La domesticazione delle piante e l'agricoltura: Medio Oriente
di Massimo Vidale
Consistenti tracce di grano e di orzo rinvenute nei livelli aceramici del Neolitico a Mehrgarh (periodo IA), nell'alta pianura di Kachi in Pakistan, malgrado alcune incertezze che ancora sussistono nelle datazioni assolute, suggeriscono che forme di agricoltura fossero praticate già all'inizio del VII millennio a.C. È certo che la ricca vita di villaggio testimoniata dai rinvenimenti dell'abitato e delle sepolture neolitiche di Mehrgarh doveva basarsi su un'agricoltura variata ed efficiente, che forse già praticava qualche forma di irrigazione. Gli studi paleoclimatologici condotti nelle regioni nord-occidentali del Subcontinente indiano hanno dato ‒ e continuano a dare ‒ adito a interpretazioni contrastanti: diverse ricerche indicano che negli ultimi 11.000 anni si è verificata una graduale decrescita dell'intensità dei monsoni di sud-ovest, bilanciata però da un relativo aumento delle piogge invernali e, nel tempo, dell'umidità assoluta. Alla fine dell'età dell'Integrazione o fase harappana della civiltà dell'Indo (2600-1900 a.C. ca.) vi sono tuttavia indizi di un significativo aumento dell'aridità in alcune regioni, associato a cambiamenti idrografici di vasta portata nel margine orientale del bacino dell'Indo. A ogni modo, in età neolitica gli abitanti della pianura di Kachi diedero vita all'agricoltura basata sui raccolti invernali (nell'uso corrente denominata rabī') con lo sfruttamento di diverse varietà di grano (Triticum monococcum, T. dicoccum, T. turgidum durum, T. aestivum compactum e sphaerococcum), associate a diverse varietà di orzo (Hordeum vulgare, H. vulgare spontaneum e distichum, H. vulgare vulgare, nudum, e sphaerococcum). Altre importanti specie vegetali identificate a Mehrgarh sono il giuggiolo (Zizyphus jujuba) e la palma da dattero (Phoenix dactylifera), i frutti della quale si raccolgono invece in estate. Il giuggiolo e la palma da dattero venivano probabilmente sfruttati per la raccolta dei frutti come specie selvatiche, anche se non si può escludere l'ipotesi di una fase di incipiente domesticazione. Vi è la possibilità che a Mehrgarh, verso la fine dell'età neolitica, si usassero anche i semi (e forse le fibre) del cotone (Gossypium sp.), ampiamente attestato nel III millennio a.C. La rarità degli scavi nei quali, in passato, si è prestata attenzione alla raccolta di campioni di interesse botanico fa sì che i dati disponibili per la successiva età della Regionalizzazione (5000-2600 a.C. ca.) siano molto scarsi, ma scavi recenti stanno gradualmente colmando questa lacuna. Nelle regioni del Baluchistan e del Makran, per il IV millennio a.C., è attestata la coltivazione del lino (Linum usatissimum), successivamente estesa e sistematizzata nel III millennio a.C. In generale, in questa parte del Subcontinente (geograficamente marginale, ma in realtà sede di innovazioni tecniche di vasta portata), col passare del tempo si assiste a una graduale sostituzione della coltivazione del grano con quella dell'orzo; la vite (Vitis vinifera) è già attestata agli inizi del III millennio a.C. Nell'età dell'Integrazione o fase harappana, tra il 2600 e il 1900 a.C., l'agricoltura di tipo rabī'si sviluppa in estensione e redditività e alla coltura delle principali varietà di grano e di orzo gradualmente selezionate come ottimali (almeno cinque varietà di grano e tre di orzo) si aggiungono la lenticchia (Lens culinaris), il pisello (Pisum sp.), il cece (Cicer arietinum), probabilmente la senape (Brassica juncea) e il sesamo (Sesamum indicum), quest'ultimo raccolto in estate. Nella regione del Makran è attestato anche il coriandolo (Coriandrum sativum), altro ingrediente largamente usato nella dieta indiana. Tra le piante più importanti sfruttate in questo periodo è certamente la canna da zucchero (Saccharum sp.). Una proposta di identificazione di resti di riso (Oryza sativa) in insediamenti della valle dell'Indo datati al tardo III millennio a.C. è fortemente dubbia. Come si è detto, la palma da dattero, il sesamo e il