La farmacologia nello sport e il doping
L'uomo da sempre cerca di accrescere le sue possibilità nella lotta e negli sport. In parte questi tentativi si basano su norme dietetiche oppure su metodi per potenziare i muscoli. Sostanze stimolanti, paragonabili ai moderni mezzi doping, sono per la prima volta attestate in relazione ai leggendari 'Berserkers' della mitologia norvegese, che si tramanda aumentassero la loro forza combattiva usando la bufoteina, un farmaco
ottenuto dal fungo Amanita muscaria, i cui effetti duravano per un giorno ed erano seguiti da un forte senso di stanchezza e di debolezza.
Gli atleti greci tentavano di migliorare le loro prestazioni ai Giochi Olimpici con tutti i mezzi possibili. Nel 2° secolo d.C. Galeno di Pergamo, il più insigne medico dell'antichità classica, intraprese lunghi viaggi per conoscere le droghe d'Oriente e tramandò notizie di vari stimolanti usati dagli antichi atleti e dai gladiatori. Rapporti dettagliati sono giunti dai territori latini e sudamericani, dove diversi stimolanti, dall'innocuo matè, al tè, al caffè fino alle foglie di coca (Erythroxylon coca), furono usati per aumentare il rendimento e calmare la fame nel corso delle lunghe marce. Gli abitanti di alcune regioni dell'Africa tropicale hanno usato sin dall'antichità Cola acuminata e Cola nitida durante le competizioni di marcia e di corsa. Il 'pituri' per gli aborigeni australiani e il grande consumo di caffè per l'esercito del Potomac durante la guerra civile nord-americana rappresentano ancora altri tentativi di potenziamento della capacità fisica.
L'uomo in generale, e non solo l'atleta, ha sempre tentato di utilizzare i farmaci per migliorare la qualità della vita e le prestazioni del proprio corpo. I progressi ottenuti in campo farmacologico, specialmente a partire dagli inizi degli anni Quaranta, hanno fornito un gran numero di sostanze realmente 'miracolose'. La ricerca ha poi portato alla sintesi di nuove molecole, più potenti e capaci di modificare la fisiologia dei vari sistemi organici. L'utilizzo dei farmaci per controllare tutte le malattie si è diffuso gradualmente assieme all'aspettativa che questi fossero capaci di risolvere tutti i problemi di salute. Molti sono diventati chemical junkies nell'attesa che si trovasse il farmaco capace di trattare tutti i problemi e i deficit fisiologici, patologici e psicologici.
La moderna farmacologia uscì dall'area della terapia ed entrò nel regno della ricreazione negli anni Sessanta. Con l'aiuto dei media, che avviarono campagne sui farmaci utilizzabili e sui loro effetti terapeutici, fu pubblicizzato l'uso rigenerativo di essi e un gran numero di persone cominciò a farne uso al di fuori della prescrizione medica, dando inizio a un modo profano di avvicinarsi alla loro conoscenza. Basta dare una semplice occhiata a quanti tipi di farmaci da autoprescrizione (OTC, Over the counter, 'da banco') sono in vendita oggi rispetto a vent'anni fa, per avere conferma della confidenza empirica nell'automedicazione e dell'aumentata disponibilità di farmaci come pura comodità del consumatore.
La radice della parola doping non è inglese, come spesso erroneamente si crede, ma risale a un dialetto cafro parlato nell'Africa sudorientale, dal quale passò nell'Afrikaans, il linguaggio dei boeri. Il termine dopo indicava un tipo di liquore forte usato dai cafri come stimolante durante le cerimonie religiose; il suo significato si estese poi ad altre bevande stimolanti in genere. È noto che bevande eccitanti chiamate dop venivano largamente usate dai pionieri olandesi trasmigrati sulle rive dell'Hudson a fondare Nuova Amsterdam (1626), l'attuale New York.
Il termine doping appare per la prima volta in un dizionario inglese nel 1889 in riferimento a una mistura di oppio e narcotici usata per i cavalli. Già i romani nelle corse con i cocchi somministravano ai cavalli una sostanza chiamata idromele, composta di miele e acqua, che si supponeva aumentasse la vigoria. Antichi allevatori, quali gli sciti nella Russia meridionale, davano stimolanti ai loro cavalli prima di andare in battaglia, per renderli più aggressivi e focosi. Il moderno doping dei cavalli e dei cani si diffuse alla fine del 19° secolo per esaltare le prestazioni degli animali nelle competizioni, con conseguente frode. Solo a partire dal 1910 l'elaborazione dei metodi antidoping permise di combattere efficacemente questo abuso.
Nel campo delle competizioni sportive umane esempi provati di vero doping si trovano a partire dalla seconda metà del 19° secolo. Ma solo dal 1930 si è assistito a un crescente interesse da parte della medicina verso i farmaci che aumentano le prestazioni. Nel 1933 il termine doping era talmente entrato nel linguaggio parlato da essere incluso nei dizionari specializzati (per es. lo Sportlexikon di O. Beckmann). Tuttavia il concetto e i limiti non erano definiti. Negli anni successivi vennero proposte dai vari autori che si occuparono dell'argomento numerosissime definizioni: "procedimento di stimolazione sleale utilizzato dall'atleta"; "uso di sostanze e pratiche stimolanti che esagerano momentaneamente il rendimento del soggetto prima e durante la gara"; "uso di artifizi atti ad aumentare il rendimento atletico nell'imminenza o nel corso delle gare", e molte altre. Solamente dal 1953 la parola indica "sostanze non alimentari usate allo scopo di aumentare artificialmente il rendimento".
La definizione di doping è allo stesso tempo importante e difficile, poiché su di essa si fondano gli interventi preventivi e repressivi. La legge dello Stato italiano 26 ottobre 1971, nr. 1099, sulla "Tutela sanitaria delle attività sportive" non reca alcuna definizione, limitandosi a demandare a un D.M. l'elenco delle sostanze vietate, idonee a "modificare le energie naturali e che possono risultare nocive alla salute". In precedenza, nel 1962, la FMSI (Federazione medico sportiva italiana) aveva dato la seguente definizione: "È da considerarsi doping ldi sostanza diretta ad aumentare artificiosamente le prestazioni di gara del concorrente, pregiudicandone la moralità, l'integrità fisica e psichica".
Il Consiglio d'Europa ha affermato nel 1973 che deve essere considerato doping "l'ingestione o l'impiego di qualsiasi sostanza fisiologica o non biologica da parte di soggetti sani avente lo scopo di migliorare artificialmente o slealmente il rendimento in competizione". Il CIO (Comitato internazionale olimpico) ha definito doping la "somministrazione o l'uso di qualsiasi sostanza estranea o fisiologica, assunta in quantità anormale o introdotta per via anomala, con la sola intenzione di aumentare, in maniera artificiale e sleale, la prestazione durante la gara". Nella riunione della Commissione medica del CIO del 1986, valida dai Giochi Olimpici di Seul del 1988, fu ufficializzata la definizione: "il doping è l'impiego di sostanze che fanno parte del gruppo degli agenti proibiti, ma anche l'attuazione di interventi illeciti come l'autoemotrasfusione".
Nel 1989 la Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati ha deliberato di considerare il doping come un "impiego surrettizio di farmaci, agenti chimici o materiali biologici, allo scopo di avvantaggiarsi in o in vista di un confronto agonistico". Secondo l'efficace interpretazione della Camera "costituisce doping l'utilizzazione da parte dell'atleta di interventi esogeni attuati con l'intento di migliorare le prestazioni al di fuori dell'adattamento indotto dall'allenamento. Per intervento esogeno si intende l'assunzione o la somministrazione, sotto qualsiasi forma, di sostanze o preparazioni naturali o di sintesi capaci di determinare nel ricevente una o più variazioni funzionali per interferenza delle loro proprietà con quelle della sostanza vivente". La proposta normativa è finalizzata a rendere attuabili nel nostro paese le previsioni della legge nr. 1099 che sono rimaste lettera morta a causa dell'evolversi delle competenze. La sostanza è distinguere nettamente il doping, vero reato da punire, dal semplice ed estemporaneo rinvenimento di sostanze nocive nei liquidi biologici. Si tende a considerare la somministrazione di farmaci a terzi, senza che vi sia necessità terapeutica, come lesione personale.
Allo stesso riguardo la definizione più rilevante è quella della Convenzione europea contro il doping nello sport firmata nel 1989 dall'Italia assieme ad altri 15 Stati che definisce doping "la somministrazione agli sportivi o l'uso da parte di questi di classi di farmaci dopanti o di metodi di doping".
Sulla base delle varie definizioni riportate, si può dedurre che il problema del doping presenta tre aspetti principali. Il primo è di etica sportiva, la quale viene letteralmente sovvertita da chi ricorre a mezzi artificiali in una competizione dove tutti i concorrenti devono trovarsi nelle stesse condizioni dinnanzi alle stesse difficoltà. Il secondo è di indole clinico-tossicologica, concernente l'uso e l'abuso di medicinali assunti da un organismo che non ne necessita, o l'assunzione di sostanze tossiche perché prese a dosi elevate. Il terzo è di profilo giuridico.
Su questa linea l'Italia ha recentemente aggiornato la propria legislazione che considera reato l'impiego delle sostanze doping con la legge 14 dicembre 2000, nr. 376 "Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping" e con il DM 15 ottobre 2002 "Approvazione della Lista dei farmaci, sostanze biologicamente e farmacologicamente attive e delle pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping, ai sensi della legge 14 dicembre 2000, nr. 376" (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nr. 278 del 27 novembre 2002, suppl. ord. nr. 217).
È opportuno rilevare che, se lo scopo del doping nella maggioranza dei casi è quello di aumentare le prestazioni, esiste anche un 'doping negativo' o 'doping a perdere', che consiste nella somministrazione di sostanze capaci di diminuire il rendimento durante una competizione. In base a questa osservazione, una definizione più precisa in fatto di doping dovrebbe riferirsi a "sostanze tendenti a modificare artificialmente il rendimento". A questo proposito è interessante annotare che in qualche occasione il doping negativo è stato utilizzato come scusa da chi è stato scoperto a far uso di sostanze stimolanti.
La natura competitiva dello sport rappresenta indubbiamente una potente spinta per gli atleti a utilizzare prodotti indirizzati a migliorare la prestazione e a ottenere un progresso nella competizione. Tuttavia l'enorme diffusione del fenomeno doping in questi ultimi decenni è soprattutto legata alla grande pressione commerciale e al professionismo nello sport. Talvolta gli interessi commerciali di un'associazione sportiva vincono qualunque considerazione di lealtà, e d'altra parte alcuni atleti, quando le loro condizioni fisiche sono deficitarie, per ottenere l'ingaggio sono costretti a ricorrere al doping. Anche la febbre del record può spingere alle droghe: l'atleta spera di ottenere da esse quell'aumento in prestazione che gli possa consentire di diventare il migliore nella propria specialità. Dunque aspetti commerciali, professionismo e corsa al record sono i veri motivi del temibile diffondersi del doping.
Studi psicologici hanno fornito spiegazioni circa l'inclinazione ad assumere sostanze dopanti, descrivendo le sindromi psicopatologiche da sport. Ogni sindrome caratterizzata dall'eccessiva paura di perdere e quindi dall'esagerato bisogno di vincere reca in sé i presupposti del ricorso a mezzi illeciti, compresi quelli farmacologici del doping, e non solo quelli. Pertanto, la diagnosi precoce di manifestazioni psicopatologiche dell'atleta è un valido mezzo per combattere il doping su un piano preventivo.
Ogni progresso tecnologico nei materiali e nelle attrezzature è stato accettato in funzione del tentativo di migliorare la performance. Allo stesso fine, grazie alla possibilità di maneggiare nuovi potenti farmaci e all'affermazione sociale della 'medicina fai da te', gli atleti ricorrono all'uso di sostanze farmacologiche ritenendo che i benefici dell'abuso dei farmaci superino di gran lunga i potenziali rischi. Negli ultimi anni sono stati approntati aiuti meccanici, farmacologici e psicologici per massimizzare la performance atletica e avvicinarla al limite fisiologico raggiungibile dall'uomo. Atleti di grande levatura possono conseguire un primato mondiale o vincere un titolo di campione del mondo con modificazioni molto piccole della propria prestazione. C'è un sostanziale accordo tra i vari gruppi atletici circa il fatto che ciò causerà lo sviluppo di un nuovo tipo di comportamento agonistico con la partecipazione a un sempre più ristretto circolo di eventi, che comporteranno la ricerca di nuovi e più potenti agenti farmacologici.
Le competizioni di alto livello spesso creano negli atleti mancanza di fiducia in sé stessi e insicurezza. Le spinte chimiche, che siano psicotrope o energetiche, diventano per alcuni importanti per continuare a gareggiare e a operare con competitività, anche in presenza di deficit di cui sono coscienti. In altri casi l'uso di farmaci 'ristoratori' negli atleti si pone strettamente in rapporto con situazioni di stress, così come avviene in ogni professione che richiede la massima performance intellettiva o fisica.
Le competizioni spesso esitano nella genesi di incidenti fisici che possono avere una ricaduta sempre maggiore sui livelli delle prestazioni. Alcuni farmaci capaci di mascherare i sintomi del malessere fisico e di permettere agli atleti di continuare nellà sportiva offrono una soluzione a breve termine al problema. Tuttavia tale comportamento conduce quasi sempre a un aggravamento del danno tissutale e quindi a un abbreviamento della carriera sportiva.
Sono state espresse opinioni molto discordanti sui mezzi e sulle sostanze da considerare 'doping'. A un estremo c'è chi condanna l'uso di ogni mezzo chimico o fisico, diete speciali, stimolazioni fisiche, radiazioni, arrivando a comprendere anche la prescrizione di trattamenti idrici e di massaggi. All'altro estremo c'è chi sostiene che il doping può essere concesso, purché praticato da tutti i concorrenti.
Alcuni ritengono che non deve essere inteso come illecito il trattamento fisico atto a ristorare l'atleta dopo la gara o quello che lo prepara alla gara stessa. Secondo altri è da considerare doping l'iniezione di caffeina, ma non una tazza di caffè accompagnata da un po' di zucchero, purché questo genere di rifornimento sia concesso a tutti gli atleti. Per altri ancora è assolutamente da bandire l'impiego di tutto ciò che può provocare un'eccitazione artificiale comportante un danno diretto per intossicazione o indiretto se si oltrepassa il limite di elasticità fisiologica oltre il quale i fenomeni topici possono diventare irreversibili.
È opinione di alcuni che nella lotta al doping non si debba generalizzare né proibire a priori la somministrazione di farmaci che il medico sportivo ritenga opportuno prescrivere per curare eventuali disturbi psicogeni. Questi autori sostengono l'utilità dei farmaci psicotropi, che in medicina dello sport troverebbero la loro indicazione non per potenziare illegalmente o pericolosamente la capacità di rendimento atletico, ma solo per liberare un atleta da determinati eventuali handicap di natura psicopatologica, che ne comprometterebbero le possibilità di successo, e riportarlo così alle sue condizioni basali.
È stato inoltre provato che alcune sostanze ergogene o ergofisiologiche integrative della nutrizione, al pari dell'ossigenazione, i massaggi, i trattamenti idrici e quelli fisioterapici, possono essere considerati del tutto innocui e anzi svolgono un'azione benefica, purché basati su precisa indicazione medica. Bisognerebbe quindi distinguere dal doping vero e proprio un 'doping onesto' effettuato sotto controllo medico.
Anche riguardo al momento della somministrazione delle sostanze considerate doping, le opinioni sono del tutto discordi. Alcuni infatti condannano l'uso di tali farmaci solo al momento della competizione e altri li condannano anche se somministrati in allenamento o durante il periodo di recupero.
Rimanendo in stretto campo medico-scientifico, l'abuso di farmaci si realizza quando la dose di un farmaco eccede gli standard posologici e terapeutici e/o non ci sono indicazioni mediche al suo impiego. Comunque, le implicazioni di ordine etico rendono ben più complesso il problema. I farmaci sono utilizzati dagli atleti per ottenere una grande varietà di effetti indirizzati al miglioramento della prestazione, includendo l'aumento dell'aggressività e della forza fisica, l'attenuazione della fatica, il miglioramento delle capacità di concentrazione mentale, la diminuzione della frequenza cardiaca, l'incremento della massa corporea, i cambiamenti nei parametri ponderali e la prevenzione dell'ansia. È evidente la non eticità dell'uso di farmaci per es. per aumentare la forza muscolare e la resistenza fisica o per favorire l'aggressività.
Alcuni farmaci possono essere indicati in certi tipi di sport e nettamente controindicati in altri: per es. l'alcol e il propanololo possono essere d'aiuto in alcune discipline, ma inibiscono la prestazione del giocatore di football. Gli ansiolitici, come per es. il Valium, sono utili per ridurre i livelli di ansia e indurre un sonno ristoratore prima della gara, ma il loro utilizzo è chiaramente contro la linea-guida approvata a livello medico per questo tipo di farmaco.
C'è da chiedersi in che misura il fatto che un farmaco sia bandito sia dovuto alla sua potenziale capacità di migliorare la prestazione atletica. Il propanololo viene assunto dai saltatori dal trampolino con gli sci per prevenire le palpitazioni prima della rincorsa per il salto: ciò concorre direttamente al miglioramento della performance, o diminuisce il rischio che l'atleta abbia problemi cardiaci?
La terapia del dolore è l'indicazione medica primaria per l'uso di analgesici. Ma anche in questo caso è difficile stabilire quando la somministrazione di un analgesico e/o di un antinfiammatorio diviene abuso. La riduzione del dolore può permettere all'atleta di continuare la propria prestazione, ma può mascherare un dolore crescente, un aggravamento della causa nociva o un danno tissutale. Alcuni atleti assumono analgesici per diminuire il dolore causato dalle sedute di allenamento di grande intensità, che è il segnale d'allarme di un danno tissutale incombente o già sopravvenuto. Un farmaco usato per sedare il dolore permette dunque di continuare l'attività con il rischio di creare un danno permanente o ingravescente. È realmente una buona medicina o rappresenta una forma d'abuso? È pratica intelligente considerare solo gli effetti positivi di tali farmaci, trascurando le conseguenze future? Ogni considerazione sull'abuso di un farmaco dovrebbe basarsi sull'analisi di un uso improprio del farmaco stesso e non sul fatto che possa o no dare un miglioramento alla prestazione atletica.
