La dialettica tra paganesimo e cristianesimo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del IV secolo il cristianesimo, da religione perseguitata, conosce le tappe di una progressiva accettazione, fino a diventare, verso la fine del secolo, religione ufficiale dell’Impero. In quest’epoca la letteratura cristiana mostra ancora forti legami con la cultura pagana. Sul fronte pagano, sia in prosa che in poesia, emergono personalità legate ad un’ideologia conservatrice rivolta verso la celebrazione del passato. Intanto si raggiungono i risultati più maturi nel campo della poesia cristiana.
L’epoca che va dalla fine della tetrarchia alla conquista del potere da parte di Costantino ha le caratteristiche convulse di un’età di trapasso: in questi anni si collocano le ultime persecuzioni anticristiane e le prime incursioni barbariche. Con la proclamazione dell’editto di tolleranza religiosa la situazione muta nettamente e il cristianesimo si appresta a vivere la sua stagione trionfante, anche se il confronto con il paganesimo dal punto di vista culturale è sempre vivo e pressante. Le personalità letterarie di questo tempo, Arnobio, Lattanzio, Firmico Materno, Giovenco, rivelano un’identità per certi versi ancora sospesa tra i due mondi.
Arnobio nasce intorno alla metà del III secolo in Numidia, e da pagano, particolarmente avverso alla religione cristiana, a questa si converte, pare improvvisamente: la sua opera Adversus nationes (“Contro i pagani”) nasce come una testimonianza di autentica conversione, volta a dimostrare – così ci informa il Chronicon di Girolamo – che l’autore ha aderito pienamente al cristianesimo e può essere accettato all’interno della Chiesa. L’interesse di quest’opera risiede da un lato nella grande quantità di informazioni che fornisce sui culti pagani; dall’altro è significativo il racconto dell’esperienza umana dell’autore, che, partendo da una visione profondamente negativa dell’uomo e della storia, si rivolge al cristianesimo colpito dalla testimonianza dei martiri. Nella fede cristiana Arnobio trova la pace e le risposte a tutte le paure e le angosce dell’uomo: la sua adesione al cristianesimo è spontanea ed entusiastica e sembra non avvertire il bisogno di una conoscenza approfondita della dottrina e delle Scritture.
Contemporaneo di Arnobio, e suo allievo, è l’africano Lattanzio. Retore ed insegnante, si converte al cristianesimo in età relativamente avanzata. Esempio di una fase ancora di passaggio tra cultura filosofica tradizionale e cristianesimo è il trattato De opificio Dei sulla creazione dell’uomo, composto all’epoca della persecuzione di Diocleziano (303-304). L’opera più impegnativa di Lattanzio sono comunque le Divinae Institutiones, composte tra il 304 e il 311: si tratta del primo esempio di esposizione sistematica della dottrina cristiana, che deriva il titolo dall’uso antico di redigere institutiones, cioè manuali di varie discipline. Una sezione consistente dell’opera è dedicata alla confutazione del paganesimo, come nella tradizione apologetica, mentre la parte dottrinale si rivela piuttosto confusa e vicina a posizioni eretiche. L’idea di fondo consiste nei concetti di sapientia e religio, separati secondo Lattanzio nella cultura pagana, riconciliati nel cristianesimo, che è insieme vera sapientia e vera religio. Tuttavia Lattanzio compie una sorta di rivalutazione dei filosofi antichi, che, se non hanno saputo cogliere la pienezza della verità, ne hanno comunque intuito almeno una parte. Il legame mai spezzato con la cultura pagana è reso evidente anche dalle numerose citazioni di scrittori e poeti antichi, così come dallo stile classicheggiante di impronta ciceroniana. Nell’epoca successiva al termine delle persecuzioni si collocano il De ira Dei e il De mortibus persecutorum, quest’ultimo composto per dimostrare come gli imperatori che hanno perseguitato i cristiani siano stati raggiunti dall’ira divina e puniti con morti terribili.
Anche in ambito poetico l’età di Costantino esprime un bisogno di conciliazione tra cristianesimo e mondo classico. Con Giovenco, prete di origine spagnola, abbiamo il primo esempio di poema epico cristiano, che coniuga i contenuti evangelici e la forma epica classica: l’Evangeliorum libri in quattro libri trae il suo contenuto principalmente dal Vangelo di Matteo, integrato con parti di Luca e Giovanni, con una trasposizione in esametri. L’operazione vuole rispondere alla necessità di adeguare alla tradizione classica la forma dei testi sacri, sentita come stilisticamente troppo umile e povera di mezzi espressivi.