riso stesso vengono raccolti in estate; la fine dell'età dell'Integrazione (1900 a.C. ca.) e l'inizio della successiva età della Localizzazione (1900-800 a.C. ca.) furono dunque caratterizzati dall'introduzione di un numero rilevante di piante a raccolto estivo. All'agricoltura invernale si accostò così quella oggi detta di tipo ḫarīf, che permetteva di sfruttare nuove nicchie ecologiche e, in assoluto, di intensificare notevolmente il potenziale agricolo di vaste regioni. A partire dal 1900 a.C. la coltivazione del riso è già una fondamentale risorsa economica per il sito di Pirak, sempre nella pianura di Kachi. La provenienza e i processi di domesticazione di molte delle nuove specie sono fortemente dibattuti: il riso fu forse di origine sud-orientale; si considerano invece di origine africana il sorgo, chiamato in India joār (Sorghum bicolor), e le varietà di miglio chiamate rispettivamente raji (Eleusine coracana) e bājrā (Pennisetum sp.). Il joār e il raji sono attestati nel Sud-Est asiatico a partire dal 1800 a.C., importati dai navigatori che, in età preistorica, avevano imparato a solcare il tratto di mare che separa le coste indiane dall'estremità orientale della Penisola Arabica. Altre varietà di miglio, come la Setaria italica e il Panicum miliaceum, sono invece considerate di origine asiatica. Le nuove piante di origine afro-indiana erano resistenti alla siccità e la loro coltivazione poteva essere praticata con successo anche in aree soggette a scarsa piovosità e prive di irrigazione. D'altra parte, la forte estensione della coltura della palma da dattero richiese, nelle oasi e nelle zone ecologicamente privilegiate, un ulteriore sviluppo dell'agricoltura irrigua. In questa diversificata base agricola la combinazione dei raccolti invernali ed estivi permetteva di contrastare efficacemente i variabili regimi di piovosità e la pericolosa instabilità ecologica che caratterizzano buona parte del Subcontinente. Al di là di questo importante processo di integrazione agricola, durante il II e il I millennio a.C. continuarono a essere coltivate le specie già attestate nel III millennio a.C. Venne estesa e arricchita, in particolare, la coltivazione del giuggiolo, come quella dei legumi (lenticchia, cicerchia, cece, pisello arboreo) o di altri cereali, quali la lacrima di Giobbe (Coix lacrima-jobi). Infine, è possibile ipotizzare per l'India del I millennio a.C. la coltivazione di altre importanti specie, oltre a quelle attestate dalle ricerche paleobotaniche: numerosi sono infatti i testi antichi che elencano, tra l'altro, l'esportazione via mare verso l'Impero romano di spezie quali il pepe, lo zenzero, il cardamomo, la cannella e il chiodo di garofano e di altre preziose sostanze vegetali usate come coloranti. Tali esportazioni furono talmente intense che minacciarono addirittura di rappresentare una voce di serio passivo commerciale per il mondo romano.
L. Costantini, The Beginning of Agriculture in the Kachi Plain: the Evidence of Mehrgarh, in SAA 1981, pp. 29-33; Id., Considerazioni su alcuni reperti di palma da dattero e sul centro di origine e l'area di coltivazione della Phoenix dactylifera, in G. Gnoli - L. Lanciotti (edd.), Orientalia Iosephi Tucci memoriae dicata, I, Roma 1985, pp. 209-17; L. Costantini - L. Costantini Biasini, Agriculture in Baluchistan between the 7th and the 3rd Millennium B.C., in NewsletterBaluchistanSt, 2 (1985), pp. 16-30; M.A. Fentress, Water Resources and Double Cropping in Harappan Food Production, in V.N. Misra - P. Bellwood (edd.), Recent Advances in Indo-Pacific Prehistory, Delhi 1985, pp. 359-68; D. Zohary - M. Hopf, Domestication of Plants in the Old World: the Origin and Spread of Cultivated Plants in West Asia, Europe and the Nile Valley, Oxford 1988; R.H. Meadow, Continuity and Change in the Agricolture of the Greater Indus Valley: the Palaeoethnobothanical and Zooarchaeological Evidence, in J.M. Kenoyer (ed.), Old Problems and New Perspectives in the Archaeology of South Asia, Madison 1989, pp. 61-74; S.A. Weber, Plants and Harappan Subsistence, Boulder 1991.