Autobiografie recenti di giocatori professionisti di baseball e football hanno permesso di conoscere nel dettaglio le finalità del doping negli sport professionistici. Stabilire quali farmaci debbano essere messi al bando e quindi controllati è sempre più difficile da quando la performance è diventata la chiave per ottenere la vittoria e la vittoria la base per ottenere larghi profitti.
La grande popolarità di cui gli atleti professionisti godono tra i media ha concentrato su di loro l'attenzione dei giovani che ne hanno fatto il loro 'modello atletico', oggetto di emulazione e imitazione. Come sulle impressioni ricavate da tale modello vengono improntati gli allenamenti e lo stile di vita sportiva, così è imitato l'utilizzo di farmaci. Tuttavia i fisici giovani spesso rispondono in modo differente o modificato rispetto al fisico di un adulto. I molti cambiamenti fisiologici che occorrono durante l'adolescenza comportano una maggiore sensibilità agli effetti farmacologici e alla loro potenziale nocività. La crescita scheletrica, i mutamenti ormonali, le modificazioni cardiologiche sono elementi importanti della fisiologia della pubertà, rispetto ai quali l'abuso di farmaci può causare alterazioni sconosciute. Gli anni dell'adolescenza sono anche molto difficili dal punto di vista psicologico: i giovani atleti possono divenire farmaco-dipendenti per mantenere l'immagine che si sono originariamente costruiti e che hanno attribuito all'uso dei farmaci.
La ricerca di un farmaco si basa su test farmacologici di efficacia terapeutica e su test di tossicità. Nelle fasi di studio clinico inoltre vengono reclutati pazienti scelti in considerazione delle future prescrizioni del farmaco in terapia. L'uso di un farmaco da parte di un atleta, di solito, ha poco a che fare quello terapeutico previsto e la dose può essere molto diversa da quella utilizzata in clinica (per es., la dose di steroidi anabolizzanti assunta dagli atleti è in genere molto più elevata di quella sperimentata nei test clinici).
L'abuso di farmaci negli atleti presenta anche problemi relativi al rischio di effetti collaterali, che possono essere esaltati dalla situazione critica creata dallo stato fisiologico di un atleta nel corso di duri esercizi fisici. L'esercizio fisico è infatti causa di variazione del flusso sanguigno, di modificazioni della funzionalità cardiaca e spesso di un innalzamento della temperatura corporea. I farmaci non vengono generalmente studiati per gli eventuali effetti collaterali che si possono determinare in condizioni estreme. La morte del ciclista inglese Tom Simpson al Tour de France del 1967 in seguito all'assunzione di amfetamine, fu probabilmente ascrivibile all'elevata produzione di calore e al notevole incremento della temperatura corporea durante la gara. Molti farmaci usati a scopo doping infatti determinano modificazioni della funzionalità cardiaca e delle resistenze periferiche, che possono interagire in maniera letale con le alterazioni indotte dall'esercizio, come l'aumento della temperatura corporea, l'alterazione dell'equilibrio idrico ed elettrolitico e le variazioni di tipo metabolico.
Come si è detto, gli atleti spesso usano dosi eccessive di farmaci per massimizzarne l'effetto. In caso di assunzione ad alte dosi i dati scientifici disponibili dall'uso terapeutico di un dato farmaco possono non essere attendibili circa i possibili effetti collaterali o non avere relazione con le reali condizioni di impiego. Inoltre molti atleti attingono informazioni da altri atleti su quale tipo di farmaco assumere e su quale dose utilizzare per ottenere l'effetto desiderato e viene così a mancare ogni considerazione sulle variabili indipendenti legate al soggetto e alla condizione ambientale.
Un breve accenno merita l'uso di sostanze come placebo. In genere, la sensazione di beneficio dovuta all'assunzione di farmaci dopanti è ben superiore al loro reale effetto, specialmente quando la sostanza placebo è utilizzata anticipatamente alla prestazione per migliorare la performance sportiva. Studi a doppio cieco sono poco presenti in letteratura e di difficile esecuzione per la precisa conoscenza degli effetti e delle caratteristiche organolettiche delle varie sostanze da parte degli atleti che si sottopongono a pratiche dopanti.
La Tabella 1 elenca i principali farmaci utilizzati a fini dopanti dagli atleti collocandoli in tre classi principali: agenti ristoratori; agenti energetici, assunti per aumentare il potenziale lavoro di un atleta; agenti ricreazionali, assunti esclusivamente per sperimentare precisi effetti farmacologici.
Nell'analisi del fenomeno doping è opportuno fare alcune considerazioni sulla fatica e sulla sua prevenzione e cura. Le possibilità agonistiche dell'atleta sono limitate da fattori fisici e psicologici; questi ultimi condizionano l'attuabilità di un determinato potenziale fisico e sono strettamente collegati con i primi. Ma il fattore che più di ogni altro si oppone al rendimento, oltre un certo limite fisiologico, è indubbiamente la fatica.
La fatica è una sindrome complessa e non del tutto delineata che deriva, da un punto di vista eziologico e patogenetico, da un lavoro protratto o eccessivo, e insorge con il concorso di vari fattori causali, tra cui l'esaurimento delle attività funzionali delle strutture nervose. Pur essendo dovuta soprattutto all'iperattività dell'apparato muscolare, si delinea e si caratterizza in una tipica condizione psicofisica, nella quale il soggetto tende a ridurre la sua attività e avverte la necessità di interromperla. Nell'atleta la soglia della fatica determina una situazione di conflitto: fattori interni fisici e psichici lo inducono a non proseguire nello sforzo, mentre fattori esterni lo spingono a continuare.
La fatica risultante da un prolungato esercizio muscolare si accompagna a vistose modificazioni funzionali dell'organismo che interessano soprattutto l'apparato cardiocircolatorio e respiratorio, ma sono rilevabili anche ad altri livelli. Per es., diventano più deboli gli impulsi inviati dai centri nervosi ai muscoli, la contrazione diminuisce d'intensità e i riflessi sono esagerati, mentre si indeboliscono la memoria, la volontà e l'attenzione. Si accumulano i vari cataboliti, mentre risulta insufficiente la quantità di ossigeno portata ai muscoli e agli organi. Con il crescere del debito di ossigeno la lattacidemia aumenta fino a non venire più tamponata dalla riserva alcalina e si instaura pertanto un quadro di acidosi non compensata, dovuta all'accumulo di acido lattico e di altri cataboliti acidi.
Esistono peraltro dei mezzi capaci di ritardare, in qualche modo, la condizione di affaticamento: l'allenamento, il riposo, l'alimentazione e la fisioterapia. L'allenamento anzitutto induce nell'organismo positive modificazioni circolatorie, respiratorie, biochimiche, ghiandolari, neuropsichiche con accrescimento della capacità lavorativa e con spostamento della soglia della fatica a un livello superiore. Il riposo permette all'organismo di smaltire l'autotossicosi da fatica. L'alimentazione è il mezzo naturale di rifornimento energetico oltreché plastico: nell'ambito dell'alimentazione può rientrare l'uso di vitamine, minerali e metaboliti speciali (aminoacidi, glucidi fosforilati) che compongono gli alimenti. La fisioterapia con mezzi fisici (vibrazioni, raggi infrarossi, raggi ultravioletti, applicazioni diatermiche, massaggi) esplica un'azione diretta e una indiretta sul muscolo affaticato, eliminando le contratture e migliorando la circolazione e lo smaltimento delle sostanze tossiche da fatica.
Quando si ricorre ad altri metodi che non sono più naturali per ottenere la neutralizzazione della fatica e dei fenomeni fisici e psichici concomitanti, si entra nell'ambito del doping.
L'uso di bevande nervine a base di caffeina appare utile nei soggetti sottoposti a sforzo: infatti le attività psicomotorie complesse, come per es. la guida automobilistica, vengono migliorate dal caffè nei soggetti affaticati. Del pari, le bevande nervine a base di caffeina modificano nella maggior parte dei casi l'atteggiamento psicologico nei confronti della prestazione, riformando alcune motivazioni attenuate dalla fatica o dalla ripetizione monotona dell'esercizio. Non appare invece trasferibile alle bevande nervine l'aumento oggettivo della capacità di prestazione osservato in esercizi pesanti dopo iniezione endovenosa di 0,5 g di caffeina. Tuttavia l'abuso di caffè può interferire con il ritmo del sonno, con i processi digestivi e con i meccanismi fisiologici di restauro fisico: infatti sono stati spesso osservati aumenti del metabolismo basale e ipertemia.
L'uso di bevande alcoliche nello sport non è necessario né utile; comunque una moderata assunzione di alcol non può risultare dannosa. Piccole quantità di alcol infatti favoriscono l'aumento della secrezione gastrica e hanno un effetto psichico di rimozione delle inibizioni. La birra, che appartiene al gruppo delle bevande a basso contenuto alcolico, ha anche eccellenti proprietà nutritive.
Bisognerebbe assegnare al latte, in virtù delle sue peculiari proprietà nutritive, un posto centrale nella razione alimentare degli atleti, specialmente se si tratta di giovani sportivi il cui accrescimento non è terminato e i cui bisogni nutritivi e di calcio sono quindi maggiori.
Nel quadro della funzione delle bevande tradizionali nella pratica sportiva possono trovare posto anche i succhi di frutta che, oltre all'apporto di acqua, assicurano quello di potassio, di oligoelementi, di acidi organici e di alcune vitamine, per cui, se usati con moderazione poche ore prima che inizi la gara o al termine di essa, possono avere una certa utilità.
Si tratta di componenti normali degli alimenti o di additivi degli alimenti che nell'uomo vengono assunti fisiologicamente e in alcuni casi impiegati come farmaci veri e propri. L'utilizzazione di sostanze considerate energetiche, ma di natura fisiologica, si basa sulla loro partecipazione diretta alle complesse reazioni metaboliche dell'organismo e al loro attivo intervento nel ridurre o nell'eliminare le alterazioni metaboliche caratteristiche della fatica.
Le sostanze fisiologiche utilizzate a scopo energetico, e di maggiore interesse nella pratica sportiva, sono quelle più direttamente interessate ai processi di fosforilazione o a quella serie di reazioni riconosciute come fondamentali per i processi energetici dell'organismo. È noto l'impiego dei nucleotidi a causa del loro intervento nei processi di utilizzazione dei grassi e di disintossicazione: vengono usati sia quelli a struttura adenilica, come per es. l'ATP (adenosina trifosfato) e l'AMP (adenosina monofosfato) ciclico, sia di quelli a struttura piridinica come l'UTP (uridina trifosfato). In particolare l'ATP viene impiegato come sorgente di energia immediatamente disponibile. È stato osservato che dosi quotidiane di 30 mg durante i tre giorni precedenti la competizione e nei due giorni successivi migliorano sia il risultato sia il recupero dell'atleta. Sembra tuttavia che gran parte degli effetti dell'ATP sia dovuta più che al suo apporto energetico al suo effetto vasodilatatore. Risultati simili si ottengono anche con l'AMP che non possiede attività energetica, ma che è dotato di attività vasodilatatrice. D'altra parte, è probabile che, una volta assorbito, l'ATP si trasformi rapidamente in AMP e ADP (adenosina difosfato). L'azione vasodilatatrice è simile a quella provocata dall'istamina e dall'acetilcolina.
Un altro gruppo di sostanze sempre attive in questo senso è una serie di derivati fosforilati quali la fosfocreatinina, la fosforilcolina, la fosfoserina, la fosforilglicociamina, che sembrano in grado di migliorare la prestazione fisica dell'atleta in rapporto alle possibilità di favorire la sintesi e la rigenerazione dell'acido creatinfosforico.
Largo uso hanno trovato i glucidi fosforilati nella pratica sportiva in quanto metaboliti essenziali del ricambio glucidico. Tra questi la sostanza maggiormente studiata è il glucosio-fosfato la cui utilizzazione si basa in particolare sui seguenti presupposti biochimici: la possibilità di favorire la resintesi delle riserve di glicogeno; lo stretto rapporto con il ciclo di Holman-Tuoster, che riguarda la sintesi dell'acido glicuronico e quindi i processi di disintossicazione; l'importante ruolo di attivazione nei processi di fosforilazione. Questa sostanza esercita inoltre un'azione diretta sulle funzioni respiratoria e pressoria, con un meccanismo di tipo analettico. In condizioni di ipossia, dopo trattamento con glucosio-fosfato il lavoro si svolge a un livello elevato di rendimento e a un regime più economico. Anche per i glucidi fosforilati interessati al ciclo dei pentosi, come il fosfogluconato, si è evidenziata un'azione tipica di particolare interesse.
Tra le sostanze che comunemente si pensa possano svolgere un'attività farmacologica utile ai fini del metabolismo energetico, altamente impegnato nella pratica sportiva, vengono comunemente indicate le vitamine: tale concetto vale soprattutto per quelle forme che, come la tiamina pirofosfato (forma attiva della B1) o il piridossal-fosfato (forma attiva della B6), svolgono un importante ruolo di coenzimi in numerosi sistemi enzimatici. La riboflavina (vitamina B2), di cui spesso si osservano stati di latente carenza, è necessaria al normale trofismo di tutti i tessuti, comparendo in condizioni di avitaminosi tipica casi di stomatite, glossite, cheilite e cheratite, manifestazioni molto evidenti in corso di terapia prolungata con antibiotici. L'acido ascorbico (vitamina C), e soprattutto l'ascorbato di sodio e di potassio, hanno dimostrato di possedere una buona attività sia nell'animale da esperimento sia nell'uomo sottoposto a sforzi prolungati come per es. nell'alpinismo. Inoltre la vitamina C e formulazioni di bioflavonoidi a base di acido citrico contribuiscono a una più rapida cicatrizzazione della ferita e favoriscono il recupero dopo contusioni e distorsioni. Anche alcuni effetti della vitamina E interessano l'atleta e in particolare quelli sulla ossigenazione dei tessuti, in quanto essa funge da antiossidante, e sulla circolazione, in quanto è un vasodilatatore e preserva l'integrità delle pareti capillari.
Interessanti possono essere alcuni aminoacidi la cui utilizzazione è in rapporto a processi di disintossicazione di sostanze per le quali è stato dimostrato un accumulo nel corso dell'esercizio fisico. Ci si riferisce all'impiego dell'arginina e dei diversi derivati che interferiscono nel ciclo dell'ureogenesi che, come è noto, presiede ai processi di disintossicazione ammoniacale. Si possono citare anche aminoacidi glicogenici, quali l'acido glutammico e l'acido aspartico che sono risultati efficaci sotto forma di glutammato e aspartato di potassio e di magnesio. Preparazioni di aspartato di potassio, di magnesio e ATP sono state proposte negli stati di astenia come mezzi antifatica.
Contrariamente a certe opinioni abbastanza radicate, l'introduzione di cloruro di sodio con l'acqua può essere anche dannosa. Infatti, essendo il sudore ipotonico rispetto ai liquidi corporei, la perdita di sale è piuttosto scarsa. Pertanto, la sudorazione determina un aumento della concentrazione di cloruro di sodio nei liquidi corporei per cui basta introdurre acqua per ristabilire la situazione normale.
Nell'ambito dei processi fisiologici e biochimici caratterizzanti la fatica, si ha la formazione e l'accumulo di acido lattico nel muscolo, che è una conseguenza diretta del debito di ossigeno contratto durante lo sforzo. La somministrazione di O2 mediante inalazione forzata di una miscela aria-ossigeno (40:60) ha avuto in passato un periodo di auge. La sua azione dovrebbe esplicarsi immediatamente prima della gara con il fornire all'organismo una maggior quantità dell'elemento fondamentale allo svolgimento degli scambi organici; dopo la gara o meglio fra una gara e la successiva, con l'aiutare a eliminare più rapidamente il debito di ossigeno contratto dall'atleta durante lo sforzo. La sua utilità, di qualche valore in questo secondo caso, è assai discutibile nel primo e la sua pratica non è scevra di notevoli pericoli per l'azione nociva dell'ossigeno sotto pressione sugli alveoli polmonari e sui centri nervosi.
L'accumulo di acido lattico tende a portare a un abbassamento del pH ematico verso valori acidi. Questo stato di acidosi aggrava la sintomatologia della fatica; una dieta alcalina ha l'effetto di portare il pH a valori basici, determinando uno stato di alcalosi che può essere favorevole quando l'organismo aumenta la produzione di sostanze acide. La dieta alcalina (frutta, bicarbonato, sali basici ecc.) preserva, entro certi limiti, dall'acidosi. L'influenza positiva di tale dieta sulla resa dell'atleta è stata dimostrata specialmente nelle discipline sportive in cui si richiedono sforzi prolungati più che intensi.
L'accumulo di bicarbonato per aumentare la riserva tampone corporea disponibile consiste nell'assunzione di bicarbonato di sodio per tamponare i picchi dell'acido lattico. L'energia necessaria per la contrazione muscolare è fornita innanzitutto dai processi ossidativi, ma esercizi molto intensi possono svuotare le riserve di ossigeno e determinare l'avvio della glicolisi anaerobica che si autolimita con la produzione di acido lattico. I livelli di acido lattico crescono dopo 1-4 minuti dall'attivazione della glicolisi anaerobica, determinando la sensazione di fatica. L'aumento della capacità di tamponamento del sangue dopo assunzione di bicarbonato di sodio può aumentare la quantità di acido lattico tamponabile nelle cellule muscolari e di conseguenza può allungare i tempi di un esercizio di notevole intensità, prima che l'aumento dell'acido lattico inibisca la capacità di proseguire nell'esercizio di tipo anaerobico.
Il carico di bicarbonato è probabilmente benefico nell'esecuzione di esercizi brevi e rapidamente esaustivi, come nella corsa, nel nuoto e/o nel ciclismo. I primi studi non hanno dimostrato un aumento della performance o perché sono state somministrate dosi inadeguate o perché sono stati analizzati sport a prevalente impegno aerobico, ma studi più recenti hanno dimostrato che l'assunzione di bicarbonato allunga il tempo dell'esercizio verso l'esaurimento. La dose a cui si è dimostrato un aumento della performance corrisponde a circa 300 mg/kg di peso corporeo.
