Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Settecento nasce la famiglia moderna, basata sulla libera scelta del coniuge, su un rapporto intimo genitori-figli, sul gusto per la vita privata, sull’amore coniugale. Si forma, a livello di massa, la mitologia del matrimonio come stato felice. La nuova famiglia raccoglie e nello stesso tempo mette sotto controllo l’edonismo e le spinte verso la felicità che caratterizzano il secolo.
La famiglia all’inizio del XVIII secolo
La famiglia dell’età della Riforma protestante e della Controriforma, nei secoli XVI e XVII, è caratterizzata da una rigida gerarchia patriarcale e mantiene alcuni tratti che si sono sedimentati fin dal Medioevo. La scelta del coniuge è fatta dai genitori e non dai diretti interessati; il matrimonio – se si escludono alcune eccezioni che già stanno erodendo, nella seconda metà del Seicento, il modello tradizionale – non è considerato un momento di incontro teso al raggiungimento della felicità ma piuttosto una sistemazione necessaria per canalizzare le pulsioni sessuali. L’amore coniugale non è quindi considerato un ingrediente necessario. Il matrimonio è, per le classi alte, un mezzo per cementare alleanze tra le famiglie e, per gli artigiani e i contadini, uno strumento per garantire la divisione del lavoro e la sopravvivenza. Questo tipo di famiglia, in una società fortemente autoritaria qual è quella dell’età dell’assolutismo, delle guerre di religione e dei roghi, è anch’essa fortemente gerarchizzata e autoritaria, centrata sulla figura del marito-padre. La moglie è subordinata al marito, anche dal punto di vista legale; l’educazione dei figli è repressiva e non affettiva ed è basata sulla deferenza e sulle punizioni fisiche.
Va detto inoltre che la famiglia della fine del XVII secolo non conosce l’intimità, almeno nel senso che noi attribuiamo al termine. La vita di famiglia è attraversata da influenze e intrusioni esterne: i servi nelle famiglie aristocratiche, il controllo dei vicini nel ceto popolare e nei villaggi. Al suo interno vige una forte separazione dei sessi: gli uomini passano il tempo in compagnia degli uomini e le donne in compagnia delle donne, imprigionati nella rigidità dei diversi compiti lavorativi e dei ruoli o nelle separazioni previste dall’etichetta aristocratica.
In una società autoritaria e segnata da forti tensioni conflittuali, questo tipo di famiglia ha un suo preciso equilibrio: gli antropologi hanno scoperto che i matrimoni combinati funzionano molto meglio di quanto noi oggi, con la nostra mentalità, potremmo supporre. Come osserva lo studioso Lawrence Stone (1983) “in una società a basso tenore affettivo, un matrimonio a basso tenore affettivo può risultare perfettamente soddisfacente”.
La nascita della famiglia moderna
Il Settecento è il periodo del lento trapasso verso un nuovo modello di famiglia. Si assiste infatti al formarsi di una struttura che, diffusasi inizialmente in Inghilterra e propagatasi poi al resto dell’Europa, si consolida nel corso del secolo e si afferma compiutamente, seppur con caratteristiche in parte nuove, nell’Ottocento.
Questo modello prende forma in seno alla borghesia, in polemica e in opposizione al matrimonio aristocratico, caratterizzato dall’estraneità tra i coniugi e dalla pratica dell’adulterio. Esso si diffonde anche tra settori della nobiltà – soprattutto in Inghilterra, dove la nobiltà è relativamente omogenea alla borghesia ed è pronta ad assorbirne le idee e i nuovi comportamenti – e si espande verso il nascente ceto medio. Il nuovo matrimonio trae la sua linfa dalla mentalità che caratterizza il secolo, in particolare dall’idea tutta settecentesca che pone al primo posto la felicità individuale e terrena rispetto all’ideale religioso della felicità dopo la morte, da una diversa concezione della libertà personale e da un sentimento antiautoritario che si ribella all’obbedienza passiva.