Un altro personaggio che si colloca sul confine tra paganesimo e cristianesimo è il siciliano Firmico Materno. Prima della conversione il suo interesse è rivolto verso l’astrologia, come testimonia il trattato Mathésis (o Mathéseos libri, da intendere appunto come scienza astrologica). Dopo l’adesione al cristianesimo scrive il De errore profanarum religionum, un’orazione apologetica che pone il suo obiettivo polemico nei culti misterici, la cui diffusione in quest’epoca è sintomo di un paganesimo ancora vitale nonostante l’affermazione cristiana. Quest’opera è l’esempio di una tendenza all’intolleranza religiosa che appartiene al cristianesimo quando da vittima delle persecuzioni diviene religione dominante.
Il IV secolo, che vede da un lato il trionfo del cristianesimo, assiste dall’altro al tentativo di un’élite intellettuale pagana di far rivivere il glorioso passato di Roma, con i suoi culti e le sue tradizioni. Il cristianesimo, oggetto quando non di persecuzioni, di una tolleranza forzata e spesso di un palese disprezzo da parte della classe dirigente, si sta affermando anche culturalmente e sta conquistando non più soltanto gli strati più bassi della società, ma anche quelli più colti ed economicamente agiati. Il rischio percepito dagli intellettuali pagani è che la nuova religione possa soppiantare dal punto di vista culturale la tradizione romana, cancellandone la vera o comunque presunta identità.
Personaggio centrale in questo contesto è Simmaco. Vissuto nella seconda metà del secolo, ricopre varie cariche pubbliche e si distingue nell’attività oratoria. Ideologo del conservatorismo religioso e nemico del cristianesimo, Simmaco si pone come guida di quei circoli dell’aristocrazia senatoria che si sentono depositari delle tradizioni e delle istituzioni del passato, di un’identità romana da difendere e da conservare.
Il nome di Simmaco è legato soprattutto alla controversia con Ambrogio sull’altare della Vittoria: quando questo simbolo della religione pagana viene rimosso per volontà di Graziano dalla sede del senato, Simmaco guida una delegazione di senatori per chiedere il ripristino dell’altare, ma questa non viene ricevuta dall’imperatore. Divenuto imperatore Valentiniano II, Simmaco chiede nuovamente il ripristino del monumento, questa volta con una lettera ufficiale, la terza Relatio, un accorato appello alla libertà religiosa e al pluralismo: uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum (“un così grande segreto non può essere raggiunto per una sola ed esclusiva via”). La presa di posizione radicale di Ambrogio, che minaccia l’imperatore di scomunica, pone fine alla questione con la sconfitta di Simmaco e delle istanze pagane.
Ammiano Marcellino è l’ultimo grande rappresentante della tradizione storiografica romana. Nasce ad Antiochia, in Siria, collocazione geografica che spiega il suo rapporto privilegiato con la lingua greca: l’apprendimento del latino sarà piuttosto tardivo, cosa che lascia alcune tracce nella sua opera dal punto di vista linguistico. Ammiano intraprende la carriera militare e diviene ufficiale dell’esercito con l’imperatore Giuliano l’Apostata in Persia. Terminata la sua esperienza militare si ritira a vita privata e viaggia, facendo tappa anche a Roma, dalla cui bellezza monumentale resta particolarmente impressionato.
L’opera storiografica di Ammiano (Rerum gestarum libri) inizia dalla narrazione del principato di Nerva, dal punto cioè in cui si erano interrotte le Historiae di Tacito. Le Storie di Ammiano si arrestano all’anno della battaglia di Adrianopoli, dedicando uno spazio notevolmente più ampio alla storia contemporanea. Raccogliere il testimone di Tacito non è solo, per Ammiano, un fatto simbolico. Molti sono infatti gli aspetti in cui il modello tacitiano si lascia percepire: un’impostazione moralistica che si avverte nella condanna del degrado morale dei Romani contemporanei; la volontà di fare una storiografia obiettiva nei confronti del potere, che porta Ammiano a non risparmiare critiche neanche a Giuliano, per quanto ammirato ed amato; il profondo pessimismo con il quale è narrata la storia più recente, che appare agli occhi di Ammiano come dominata da forze oscure e incontrollate.