Il più comune effetto collaterale da eccessiva assunzione di bicarbonato di sodio è la diarrea che interviene dopo parecchie ore dall'assunzione. La quantità di bicarbonato di sodio necessaria per determinare effetti positivi sulla prestazione causa inevitabilmente diarrea nella maggioranza dei soggetti. Una perdita eccessiva di bicarbonato può essere provocata dalla diarrea stessa e di conseguenza può diminuire l'effetto tampone svolto dal bicarbonato e indurre uno stato di acidosi. I tempi di assunzione della dose di bicarbonato di sodio devono dunque essere studiati attentamente, sia per motivi pratici sia per ragioni farmacologiche.
Un'ingestione cronica di bicarbonato di sodio può condurre a uno stato di ipercalcemia e alcalosi. L'alcalosi può determinare numerosi cambiamenti nell'equilibrio elettrolitico e nella respirazione, deprimendo il centro respiratorio e i chemiorecettori centrali e periferici con conseguente ipoventilazione e ipercapnia. La possibilità di sviluppare uno stato di alcalosi è superiore negli atleti in cui gli esercizi pesanti determinano una gran perdita di liquidi sotto forma di sudore.
I sintomi propri dell'alcalosi comprendono i segni di irritabilità neuromuscolare (iperreflessia, fascicolazioni e possibile tetano muscolare) che sono in parte correlati allo stato di ipercalcemia; si può sviluppare un'aritmia. L'alcalosi sposta, inoltre, la curva di dissociazione dell'ossigeno verso sinistra, rendendo meno disponibile l'apporto di ossigeno ai vari tessuti. L'aumento dell'acido lattico può condurre a un aumento del 'gap anionico', mentre sono segnalati casi di precipitazione di calcio fosfato nel rene (nefrocalcinosi) che può terminare in uno stato di insufficienza renale.
Il bicarbonato di sodio è disponibile in numerosi prodotti, come negli antiacidi usati per tamponare l'acidità gastrica, e in alcuni medicinali utilizzati come analgesici. L'assunzione di bicarbonato tramite prodotti composti (per es. l'AlkaSeltzer) può creare problemi per la presenza di quantità di acido acetilsalicilico, in quanto il numero di compresse necessarie per avere un apporto significativo di bicarbonato di sodio implica la contemporanea assunzione di salicilati in dosi elevate, che comportano il rischio di lesioni gastriche e modificazioni dell'equilibrio elettrolitico.
Attualmente il bicarbonato di sodio non viene compreso tra le sostanze doping, ma in realtà, per via dei criteri identificativi sopra esposti, non possiamo non considerare doping questo tipo di assunzione. Bicarbonato in eccesso può essere ricercato nelle urine, perciò in futuro l'ingestione eccessiva di bicarbonato di sodio potrà essere considerata illegale nella pratica sportiva.
Per contenere l'uso da parte degli atleti di sostanze aventi lo scopo di migliorare la performance già dalla seconda metà del 20° secolo il CIO e le principali associazioni sportive di categoria hanno emanato normative finalizzate sia a rispettare l'etica sportiva, sia a tutelare la salute degli atleti. Abbiamo già puntualizzato come negli anni si sia assistito alla costante immissione di nuove classi di farmaci e, nell'ambito di queste, di nuove molecole analoghe, nonché di metodi doping, con diverso orientamento nell'uso a seconda della tipologia della prestazione sportiva. Parallelamente, le varie associazioni sportive hanno aggiornato le norme restrittive e l'elenco delle sostanze proibite.
In Italia con il DM 5 luglio 1975 (Gazzetta Ufficiale nr. 259 del 29 settembre 1975), il ministro della Sanità definì per la prima volta gli "Elenchi delle sostanze capaci di modificare le energie degli atleti nonché le modalità di prelievo dei liquidi biologici e i relativi metodi di analisi". Per legge vennero pertanto vietate: amine simpaticomimetiche; piperidine ad azione amfetaminosimile o comunque ad azione neurostimolante; farmaci ad azione amfetaminosimile o aventi comunque analogia strutturale con l'amfetamina in quanto nelle loro molecole è individuabile una struttura fenil-etilaminica; efedrino simili; stricnina; ibogaina; pargilina. Tali elenchi riportavano i singoli farmaci che all'epoca erano di interesse per il doping sportivo. Con successivi provvedimenti altre classi di farmaci sono state vietate, come per es. gli steroidi anabolizzanti e gli analettici bulbari.
Attualmente il Ministero della Salute con la legge nr. 376 del 14 dicembre 2000 e con il successivo decreto del 15 ottobre 2002 (Gazzetta Ufficiale nr. 278 del 27 novembre 2002, supplemento ordinario nr. 217) ha approvato la "Lista dei farmaci e delle pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping" (aggiornata al 6 maggio 2002). In riferimento a quest'ultimo decreto, di seguito verranno trattate le classi di sostanze e le pratiche vietate (v. Tabella 2), illustrando in maniera sistematica i principi attivi di maggior rilevanza nel doping sportivo. Bisogna comunque considerare che vengono regolarmente introdotti nel mercato nuovi prodotti, motivo per cui la lista necessita di costante aggiornamento.
Il doping stimolante è sicuramente il più rilevante per l'impressionante numero di farmaci utilizzati e di sportivi che li usano. Si classificano come stimolanti: caffeina e associazioni; inibitori della monoaminoossidasi (IMAO) di tipo B; simpaticomimetici, non associati; simpaticomimetici, in associazione; agonisti dei recettori α- e β-adrenergici; adrenergici e dopaminergici; simpaticomimetici, associazioni esclusi i corticosteroidi, oltre a varie altre sostanze (v. Tabella 3).
Gli stimolanti del SNC (sistema nervoso centrale) comprendono vari tipi di farmaci che incrementano il livello di vigilanza, riducono la fatica e possono aumentare l'agonismo e l'aggressività. Questi farmaci possono essere suddivisi in: stimolanti forti, tipo le amfetamine e loro derivati, la cocaina, la stricnina e gli inibitori delle monoamino ossidasi; stimolanti deboli, tipo l'efedrina, le basi xantiniche, gli anoressizzanti e gli analettici bulbari.
Già in occasione dei Giochi Olimpici di Seul il CIO, nella riunione del 21 aprile 1986, elencava le sostanze doping tra le quali figuravano molti dei principi attivi stimolanti riportati nella classe.
Amfetamine. Le amfetamine con i loro derivati (desamfetamina e metamfetamina), sintetizzate intorno all'anno 1930, hanno avuto il loro momento di gloria durante la Seconda guerra mondiale quando, in particolare, gli aviatori le utilizzavano per resistere più giorni senza riposare. Oltre 72 milioni di compresse sarebbero state distribuite ai soldati inglesi.
Con la denominazione di 'amfetaminici' o 'amfetamine' si indicano i diversi composti derivati dall'amfetamina che conservano l'effetto psicostimolante e la disposizione a indurre psicosi e abuso (tossicodipendenza), come la metilamfetamina, il metilfenidato, la fenmetrazina e la difenmetrazina e, in minor misura, il dietilpropione, la benzferamina e gli analoghi anoressizzanti.
Equivalenti sostituzioni possono essere intraviste nei derivati dell'amfetamina, nei quali la sequenza della catena isopropilamino-sostituita è per così dire ciclizzata in una struttura eterociclica quale l'anello dell'ossazina (nella fenmetrazina e nella difenmetrazina impiegate come anoressizzanti) o della piperidina (come nel metilfenidato e nel facetoperano).
Allorché l'amina è primaria, come nell'amfetamina, o è secondaria per la sostituzione con un metile, come nella metilamfetamina, è presente l'effetto psicostimolante ed euforizzante con la possibile occorrenza di abuso, di psicosi e di tossicodipendenza. I composti che associano la presenza di un'amina terziaria eterociclica con una più lunga catena alchilica sostituente, come il prolintano e il pirovalerone, perdono largamente l'effetto psicostimolante dell'amfetamina per presentare un effetto analettico e risvegliante analogo a quello della caffeina. A questo tipo di composto si avvicinano anche la fencamfetamina e la pemolina. Quest'ultima è caratterizzata da effetto psicostimolante minore dell'amfetamina, con prevalente attività sui processi della memorizzazione e della rievocazione.
Se da un composto come il pirovalerone si elimina l'anello fenolico si perdono anche gli effetti analettici, ma si conserva, o si intensifica, la proprietà di facilitare l'integrazione interemisferica (è noto che varie funzioni cerebrali sono lateralizzate) delle afferenze sensoriali nei processi di elaborazione percettiva e di rievocazione dei messaggi; tale attività è stata definita azione nootropa. Farmaci nootropi sono il piracetam e il suo derivato etilico etiracetam, che possono rivestire interesse terapeutico nelle amnesie dei traumatizzati cranici e degli anziani.
Un'ampia indagine sui rapporti tra struttura e attività di amfetaminosimili (ricavati da variazioni di isomeria, sostituzione dell'azoto aminico, variazioni della, o sulla, catena isopropilaminica dell'amfetamina) ha stabilito che: a) l'isomero destrogiro dell'amfetamina (destroamfetamina) è prevalentemente provvisto di effetto psicostimolante rispetto alle azioni simpaticomimetiche periferiche, peraltro conservate a livello cardiocircolatorio; b) la sostituzione dell'azoto con formazione di un'amina secondaria aumenta l'effetto psicostimolante se il sostituente è il metile (metilamfetamina); c) l'aumento della lunghezza della catena alchilica attenua l'effetto psicostimolante e simpaticomimetico e si accentua l'effetto anoressizzante (fenfluramina); d) analogo effetto, ma con maggiore conservazione dell'attività psicostimolante, porta l'ulteriore sostituzione nell'azoto con formazione di amina terziaria (fentermina, clorfentermina e clortermina, benzfetalina, dietilproprione). Da questo tipo di sostituzione si ottiene la maggior parte dei farmaci antiappetito o anoressizzanti.
Le amfetamine sono simpaticomimetici, causano tossicodipendenza e, abolendo il 'campanello d'allarme' rappresentato dalla fatica, permettono la trasformazione di un fenomeno fisiologico funzionale perfettamente reversibile, in uno patologico, organico e lesivo, non sempre totalmente reversibile, con un recupero lento e incompleto. Miglioramenti della performance sono stati documentati in certe discipline (corsa, lancio del peso, nuoto ecc.) e gli effetti sono stati attribuiti all'azione antifatica. In particolare le amfetamine aumentano lo stato di vigilanza, inducono maggiore resistenza alla fatica e in occasione di esercizi fisici violenti diminuiscono l'ansia per mancata percezione del dolore. Questi effetti dipendono da una serie di azioni sul SNC causate da liberazione di catecolamine e di altri mediatori.
Per analogie strutturali con le catecolamine, l'amfetamina viene captata nei neuroni adrenergici e noradrenergici, mediante il sistema di trasporto che veicola le catecolamine. Nel neurone, l'amfetamina si sostituisce alla noradrenalina e alla dopamina nei vari comparti, specie in quello citoplasmatico, spostando e liberando le amine biogene corrispondenti. Ne deriva la liberazione fuori dal neurone e la conseguente interazione sui recettori delle catecolamine spostate. Una evidenziabile azione anti-MAO dell'amfetamina impedisce che, tra la liberazione e fuoriuscita dal neurone, le catecolamine siano distrutte dalle MAO in misura rilevante.
Dalla liberazione di noradrenalina e di dopamina conseguono diversi eventi farmacologici: a) attivazione dei recettori noradrenergici periferici, con segni di stimolazione simpatica; b) stimolazione dei recettori noradrenergici centrali, specie a livello della formazione reticolare e delle aree noradrenergiche della gratificazione (vie mesencefalo-prosencefaliche), con effetto risvegliante ed euforizzante; c) stimolazione dei recettori dopaminici, sia nelle aree nigrostriatali sia nell'area mesolimbica, con emergenza di stereotipie, manierismi e, per abuso continuativo e di alte dosi, pensiero delirante con impronta paranoide, in armonia con la teoria della patogenesi dopaminica della schizofrenia. Molto più degli allucinogeni, l'amfetamina e alcuni suoi derivati sono potenti induttori di psicosi farmacologiche.
L'azione delle amfetamine su alcuni sistemi si svolge in maniera non lineare, ma fasica: per es., nel caudato e nel putamen a seguito di piccole dosi di amfetamina si osserva diminuzione della frequenza di attivazione spontanea dei neuroni, mentre a dosi maggiori si verifica un aumento. Infine a dosi molto elevate si osserva inibizione, con conseguente iperattività del comportamento, quindi depressione e infine stereotipie.
Gli effetti nocivi delle amfetamine sono numerosi. Per quanto riguarda il comportamento sono il risultato di un eccesso di stimolazione del SNC e includono inquietudine, confusione, tremore, irritabilità, riflessi da iperattivività, incremento della libido, insonnia, delirio, aggressività, paranoia, comportamento stereotipato e allucinazioni; questi effetti sono reversibili a seguito dell'interruzione dell'assunzione del farmaco e possono presentarsi acutamente in seguito a esposizione cronica. Effetti cardiovascolari possono includere brividi, rossori, palpitazioni, angina, aritmie atriali o ventricolari, ipertensione o ipotensione, cefalea, bradicardia o tachicardia e collasso cardiovascolare; da non dimenticare le lesioni microinfartuali cardiache seguite da morte improvvisa. Effetti gastrointestinali includono vomito, dolore addominale e diminuzione dell'appetito. Occasionalmente può verificarsi la morte a seguito di convulsioni, coma ed emorragia cerebrale. A seguito di assunzioni di dosi elevate, una brusca interruzione può produrre sindrome depressiva accompagnata da fatica cronica, letargia, ipersonnia e iperfagia. Sono state descritte numerose conseguenze psichiatriche derivanti dall'uso di amfetamine. Per es. nei giocatori di football americano è stata osservata una sindrome del comportamento, chiamata 'sindrome della domenica': i giocatori sviluppavano cambiamenti del comportamento indotti dall'amfetamina (stimolazioni ripetitive stereotipate, episodi violenti di vomito e diarrea, condotta collerica e sguardo fisso) la domenica, quando si giocavano le partite della Lega nazionale. Nel complesso le amfetamine hanno provocato più morti di qualsiasi altra droga, presumibilmente per aritmie cardiache.
Le amfetamine sono state usate per migliorare la performance atletica per più di cinquant'anni. Come si è detto, la ricerca su questi farmaci si sviluppò durante la Seconda guerra mondiale per identificare agenti utili a prevenire la fatica tra le truppe; fu allora osservato nei soggetti che avevano assunto metamfetamina un ritardo nel tempo di esaurimento quando si correva ad alta velocità in modo monotono e fu anche rilevato che i soldati trattati con amfetamine continuavano a marciare nonostante dolorose vesciche. Nello sport fu riscontrato che i giocatori di football feriti, con l'assunzione di questi farmaci, mantenevano la volontà di continuare a giocare. È provato che le amfetamine in quantità di 5-15 mg/70 kg aumentano la velocità, la potenza, la resistenza e la concentrazione. Uno studio ha evidenziato che, rispetto a un placebo, dosi di amfetamine di 14 mg/70 kg miglioravano la performance del 3-4% nei lanciatori di peso e nei golfisti, dell'1,5% nei corridori, e dello 0,6-1,2% nei nuotatori. Tali miglioramenti possono determinare la differenza tra la medaglia d'oro e l'ultimo posto. È opportuno precisare che solo i soggetti consci degli effetti del farmaco ricavano benefici dalle amfetamine.
Altri studi hanno documentato che l'uso di amfetamina migliora la resistenza fisica. Ciò può essere spiegato dal fatto che, come si è detto, le amfetamine mascherano i sintomi fisici della fatica, e ciò permette all'atleta di continuare a competere al di là dei limiti normali di sicurezza e di sforzo. Diverse indagini hanno rilevato che le amfetamine a dosi di 5-10 mg migliorano l'abilità dei non atleti nell'effettuare sforzi (effetti positivi sulla concentrazione e coordinazione occhio-mano) rispetto al placebo. Bisogna notare che esiste un problema di dati d'efficacia, derivante dal tipo di popolazione studiata, in quanto molto spesso questa è formata da giovani atleti universitari, piuttosto che da atleti di livello agonistico. In queste condizioni non è stato e, forse, non potrà mai essere dimostrato che gli stimolanti possono migliorare significativamente la performance di atleti altamente allenati.
Uno studio sull'uso di amfetamina da parte dei giocatori professionisti di football americano ha concluso che chi gioca in un ruolo che richiede una grossa concentrazione (per es. il quarterback, il ricevitore e il difensore) tende a usare basse dosi di amfetamine (tra 5 e 15 mg) nei giorni di gara. Al contrario gli atleti che giocano ruoli di attacco o di difesa, in cui è determinante l'aggressività, ne usano fino a 150 mg prima di ogni partita. Dosi intorno ai 150 mg possono causare sintomi non distinguibili da quelli della schizofrenia paranoica. Infatti gli effetti dopaminergici divengono più evidenti ad alte dosi e possono trasformarsi in psicosi e in percezione non ottimale. Le amfetamine hanno un forte effetto rinforzante positivo che può portare nel tempo a uno stato di abuso cronico e di dipendenza. Si può quindi concludere che il doping con amfetamine è correlato al tipo di situazione competitiva. I giocatori di baseball e football, per es., possono usarle per aumentare i riflessi e la concentrazione, oppure ad alte dosi per l'aggressività; i corridori o i nuotatori ne fanno uso per aumentare la resistenza. L'abuso di amfetaminici in molti sport sta comunque diminuendo per merito dei sistemi di controllo attuati con i test anti-doping nelle urine.
Simpaticomimetici. Dal 1993 al 1996 i simpaticomimetici sono stati la principale classe di sostanze illecite ritrovate dai laboratori del CIO in tutto il mondo (60-65% delle analisi). Queste sostanze, adoperate come decongestionanti e assunte per via orale o nasale, difficilmente sono utilizzate come psicostimolanti, ma alcune sono usate per ridurre la fame (anoressizzanti).