di Ciro Lo Muzio
Nell'economia di queste regioni, che includono vastissime estensioni di territorio arido o desertico, l'apporto dell'irrigazione artificiale assunse importanza primaria sin dal Neolitico. La realizzazione di reti idriche a scopo agricolo si pone qui a fondamento dello sviluppo della vita comunitaria, sebbene il rapporto comunemente postulato tra la creazione di questi impianti e l'esistenza di una forte autorità statale è, per lo meno per l'Asia Centrale, ancora oggetto di discussione. È tuttavia innegabile che in queste regioni il declino delle reti idriche o la cessazione del loro funzionamento sono sempre stati indice e causa di crisi economiche e politiche talora irreversibili. La distruzione degli impianti di irrigazione artificiale provocata dall'invasione mongola (primo quarto del XIII sec. d.C.) è all'origine dello stato di desolazione che ancora oggi caratterizza vaste aree dell'Asia Centrale. Il sistema di irrigazione artificiale più antico, quello basato sullo sfruttamento delle acque di fiumi per diversione, ossia tramite una rete di canali superficiali che alimentano un'area coltivata di dimensioni variabili, è il più diffusamente attestato in Asia Centrale ed è strettamente analogo al sistema adottato nei bacini fluviali della Mesopotamia (V millennio a.C.). Nel Turkmenistan, dove l'irrigazione artificiale fa la propria comparsa già nel IV millennio a.C., l'indagine archeologica ha consentito di rintracciare una complessa rete di canali che riceveva le acque dal fiume Atrek, nella piana di Meshhed Misrian. Alle ricerche di S.P. Tolstov dobbiamo l'individuazione, in Chorasmia, di una rete di canali dell'età del Bronzo (Bazar Kala e Janbas Kala, II millennio a.C.) nel delta dell'Akcha Darya. Importanti risultati sono stati conseguiti dagli archeologi francesi nella piana di Ai Khanum (Afghanistan nord-orientale), dove è stata ricostruita l'evoluzione di un sistema di canali che sfruttava le acque di fiumi montani costantemente alimentati dallo scioglimento delle nevi perenni. Probabilmente originatasi nell'età del Bronzo (se ne ipotizza un'origine harappana), la rete idrica non ha rivelato sostanziali interruzioni nel suo funzionamento nel corso dell'epoca achemenide (VI-IV sec. a.C.), greca (IV-III sec. a.C.) e Kushana (II sec. a.C. - IV/V sec. d.C.), per conoscere una breve rinascita alla vigilia della conquista mongola. Tipicamente iranici sono invece i qanāt (o karez). Il termine designa un sistema di pozzi di profondità variabile, collegati tra loro da condotti sotterranei, tramite il quale l'acqua delle falde viene convogliata alle superfici coltivate. Da un punto di vista funzionale, i qanāt sembra si debbano considerare come complementari al sistema di irrigazione per diversione; il loro utilizzo serve ad alimentare aree di superficie relativamente limitata, situate oltre i margini delle fasce pedemontane. L'area di diffusione dei qanāt è ben delimitata: oltre all'altipiano iranico, essa include l'Afghanistan meridionale e orientale, il Baluchistan e il Makran, zone nelle quali tali gallerie assolvono ancora oggi la loro vitale funzione; in Asia Centrale, i qanāt sono testimoniati soltanto nella fascia pedemontana settentrionale del Kopet Dagh (Turkmenistan). È proprio la tenacia della tradizione a rendere ardua un'analisi delle origini e dell'evoluzione di queste strutture; sebbene sia ragionevole ipotizzare che gran parte dei qanāt attualmente in uso abbia origini remote, non è possibile precisarne di volta in volta l'antichità. Si ritiene, tuttavia, che