Una questione letterariamente complessa è quella della Historia Augusta, opera decisamente più vicina alla biografia di tipo svetoniano che non alla storiografia: si tratta infatti di una serie di biografie imperiali che, relativamente alla parte conservata, vanno da Adriano (imperatore dal 117 al 138) a Caro (imperatore dal 282 al 283), Numeriano e Carino (imperatore dal 283 al 284).
Intorno all’Historia Augusta si concentrano vari problemi: il primo è quello dei sei diversi autori (Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Volcacio Gallicano, Elio Lampridio, Trabellio Pollione, Fabio Vopisco). L’attendibilità di tale attribuzione è molto incerta e l’opera, almeno secondo parte della critica, è probabilmente di un unico autore.
Un’altra questione spinosa è la distinzione tra le notizie che possono avere credibilità storica e quelle di assoluta invenzione. Si è notata la tendenza nelle prime vite, fino a Caracalla, a mantenere una certa attendibilità, per poi sconfinare sempre di più nel terreno dell’invenzione e in certi casi della vera e propria falsificazione, anche attraverso l’inserimento nel testo di documenti falsi, lettere mai scritte, discorsi mai pronunciati. Si tratta di un’opera di puro intrattenimento, molto più di quanto non lo sia il De vita Caesarum di Svetonio: se questo infatti si caratterizza per la selezione di dettagli non rilevanti storiograficamente, ma utili per ricostruire la personalità dell’imperatore, nell’Historia Augusta è l’invenzione che predomina, a testimonianza del gusto di un’epoca.
L’età della rinascita pagana è anche un’epoca di fervida produzione poetica, che vede il recupero di forme classiche per una poesia destinata a una cerchia ristretta di estrazione aristocratica e di tendenze ideologiche conservatrici.
Ausonio, originario di Burdìgala (Bordeaux), si distingue come professore di grammatica e retorica e diviene precettore del futuro imperatore Graziano, per poi ricoprire cariche pubbliche presso la corte imperiale. Una parte della sua vasta produzione poetica è legata proprio all’esperienza di insegnante, mentre altri componimenti, tra cui il Cento nuptialis, sono di natura virtuosistica. Più significativi sono i componimenti legati alla sfera degli affetti familiari, come l’Epistularum liber, i Parentalia, ritratti in versi dei propri familiari, la Bissula, dedicato all’omonima schiava ricevuta in dono da Valentiniano I. Il capolavoro di Ausonio è però la Mosella, poemetto dedicato all’omonimo fiume in seguito a un viaggio compiuto nel territorio da esso attraversato; la celebrazione della Mosella è condotta dall’autore con un particolare gusto descrittivo e con grande ricchezza di reminiscenze e di allusioni: il neoclassicismo formale, come è tipico di questa epoca, si unisce ai contenuti propri della sfera personale. Ciò che colpisce particolarmente nella poesia di Ausonio è poi la spiccata tendenza ad elencare, catalogare, schedare, che ritroviamo nelle varie tipologie poetiche, come se l’autore sentisse il dovere di fissare minuziosamente nei suoi versi tutto ciò che merita di essere salvato dall’oblio.
Claudiano, egiziano di nascita, incarna una figura di letterato piuttosto diffusa nella sua epoca: quella del poeta itinerante professionista. Nella sua vasta produzione una parte cospicua è costituita da carmi di occasione e panegirici dedicati soprattutto ad Onorio e Stilicone, esempi di poesia propagandistica finalizzata ad offrire una versione ufficiale degli eventi, ammantata di gusto e raffinatezza formale. L’attenzione per la forma e per il gusto classicista sono proprie anche del genere del poemetto mitologico, praticato da Claudiano con il De raptu Proserpinae. Una dimensione particolarmente presente e caratterizzante nella produzione di questo autore è quella della celebrazione di Roma, delle sue bellezze, della sua storia gloriosa: emerge chiaramente però come questa tendenza sia dettata più dalla volontà di rispondere alle aspettative del pubblico a cui il poeta si rivolge, aristocratico e legato al culto del passato, a cui il poeta si rivolge, che da un sentimento autentico.