I simpaticomimetici sono sostanze ampiamente diffuse in natura, tanto che la loro presenza è di facile riscontro in molti integratori di origine naturale. L'esercizio fisico non ne altera gli effetti farmacologici né la farmacocinetica. Per quanto attiene alle loro controindicazioni si rileva che l'uso in individui ipertesi e diabetici è a rischio per i possibili effetti collaterali. Nel sistema cardiovascolare, i simpaticomimetici provocano infatti un aumento della pressione arteriosa e della gittata cardiaca, evenienza pericolosa soprattutto in alcune categorie di atleti di potenza (in un sollevatore di pesi si sono registrate in arteria brachiale anche pressioni di 480/350 mmHg, durante una prova). Si sono registrati anche casi di emorragie cerebrali.
Gli effetti sembrano essere minimi sia sulla capacità polmonare sia sul metabolismo endogeno. La performance atletica in seguito all'uso di farmaci (sedativi della tosse, o antipiretici) ‒ preparati naturali o da prodotti da banco ‒ contenenti simpaticomimetici, non è sostanzialmente migliorata (visto il basso dosaggio presente in questi preparati). L'uso di questi prodotti può comunque modificare la concentrazione urinaria di simpaticomimetici tanto da provocare la positività ai test. Sono quindi da sconsigliarsi prima di ogni gara.
Anoressizzanti. Appartengono a questa categoria farmaci che esplicano la loro azione prevalente sul calo del peso corporeo. Nella popolazione generale il loro abuso è prevalentemente associato a diete dimagranti a breve termine e la diffusione è ampia. Nel tempo per le numerose molecole si è infatti creato un grande mercato, con consumi legati a mode differenziate tra le popolazioni e tra i paesi. Anche se a livello della progettazione delle varie molecole si è cercato di potenziare l'effetto anoressizzante, questi farmaci mantengono comunque azioni a livello del SNC e periferico. È quindi evidente anche l'interesse del loro impiego nel doping sportivo.
Rientrano in questa categoria terapeutica diversi principi attivi che possono essere suddivisi in due tipologie di farmaci: anoressanti amfetamino-simili, che sono strutturalmente correlati all'amfetamina e il cui meccanismo d'azione è ricondotto principalmente all'aumento del rilascio e dall'inibizione della captazione delle catecolamine; e anoressanti non amfetamino-simili, che esplicano principalmente un'azione di potenziamento della trasmissione serotoninergica centrale.
Uno studio epidemiologico internazionale ha dimostrato un maggior rischio di ipertensione polmonare irreversibile con l'uso degli anoressizzanti, quali fenfluramina, dexfenfluramina e sostanze amfetamino-simili, anche con casi di mortalità. In Italia, negli ultimi anni, sono stati registrati casi di ipertensione polmonare durante trattamento con questi farmaci.
Efedrinici e altri analoghi. L'efedrina, la fenilpropanolamina e la pseudoefedrina sono farmaci legittimamente prescritti per l'asma e patologie da freddo, ma dati d'efficacia chiaramente provano la capacità di queste sostanze di migliorare la performance atletica.
In uno studio controllato, gli effetti di 24 mg di efedrina sono stati comparati con quelli di un placebo su 21 uomini sani (non sono stati, tuttavia, studiati atleti allenati di livello internazionale): l'efedrina produceva effetti significativi sul sistema neurovegetativo, un aumento della pressione e delle pulsazioni a riposo e un aumento del ritmo cardiaco sotto sforzo con un recupero del ritmo a seguito di sforzo muscolare; non sono state osservate differenze apparenti per sforzo, potenza, tempo di reazione e coordinazione occhio-mano. Un'altra ricerca ha evidenziato che l'efedrina può avere effetti di dipendenza sulla performance psicomotoria. Un differente studio comparativo sugli effetti fisiologici, soggettivi e comportamentali dell'efedrina, dell'amfetamina e del metilfenidato ha dimostrato che 75-150 mg/70 kg di efedrina producono effetti simili a quelli di 15-30 mg/70 kg di amfetamina. Analisi combinate di questi studi suggeriscono che l'efedrina ha i suoi effetti periferici a dosi terapeutiche di 25 mg/70 kg, ma può apprezzabilmente attraversare la barriera ematoencefalica per produrre effetti sul SNC a dosi maggiori di 75 mg/70 kg. Effetti sul SNC di dosi tra i 25 e i 75 mg/70kg non sono stati evidenziati. Ricerche su animali trattati con fenilpropanolamina hanno dimostrato che gli effetti sul SNC sono meno pronunciati rispetto a quelli dell'amfetamina e che si evidenziano a più alte dosi. Questi farmaci sono pertanto vietati principalmente per il potenziale abuso che se ne potrebbe fare nella ricerca di una superiorità atletica.
Gli atleti sono portati a usare agenti alternativi, come per es. l'oximetazolina endonasale e gli antistaminici in commercio per il trattamento delle sintomatologie da raffreddamento, o a inalare β2-simpaticomimetici specifici, come albuterolo e terbutalina impiegati nell'asma. Come detto, l'impiego terapeutico di questi farmaci per patologie da raffreddamento o per l'asma è permesso, tuttavia l'atleta deve dichiararne l'uso al momento della visita medica che si svolge prima del prelievo delle urine per il controllo antidoping.
Gli effetti collaterali di questi farmaci simpaticomimetici sono simili a quelli delle amfetamine: a dosi terapeutiche elevate prevalgono quelli neurovegetativi (tachicardia, ipertensione, emicrania e confusione), che possono peggiorare con l'aumentare della dose fino a diventare pericolosi per la vita; a basse dosi gli effetti collaterali includono anoressia, insonnia, irritabilità e nervosismo. Va ricordato che associazioni con vari farmaci e a dosi più elevate provocano manie e psicosi; questi sintomi sono più comuni nei bambini, nelle donne dopo il parto, e in pazienti con un passato o una storia familiare di malattie mentali.
Inibitori delle monoaminoossidasi di tipo B. L'uso di questi derivati, e in particolare della selegilina, è piuttosto raro. Gli effetti della sui pazienti affetti da Parkinson sono legati al potenziamento degli effetti della levodopa: la selegilina sembra avere un effetto anfetamino-simile (precursore dell'amfetamina e della metamfetamina), aumentare il rilascio di dopamina bloccandone il reuptake e ridurre la produzione di radicali ossidanti; l'impiego è legato all'osservazione che la degenerazione delle cellule della substantia nigra indotte da un agente tossico (MPTP, 1-metyl-4-phenyl-1, 2, 3, 6-tetrahydropyridine) può essere prevenuta dall'uso di inibitori delle IMAO-B. Per questo motivo la selegilina, che è stata impiegata anche nel morbo di Alzheimer, è usata come neuroprotettivo per ridurre la degenerazione dei motoneuroni. La tossicità di questo farmaco su altri apparati, come il cardiovascolare, con effetti quali ipotensione posturale, fibrillazione atriale, ipertensione arteriosa, ne sconsiglia l'uso continuato in individui non affetti da patologie cronico-degenerative.
Stricnina. La stricnina, un alcaloide di Strychnos nux vomica (fava di sant'Ignazio), in passato veniva impiegata in quantità minime a scopo alimentare nei liquori per creare il gusto amaro. Causa effetti nella neurotrasmissione sensitivo-motoria aumentando l'eccitabilità motoria: agisce infatti come antagonista recettoriale della glicina, che è un mediatore inibitorio dei riflessi polisinaptici del midollo spinale. All'inizio del 20° secolo i maratoneti usavano quantità notevoli di etanolo sotto forma di cognac con l'aggiunta di piccole quantità di stricnina. Se viene somministrata a dosi medie la sostanza provoca aumento del tono muscolare, iperreflessia e tetano, fenomeno da ricondursi alla proprietà della stricnina di diminuire la resistenza sinaptica dei vari neuroni. Più precisamente inibirebbe le cellule di Renshaw che nelle corna anteriori del midollo hanno funzione di moderare e regolare la risposta delle cellule motorie agli stimoli sensitivi. Nell'uomo, la contrattura interessa tutti i muscoli, ma soprattutto quelli delle estremità. È riscontrabile, tuttavia, una sostanziale differenza tra la contrattura da stricnina e quella conseguente a tetano infettivo: nel primo caso si tratta dell'evento terminale e doloroso, nel secondo è precoce e conduce al trisma.
Nell'avvelenamento da stricnina si cerca di diminuire le contrazioni muscolari mediante l'uso di barbiturici a rapida azione (esobarbitale), somministrati a dosi adeguate alla necessità e associando la respirazione artificiale. Una terapia più elettiva consiste nella somministrazione di sostanze curaro-simili.
Cocaina. Stupefacente estratto dalla pianta Erythroxylon coca, è un eccitante del sistema nervoso centrale e un simpaticomimetico che suscita euforia e senso di potenza, a cui segue depressione con allucinazioni. Particolarmente allarmanti sono i gravissimi effetti collaterali che possono derivare dal suo consumo. L'uso saltuario (acuto) provoca alterazioni pressorie (sotto sforzo), ischemia periferica, aritmie cardiache, infarto miocardico, ictus, ipertermia, morte improvvisa e psicosi. L'uso cronico provoca invece alterazioni polmonari, cambiamenti della personalità (inclusa paranoia), dipendenza fisica e psichica, perdita di peso. Gli atleti la utilizzano perché pensano che essa consenta un miglioramento delle capacità fisiche e mentali.
La cocaina ha effetti simpaticomimetici: aumento di rilascio di catecolamine e diminuito reuptake. La comparsa d'azione è rapida (da pochi secondi ad alcuni minuti) e il termine dell'effetto è altrettanto rapido in quanto il tempo di dimezzamento è di 30 minuti. Sia la cocaina sia l'esercizio fisico aumentano il rilascio di catecolamine. Nel ratto l'uso di cocaina durante uno sforzo fisico ha provocato un rialzo delle catecolamine superiore a quello ottenuto dalle due componenti singolarmente.
La cocaina produce glicogenolisi, diminuendo l'efficienza dello sportivo durante gli sport di durata e un aumento sia della pressione cardiaca sia della gittata sistolica. Inoltre è euforizzante, per cui il miglioramento delle prestazioni è solo una sensazione e non un effettivo potenziamento.
Caffeina. Sebbene il caffè o le bevande a base di caffeina siano largamente diffuse e il loro consumo non sia assolutamente vietato, gli effetti del principio attivo, la caffeina, non devono essere sottovalutati. Nel caffè, dove sono presenti centinaia di altre sostanze, la caffeina ammonta solo al 2% (una tazza di caffè ne contiene circa 50-100 mg), mentre si trova in quantità variabili, anche molto elevate, in moltissime altre bevande. La biodisponibilità orale raggiunge il 99% e il picco plasmatico è presente già dopo 15-45 minuti dalla ingestione. Alcuni effetti metabolici comunque non si ottengono che dopo alcune ore. Il metabolismo è epatico (microsomiale) e l'escrezione è renale (3-7,5 ore); il metabolismo è influenzato da obesità (richiede maggior tempo), esercizio fisico (si riduce se l'esercizio è prolungato), sesso (in caso di esercizi prolungati la riduzione è più consistente nelle femmine che nei maschi).
La caffeina, così come la teofillina e la teobromina, è una xantina metilata. Tutte queste sostanze sono in grado di aumentare la performance sportiva. Presentano effetti sul SNC determinando aumento dell'attività locomotoria (attivano unità neuroniche soprattutto della corteccia sensitivo-motoria), stimolando direttamente i centri vasomotori, aumentando la percezione di allerta e riducendo la percezione della fatica durante lo sforzo prolungato (quest'ultimo effetto sembra sia dovuto a un abbassamento della soglia di eccitabilità dei neuroni tramite un'influenza sui recettori adrenergici centrali e/o tramite un diretto effetto sulla midollare del surrene). Agiscono tramite un blocco competitivo di recettori purinergici, anche facilitando il rilascio di neurotrasmettitori come l'acetilcolina e di calcio-ioni del reticolo sarcoplasmatico, nonché inibendo le fosfodiesterasi (l'effetto purinergico centrale si osserva con concentrazioni di caffeina non efficaci a livello periferico). Fra gli altri effetti figurano la mobilizzazione dei substrati lipidici e glucidici, come conseguenza di lipolisi negli adipociti e di glicogenolisi, e il potenziamento dell'attività contrattile della muscolatura scheletrica, facilitando il rilascio del mediatore acetilcolina tramite un effetto pregiudiziale e la trasmissione dell'impulso, nonché stimolando le contrazioni involontarie a riposo e nel muscolo affaticato.
La caffeina e le sostanze affini possono provocare aritmie cardiache specie in individui impegnati in gare che richiedono una grande resistenza. Aumentano la performance in sforzi di lunga durata, come quelli dei ciclisti e degli sciatori di fondo, ma non negli sforzi di breve durata. Indubbiamente, in alcune situazioni sperimentali, la caffeina può ridurre la stanchezza del muscolo striato dovuta forse a un effetto glicogenico.
Gli studi che da lungo tempo sono stati prodotti a dimostrare l'influenza della caffeina sulla performance sportiva possono essere accorpati e suddivisi secondo tre obiettivi: studi che valutano una presa o una forza isometrica simile; studi sulla resistenza a breve termine (per es. l'esaurimento su bicicletta o per lavoro monotono); studi di durata per un periodo superiore ai 30 minuti, dove l'inizio della fatica diventa un fattore importante. Nei primi due tipi di studio i dati sono contrastanti, tuttavia dimostrerebbero che la caffeina non è in grado di migliorare la performance; nel terzo alcune ricerche di rilievo hanno comparato la caffeina a un placebo in periodi d'esercizio superiori a un'ora, mentre in esercizi alla bicicletta condotti in laboratorio per 90 minuti con dosi di caffeina di 500 mg e di 330 mg è stato evidenziato che il farmaco è migliorativo rispetto al placebo. Altre ricerche svolte durante l'attività sportiva hanno dimostrato il miglioramento della prestazione, rispetto al placebo, nello sci di fondo a bassa e alta quota dopo la somministrazione di 6 mg/kg, con un effetto che diveniva più significativo ad alta quota. Si può quindi affermare che la caffeina è in grado di migliorare la performance in eventi agonistici di lunga durata, anche se il reale meccanismo d'azione non è chiaro. Diventa quindi fondamentale distinguere l'apporto di caffeina da bevande o da alimenti rispetto all'assunzione come farmaco. Pertanto, un campione viene considerato positivo qualora la concentrazione di caffeina superi i 12 µg/ml. Per raggiungere tale livello, un atleta deve assumere circa 500 mg di caffeina in un breve periodo di tempo. Nelle bevande e negli alimenti il contenuto di caffeina varia: a titolo indicativo, questa dose si potrebbe trovare in otto tazze di caffè o in tre stecche formato famiglia di cioccolato.
Un comune quesito posto dagli atleti e dagli allenatori è se un consumo quotidiano di bibite contenenti caffeina possa dare positività al test d'analisi. In uno studio del 1988 a nove volontari sani fu somministrata caffeina in forma di caffè, tè o bevande analcoliche in dosi che si aggiravano da 1,52 a 17,53 mg/kg; la concentrazione più alta somministrata era equivalente a circa otto tazze di caffè forte. Nessun volontario superò nelle urine il limite dei 12 µg /ml. Si può quindi ritenere che un atleta deve assumere grandi quantità di bevande contenenti caffeina prima di un evento per produrre un campione positivo di urina. Considerando gli effetti negativi dipendenti dal consumo di elevate quantità di liquidi immediatamente prima della competizione, chi utilizza la caffeina come doping impiega più di frequente le supposte come metodo sicuro di somministrazione.
Dosi elevate di caffeina causano inquietudine, nervosismo, eccitazione, insonnia, rossore, disturbi gastrointestinali e tachicardia, effetti che possono limitare o compromettere una prestazione atletica. Va ricordato che tali effetti possono presentarsi anche dopo poche tazze di caffè. A dosaggi maggiori di 1 g al giorno possono comparire anche spasmi muscolari, aritmie cardiache, pensiero fluente, logorrea, periodi maniacali e agitazione psicomotoria. A dosaggi superiori ai 10 g al giorno, può sopraggiungere la morte a seguito di crisi respiratoria.
Analettici bulbari. Dal punto di vista chimico gli analettici sono un gruppo piuttosto eterogeneo di sostanze in cui spesso non è possibile stabilire il rapporto tra struttura e attività. Dal punto di vista farmacologico va ricordato che gli analettici hanno breve durata di azione e che alla loro azione segue sempre una depressione. Hanno in comune la proprietà di stimolare il SNC e possono svolgere questa funzione a diversi livelli. Si considera come analettico ideale quel farmaco capace di agire selettivamente sul centro respiratorio, ma privo di azione stimolante sui centri nervosi superiori. A queste sostanze viene dato grande rilievo nelle pratiche doping: alla respirazione spetta infatti un ruolo molto importante nei meccanismi metabolici, correlati con la produzione di energia. Tuttavia l'eccitazione del respiro è provocata già dall'aumento di anidride carbonica nel sangue, prodotta nell'atleta sotto sforzo. L'azione di questi composti è quindi meno decisa di quanto si crede. Inoltre è noto che, in generale, si ottiene un aumento delle prestazioni atletiche non tanto mediante un aumento della frequenza e dell'ampiezza del respiro, quanto respirando correttamente durante lo sforzo atletico stesso.
Gli analettici comprendono le xantine, la canfora, la niketamide, la lobolina, la prectamide, il diossone, le demefline, il cardiazolo, la picrotossina. A causa degli effetti collaterali solo alcuni di questi farmaci sono in uso e sono riportati nell'elenco delle sostanze vietate.
La niketamide, per es., è un prodotto di sintesi che viene assorbito assai facilmente a seguito di somministrazione orale o intramuscolare e viene metabolizzato ed escreto lentamente, per cui ha una durata d'azione maggiore di quella della canfora. Le dosi di impiego variano da 0,25 a 1 g. Agisce principalmente stimolando i centri bulbari e midollari, sovrapponendosi così all'azione della canfora con due vantaggi: l'assenza di stimolazione sulla corteccia celebrale a dosi terapeutiche e la stimolazione vasale periferica anche per mezzo dell'intervento di alcune formazioni recettoriali particolari, che sono i chemiocettori.