Con il XVIII secolo termina la segregazione delle donne. Se ne hanno testimonianze in tutta Europa. “Una volta – scrive Denis Diderot – le ragazze erano quasi recluse”. Prende piede una nuova socialità legata all’edonismo: salotti e “conversazioni” – così le chiamano in Italia – si moltiplicano e diventano di moda. In queste occasioni i giovani possono corteggiarsi e si fa strada, soprattutto in Inghilterra ma poi anche nel resto d’Europa, l’insofferenza per i matrimoni combinati. Nell’alta borghesia e nella squirarchy inglese – la classe dei gentlemen – nasce, secondo la definizione di Stone, il “matrimonio solidale”, basato sull’individualismo affettivo. L’affetto diviene la ragione centrale della scelta del coniuge; la fedeltà e la monogamia si sostituiscono alla dissipazione aristocratica. Va precisato che l’amore coniugale non è inteso come amore romantico – fino al romanticismo le passioni saranno considerate alla stregua di vere e proprie malattie – ma piuttosto come amicizia, stima, rispetto. I rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli cambiano, diventano meno rigidi e formali, sono meno basati sulla gerarchia e sulla deferenza e più sull’affetto. Con il XVIII secolo aumenta l’investimento affettivo dei genitori sui figli che va di pari passo con la diminuzione della mortalità infantile. Nasce una nuova sensibilità verso l’infanzia.
Le donne cominciano ad allattare i figli invece di mandarli a balia, come era costume delle aristocratiche, e si inizia ad abbandonare l’abitudine di fasciare i neonati.
I rapporti tra moglie e marito si equilibrano in direzione della parità. Questo non significa che si teorizzi la parità o che si aspiri a essa; ciò che si vuol raggiungere è un nuovo equilibrio che mantenga, pur motivandola diversamente, la distinzione dei ruoli. Così come è volontaria la scelta del coniuge, allo stesso modo diviene volontaria la sottomissione della donna. Nel quinto libro dell’Émile, Rousseau teorizza la sottomissione volontaria della donna nell’ambito di un rapporto basato sull’affetto: la sua subordinazione non deve venire dalla costrizione, ma dall’accettazione dei ruoli suggeriti dalla natura che vedono il prevalere dell’uomo.
Jean-Jacques Rousseau
Consigli per un perfetto matrimonio
Emilio, Libro V
È ancora molto diverso per l’ordine del matrimonio che l’uomo s’imparenti con persone superiori o inferiori a lui. Il primo caso è completamente contrario alla ragione; il secondo vi è più conforme. Siccome la famiglia non dipende dalla società se non per il suo capo; è lo stato di questo capo che regola quello della famiglia intera. Quando egli contrae un’alleanza con un ceto più basso; non abbassa, ma innalza la sua sposa; invece, prendendo una moglie al disopra di lui, abbassa lei senza elevare se stesso. Così, nel primo caso, c’è del bene senza male, e nel secondo c’è del male senza bene. Inoltre, è nell’ordine della natura che la donna obbedisca all’uomo. Quando dunque egli la prende in un ceto inferiore, l’ordine naturale e l’ordine civile si accordano, e tutto va bene. È il contrario quando, imparentandosi con persona a lui superiore, l’uomo si mette nell’alternativa di offendere il proprio diritto o la propria riconoscenza, e di essere ingrato o disprezzato. Allora la donna, aspirando all’autorità, si rende il tiranno del suo capo; e il padrone, divenuto lo schiavo, si trova la più ridicola e la più miserabile delle creature. Tali sono quei disgraziati favoriti che i re dell’Asia onorano e tormentano facendosele parenti e che, si dice, per coricarsi con le loro donne, non osano di entrare nel letto che da piedi.
Mi aspetto che molti lettori, ricordandosi ch’io attribuisco alla donna un talento naturale per governare l’uomo, mi accuseranno qui di contradizione: tuttavia s’inganneranno. C’è molta differenza fra l’arrogarsi il diritto di comandare e il governare colui che comanda. L’impero della donna è un impero di dolcezza, di accortezza e di compiacenza; i suoi ordini sono delle carezze, le sue minacce sono delle lacrime. Ella deve regnare nella casa come un ministro nello Stato, facendosi comandare quello che vuol fare. In questo senso è provato che le migliori famiglie sono quelle nelle quali la donna ha più autorità. Ma quando ella disconosce la voce del capo, vuole usurpare i suoi diritti e comandare lei stessa, da codesto disordine deriva solo miseria, scandalo e disonore.
J.-J. Rousseau, Emilio, a cura di G. Tarozzi, Bologna, Zanichelli
La famiglia tende a isolarsi dalla società e anche al suo interno va sviluppandosi una diversa sensibilità per l’intimità. Il corridoio, novità dell’architettura settecentesca, isola le varie stanze. Marito e moglie passano molto tempo insieme e trascorrono insieme il tempo dedicato allo svago. Questo tipo di matrimonio rappresenta indubbiamente una conquista per il sesso femminile: la nuova moglie, la moglie borghese, è molto più garantita rispetto alle donne di altre epoche o rispetto alle sue compagne che non hanno potuto sposarsi; essa è però spesso condannata all’isolamento e all’ozio, dal momento che è per il marito onorevole il fatto che la moglie non lavori neppure in casa. Nasce la figura della casalinga, che ha perso i propri referenti sociali – i rapporti con la parentela della famiglia di origine, i rapporti con le altre donne – e non sa che fare del proprio tempo.