Originario della Gallia Narbonese, Rutilio Namaziano si trasferisce a Roma dove intraprende la carriera di funzionario ed entra in contatto con l’ambiente dell’aristocrazia senatoria: con questa condivide la nostalgia per il passato idealizzato della Roma pagana, ma soprattutto è conquistato dall’amore per la città e per le sue bellezze. Dopo il sacco di Roma del 410 i Visigoti risalgono fino in Gallia, dove compiono altre devastazioni, anche nelle zone in cui Rutilio era nato ed aveva le sue proprietà; egli è così costretto a farvi ritorno per sovrintendere alle ricostruzioni.
Rutilio narra questo viaggio di ritorno effettuato via mare, costeggiando l’Italia e la Provenza, in un poemetto in distici, il De reditu suo. Lo spirito con cui Rutilio affronta il viaggio di ritorno, lasciando la sua amata Roma, è più consono a quello di chi è costretto ad un esilio. I luoghi attraversati e gli incontri, come in una sorta di diario di viaggio in poesia, suscitano riflessioni, pensieri, divagazioni; queste in certi casi prendono anche la forma di invettive che lasciano emergere le posizioni ideologiche di Rutilio: per l’invettiva contro i giudei lo spunto viene dalla rozza accoglienza che Rutilio e il suo seguito ricevono da parte di un oste giudeo; i giudei sono dipinti come fanatici, meschini e dediti a un culto opprimente e angoscioso. Per ben due volte Rutilio, in occasione del passaggio di fronte alle isole di Capraia e Gorgona, dove era comune l’uso di ritirarsi per condurre vita eremitica, si scaglia contro i monaci: Rutilio, giudicando inconcepibile la scelta di ritirarsi dal mondo, che equivale a vivere come se si fosse già morti, arriva perfino a paragonare l’atto del farsi monaci all’incantesimo della maga Circe, con l’aggravante però che nel caso dei monaci la degradante trasformazione in porci non riguarda il corpo, come per i compagni di Odisseo, ma il cuore. Uno dei passi più memorabili del De reditu suo è l’inno a Roma nel I libro; in esso la città è dipinta come una divinità che assume nella storia le caratteristiche di pacificatrice del mondo intero: fecisti patriam diversis gentibus unam (“hai costituito per popoli disparati un’unica patria”).
Tra IV e V secolo anche la poesia cristiana vive una stagione felice con due personalità di alto livello, Paolino di Nola e Prudenzio. Originario di Burdìgala, Paolino, sposato con una donna spagnola, passa dall’attività politica ad una vita di tipo monastico, poi diverrà prete ed infine vescovo di Nola, in Campania. Della sua produzione poetica si ricordano soprattutto i Carmina natalicia, dedicati alla celebrazione del dies natalis, il giorno della morte, quindi nascita alla vita eterna, del santo protettore di Nola, Felice: contenuti cristiani, in questo caso agiografici, si coniugano con le forme classiche che Paolino ha appreso in gioventù dal suo maestro Ausonio. Dai carmi di Paolino emerge l’immagine di un mondo sereno e idilliaco, lontano da inquietudini e turbamenti che agitano le coscienze di tanti altri cristiani in quest’epoca.
Prudenzio, di origine spagnola, si converte in età adulta al cristianesimo, rinunciando ad una carriera di funzionario imperiale; dopo la conversione, ritiratosi forse in monastero, si dedica alla sua ricca attività poetica. Tra le molte opere questa comprende gli Inni, che rispetto a quelli ambrosiani, legati alla pratica liturgica, assumono una veste più propriamente letteraria. Tra le raccolte innografiche di Prudenzio il Cathemèrinon (“Inni per ogni giorno”) e Le corone dei martiri. Una delle opere più originali nell’ambito della poesia cristiana è la Psychomachia, un poema sulla lotta tra Vizio e Virtù all’interno dell’anima, costruito sul modello dei combattimenti epici virgiliani.
Con Prudenzio la convergenza tra messaggio cristiano e poesia classica è probabilmente al suo punto più alto: in Prudenzio infatti una profonda conoscenza delle forme poetiche, con una predilezione per la ricercatezza stilistica, si incontra con l’ispirazione della fede, portando la poesia cristiana ai suoi risultati più significativi.