La prectamide è una preparazione farmaceutica costituita da crotetamide e cropropamide in parti uguali. Questo farmaco è capace di stimolare il sistema nervoso centrale e in particolare il centro respiratorio, senza aumentare la pressione arteriosa. L'azione di stimolo sul centro respiratorio bulbare induce un aumento della frequenza respiratoria e, soprattutto, dell'ampiezza respiratoria. La mancanza di effetti sul sistema circolatorio è la ragione per la quale la pretcamide è talvolta impiegata in associazione con amine simpaticomimetiche. Viene usata per via orale (0,05-0,10 g più volte al giorno) o per via parenterale (0,2-0,4 g al giorno). Bisogna tener presente che il farmaco già a queste dosi può determinare vari effetti collaterali fra cui vertigini, scosse muscolari, reazioni vasomotorie.
Il cardiazolo o pentametilentetrazolo ha un'azione sostanzialmente simile a quella dei farmaci prima indicati, solo che, agendo su molti altri centri bulbari oltre a quello respiratorio, porta a vasocostrizione con aumento pressorio, vomito, singhiozzo, stimolazione cardiaca ecc. Ha infatti la caratteristica di agire su tutti i livelli dell'asse nervoso tanto che, per dosi elevate, possono manifestarsi fenomeni convulsivi indici della stimolazione dei neuroni spinali. Si è però avanzata la possibilità che a livello spinale la sostanza stimoli allo stesso modo sia i neuroni eccitatori sia quelli inibitori: la manifestazione convulsiva sarebbe quindi indice di eccitamento a livello corticale, dove i fenomeni inibitori sono relativamente scarsi. Il cardiazolo viene rapidamente assorbito per tutte le varie vie di somministrazione (dose di uso: 0,1 g), ma subisce una rapida inattivazione specialmente a opera del fegato, per cui l'azione è sostanzialmente molto breve.
La picrotossina è un composto equimolecolare di due lattoni: la pictotina (inattiva) e la pricrotossinina (attiva); la sostanza esercita un'azione analettica molto evidente, tanto che la si considera uno dei farmaci più efficaci per riportare alla norma il respiro, specialmente in caso di deficit. Naturalmente la sua azione non è selettiva sul centro respiratorio, ma, specie per dosi elevate, interessa molti altri centri, per cui possono comparire vomito, salivazione, tosse, vasocostrizione con ipertensione ecc., fino alle convulsioni scatenate da blandi stimoli tattili o acustici. Il farmaco, che si somministra alle dosi di 0,001-0,002 g al giorno per via intramuscolare, ha un'azione protratta, ma lenta da instaurarsi: per questa ragione si sono diffuse le associazioni con altri analettici, per es. nel 'picropen' con il cardiazolo, in maniera che all'inizio della prestazione sia quest'ultimo a indurre lo stimolo sul respiro con un'azione rapida, intensa, ma fugace, mentre in un secondo tempo interviene la pricrotossina a mantenere lo stimolo stesso con un'azione lenta, ma durevole.
Si classificano come narcotici: alcaloidi naturali dell'oppio; derivati della fenilpiperidina; derivati del benzomorfano; derivati dell'oripavina; oppioidi in associazione con antispastici (v. Tabella 4). Il rappresentante tipico della classe è la morfina, il cui abuso da parte degli sportivi è legato principalmente all'effetto analgesico. Nei confronti dell'attività sportiva vanno evidenziati gli effetti secondari importanti come la depressione respiratoria e la dipendenza fisica e psichica.
I narcotici agiscono sui recettori degli oppiacei, sia riducendo la trasmissione lungo le vie dolorifiche sia modificando la percezione centrale del dolore. L'azione centrale contribuisce anche alla sonnolenza e all'euforia. La morfina deprime la respirazione (azione sui recettori µ2), principalmente riducendo la risposta alla CO2, e il sovradosaggio è caratterizzato da frequenze respiratorie estremamente basse. La stimolazione del centro del vomito determina un prolungamento della nausea e del vomito in una certa percentuale di pazienti. La morfina (e simili) inoltre inibisce fortemente lo svuotamento gastrico, diminuisce la motilità intestinale fino a determinare stipsi, riduce le secrezioni gastriche, pancreatiche e biliari causando coliche biliari e talora determina difficoltà nella minzione. A dosaggi elevati si possono avere broncocostrizione, ipotensione posturale per vasodilatazione periferica, associata anche a liberazione di istamina. È noto che la morfina e derivati inducono dipendenza e, benché ciò non rappresenti un problema nel trattamento di breve periodo, la dipendenza e la tolleranza associata ne sconsigliano l'uso prolungato.
Si classificano come agenti anabolizzanti: steroidi anabolizzanti androgeni; agonisti selettivi dei recettori β2-adrenergici; adrenergici, in associazione (v. Tabella 5).
Steroidi anabolizzanti androgeni. Gli androgeni (steroidi a 19 atomi di carbonio, suddivisi nei derivati dell'androstano e dell'etiocolano) sono definiti comunemente come gli ormoni sessuali maschili, anche se il testosterone, così come altri di natura steroidea, è prodotto sia dalle gonadi maschili sia, in piccola quantità, da quelle femminili e da altri organi. Sono detti steroidi anabolizzanti i farmaci che, pur presentando la struttura steroidea di base degli androgeni, se ne differenziano per un minor effetto mascolinizzante e un maggior effetto sull'anabolismo proteico. È stata tale azione positiva degli androgeni sul metabolismo a incentivare la sintesi e la sperimentazione di composti steroidei anabolizzanti, nel tentativo di separare l'effetto anabolico dall'attività androgena.
Gli androgeni sono disponibili in campo terapeutico sin dal 1930, ma la loro efficacia nel promuovere un effetto protido-anabolico è rimasta per molti anni di nullo o scarso interesse nel campo della farmacologia dello sport. L'uso di queste sostanze, considerate naturali o 'simil-naturali' e quindi ritenute potenzialmente prive di effetti tossici, ha cominciato a espandersi attorno il 1960. La loro reperibilità è stata in seguito ampiamente facilitata dallo sviluppo di un florido mercato clandestino, alimentato anche dal fiorire delle importazioni parallele.
Il testosterone è prevalentemente secreto dai testicoli, ghiandole costituite da lobuli a tubuli retti o contorti rivestiti da cellule ad alto ritmo di maturazione frammiste a cellule di sostegno, le cellule di Sertoli, deputate alla secrezione di una sostanza ormonale con effetto inibitorio specifico sulle gonadotropine. Queste ultime sono costituite dal fattore gametogeno responsabile della spermatogenesi (FSH, Follicle stimulating hormone) e dal fattore testosterogeno responsabile della stimolazione delle cellule di Leydig (LH, Luteinizing hormone). Tra i tubuli è posto uno stroma connettivale in cui si trovano fibroblasti, macrofagi, mastcellule, fibre collagene e specifiche cellule epiteliali (cellule interstiziali o di Leydig), che secernono il testosterone. Le cellule di Leydig sono presenti in grande numero alla nascita, vanno riducendosi fino alla pubertà, durante la quale tornano ad aumentare in maniera consistente, per rimanere poi stabili fino alla senescenza. Possono produrre anche estrogeni, come ulteriore tappa nella sintesi del testosterone, attraverso lo stesso meccanismo con il quale questi sono prodotti nell'ovaio a partire dall'acetacetato (testosterone→19-idrossi-testosterone→estradiolo; androstenedione→19-idrossi-androstenedione →estrone). La biogenesi del testosterone avviene in vari organi a partire dall'acetacetato, attraverso la sintesi del colesterolo: oltre il 90% del testosterone deriva dalla biosintesi operata nel testicolo dalle cellule di Leydig, mentre meno del rimanente 10% origina dall'interconversione dell'androstenedione plasmatico. L'androstenedione deriva invece per il 40% dal testosterone che viene riversato nel sangue, mentre per il rimanente 60% origina dal cortico-surrene, dai testicoli e dal deidro-epiandrosterone (via fegato).
L'assorbimento degli androgeni dipende dalla via di somministrazione. Quelli naturali, come il testosterone, sono quasi completamente inattivati se somministrati per via orale, a causa del loro passaggio attraverso il fegato. Per proteggere il composto dall'inattivazione epatica, mantenendogli una notevole efficacia farmacologica con la somministrazione per uso orale, è necessaria una modificazione chimica della molecola, quale l'esterificazione. L'efficacia della somministrazione parenterale dipende dalla composizione del farmaco: soluzioni oleose o sospensioni di composti liberi sono di rapido assorbimento ed effetto, ma di scarsa durata, mentre utilizzando soluzioni oleose di forme esterificate si ha assorbimento ritardato e aumento e/o prolungamento dell'effetto.
In letteratura sono indicati i vari dosaggi d'uso dei derivati dal testosterone (alcuni dei quali sono riportati come esempio in Tabella 6, p. 598): da dosi inferiori a 10 mg/die fino a dosaggi di 1000-2000 mg in casi di atleti di potenza in concomitanza di manifestazioni internazionali.
Gli steroidi anabolizzanti (SA) sono severamente abusati da atleti professionisti e amatori che praticano sport di potenza per aumentare la massa e la forza muscolare. Il testosterone è lo steroide sessuale maschile responsabile della comparsa dei caratteri sessuali secondari maschili e svolge un'azione sia anabolizzante sia androgenica. Gli steroidi anabolizzanti simulano l'azione metabolica anabolizzante del testosterone con limitati effetti androgeni come per es. irsutismo, acne o comportamenti aggressivi. I migliori risultati si hanno nel sesso femminile, ove i livelli di testosterone sono più bassi.
Gli steroidi anabolizzanti possono essere assunti per via orale o per via intramuscolare usando un regime di 'accumulo' per esaltare gli effetti anabolici, rendere minimi gli effetti collaterali e diminuire i rischi di eventuali controlli antidoping: tutto ciò comporta l'assunzione alternata per via orale e per via intramuscolare per numerose settimane, come indicato nella Tabella 7.
Gli steroidi androgeni sono principalmente escreti nelle urine come 17-chetosteroidi neutri, proporzionalmente alla quantità di sostanza introdotta; tuttavia alcuni composti (per es., metiltestosterone, metilandrostenediolo) non vengono escreti in questa forma e possono diminuire (metiltestosterone) la presenza nelle urine degli stessi 17-chetosteroidi. L'escrezione urinaria di questi è inoltre molto influenzata dalle funzioni metaboliche dei vari organi (fegato e rene), oltre che dagli androgeni endogeni circolanti, per cui questo indice, comunemente utilizzato, è impreciso nel determinare la quota circolante.
Da un punto di vista farmacologico e biochimico non è facile differenziare le azioni principali, secondarie e collaterali degli androgeni e degli steroidi anabolizzanti. In campo sportivo è evidente che l'azione protido-anabolica sia quella ricercata, mentre gli altri effetti risultano negativi o collaterali. Gli steroidi androgeni presiedono allo sviluppo della massa dei muscoli scheletrici sia nei soggetti con sviluppo deficitario sia nei soggetti normali (tale azione è inibita dalla somministrazione di cortisone). Il rilievo che la massa dei muscoli striati aumenta sotto trattamento con androgeni è ben evidente quando si confronti lo sviluppo muscolare deficitario dei soggetti ipogonadici con quello dei soggetti normali. L'azione anabolizzante è da riferire a un aumento del contenuto di azoto e di proteine neoformate, accompagnato da un aumento di glicogeno, fosforo e, successivamente, dei composti fosforati a elevato potenziale energetico. La somministrazione continuativa di steroidi androgeni non dà luogo a un progressivo aumento del contenuto di glicogeno nel muscolo, ma nel tempo può causarne una deplezione.
A livello metabolico, la caratteristica principale posseduta da tutti gli androgeni, indipendentemente dalle proprietà mascolinizzanti, è l'effetto di stimolo sull'anabolismo proteico, come confermano alcuni dei più comuni test idonei a valutare queste proprietà: bilancio dell'azoto (diminuzione dell'escrezione urinaria), valutazione dell'incremento ponderale su muscoli specifici, valutazione dell'antagonismo sull'effetto catabolico dei glicocorticoidi. Affinché tale azione possa attuarsi è necessario che nella dieta siano presenti idonee quantità di aminoacidi essenziali e materiali azotati in misura sufficiente per la sintesi degli aminoacidi non essenziali e per il mantenimento di un corretto bilancio azotato. Le diete iperproteiche seguite da molti atleti spesso non sono bilanciate e il surplus proteico viene catabolizzato ad ammoniaca ed escreto, oppure convertito in grassi e immagazzinato. Questa conversione causa sovrappeso negli atleti in attività, che si accentua drasticamente quando vi sia un rallentamento o la sospensione dei carichi di allenamento o di gara.
La somministrazione di steroidi anabolizzanti provoca inoltre ritenzione tissutale di calcio, fosforo, sodio, potassio, cloro e acqua. La ritenzione idrica è responsabile di un rapido aumento di peso, che si verifica nel primo periodo di trattamento.
Gli effetti tossici degli steroidi androgeni e anabolizzanti riguardano principalmente il fegato. Alterazioni della funzione epatica sono indotte dall'uso degli steroidi orali in cui l'introduzione di un gruppo metilico o etilico in C-17 aumenta le proprietà epatotossiche. Principale conseguenza dell'uso di queste sostanze è una stasi biliare nel sistema dei dotti collettori e soprattutto nei lobuli centrali, senza alcun segno di ostruzione delle vie biliari maggiori. L'aumento della bilirubina, della fosfatasi alcalina e delle transaminasi è la principale modificazione biochimica rilevabile a livello ematico.
Il prolungamento della somministrazione può causare la comparsa di peliosi epatica, alterazione pretumorale caratterizzata da microcisti ematiche, la cui rottura può indurre gravi emorragie e disturbi morfofunzionali. Le forme tumorali franche mostrano più alta incidenza in soggetti giovani o giovani-adulti e istologicamente si presentano come carcinomi epatocellulari. In complesso il rischio di insorgenza di gravi alterazioni epatiche deve sempre essere tenuto nella debita considerazione, anche se manca una congrua indagine epidemiologica riferita a soggetti sani che, per doping, abbiano fatto uso protratto di androgeni e/o steroidi anabolizzanti. Gli effetti collaterali degli steroidi anabolizzanti dipendono dalle dosi assunte e dal tempo del trattamento: uno a breve termine di solito crea effetti collaterali reversibili, mentre terapie croniche determinano cambiamenti irreversibili.
Nella donna, per interferenza con le gonadotropine ipofisarie, la somministrazione di dosi elevate di androgeni provoca difetto di maturazione dei follicoli ovarici e ipotrofia dell'utero, della vagina e della ghiandola mammaria. Gli effetti sull'ovaio sono correlati con la dose somministrata e il periodo mestruale della somministrazione, mentre sulle strutture extraovariche si hanno sempre modificazioni in senso ipotrofizzante. Si osservano fenomeni di virilizzazione con approfondimento del timbro di voce, crescita dei peli e caduta dei capelli, cute più spessa e oleosa per stimolazione delle ghiandole sebacee, acne, aumento della libido e ipertrofia del clitoride.
Nell'uomo gli steroidi anabolizzanti inibiscono la normale funzione riproduttiva maschile: normalmente il testosterone è secreto dai testicoli in risposta all'ormone ipofisario LH, che aumenta quando il livello di testosterone è basso, ed è questo ciclo a permettere il funzionamento della spermiogenesi nei testicoli; in presenza di elevata quantità di steroidi anabolizzanti, che simulano la presenza di testosterone, si determinano atrofia testicolare e inibizione della spermiogenesi, fenomeni irreversibile che conducono alla sterilità maschile. Sugli organi riproduttivi accessori gli androgeni esplicano azione stimolante sul peso e sull'attività della prostata e vescicole seminali con modificazioni biochimiche del secreto prostatico e del liquido seminale.
Indipendentemente dalla deontologia sportiva, è difficile affrontare scientificamente il problema della reale efficacia dell'uso degli anabolizzanti nello sport. L'analisi della letteratura non aiuta a sciogliere gli interrogativi sulla loro reale utilità nell'indurre un incremento training-dipendente delle masse muscolari e, ancor di più, se questo incremento sia responsabile di un miglioramento della prestazione. Questa incertezza dipende dalla carenza metodologica delle ricerche (pochi casi, analisi statistiche superficiali, disomogeneità delle condizioni dei test, raramente ricerche in doppio cieco) e dalla varietà degli effetti ricercati (analisi morfologiche o di performance). Vari studi hanno potuto dimostrare un aumento significativo della massa corporea, del peso e della forza in sollevatori di peso che continuavano ad allenarsi durante il trattamento con steroidi anabolizzanti. Gli studi effettuati hanno dimostrato che l'aumento del peso non è dipendente da ritenzione di liquidi e che non si ha aumento della concentrazione di emoglobina, riduzione del grasso sottocutaneo e stimolazione del SNC. Dal punto di vista dell'atleta un effetto positivo conseguente all'assunzione di steroidi anabolizzanti è la sensazione di minor fatica, ma nessun lavoro scientifico ha suffragato questo apparente effetto fisiologico.
L'azione degli steroidi anabolizzanti è imputabile, come detto in precedenza, al loro effetto anabolico, anticatabolico e motivazionale, attraverso l'aumentata utilizzazione di proteine assunte, che ha breve vita per via di meccanismi compensatori. Contemporaneamente all'assunzione di steroidi anabolizzanti l'atleta assume sempre più proteine con la dieta, trattandosi di requisiti irrinunciabili per aumentare la massa muscolare.
L'azione anticatabolica si estrinseca soprattutto quando l'atleta è sottoposto ad allenamenti di alta intensità, che determinano un rilascio di glucocorticoidi dalla corteccia surrenalica, con aumento della glicemia per i fenomeni gluconeogenetici del fegato e per l'iniziale catabolismo delle proteine muscolari, e conseguente rischio di un bilancio azotato negativo. Gli steroidi anabolizzanti intervengono bloccando gli effetti dei glucocorticoidi, aumentando l'utilizzo delle proteine assunte e impedendo un bilancio negativo dell'azoto.
Gli effetti motivazionali degli steroidi anabolizzanti sono correlati allo stato di euforia e di diminuito senso di fatica che inducono. Il reale valore di questo effetto è, talvolta, discutibile; infatti effetti simili si sono avuti in seguito alla somministrazione di placebo.
