La dinastia sassone e il Sacro Romano Impero
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La denominazione Sacro Romano Impero è spesso usata per designare l’impero di Carlo Magno, sottolineandone a un tempo la differenza religiosa e l’ideale continuità politica con quello romano. L’espressione Sacrum Imperium e il collegamento con la tradizione giuridica del principato romano sono nati, in realtà, molto più tardi (seconda metà del XII secolo), ma a essi si giunge attraverso varie fasi: dopo quella carolingia, una delle più importanti è l’epoca sassone, durante la quale si definisce l’ambito territoriale della renovatio imperii.
Malgrado i lunghi anni dei contrasti postcarolingi, l’idea di una sovranità imperiale non viene meno: perfino la deposizione di Carlo il Grosso, accusato di non saper proteggere i sudditi dai Normanni, dimostra come il particolarismo politico non escluda la possibilità di iniziative congiunte, giustificate in nome di un dovere imperiale disatteso.
Per quanto, nel loro ruolo temporale, le aristocrazie ecclesiastiche concorrano al particolarismo, anche la Chiesa è interessata alla conservazione di un’autorità tendenzialmente universale: riconosce nell’imperatore un protettore potente ed è disponibile ad accrescerne il prestigio e la sacralità. Dagli imperatori, però, si esige che non incidano con troppo vigore su equilibri e rapporti di forza, in parte già precarolingi, che avevano conferito presa sul territorio all’aristocrazia locale. La monarchia, nella Francia capetingia distaccata dal complesso imperiale come nei territori tedeschi e italiani, è interpretata soprattutto come garanzia di poteri sostanzialmente autonomi.
Sul trono di Germania, dopo Carlo il Grosso, si alternano le principali famiglie aristocratiche, con Arnolfo di Carinzia e il figlio Ludovico il Fanciullo, Corrado di Franconia, Enrico di Sassonia.
Enrico si afferma anche grazie all’impegno contro i Magiari, che tormentano il regno con incursioni e razzie: ottiene la corresponsione di un tributo e una tregua (durante la quale sottomette alcuni territori slavi a est dell’Elba), poi li sconfigge nuovamente (Unstrut, 933); quindi prosegue l’espansione a danno dei Danesi.
La storiografia di ispirazione nazionalistica ha enfatizzato il ruolo di Enrico, vedendo in lui il padre della Germania; la vera battuta d’arresto alle incursioni magiare (Lechfeld, 855) è in realtà legata al figlio, Ottone I, ma un segno della forza di Enrico risiede proprio nella capacità di consolidare la dinastia, garantendo la successione al trono del primogenito.
Lo scenario italiano del X secolo si presenta quanto mai complesso: il nord è diviso fra la Repubblica di Venezia (formalmente bizantina) e il regno d’Italia; più a sud si trovano i territori pontifici e i domini delle abbazie di Montecassino e San Vincenzo al Volturno. Napoli, Gaeta e Amalfi, bizantine, sono esposte agli attacchi dei principi longobardi di Benevento e Salerno; i territori di questi ultimi, insieme all’area bizantina di Puglia, Basilicata e Calabria, sono a propria volta area di scontro fra Saraceni, Bizantini, re d’Italia e imperatori sassoni. La Sicilia è governata dagli Arabi.
La Corona italiana è contesa fra i duchi di Spoleto e di Toscana e i marchesi di Ivrea e del Friuli, che nei propri contrasti attirano vicini potenti: dopo Berengario del Friuli, la Corona passa a Rodolfo di Borgogna, poi a Ugo e Lotario di Provenza.
Morto Lotario, il regno va a Berengario II di Ivrea, che ne fa imprigionare la vedova, Adelaide. Uno dei suoi vassalli, però, la libera e chiama in aiuto il re teutonico: giunto in Italia nel 951, Ottone lascia sul trono Berengario, ma gli impone il giuramento di fedeltà e sposa Adelaide, ribadendo l’importanza dei vincoli dinastici nel legame fra Italia e Germania.
Quando Berengario si mostra troppo intraprendente nel tentativo di allargare la propria egemonia, Ottone, chiamato dal papa Giovanni XII, torna in Italia, lo detronizza e ne cinge la corona (961), cui aggiunge subito dopo anche quella imperiale.