Famiglia e moralismo
I supporti ideali della nuova idea di famiglia sono molteplici: già alla fine del Seicento il filosofo John Locke definisce il matrimonio un mero rapporto contrattuale, ridimensionando il potere del marito sulla moglie e limitando l’autorità del padre sui figli. Non bisogna dimenticare, inoltre, l’influsso esercitato in questo campo dalla Riforma protestante che, mettendo al vertice dei valori morali il matrimonio cristiano – e non la castità, come facevano i cattolici – prepara nel lungo periodo una nuova concezione del rapporto coniugale.
La necessità di rifondare il matrimonio su basi nuove, su basi affettive ed edonistiche, capaci di attirare e interessare le giovani generazioni stanche ormai di sposarsi per obbligo, ha origine anche dal fatto che lo sviluppo della borghesia e dell’individualismo economico stanno creando una situazione assai precaria per le donne che non riescono a sposarsi, penalizzate rispetto agli uomini nel mercato del lavoro. Con la fine del Seicento nasce, non a caso, il personaggio patetico e ridicolo della zitella; non si dimentichi che la parola inglese per zitella è appunto spinster, che significa “tessitrice”.
Si può ritenere che il nuovo modello di famiglia sia la risposta a una crisi del vecchio modello di matrimonio che sta minacciando la società con una serie di squilibri. Il rifiuto, ormai dilagante, della famiglia basata sulla costrizione, anche tra i rampolli dell’aristocrazia, sta provocando una pericolosa e paventata diminuzione dei matrimoni e aumenta il numero dei celibi di ambo i sessi. L’espansione della sessualità che caratterizza il XVIII secolo (dopo il moralismo imperante dell’età della Riforma e della Controriforma e prima dell’ondata sessuofobica che caratterizzerà l’Ottocento) provoca un’impennata di figli illegittimi nei ceti popolari, resa più grave dall’inurbamento dei giovani.
Lo squilibrio conseguente al rifiuto sempre più generalizzato dei vecchi modelli viene affrontato in tutta Europa con una legislazione repressiva, che delimita rigidamente le possibilità di matrimonio, negando validità, tra l’altro, al matrimonio contratto dai minorenni senza l’accordo dei genitori, vietando i matrimoni clandestini e promulgando una serie di misure contro il concubinato. Queste misure contribuiscono ad aumentare il numero dei figli illegittimi e preparano, tra l’altro, le frustrazioni amorose dei romantici: il Werther di Goethe è del 1774.
Non è azzardato affermare che il nuovo modello di matrimonio raccoglie le spinte edonistiche del secolo e, al contempo, le mette sotto controllo, cercando di disciplinarle con atteggiamenti che anticipano in parte la sessuofobia ottocentesca. L’esaltazione degli affetti va di pari passo con l’ondata moralizzatrice. Se da un lato la sessualità nel matrimonio non è più considerata come un male necessario ma come il soddisfacimento, purché non conduca a eccessi, di un desiderio legittimo, dall’altro lo straordinario successo europeo del romanzo Pamela di Samuel Richardson segnala il formarsi di un nuovo moralismo laico che si proietterà nel secolo successivo. Pamela, la cameriera che rifiuta le profferte del padrone aristocratico, il quale alla fine, pentito e innamorato, la sposa, inaugura la mitologia del matrimonio come apertura di un periodo di felicità ma, anche, la nascita di un modello di donna priva di impulsi sessuali, che si incarnerà nelle eroine di innumerevoli romanzi ottocenteschi.
La mitologia del matrimonio basato sulla castità, sulla fedeltà e sull’amore coniugale è una novità nella storia. Come ha osservato il sociologo Ian Watt (1985), infatti, “Non vi è nulla di completamente nuovo nel far considerare a un’eroina la sua castità come un valore supremo: quanto di veramente nuovo fu che Richardson attribuì questi sentimenti a una cameriera”. L’amore coniugale e le virtù a esso connesse diventano un’ideologia che dalla borghesia si estende verso le classi medie, verso un ceto medio agiato in formazione che tende a imitare le classi superiori: ha inizio la massificazione di un modello, la moralizzazione laica di massa.