Più in generale, l'uso degli steroidi anabolizzanti sembra incrementare le prestazioni di potenza dell'atleta quando questi è già in fase di allenamento prima del trattamento, mantiene l'allenamento di potenza durante il trattamento farmacologico, ed è cosciente con il medico somministratore del trattamento in corso. Quest'ultimo effetto 'psicotrofico' degli steroidi anabolizzanti è confermato dall'analisi di buona parte della letteratura dove nel 100% dei casi si ha aumento della prestazione in atleti informati del trattamento, mentre in doppio cieco questa percentuale scende al 43%. La ricerca scientifica ha in genere affrontato il problema in modo poco approfondito per arrivare a delle conclusioni certe sull'influenza di queste sostanze sullo sviluppo delle masse muscolari e sulla prestazione sportiva.
Agonisti ß2-adrenergici. La scelta dei farmaci antiasmatici ha posto nel passato vari problemi a causa della frequente presenza in essi di sostanze vietate, come l'efedrina e affini. L'avvento dei β2-agonisti per aerosol aveva risolto il problema, in quanto questi farmaci fino all'emanazione del DM 15 ottobre 2002 erano autorizzati. Questi farmaci sono ora banditi e anche la loro efficacia è dubbia.
Un maratoneta durante una gara scambia l'equivalente di 2 mesi di volume ventilatorio di un individuo a riposo. A questo si aggiunge che in alcuni individui il semplice esercizio può provocare broncospasmo. Quindi, indipendentemente dalla presenza di asma nell'atleta (10-15% dei soggetti), la necessità di aumentare la ventilazione può essere vista come un'esigenza fondamentale.
La potenza e rapidità di comparsa d'azione fanno dei β2-agonisti il trattamento di scelta per la prevenzione del broncospasmo indotto da esercizio fisico. Sebbene questi farmaci appartengano alla classe dei simpaticomimetici non hanno azioni psicostimolanti a carico del SNC, come invece le amfetamine. Il loro effetto è quasi esclusivamente locale, dopo somministrazione per aerosol, provocando rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale e vascolare.
La medesima azione si registra anche a carico degli apparati gastroenterico e genitourinario, ma solo dopo assunzione sistemica, al pari di quanto avviene a livello muscolare (aumento di potassio, glicogenolisi e lipolisi); nel fegato i β2-agonisti inducono glicogenolisi e gluconeogenesi. Pertanto, solo in caso di assunzione sistemica si dovrebbe parlare di effetti vantaggiosi e quindi di doping relativamente a questi farmaci. Un effetto limitante nello sport è la comparsa di tremori, che possono rappresentare una complicazione nell'andamento delle performance.
Con il termine diuretici possono intendersi: soluzioni che favoriscono la diuresi osmotica; tiazidi, non associate; sulfonamidi, non associate; derivati dell'acido arilossiacetico; altri diuretici ad azione diuretica maggiore; antagonisti dell'aldosterone; diuretici ad azione minore e farmaci risparmiatori di potassio; diuretici ad azione maggiore e farmaci risparmiatori di potassio; preparati favorenti l'escrezione di acido urico; inibitori dell'anidrasi carbonica (v. Tabella 8).
I diuretici sono usati per eliminare i fluidi tissutali in patologie dove vi è ritenzione idrosalina. Gli sportivi ne abusano prinicipalmente per due ragioni: ottenere una rapida riduzione ponderale in sport con categorie di peso; ridurre la concentrazione di farmaci nelle urine (effetti mascheranti). In ambedue i casi si tratta di un'evidente manipolazione punibile, ragione per la quale i diuretici sono vietati dal CIO che si riserva il diritto di prelevare campioni di urine alla pesatura dei concorrenti.
I diuretici chimicamente appartengono a diverse classi e hanno in comune la proprietà di promuovere un incremento dell'eliminazione dell'acqua e dei sali, riducendo il volume circolante con aumento dell'ematocrito. Sono dotati di diversa potenza in relazione al meccanismo in base al quale agiscono e al sito d'azione. I diuretici più abusati sono quelli che agiscono sull'ansa di Henle (furosemide, acido etacrinico e, parzialmente, diuretici tiazidici). Sono farmaci potenti, quasi quanto i diuretici mercuriali di vecchio uso. L'azione farmacologica sull'ansa è importante perché proprio in questo distretto avviene il riassorbimento dei tre quarti dello ione sodio ultrafiltrato e proveniente dal tubulo prossimale.
Gli effetti tossici dei diuretici sono numerosi e correlati alle singole classi. Tuttavia gli effetti collaterali indesiderati più pericolosi nell'impiego in regime di abuso sono: ipovolemia con attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e alterazioni della kaliemia, da cui possono derivare turbe del ritmo cardiaco (bradicardia e blocchi); deplezione della kaliemia e blocco idrosalino, con conseguenti effetti di adinamia, anoressia, stanchezza diffusa e vertigini; riduzione della tolleranza ai carboidrati, soprattutto nota per i tiazidici, che comporta quadri iperglicemici nei soggetti normali e aggrava sensibilmente il diabete nei soggetti affetti, che presentano quasi sempre un'immediata glicosuria; aumento dell'uricemia, clinicamente trascurabile nei soggetti normali, ma che può aggravare significativamente la sintomatologia dei soggetti gottosi e complicare la clearance delle enormi quantità di residui azotati che la dieta iperproteica impone all'organismo, come nel caso dei body-builders; ototossicità, soprattutto dovuta all'acido etacrinico, che incide sull'integrità della chiocciola e induce una riduzione sensibile delle gamme di frequenza udibili.
Con l'espressione ormoni peptidici e affini si intendono: gonadotropine-derivati e complessi; antigonadotropine-derivati e complessi; corticotropine-derivati e complessi; somatotropina-derivati e complessi; ormoni liberatori delle gonadotropine-derivati e complessi; inibitori della aromatasi; eritropoietina-derivati e complessi; insulina-derivati e complessi; IGF1-derivati e complessi, e altri (v. Tabella 9).
Già nel 1988 il CIO ha introdotto nell'elenco delle sostanze proibite una serie di sostanze comprese sotto il termine di ormoni peptidici, glicoproteici e loro analoghi. Di tale famiglia fanno parte: la gonadotropina corionica umana (HCG) esclusivamente per gli uomini; le gonadotropine ipofisarie e sintetiche (LH) esclusivamente per gli uomini; la somatotropina o ormone della crescita umana (HGH); i fattori di crescita insulino-simili (IGF-1, IGF-2) e tutti i rispettivi fattori di rilascio e i loro analoghi; l'insulina, il cui uso è consentito soltanto per il trattamento di atleti affetti da forme dichiarate di diabete insulino-dipendente (è necessaria la comunicazione scritta rilasciata da un endocrinologo o da un medico di squadra); le corticotropine (ACTH, tetracosactide); l'eritropoietina (EPO).
Tutti questi ormoni sono stati classificati dal CIO nella classe E delle sostanze vietate. La presenza di una concentrazione anomala di ormone endogeno appartenente alla classe E o dei suoi marcatori diagnostici nelle urine di un atleta costituisce un'infrazione, a meno che non sia stato comprovato in via definitiva che il fenomeno è dovuto esclusivamente a una condizione fisiologica o patologica.
L'uso di queste sostanze nello sport è un tema ricorrente nella stampa e spesso la mancanza di prove soddisfacenti per determinarne la presenza viene addotta come argomento in favore del fatto che l'antidoping sarebbe una guerra persa e che prestazioni di massimo livello non sarebbero realizzabili senza doping. Tuttavia chi argomenta in questo modo parte dal presupposto che tali ormoni peptidici abbiano una capacità illimitata nel potenziare la prestazione. Invece solo all'eritropoietina è riconosciuta una significativa efficacia e a tutt'oggi esistono ragioni di dubitare degli effetti dopanti della somatotropina. Il problema, ancora irrisolto, di come provare la presenza di queste sostanze rende difficile fare una stima esatta dell'abuso di esse nello sport di vertice.
Per trattare il problema della rilevazione dell'avvenuta somministrazione di ormoni peptidici, è necessario fare una distinzione fra gonadotropina corionica, eritropoietina, somatotropina, fattore di crescita insulino-simile e insulina, e inoltre fornire alcune informazioni sull'avanzamento della ricerca e sull'attuale stato delle conoscenze relative agli effetti fisiologici di queste sostanze al fine di stimare gli effetti dopanti.
I metodi attualmente adottati dai laboratori e le tecniche analitiche alternative sono la voltammetria, l'elettroforesi capillare e la spettrometria di massa per rapporto isotopico (IRMAS). Sono in esame le possibilità di risalire all'assunzione di sostanze inserite nelle liste antidoping mediante l'analisi di matrici biologiche diverse dalle urine, quali per es. i capelli e la saliva.
Gonadotropina corionica umana (HCG). Prodotta esclusivamente dalla donna durante la gravidanza, favorisce la produzione di alcune sostanze come il progesterone e l'estradiolo. La somministrazione in atleti di sesso maschile stimola la produzione d'ormoni androgeni (effetto ricercato dall'atleta a scopo dopante) ed è considerata equivalente alla somministrazione farmacologica di testosterone. A tal proposito è noto da qualche tempo che gli ormoni androgeni determinano anche un aumento del numero di globuli rossi circolanti.
Poiché gli uomini non possono produrre HCG se non in quantità insignificanti, la sua presenza nelle urine, rilevabile per via radioimmunologica (RIA) per 3-4 giorni dalla somministrazione, può essere attribuita solo a una somministrazione esterna.
Tra i rischi e i danni prodotti dall'HCG figurano in età prepuberale precoci saldature delle cartilagini d'accrescimento con conseguente blocco della crescita e pubertà precoce; in età adulta ipertrofia prostatica, alterazioni del metabolismo del fegato, con possibile insorgenza anche di tumori, ginecomastia nell'uomo, emicrania caratterizzata da accessi più o meno ravvicinati e duraturi, alternanza d'eccitazione, euforia e depressione.
Somatotropina od ormone della crescita (HGH). La somministrazione di questo ormone, che stimola l'accrescimento fisiologico, è limitata al trattamento di bambini con particolari difficoltà di crescita, dovute alla sua mancata produzione da parte dell'ipofisi per disfunzione.
L'azione dell'HGH, che si svolge in modo diretto, è in grado di influenzare il metabolismo energetico e in particolare: a) il metabolismo delle proteine, favorendo sia il trasporto degli aminoacidi nei muscoli sia il loro assemblaggio nella costruzione delle proteine muscolari; è mediato da IGF-1 (somatomedina C) e IGF-2, catene polipeptidiche lineari di 70 e 67 aminoacidi, rispettivamente, con meccanismi autocrini, paracrini e endocrini; b) il metabolismo glucidico, stimolando le cellule del pancreas alla secrezione sia del succo digestivo, sia dell'insulina; questa agisce prevalentemente sul glucosio, impedendo la formazione delle sostanze grasse e promuovendo la sintesi in glicogeno sia nel fegato sia nei muscoli; c) il metabolismo lipidico, con probabile azione lipolitica.
Quest'ormone può essere impiegato solo nelle indicazioni autorizzate e su prescrizione di Centri specializzati individuati dalle singole Regioni. La somministrazione farmacologica negli atleti comporta una rilevante diminuzione del peso nel comparto dei grassi con un contemporaneo aumento della parte magra, in altre parole della massa muscolare. A quest'aumento non corrisponde però un incremento della capacità di produrre maggiore sforzo fisico in muscoli già abbondantemente allenati, come quelli di coloro che svolgono regolarmente attività motoria. Da ricordare peraltro che il sonno, l'esercizio fisico e una dieta che include una buona dose di proteine (come brodo di carne) sono ottimi stimolanti della produzione di ormoni della crescita.
Effetti collaterali minori, ma non per questo meno pericolosi, sono le cardiopatie, le variazioni dei valori della pressione, l'intolleranza al glucosio e il diabete.
L'ormone della crescita è ricercato dai cultori del body-building perché è ritenuto molto valido per massimizzare l'apparenza scultorea dei muscoli. Il fatto che il commercio e la distribuzione siano regolati da procedure di controllo molto rigide comporta che siano disponibili sul mercato clandestino prodotti contraffatti, contenenti ormoni animali e gonadotropina corionica umana. Inoltre si segnala la possibilità di incappare in partite di ormoni della crescita infettate dal prione della mucca pazza, con il rischio di contrarre la malattia di Creutzfeldt-Jakob, o da virus HIV.
Negli ultimi anni con tecniche genetiche (DNA ricombinato) sono stati prodotti ormoni della crescita biosintetici, in potenza identici all'ormone ricavato dall'ipofisi umana. Le dosi utilizzate dagli atleti variano da 4U a settimana a 10U al giorno, per molte settimane.
L'emivita breve (15′-28′) e la scarsa eliminazione urinaria (0,01%) ne rendono difficile l'individuazione che si effettua con metodo RIA. La concentrazione plasmatica e urinaria correla però molto bene e un nuovo metodo di individuazione è emerso con la determinazione del rapporto IGF-1/IGF-2. La concentrazione serica di IGF-1 e IGF-2 è maggiore di quella di HGH ed è aumentata dalla somministrazione di questo. La clearance metabolica di IGF-1 ha una lenta induzione dopo la scomparsa di HGH e la sua individuazione può svelare eccessivo uso di HGH o di cortisolo.
Fattore di crescita insulino-simile (IGF-1). Così chiamato perché ha una struttura molecolare simile a quella dell'insulina, è prodotto da più tessuti, in particolare dal fegato. È utilizzato in terapia medica esclusivamente in certe patologie del bambino. Alcuni atleti lo assumono nella convinzione che possa avere effetti anabolizzanti in quanto stimola l'azione dell'ormone della crescita. Di questo tuttavia possiede solo gli effetti negativi. I rischi sono miocardiopatie, diabete, ipertensione, sviluppo abnorme osseo soprattutto delle estremità degli arti e del cranio.
Insulina. È un ormone prodotto dal pancreas, la cui produzione è stimolata dall'aumento di zuccheri nel sangue. Favorisce la captazione di glucosio da parte dei tessuti attraverso un miglior trasporto dello stesso nel sangue e la sua successiva penetrazione attraverso le pareti delle cellule. Inoltre stimola la sintesi delle proteine ed è proprio questo l'effetto ricercato dagli atleti convinti degli effetti anabolizzanti inibenti a carico del tessuto muscolare. Nessuno di questi effetti è mai stato dimostrato da studi clinici effettuati su soggetti sani. L'insulina è consentita solo in caso di trattamento di soggetti diabetici insulino-dipendenti. L'uso improprio dell'insulina, anche se occasionale, può determinare crisi ipoglicemiche acute che possono portare al coma e alla morte. Altri effetti collaterali sono l'anemia emolitica, dovuta a rottura dei globuli rossi, miocardiopatie, ritenzione idrica e aritmie associate a ipoglicemie.
Corticotropina (ACTH). Sostanza secreta dall'ipofisi, controlla la produzione dei corticosteroidi, come il cortisolo e il cortisone, da parte della corteccia surrenale. Viene utilizzata dagli atleti sia per controllare lo stress psicofisico conseguente alla liberazione di ormoni dello stress, sia per la sua azione antidolorifica dovuta all'aumentata concentrazione in circolo di cortisone. Ma soprattutto è assunta ad alte dosi in qualità di induttore di un aumento transitorio dell'ormone della crescita e pertanto per un potenziale effetto anabolizzante.
Gli effetti collaterali sono molteplici: a) alterazione del metabolismo idrosalino, caratterizzato da diminuzione dei livelli plasmatici del potassio e del cloro, da alcalosi e da ritenzione di sodio e di acqua, che provoca edema (gonfiore e succulenza dei tessuti per anormale aumento dei liquidi interstiziali) con aumento della pressione arteriosa (sindromi ipertensive); b) alterazioni cutanee, caratterizzate da acne o manifestazioni acneiformi che si manifestano soprattutto al viso e, in misura minore, alla parte superiore del torace e della schiena; la cute diventa molto sottile, con perdita di elasticità e comparsa di striature purpuree e irsutismo e lentezza nella cicatrizzazione delle ferite; c) alterazioni psicologiche, con sintomatologia costituita inizialmente da euforia, iperattività e insonnia, successivamente da stati maniacali, depressione, agitazione psicomotoria e psicosi; d) diabete mellito; e) infezioni secondarie dovute a una diminuzione delle resistenze nei confronti di batteri, virus, protozoi, miceti ecc.; f) osteoporosi con conseguente fragilità ossea; g) disturbi muscolari con debolezza, atrofia e talvolta fibrosi; h) sindrome di Cushing iatrogena; i) ulcera gastroduodenale; l) reazioni anafilattiche; m) cefalea, vertigini.
Eritropoietina (EPO). Tra le varie classi di sostanze dopanti l'eritropoietina è forse quella che negli ultimi anni ha destato maggior clamore nel mondo delle competizioni sportive, per la grande diffusione che sembra avere tra gli atleti di endurance.
L'eritropoietina è una sialil-glicoproteina composta da 166 aminoacidi di peso molecolare 30,4 kdalton, di cui circa il 40% rappresentato da carboidrati; infatti alla porzione proteica si aggiungono 4 residui glicosilati (acidi gliconeurammici). È prodotta principalmente dalla corticale renale (circa 90%) e dal fegato (la produzione epatica nell'adulto è pari a circa il 10-15% della sintesi eritropoietinica totale) e ha un'emivita valutabile in 6-9 ore.
L'EPO è un ormone che regola la produzione della massa eritrocitaria circolante in relazione al fabbisogno tissutale di ossigeno, stimolato da tutti quei fattori che riducono l'ossigenazione dei tessuti, come un diminuito volume ematico, un calo della concentrazione di emoglobina nel sangue o della sua saturazione d'ossigeno, una riduzione del flusso sanguigno periferico e le malattie polmonari che ostacolano l'assunzione di ossigeno con la respirazione.
Sembra che un sensore localizzato nella corticale renale (probabilmente una proteina contenente un gruppo eme) sia in grado di avvertire una riduzione del contenuto di ossigeno ematico e di provocare un reclutamento di nuove cellule interstiziali peritubulari, le quali danno inizio alla produzione di eritropoietina; tuttavia a volte anche un'ipossia che non interessi i reni, ma altre regioni dell'organismo può stimolare la secrezione di eritropoietina, il che fa supporre che vi sia anche qualche 'sensore' extrarenale, in grado di trasmettere un segnale ai reni per stimolarli a produrre l'ormone. A tale proposito va ricordato che anche altre sostanze endogene, come adrenalina e noradrenalina, possono stimolare la produzione di eritropoietina da parte dei reni.