Come re di Germania, Ottone si muove con decisione: fronteggia rivolte che coinvolgono anche i familiari, fa leva sulla sua qualità di grande signore territoriale per costruirsi clientele solide, si appoggia alla rete vescovile per controllare il territorio e intensifica l’alleanza con la Chiesa, per consolidare la posizione della dinastia e per accrescere l’influenza sugli Slavi non ancora cristianizzati.
Il ruolo di protettore della Chiesa spinge Ottone a intervenire ripetutamente nella situazione romana, degradata dalle contese per il soglio pontificio: poco dopo l’incoronazione, depone Giovanni XII e istituisce la necessità del consenso imperiale per l’elezione del papa (FPrivilegium Othonis, 962). Il privilegio si inquadra nella prospettiva della renovatio imperii, il disegno politico-religioso già profilatosi con Carlo Magno, caratterizzato dall’ambizione universalistica e dal legame tra potere politico e aspirazioni religiose.
Il vincolo fra le vicende tedesche e quelle italiane induce Ottone a intervenire anche nel Mezzogiorno: sottomette i principi di Benevento e Capua e tenta di impadronirsi dei territori bizantini. Non vi riesce, ma ottiene la promessa di averli come dote per il figlio Ottone II, di cui combina il matrimonio con Teofano, figlia dell’imperatore Giovanni I Zimisce.
Le fragilità che minano i disegni di Ottone il Grande si dispiegano soprattutto dopo la sua morte (973), durante il regno del figlio e del nipote.
Le lunghe assenze imperiali dalla Germania alimentano le spinte autonomistiche dell’aristocrazia tedesca; quella romana, all’opposto, fatica a tollerare presenze tanto ingombranti; i principi di Capua e Benevento recuperano indipendenza; i Saraceni sono tutt’altro che arginati, come mostra la sconfitta di Ottone II a Stilo (983). Anche il matrimonio con Teofano non sortisce gli esiti desiderati: la principessa è figlia di un usurpatore e, morto Zimisce, il nuovo imperatore rifiuta di rinunciare ai territori italiani.
Ottone II fronteggia vigorosamente le difficoltà, ma la morte lo coglie all’improvviso, nel 983: il figlio Ottone III diventa re di Germania a tre anni, e solo la ferma reggenza di Teofano e Adelaide riesce a garantirne i diritti fino all’incoronazione imperiale (996).
Ottone III, allevato nella convinzione della sacralità del proprio ruolo, la accentua in ogni aspetto del suo governo, introducendo a corte cerimoniali bizantini e riservando grande attenzione ai domini italiani e alla Chiesa. Da qui, la lunga permanenza in Italia e i ripetuti interventi nelle vicende del papato, cui fa elevare nel 996 Gregorio V e nel 999 Gerberto d’Aurillac, Silvestro II.
Ottone III non ha il tempo di imparare a tener conto dei poteri reali presenti nell’impero: poteri forti, violenti, localmente radicati, che i primi Sassoni non avevano mai tentato di sopprimere, cercando pragmaticamente di coordinarli. Ottone III finisce invece per scontentare tutti: è uno straniero per i Tedeschi, che ne avvertono il legame culturale con l’Oriente e quello politico con l’Italia, ma anche per gli Italiani, che gli preferirebbero un re locale; analogo scontento è espresso dall’aristocrazia romana, privata della sua influenza sull’elezione pontificale. Nel 999 si ribella la feudalità italiana, capeggiata da Arduino di Ivrea; i Romani si sollevano ripetutamente, finché, nel 1001, Ottone è costretto a lasciare Roma. Muore poco dopo, senza eredi.
Enrico II di Sassonia, duca di Baviera, re di Germania dal 1002, mantiene fermo il legame con la Chiesa, curando la rete di inquadramento politico-territoriale rappresentata dai vescovi, e non trascura l’Italia, dove sconfigge ripetutamente Arduino di Ivrea, re d’Italia nel 1002, prima e dopo aver conseguito personalmente il medesimo titolo regio (1004), seguito anche dall’incoronazione imperiale (1014).
Con Enrico, tuttavia, gli interessi imperiali tornano a concentrarsi sull’area tedesca, agitata dall’indipendentismo aristocratico e dagli attacchi slavi alle frontiere orientali. Buona sintesi del ripiegamento della dinastia, che si chiude nel 1024 con la morte di Enrico, è proprio l’iscrizione del suo sigillo, Renovatio Regni Francorum, che si contrappone alla Renovatio Imperii Romanorum del programma universalistico di Ottone III.