l'invenzione di questo tipo di impianto abbia avuto luogo nell'Urartu intorno all'VIII sec. a.C.; il primo riferimento nelle fonti scritte è datato all'epoca dell'entrata di Sargon II in Armenia (714 a.C.). I qanāt erano sicuramente in uso in epoca achemenide: dallo storico greco Ctesia sappiamo dell'esistenza di qanāt che convogliavano a Ecbatana le acque provenienti dal monte Oronte (Alvand), mentre in Polibio troviamo un'accurata descrizione degli hyponomoi (qanāt) che correvano ai piedi del Tauro (Elburz). Tuttavia non è facile stabilire in quale epoca ‒ le ipotesi degli studiosi oscillano tra l'età dei Medi (IX/VIIIVII sec. a.C.) e quella dei Sasanidi (III-VII sec. d.C.) ‒ e per quali cause la tecnica dei qanāt ricevette l'impulso che ne avrebbe decretato la diffusione nell'intera regione.
J.-P. de Menasce, Textes Pehlevis sur les Qanats, in ActaOr, 30 (1966), pp. 157-66; B.V. Andrianov, Drevnie orositel'nye sistemy Priaral'ja [Antichi sistemi di irrigazione nell'area dell'Aral], Moskva 1969; G.N. Lisitsina, The Earliest Irrigation in Turkmenia, in Antiquity, 43 (1969), pp. 279-88; J.A. Neely, Sassanian and Early Islamic Water Control and Irrigation Systems on the Deh Luran Plain, Iran, in Th.E. Downing - M. Gibson (edd.), Irrigation's Impact on Society, Tucson 1974, pp. 21-42; P. Gentelle, Quelques observations sur l'extension de deux techniques d'irrigation sur le plateau iranien et en Asie Centrale, in Le plateau iranien et l'Asie Centrale des origines à la conquête islamique, Paris 1977, pp. 249-62; G.N. Lisicyna, Stanovlenie i razvitie oro aemogo zemledelija v južnoj Turkmenii [Nascita e sviluppo dell'agricoltura irrigua nel Turkmenistan meridionale], Moskva 1978; B. Spooner, s.v. Ābyārī, in EIran, I, 1985, pp. 405-11; P. Gentelle et al., Prospections archéologiques en Bactriane orientale, 1974-1978, 1. Données paléogéographiques et fondements de l'irrigation, Paris 1989; W. Kleiss, Dammbauten aus achaemenidischer und aus sasanidischer Zeit in der Provinz Fars, in AMI, 25 (1992), pp. 131-45.
di Massimo Vidale
Data l'estrema variabilità ecologica del Subcontinente, le condizioni e le tecniche di approvigionamento idrico sono state, a partire dalla preistoria, molto diversificate. Nella zona montuosa nord-occidentale (dal Baluchistan all'Afghanistan), ricca di corsi d'acqua alimentati dalle nevi, tra la seconda metà del IV e il III millennio a.C. si costruivano nei letti e nei pendii dei torrenti strutture terrazzate in pietra capaci di convogliare i flussi e di trattenerne la frazione sedimentaria, in modo da recuperare, rinnovare e irrigare porzioni di suolo coltivabile; altri interventi di sbarramento dei corsi sono stati descritti come bacini di ritenuta. Nelle pianure del Panjab, solcate dai cinque affluenti del fiume Indo, l'irrigazione avveniva per alluvione naturale, controllata da sistemi di arginatura artificiale o mediante limitati canali di flusso, pozzi e sorgenti. Anche nelle distese comprese tra gli odierni Stati indiani di Haryana e Rajasthan, grazie alle immagini dei satelliti e alle ricerche sul campo, sono stati identificati letti fossili di esondazione, probabilmente connessi a limitate opere di canalizzazione artificiale, databili al III millennio a.C. Un'altra tecnica di irrigazione prevedeva il sollevamento delle acque fluviali con un sistema di grandi leve con fulcro sospeso e contrappeso superiore, anche articolate su più livelli, o con quello detto della "ruota persiana" (grande ruota orizzontale azionata da un cammello). Con palizzate di legno