L'eritropoietina è dunque il fattore più importante per la stimolazione delle cellule staminali del midollo osseo in risposta all'ipossia; le cellule staminali si differenziano, con maturazione ritardata nel tempo, prima in colonie eritroidi formate da BFU-E (Burst forming units-erythroid); in seguito replicano e si differenziano in colonie eritroidi CFU-E (Colony forming units-erythroid) e infine in globuli rossi maturi. Questo processo dura in media 7 giorni, ma il picco di produzione eritrocitaria viene raggiunto al quinto giorno. Normalmente i valori medi di EPO circolante sono di 15-30 u/l. I benefici della terapia con r-HuEPO (eritropoietina ricombinante umana) derivano dalla proliferazione dei BFU-E e dalla differenziazione delle CFU-E, dal rapido rilascio di reticolociti da parte del midollo e dall'aumento della produzione di emoglobina, con un incremento nel trasporto di ossigeno e conseguentemente della sua disponibilità ai tessuti.
L'ormone eritropoietina è stato purificato per la prima volta nel 1977 a partire da urine di pazienti anemici; la sequenza aminoacidica così ottenuta ha reso possibile la clonazione del gene che codifica l'eritropoietina umana, situato sul braccio corto del cromosoma 7. Dal 1987 è comparsa in Europa l'eritropoietina ricombinante (r-EPO), prodotta utilizzando il DNA di cellule ovariche di criceto cinese, quasi indistinguibile dal punto di vista biochimico e immunologico.
L'avvento della terapia con r-HuEPO ha permesso di correggere l'anemia da insufficienza renale e di prevenire le complicanze delle terapie trasfusionali nei pazienti con blocco renale ai quali l'EPO viene somministrata in dosi pari a 150 U/kg per tre volte alla settimana, modificando, se necessario, la posologia; l'emivita del r-HuEPO somministrata per via endovenosa è approssimativamente di 5-11 ore, mentre per via sottocutanea è di circa 25 ore, con un picco di concentrazione dopo 15 ore dalla somministrazione. L'ipotesi che la somministrazione di eritropoietina ricombinante umana potesse condurre a un miglioramento sensibile delle prestazioni, ha spinto diversi atleti, praticanti sport di resistenza, a utilizzarla per produrre un incremento della massa eritrocitaria circolante e aumentare l'apporto e la disponibilità di ossigeno ai tessuti. Secondo quanto riportato da alcuni autori, somministrazioni di EPO (al dosaggio di 660 U/kg) per via endovenosa due volte alla settimana producono un aumento del volume degli eritrociti del 41%, dell'ematocrito di oltre il 10%, dei limiti di resistenza di oltre il 17%, del VO2max dell'8% e della pressione sistolica sanguigna dell'8%. Ogni grammo di emoglobina lega 1,34 ml di O2, pertanto un incremento di emoglobina apporta un aumento sensibile di O2 ai tessuti, tanto più importante durante esercizi aerobici che utilizzano O2 per la produzione di energia. Tuttavia diversi studi hanno dimostrato che più che l'aumento dell'emoglobina o del volume plasmatico è l'incremento dell'ematocrito a condizionare l'aumento del VO2max. Infine, durante l'esercizio fisico, l'aumento della massa eritrocitaria accresce la capacità tampone del sangue nei confronti del lattato, prodotto durante il lavoro anaerobico.
Esistono però degli effetti nocivi derivanti dall'EPO che sono dose-dipendenti e sono riconducibili all'incremento della produzione di eritrociti, responsabile, insieme all'aumento della concentrazione di serotonina piastrinica, dell'iperviscosità del sangue, oltre che dell'ipertensione arteriosa. Questi effetti avversi vengono esacerbati dalla disidratazione conseguente allo sforzo fisico, specie se protratto nel tempo e a elevate temperature ambientali. A causa dell'iperviscosità ematica, che può dare diversi sintomi come cefalea, vertigini, alterazioni della visione, angina, claudicatio, gli atleti possono andare anche incontro a eventi di ipossia tromboembolica. Questi fenomeni sono stati ritenuti come i possibili responsabili delle morti di alcuni ciclisti europei (alcuni deceduti durante il sonno).
Da tempo il CONI, la FCI, il CIO e tutte le federazioni associate stanno cercando di scoraggiare l'uso dell'EPO e di tutti gli altri metodi di intervento sul sangue fra gli atleti, introducendo controlli ematici e urinari programmati e a sorpresa. I metodi indiretti di ricerca nel sangue apparivano, fino a poco tempo fa, gli unici utilizzabili, per evitare almeno che gli atleti gareggiassero in condizioni rischiose per la salute. Attualmente è in corso di validazione un metodo in grado di rilevare l'r-HuEPO dai prelievi urinari.
Tra le strategie da mettere in atto sono previste cartelle cliniche dell'atleta che contengano valori ematochimici aggiornati semestralmente, in maniera che qualunque variazione dell'ematocrito superiore alla media stagionale debba considerarsi sospetta. Inoltre è di utilità la ricerca in citofluorimetria dei precursori eritroidi che possono presentare una cinetica diversa nei soggetti trattati con EPO. Le analisi prevedono un esame emocromocitometrico completo (emoglobina, ematocrito, eritrociti, MCV, MCH, MCHC e RDW) e conta dei reticolociti; dovrebbero essere raccolti anche i cosiddetti parametri reticolocitari, ovvero contenuto di emoglobina (CHr) e volume dei reticolociti stessi (MCVr), valutazione dello stato del ferro corporeo (sideremia, TIBC, saturazione della transferrina, ferritina sierica, recettore solubile della transferrina). Vengono riconosciuti patologici i seguenti valori: ematocrito > 39-50% per i maschi, 36-47% per le femmine; emoglobina 13-17 g/dl per i maschi, 12-16 g/dl per le femmine; reticolociti 0,4-2% o 20-100 x 109/l (per maschi e femmine); recettore solubile della transferrina > ambito di riferimento del kit impegnato (per maschi e femmine); ferritina sierica 15-250 ng/ml per i maschi e 10-150 ng/ml per le femmine.
Già tali controlli, se effettuati in maniera efficiente e rapida, possono dare la sensazione di non lasciare spazio alla possibilità di utilizzare r-HuEPO senza rischiare di essere sospesi.
Una svolta nella lotta all'abuso di eritropoietina si è avuta nel luglio 2000 quando la commissione di esperti del CIO ha convalidato i due test che individuano l'EPO esogena nel sangue e nelle urine, realizzati rispettivamente dall'Istituto dello sport australiano e dal laboratorio francese di Chatenay-Malabry, Parigi. Il metodo australiano è indiretto e si basa sullo studio della variazione di alcuni parametri sanguigni dopo somministrazioni di EPO esogena; ha la possibilità di individuare la sostanza assunta fino a 20 giorni dopo, ma non individua direttamente l'EPO. Del metodo francese, che si rivela capace di individuare l'assunzione fino a tre giorni dopo, è stata riconosciuta la validità, ma ancora mancano verifiche su larghe fasce di popolazione mondiale (razze diverse).
Appartengono a questa classe gli anestetici locali non associati e gli anestetici locali in associazione (v. Tabella 13).
Le informazioni sensoriali, comprendenti il dolore, si trasmettono all'encefalo lungo i nervi e il potenziale di azione è propagato da un flusso locale di ioni sodio, che penetrano nell'assone, scambiati con ioni potassio. Gli anestetici locali possono causare un blocco localizzato e reversibile della conduzione interferendo con l'apertura del canale del sodio, che è bloccato nella sua porzione più interna. Sono impiegati mediante infiltrazioni in loco, e quindi l'unica variante farmacocinetica determinante dipende dalla penetrazione dal sito di iniezione all'interno della terminazione nervosa. Il passaggio nella circolazione sistemica è la determinante principale sia della scomparsa dell'effetto farmacologico sia degli effetti tossici e/o sistemici. Questi farmaci sono amidi (la maggioranza) o esteri, e la velocità con cui agiscono dipende dalla frazione non ionizzata, dalla liposolubilità e dalla quota di farmaco non legato. Le fibre nervose di grandezza minore sono le più sensibili. Molto spesso sono adoperati in associazione con adrenalina o altri vasocostrittori, per ridurre la vascolarizzazione nella sede di iniezione e di conseguenza il loro assorbimento al fine di un prolungamento della durata d'azione. Tuttavia questa azione potrebbe alterare la vascolarizzazione di zone in via di guarigione in caso di lesioni, infiammazioni ecc. Alcuni anestetici locali, come per es. la ropivacaina, sono loro stessi dei vasocostrittori. Le risposte allergiche sono molto più comuni con gli esteri che con le amidi. L'allergia può essere causata anche dai conservanti presenti nei preparati. Tutto ciò può aumentare le complicanze che possono verificarsi con l'uso di questi prodotti.
Gli anestetici possiedono tossicità a carico del SNC (accessi convulsivi, coma e depressione respiratoria) e cardiovascolare (aritmie ventricolari) dipendenti dalla dose e concentrazione plasmatica. La tossicità a carico del SNC è potenziata da ipossia e ipercapnia. Alcuni prodotti provocano inoltre metaemoglobinopatie (alte dosi) potenzialmente pericolose.
Gli atleti usano questo gruppo di sostanze per ridurre la sensazione di dolore, soprattutto negli sport in cui le performance sono accompagnate da microtraumatismi, o in quelli dove gli eventi traumatici sono molto frequenti. Ne fanno ampio uso anche gli atleti che devono ridurre il dolore e accelerare la ripresa, per prodursi in sforzi ripetuti, o devono accelerare la ripresa della pratica agonistica, dopo eventi traumatici maggiori.
Da un punto di vista clinico l'uso di queste sostanze è naturalmente da sconsigliare poiché possono sia ritardare la guarigione dal trauma sia peggiorare pesantemente il trauma originario.
L'etanolo è la principale componente delle bevande alcoliche. Sebbene il suo uso prima di competizioni sportive non sia un evento frequente, spesso il suo consumo è largamente diffuso nel post-gara.
Ci sono sufficienti evidenze per affermare che dosi moderate di etanolo (1 o 2 bicchieri di vino al giorno) riducono la mortalità cardiovascolare nei soggetti a rischio.
L'etanolo è facilmente assorbito nel tratto gastrointestinale (non richiede digestione) e si distribuisce peggio nei tessuti ad alta componente lipidica, di conseguenza le donne hanno una maggiore concentrazione plasmatica. Alcune patologie (per es. gravi epatopatie) o alcuni farmaci possono ritardare la clearance renale, non esistono viceversa fattori che possano accelerarla. L'esercizio fisico non ne modifica la farmacocinetica.
Gli effetti dell'etanolo sono a carico del sistema simpatico. Può determinare un aumento della pressione ematica anche solo con una singola dose. A livello periferico causa vasodilatazione, ma non aumenta né la perfusione arteriosa muscolare né il consumo di ossigeno muscolare. Può provocare aritmie. L'etanolo inoltre è un diuretico, per cui l'uso per periodi prolungati associato a diuretici, o prima di competizioni di lunga durata (con grandi perdite di liquidi) è da sconsigliare.
L'etanolo influenza maggiormente il metabolismo dei carboidrati rispetto a quello lipidico; produce un elevato declino delle concentrazioni plasmatiche del glucosio nonché dell'utilizzo a livello muscolare. Inoltre, l'aumento dell'acido lattico, dovuto al metabolismo dell'etanolo, non facilita l'esercizio anaerobico durante lo sforzo prolungato.
Gli effetti dell'etanolo sull'umore sono ampiamente conosciuti; essendo un depressore del SNC, può demotivare gli atleti nel raggiungimento della performance sportiva. Inoltre, produce gravi conseguenze sulla capacità di coordinazione motoria. Nonostante si abbia una sensazione di diminuito affaticamento, gli effetti sono del tutto transitori. A livello polmonare, dopo lo sforzo, diminuisce la risposta adattativa. Esistono infine possibili alterazioni nutrizionali (diminuzione di vitamina C e del complesso B, di magnesio e potassio), gastroenteriche (per es. perdite ematiche da ulcere) ed eventuali interazioni con altri farmaci.
I derivati dalla Cannabis sativa e indica
I principali componenti di questa classe sono: tetraidrocannabinolo (THC), nabilone, levonantradolo. I cannabinoidi sono stati impiegati in terapia con diverse indicazioni. La loro efficacia come antiasmatici, come antiemetici, nel glaucoma ad angolo aperto, nella sclerosi multipla, nell'ansietà, nell'insonnia e nella depressione è riconosciuta, mentre il loro uso in farmacologia è stato lungamente dibattuto. Esistono, inoltre, problemi oggettivi legati all'uso di alcuni di essi (il THC è poco solubile in acqua, poco stabile e ha una lunga emivita).
Gli effetti collaterali legati all'uso di queste sostanze dipendono anche dalla via di somministrazione (più rapidi e alti livelli nel SNC se assunte attraverso il fumo, più lenti e prolungati se assunte per via orale). Se ne possono presentare, comunque, tutta una serie in connessione all'utilizzo sia per inalazione attraverso il fumo (paranoia, tachicardia, palpitazioni, tosse, broncocostrizione, ipotensione ecc.), sia per somministrazione orale (ipotensione, confusione, disorientamento spaziotemporale, tremore, debolezza muscolare, euforia, disforia, atassia, aumento dell'appetito ecc.), sia per via parenterale (dolori addominali, crampi alle estremità inferiori, nevralgia facciale, rash ecc.). In una piccola percentuale di pazienti (<10%) con l'ingestione di cannabinoidi si sono anche presentati problemi più seri come allucinazioni, astenia, parestesia, amnesia, sincope, incontinenza fecale, tachicardia, mania, incubi, letargia, emicrania, psicosi, ritenzione urinaria, ipertensione, eccessiva sudorazione, disfagia.
Poiché l'azione principale dei cannabinoidi va a deprimere il SNC, l'impiego con altri prodotti simili (per es. benzodiazepine ecc.) è da sconsigliare. Ulteriori problemi possono derivare dal grado di purezza dei prodotti usati, o dalla presenza di altre sostanze psicotrope presenti nell'estratto. Inoltre, a carico del sistema cardiovascolare si possono registrare tachicardia, palpitazioni (legate al rilascio di catecolamine e all'azione antimuscarinica) e sincope. Alcuni studi dimostrano che i cannabinoidi riducono del 50% la quantità di esercizi necessari a produrre angina. A livello polmonare si può avere moderata broncodilatazione, che però scompare con l'uso cronico, sia per aumento delle resistenze delle vie aeree superiori, sia per le possibili sovrainfezioni.
Vista tutta questa larga varietà di possibili effetti collaterali più o meno frequenti, l'impiego di questa classe di sostanze da parte degli atleti non è consigliabile.
A tale categoria appartengono mineralcorticoidi; glucocorticoidi; corticosteroidi sistemici, associazioni (v. Tabella 14).
Mineralcorticoidi. Il fludrocortisone è l'unico mineralcorticoide sintetico disponibile per l'uso terapeutico. È un derivato dell'idrocortisone e la sua attività glucocorticoide è circa 30 volte inferiore a quella mineralcorticoide. Il sito d'azione primario è il tubulo distale, in cui aumenta la ritenzione di sodio e acqua, mentre promuove l'escrezione di potassio. Il fludrocortisone sopprime l'attività della renina e la secrezione di aldosterone e a dosi più elevate induce inibizione dei glucocorticoidi endogeni, soppressione delle difese immunitarie, deposizione di glicogeno epatico e bilancio negativo dell'azoto. Nei climi caldi e negli individui con attività fisica intensa può essere necessario aumentare la dose, in associazione a un'adeguata assunzione di sale per antagonizzare le perdite col sudore. L'impiego dei mineralcorticoidi negli sportivi è associato quindi alla necessità di ridurre i liquidi presenti a livello corporeo.
Glucocorticoidi. Due sono i principali effetti: inibizione dei processi flogistici e diminuzione del contenuto in collageno del tessuto. L'effetto antiflogistico è dovuto all'azione stabilizzante esercitata sulla membrana cellulare e sulle membrane lisosomiali dei fibroblasti. Sotto l'influenza dell'ormone, gli enzimi proteolitici lisosomiali non vengono estrusi dalla cellula e non possono esercitare quindi il loro effetto citotossico sugli elementi cellulari circostanti e sulla matrice intercellulare. Contemporaneamente i fibroblasti divengono più resistenti alle sostanze citotossiche, probabilmente a causa di una inibizione da parte dei corticosteroidi del processo di pinocitosi, attraverso il quale vengono assunti nell'ambiente intracellulare gli enzimi proteolitici.
La diminuzione del contenuto in collageno è dovuta da un lato alla depressione dell'attività metabolica dei fibroblasti, e dall'altro all'aumentato catabolismo del collageno già formato. La riduzione dell'attività metabolica cellulare si traduce in una riduzione della produzione sia del collageno (probabilmente per ridotta sintesi di protocollageno), sia dei mucopolisaccaridi. Questi ultimi svolgono un ruolo essenziale nella formazione e nella stabilizzazione dei legami tra le fibrille collagene. Pertanto, la diminuzione dei mucopolisaccaridi inibisce l'aggregazione delle fibrille collagene neoformate e favorisce la disgregazione delle fibre già formate. Oltre che a questo meccanismo, la degradazione del collageno è dovuta presumibilmente a un'aumentata sintesi da parte dei fibroblasti di enzimi proteolitici, la cui attività collagenolitica è facilitata dalla disgregazione delle fibre collagene causata dalla ridotta sintesi di derivati glicoproteici. Probabilmente, quindi, la degradazione del collageno provocata dai corticosteroidi si realizza attraverso un meccanismo complesso in cui la ridotta sintesi mucopolisaccaridica e glucoproteica e l'aumentata produzione di enzimi proteolitici agiscono in modo sinergico.
