1907), Stumpf teorizza che l’esercizio della filosofia debba associasi con quello della pratica scientifica, non limitata all’ambito delle scienze dello spirito. Solo così la filosofia può risollevarsi dalla decadenza in cui l’ha gettata l’idealismo, senza però cedere terreno al rifiuto positivisitico della metafisica. Stumpf riforma la psicologia brentaniana ribattezzando i due poli della relazione intenzionale “funzioni psichiche” e “apparenze” (Erscheinungen). La psicologia è la più fondamentale delle scienze dello spirito: essa utilizza come materiale primario le funzioni psichiche, mentre la fisica e tutte le scienze naturali si basano su un’elaborazione compiuta a partire dalle apparenze. Vi sono poi “pre-scienze” che si occupano delle apparenze in quanto tali: la fenomenologia, la teoria generale dei rapporti e l’eidologia. La fenomenologia è però intesa diversamente da Husserl, col quale Stumpf polemizza aspramente ancora nella postuma Erkenntnislehre (1939-1940): vi sono certo delle ontologie regionali, ma la “fenomenologia pura” husserliana è il nirvana dei santoni che si fissano l’ombelico, dato che a livello generale valgono esclusivamente i ben noti assiomi logici. La metafisica risulta invece una “post-scienza” mirante a chiarire il nesso unitario che lega gli oggetti delle diverse discipline. La filosofia è dunque la disciplina più universale e intrattiene una relazione stretta con la la psicologia, senza che vi siano assunti di tipo psicologistico. Questo approccio impone l’abbandono del postulato brentaniano dell’evidenza della percezione interna, alla quale Stumpf preferisce l’“affidabilità” dei giudizi, passibile di verifica intersoggettiva. Su questa base, fin dalla Tonpsychologie (1883-1890), Stumpf sviluppa un’articolata dottrina della percezione musicale, il cui costrutto più noto è la dottrina della fusione tonale: il rapporto tra due contenuti in base al quale questi costituiscono una sola sensazione. Grazie a studi di questo genere, Stumpf influenza in modo determinante gli sviluppi della psicologia della Gestalt, i cui fondatori svolgono tutti studi a Berlino sotto la sua guida.