e frasche rivestite di argilla e sabbia si realizzavano probabilmente dighe e sbarramenti. Nel Sind, dove i fiumi scorrono a quote mediamente superiori a quelle del circostante piano alluvionale, alle tecniche sopra descritte si aggiunse quella del taglio localizzato degli argini naturali e della distribuzione delle acque grazie a sistemi di canalizzazione di piccola portata. Non sono sinora note grandi opere di canalizzazione protostorica, con l'eccezione di un canale lungo 20 km che nella Battriana orientale (oggi territorio afghano) convogliava nel distretto agricolo del sito-colonia harappano di Shortugai le acque sottratte al fiume Kokcha. Gran parte dell'irrigazione e della costruzione di argini e dighe poteva essere localmente gestita e realizzata sulla base di appositi accordi temporanei tra villaggi, grandi famiglie o tribù. Tuttavia alcune grandi opere idrauliche realizzate nella seconda metà del III millennio a.C. sono indubbiamente il prodotto di imponenti sforzi collettivi coordinati da autorità centrali, come l'enorme bacino idraulico rivestito di mattoni cotti trovato a Lothal, già erroneamente interpretato come impianto portuale collegato al mare. Tutti gli indizi concorrono del resto nel suggerire che, nella età dell'Integrazione o fase harappana della tradizione culturale dell'Indo (2600-1900 a.C.), città e villaggi applicavano un'ingegneria idraulica molto avanzata, basata su millenni di esperienza e di dura convivenza con uno dei più potenti fiumi del mondo. Le tecniche di irrigazione certo sopravvissero alla fine della fase harappana; ad esempio, nella valle dello Swat, tra II e I millennio a.C., è lo studio delle associazioni vegetali a suggerire l'esistenza di sistemi artificiali di irrigazione sui pendii terrazzati. Nel Subcontinente la capacità di realizzare grandi opere idrauliche appare in generale come il frutto, piuttosto che come la precondizione, della centralizzazione del potere; non sorprende quindi che, dopo la fine della fase harappana, i segni di una nuova, estensiva attività di canalizzazione ricompaiano solamente con l'impero Maurya (IV-II sec. a.C.). A partire da questo periodo, le fonti menzionano dighe e vaste reti di canali, investimenti, controlli burocratici e tassazioni legati all'irrigazione promossa dallo Stato; sia i testi (greci, indiani, cinesi) sia i dati archeologici indicano inoltre l'esistenza di grandi fossati difensivi intorno ai centri principali, allacciati spesso a rami fluviali estinti, più facili da irregimentare e da controllare in condizioni di sicurezza, e di grandi bacini idraulici urbani. A partire dall'età storica, la creazione di questi ultimi assume un forte significato simbolico: con essa il sovrano soccorre gli uomini e tutte le creature viventi, replicando al tempo stesso l'atto cosmologico con cui il dio separa la terra dal caos delle acque primordiali.
R. Raikes, Water, Weather and Prehistory, London 1967; M.A. Fentress, Resource Access, Exchange Systems and Regional Interaction in the Indus Valley. An Investigation of Archaeological Variability at Harappa and Moenjodaro (PhD Diss.), University of Pennsylvania 1976; S.R. Rao, Lothal a Harappan Port Town (1955-62), I-II, New Delhi 1979-85; H.-P. Francfort, Evidence for Harappan Irrigation System in Haryana and Rajasthan, in EastAnthr, 45, 1-2 (1992), pp. 87-103; M.D. Harvey - L. Flam, Prehistoric Soil and Water Detention Structures (gabarbands) at Phang, Sindh Kohistan, Pakistan: an Adaptation to Environmental Change?, in Geoarchaeology, 8, 2 (1993), pp. 109-26.