Le indagini dirette a studiare gli effetti della somministrazione locale di corticosteroidi hanno fornito risultati contrastanti attribuibili probabilmente a diversi fattori, quali il tipo e la dose di corticosteroide iniettato, il solvente usato, il numero di infiltrazioni praticate, la risposta soggettiva. Nei tendini, tuttavia, molta importanza riveste la sede in cui viene praticata l'infiltrazione, come si desume dalla diversità degli effetti indotti sul tessuto tendineo da una singola infiltrazione di metilprednisolone deposito, a seconda che lo steroide venga iniettato in sede peritendinea o intratendinea. Quando l'ormone viene iniettato alla periferia o nel contesto delle guaine peritendinee, nei primi giorni dopo l'infiltrazione il tessuto circostante i depositi di steroide appare disorganizzato e frammentato, o in preda ad alterazioni degenerativo-necrotiche. Successivamente, intorno ai depositi compare un infiltrato infiammatorio costituito da polimorfonucleati e da cellule di tipo macrofagico che tendono a fagocitare la sostanza iniettata. A partire dalla seconda-terza settimana le aree in cui era stato infiltrato l'ormone vengono progressivamente invase e sostituite da tessuto connettivo neoformato. Il tessuto tendineo non presenta alterazioni morfologiche se lo steroide viene infiltrato a distanza da esso. Se la sostanza iniettata viene a trovarsi a diretto contatto con i fasci più superficiali del tendine, la porzione di tessuto tendineo, situata in immediata vicinanza del deposito steroideo, viene interessata più rapidamente e il tessuto tendineo non presenta alterazioni regressive apprezzabili morfologicamente.
Pressoché sovrapponibili risultano le alterazioni strutturali a carico del connettivo capsulo-legamentoso dell'articolazione, associate a fenomeni degenerativi (osteoporosi)-reattivi (esostosi, ispessimento della corticale) delle estremità ossee intrarticolari.
Fattori favorenti queste manifestazioni sono i trattamenti di lunga durata, mentre i fattori predisponenti sono l'età avanzata (artrosi), il sesso (osteoporosi pre- e postmenopausale), le patologie osteoarticolari a evoluzione cronica, la risposta individuale.
I preparati farmaceutici di uso più comune sono: il betametasone di sodio fosfato, il metilprednisolone acetato e il desametasone-21fosfato bisodico, mentre l'idrocortisone acetato in soluzione acquosa, l'acetato butilico terziario di idrocortisone e l'acetonide di triamcinolone sono sempre meno impiegati o caduti in disuso.
Già dal 1975 il CIO ha limitato l'uso attraverso la dichiarazione di medici federali, essendo evidente l'uso non terapeutico in certi sport. Tuttavia il problema non è stato risolto, così si è autorizzato solo l'uso locale, inalatorio (asma, riniti allergiche) o per iniezioni locali/intrarticolari. Il medico federale deve informare per iscritto la Commissione medica del CIO sull'uso per un concorrente.
Gli impieghi di farmaci corticosteroidi in terapia medica sono innumerevoli. Molto spazio trovano tuttora nel trattamento locale (infiltrazione) di processi flogistici acuti e cronici (fase di riacutizzazione) del comportamento osteomuscolare e tendineoarticolare. Pur tuttavia questo tipo di approccio terapeutico non è scevro da affetti collaterali locali soprattutto se il substrato su cui si agisce è già interessato da fenomeni cronico-degenerativi.
I betabloccanti sono una vasta categoria di farmaci suddivisi in: non selettivi, quando agiscono sui recettori β1 e β2; selettivi, quando agiscono prevalentemente sui recettori β1 (v. Tabella 15, p. 612).
Sono impiegati come antipertensivi, antiaritmici, antianginosi e antiemicranici, tuttavia posseggono numerosi effetti collaterali. L'uso non corretto dei non selettivi può causare eventi gravi come scompenso cardiaco, ipotensione, turbe della conduzione, ischemie periferiche, brancospasmo, crisi ipoglicemiche, psicodepressione, insonnia e allucinazioni; i selettivi possono comportare brancospasmo, depressione e impotenza sessuale.
Gli atleti usano questi farmaci nel tentativo di migliorare l'efficienza cardiocircolatoria, di eliminare eventuali aritmie, di ridurre il consumo di O2 e lo stress psicologico. Su base neurovegetativa, con l'avvio dell'attività motoria, il tono vagale diminuisce rapidamente, rimane basso durante l'esercizio fisico e cresce notevolmente alla fine dello sforzo. Quest'ultima è una fase critica in quanto i livelli alti di catecolamine predispongono le aritmie che sono però più frequenti nei soggetti non o poco allenati, mentre gli sportivi con adeguato allenamento presentano un minor tono simpatico. Ne consegue la scarsa utilità dei betabloccanti, mentre restano tutti i rischi.
Rientrano in questa dizione il doping ematico; la somministrazione di sangue, di globuli rossi e/o prodotti affini; la somministrazione di trasportatori artificiali di ossigeno e di sostituti del plasma.
Il doping ematico è la somministrazione di sangue o prodotti contenenti emazie ad atleta per motivi non legittimamente medici ed è preceduto da un prelievo atto a stimolare l'eritropoiesi. Analogamente le somministrazioni di trasportatori artificiali e di sostituti del plasma sono rivolte ad aumentare la disponibilità di ossigeno nell'attività muscolare. Queste pratiche contrastano con l'etica sportiva e la deontologia medica, oltre a comportare numerosi rischi.
Il fenomeno del body-building. - Il termine body-building, ormai di uso universale, si riferisce a una concezione della bellezza, diffusasi negli ultimi decenni del 20° secolo e tutta indirizzata a 'scolpire' il corpo, sviluppando e plasmando i muscoli. Sull'onda dell'emulazione di un certo settore dello spettacolo, negli ultimi decenni il body-building si è notevolmente espanso in tutto il mondo. Ancora oggi è difficile considerare questa attività come una disciplina sportiva, anche se un notevole numero di persone, per lo più giovani, frequenta a tale scopo le palestre e si sottopone quotidianamente a un costante e pesante abuso di farmaci che rientrano a pieno titolo nel doping. Tuttavia, nonostante questo abuso di sostanze farmacologiche dotate di rilevanti rischi, all'interno della filosofia culturistica esiste una decisa volontà salutista, di rispetto del corpo e della salute, con un culto dell'efficienza e della prestanza che si assoggetta a regimi dietetici e comportamentali assai stretti e molto particolari. Infatti il body-builder tende a mantenere un regime di vita rigoroso (almeno a livello agonistico), ha una dieta ricca, ma controllata e integrata, si sottopone a duri allenamenti e si astiene dal consumo di alcolici, dal fumo e da altri vizi.
A differenza degli sport tradizionali, nei quali il ricorso al doping è ricercato per aumentare la performance e il mantenimento di livelli di allenamento superiori alle possibilità individuali, nel body-building vengono utilizzati primariamente quei farmaci in grado di deformare il corpo al fine di esibire una massa muscolare e una 'definizione' (di segno e separazione dei singoli gruppi muscolari) da primato. In altri termini viene ricercato il mezzo più idoneo a incrementare il peso corporeo e la massa muscolare, a superare i limiti genetici, nonché ad alterare rapidamente alcuni parametri macroscopici del corpo in occasione delle gare. A tal fine è significativo ricordare che alcuni body-builders ricorrono anche a protesi artificiali, come nel caso delle gambe, per magnificare i polpacci non potendo altrimenti gonfiare i muscoli gemelli suriali.
Sebbene i body-builders privilegino solo alcune classi di farmaci vietati come doping, è opportuno segnalare che le associazioni più attive hanno adottato da tempo come riferimento l'elenco delle sostanze dopanti e dei metodi dopanti secondo le direttive CIO, e procedono alla ricerca dei principi attivi negli atleti in gara. Le principali classi di farmaci abusati nel body-building sono: gli stimolanti il SNC, gli ormoni tiroidei, gli steroidi anabolizzanti, l'ormone dell'accrescimento, i diuretici, la gonadotropina corionica umana.
Stimolanti il SNC. Al fine di ottimizzare il metabolismo lipidico, l'effetto che sembra maggiormente interessare i body-builders è quello lipolitico che determina un incremento della concentrazione ematica di acidi grassi liberi, con depauperamento dei depositi adiposi e la riduzione del pannicolo sottocutaneo.
Ormoni tiroidei. Gli effetti farmacologici principali sono riconducibili all'aumento generalizzato del metabolismo, con produzione di calore, incremento del consumo di ossigeno e stimolazione del tono simpatico. Dal momento che gli ormoni tiroidei favoriscono la mobilizzazione dei lipidi (riducendo l'entità dei depositi adiposi) e stimolano l'incorporazione degli aminoacidi nelle proteine, i body-builders ne fanno uso in alcuni periodi dell'attività e, particolarmente, in prossimità delle gare o esibizioni per ottenere massa muscolare 'magra e definita'. Tali sostanze presentano tuttavia effetti farmacologici collaterali, come eccessiva accelerazione del metabolismo, con dimagrimento, aumento dell'appetito, intolleranza al caldo e arrossamenti facciali e diffusi. A livello cardiologico, l'abuso provoca tachicardia. Sono altresì frequenti tremori muscolari e sintomi neurologici, come l'ansia di grado intenso. L'abuso peraltro ottiene un effetto contrario a quello richiesto, in quanto le masse muscolari vengono molto rapidamente ridotte dall'eccessivo aumento del metabolismo e si determinano condizioni asteniche piuttosto importanti.
Steroidi anabolizzanti. Rappresentano la categoria di farmaci alla quale i body-builders si rivolgono maggiormente e sono i responsabili degli strepitosi incrementi di massa che tanto affascinano i praticanti di questa attività. Gli effetti farmacologici principali sono quelli tipici del testosterone: nello specifico, l'effetto ricercato è lo stimolo dell'anabolismo proteico per incremento della sintesi proteica e dell'incorporazione di aminoacidi, e per la riduzione del catabolismo (ridotta escrezione urinaria di azoto). Infatti, l'aumento della sintesi proteica conduce ai richiesti potenziamenti muscolari di componenti contrattili, fosforilati ad alta energia e glicogeno, che condizionano l'incremento della potenza contrattile e della resistenza muscolare. Anche la capacità aerobica è potenziata in misura significativa, grazie all'aumento della concentrazione emoglobinica globulare e del volume degli eritrociti. L'aumento del parametro forza muscolare è prevalentemente circoscritto alla componente 'esplosiva' che migliora in misura sensibile: la capacità di compiere lavori intensi e massimali permette al body-builder di affrontare allenamenti di potenza con carichi considerevoli. Inoltre, l'abbinamento di carichi di lavoro di notevole entità a un'integrazione proteica massiccia consente modificazioni marcate e rapide nella struttura muscolare dei soggetti. Tra gli effetti farmacologici collaterali, va segnalato che all'esaltazione dell'anabolismo proteico si contrappone un alterato metabolismo dei lipidi: diminuisce la quota sanguigna di grassi liberi e, soprattutto, aumenta la quota lipidica aterogena. Infatti, le lipoproteine ad alta densità (HDL) diminuiscono sensibilmente e con esse anche l'importanza del loro contributo scavenger: la proporzione tra esse e le LDL/VLDL si modifica a favore di quest'ultime e del loro ruolo aterogeno, creando le condizioni per una dislipidemia iatrogena e per la formazione della placca ateromasica. Indagini fini hanno anche rilevato che l'apoproteina antiaterogena apoA1 diminuisce significativamente, mentre aumenta la quota di apoB, aterogena, senza correlazione dose-effetto. Il rischio aterogeno da impiego di steroidi anabolizzanti diviene, perciò, una realtà pericolosa. Studi mirati hanno anche evidenziato effetti sfavorevoli sul muscolo cardiaco: segni evidenti di ipertrofia ventricolare sinistra (parete posteriore e setto interventricolare) depongono per un ulteriore rischio cardiovascolare che si somma a quello della dislipidemia. Dato l'intenso lavoro di metabolizzazione necessario a livello epatico, i danni si evidenziano assai precocemente con segni di epatotossicità: rialzo degli enzimi intracellulari (transaminasi, LDH) e degli enzimi indicatori di colestasi (γ-GT, fosfatasi alcalina) e iperbilirubinemia. La letteratura segnala, inoltre, carcinomi epatocellulari associati all'abuso prolungato di steroidi anabolizzanti e le cronache hanno riportato i decessi di giovani body-builders per cancro all'apparato gastrointestinale. È necessario tuttavia precisare che anche la dieta iperproteica, raggiunta con integratori e consumo sopranorma di carni rosse, può avere implicazioni per la possibile formazione intestinale di nitrosamine. Nel maschio, sono imponenti i danni all'apparato riproduttivo: atrofia interstiziale e tubulare dei testicoli, azoospermia e caduta della libido, che tracciano un quadro di impotentia generandi e, talora, coeundi. Nella femmina, la mascolinizzazione è marcata e denunciata da irsutismo, ispessimento delle corde vocali (con abbassamento del tono della voce) e ipertrofia dei muscoli. Insieme con l'allenamento dei pettorali che, attraverso l'intenso ritmo di contrazione, quasi 'espellono' le componenti grasse e ghiandolari della mammella, anche l'abuso degli steroidi anabolizzanti e la relativa virilizzazione giocano un ruolo importante nell'appiattire il seno delle atlete. Gli effetti psichici non mancano e si possono riassumere in alterazioni di tipo psicotico, con aumento di aggressività, irritabilità, narcisismo e alterazioni dello schema corporeo.
Ormone dell'accrescimento (HGH). Come già accennato, l'HGH potrebbe soppiantare gli steroidi anabolizzanti, grazie a un migliore rapporto tra gli effetti principali e gli effetti indesiderati, e per le difficoltà analitiche di rilevarne la presenza nei campioni biologici di chi ne abusa. Gli effetti farmacologici da ricordare sono principalmente quelli anabolizzanti di tipo similsteroideo: stimolo della sintesi proteica e dell'incorporazione aminoacidica soprattutto nel tessuto muscolare. La vasta pubblicità creata dalla stampa, che ha esaltato l'HGH come 'l'ormone della giovinezza' e la disponibilità, consentita dalla produzione attraverso l'impiego del DNA-ricombinante, hanno fatto aumentare il suo consumo assai rapidamente. Inoltre le difficoltà analitiche nell'antidoping portano a stimare che l'abuso di HGH sarà sempre più imponente. Si è valutato che con due dosi settimanali per le 4-6 settimane che precedono l'impegno agonistico (e forse i body-builders superano abbondantemente questa posologia), si ottiene un incremento di massa muscolare, potenza esplosiva e resistenza allo sforzo tale da consentire superprestazioni certe. L'HGH esercita effetti aterogeni perché riduce i livelli di HDL e apoA1 e può ridurre la tolleranza al glucosio in quanto antagonizza l'insulina, come dimostrato da situazioni iperglicemiche registrate nei consumatori abituali. Inoltre, studi approfonditi sulla correzione terapeutica dei nanismi ipofisari hanno segnalato casi di leucemie, di non certa attribuibilità all'HGH. Il profilo degli effetti collaterali è tuttavia ancora incompleto, anche se pare non desti particolari preoccupazioni. Questo fatto può ancora un volta giocare a favore di un'importante affermazione dell'abuso sportivo dell'HGH, con prevalenza negli sport che necessitano di una muscolarizzazione intensa e in attività quali il body-building.
Diuretici. L'impiego nel body-building è limitato soprattutto ai periodi che precedono le gare, con l'obiettivo di mascherare l'assunzione di altri farmaci doping tramite una diuresi forzata. I diuretici, inoltre, sottraendo acqua ai tessuti, rendono la cute più sottile e tale da incrementare la visibilità delle masse muscolari sottostanti, concorrendo così all'effetto di definizione e di separazione muscolare, ricercato almeno quanto l'aumento della massa muscolare.
Gonadotropina corionica umana (HCG). Questo farmaco è talvolta impiegato nel body-building nella settimana che precede l'evento agonistico e il rituale prelievo antidoping, per il blando effetto anabolizzante e per la capacità di mascherare l'assunzione di androgeni.
Oltre all'assunzione di farmaci, un ruolo di primaria importanza nella preparazione e nell'attività del body-building è quello della dieta. I sorprendenti regimi dietetici praticati dai body-builders possono così essere schematizzati: grosso carico di proteine assunte in polvere o compresse e attraverso carni prevalentemente rosse; notevole assunzione di vitamine dai vegetali e da integratori; integrazioni aminoacidiche, con prevalenza di aminoacidi ramificati, isoleucina, leucina e valina, con lo scopo di incrementare la costituzione di massa muscolare a scapito dei depositi adiposi forzando il metabolismo verso l'anabolismo proteico; integrazioni minerali, che includono tutti gli oligoelementi, con prevalenza di selenio, zinco e ferro; reintegratori salini. In genere il ritmo di pasti giornalieri non è inferiore ai sei, intervallati da assunzione di integratori in vari momenti della giornata: si calcola che i praticanti del body-building siano impegnati con la palestra e la tavola per almeno 12 ore al giorno.
L'opportunità di una disciplina repressiva del doping si basa su due postulati essenziali: uno etico, l'altro medico, strettamente interconnessi. Non vi è dubbio che la liceità della lotta al doping sia doppiamente giustificata: dal punto di vista morale perché esso elude i principi basilari dell'agonismo sportivo modificando artificialmente il rendimento (l'atleta che assume farmaci o utilizza pratiche doping e che vince non agisce lealmente e ciò inficia l'etica sportiva); dal lato medico perché esso è un danno all'integrità fisica e causa potenziale di malattia. L'uso di sostanze dopanti provoca inoltre illecite ricadute economiche con la contraffazione dei risultati sportivi (lotterie, scommesse, sponsor ecc.).
La lotta al doping dovrebbe pertanto essere attuata basandosi su un'attiva opera di informazione rivolta agli atleti e ai tecnici circa i pericoli connessi, attraverso una seria campagna educativa e di sensibilizzazione relativa ai concetti di tutela dellà fisica, di moralità e di etica sportiva.
La Carta europea contro il doping nello sport del 1984 al punto 4 della parte A della 'Raccomandazione' precisa che i governi e gli Stati membri devono elaborare e applicare programmi educativi e organizzare campagne sui pericoli e le slealtà del doping e difendere i valori etici e fisici, favorire programmi di preparazione fisiologica e psicologica e incoraggiare la ricerca di migliori prestazioni senza l'uso di stimolanti e senza danno per l'organismo. Tale documento del Consiglio d'Europa è solo un invito ai governi, mentre la Convenzione europea contro il doping vincola gli Stati a dare disposizioni in fatto di prevenzione (1989).
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