La delega della "riforma Orlando" in tema di intercettazioni
La delega in tema di intercettazioni contenuta nella “riforma Orlando” sembra delineare un vero e proprio sistema, sicché, seppur non è facile prevedere come nel dettaglio sarà attuata, è innegabile che da essa emergano delle chiare scelte legislative, tanto in riferimento al rapporto fra privacy e intercettazioni telefoniche, quanto rispetto al modo di concepire il captatore informatico.
Da tempo si discute sulla necessità di rivedere il sistema delle intercettazioni telefoniche. Le ragioni sono note: ammodernare lo strumento, in virtù dei progressi tecnologici intervenuti negli ultimi anni; tutelare meglio la privacy delle persone coinvolte nelle registrazioni, in virtù della frequente pubblicazione nei mass media di notizie riservate e processualmente indifferenti; apprestare un sistema di garanzie più efficace, in virtù degli interventi della Corte costituzionale e della C. eur. dir. uomo. Ebbene, il legislatore si è mosso in tale direzione con una legge delega (l. 23.6.2017, n. 103) che dovrà essere attuata entro il 3 novembre 2017.
In particolare il provvedimento normativo articola i criteri e le direttive in 5 punti (art. 1, co. 84, lett. a, b, c, d, e): riservatezza, sanzioni penali, tutela della libertà di stampa e diritto di informazione, reati contro la p.a., captatori informatici.
La delega ha come tema centrale e più consistente (co. 84, lett. a) la riservatezza: l’invito è di prevedere delle disposizioni che siano strumentali a garantire la non divulgazione delle conversazioni, sia di quelle che intervengono fra difensore e assistito, sia di qualsiasi altro colloquio intercettato, con particolare attenzione al profilo relativo alla tutela della privacy delle persone occasionalmente coinvolte e dei contenuti non rilevanti ai fini dell’accertamento processuale. A tal fine si richiede di incidere “anche” (quasi autorizzando un intervento più ampio di quello specifico indicato) sulle modalità dell’uso cautelare e sulla scansione procedimentale della selezione del materiale intercettato nel rispetto del contraddittorio fra le parti.
Dopodiché si prevedono 5 direttive più specifiche (co. 84, lett. a), n. 1, 2, 3, 4, 5).
In via principale la delega mira a responsabilizzare il p.m.
In tema di cautele, spetta a lui “assicurare” la riservatezza: dei dati inutilizzabili; dei dati sensibili non pertinenti al reato per cui si procede o relativi ad altre ipotesi delittuose comunque emerse; dei dati irrilevanti rispetto ai fatti in corso di accertamento (co. 84, lett. a), n. 1). In particolare l’obiettivo normativo deve essere quello di impedire che siano allegate alla richiesta di applicazione delle misure cautelari tali informazioni, vista la loro inutilità. Bisogna piuttosto prevedere che tali dati siano conservati in un apposito archivio riservato, accessibile ai difensori, ma con sola facoltà di esame e di ascolto e non già di copia (co. 84, lett. a), n. 2).
Sempre al p.m. si rivolge poi l’obbligo di avviare la procedura di selezione del materiale. Se non tenuta prima, qualora il p.m. si determini per la richiesta di rinvio a giudizio (e dunque prima dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari o della richiesta di giudizio immediato), deve «disporre» la procedura, chiedendo lo stralcio delle conversazioni inutilizzabili, di quelle contenenti dati sensibili non pertinenti e di quelle comunque irrilevanti (co. 84, lett. a), n. 4). Solo alla conclusione di tale adempimento deve cadere il divieto di cui all’art. 114. Solo da tale momento, poi, si può ottenere la copia degli atti e richiedere la trascrizione delle intercettazioni qualificate come rilevanti dal g.i.p. o di quelle il cui rilascio sia stato autorizzato dal giudice dopo la conclusione delle indagini (co. 84, lett. a), n. 3).
Quanto alla polizia giudiziaria, invece, essa è destinataria di un divieto: nella compilazione dei verbali d’ascolto, qualora emergano informazioni inutilizzabili, o sensibili e non pertinenti, o, ancora, irrilevanti, non può procedere alla loro sommaria trascrizione, ma deve indicare solo data, ora e apparato da cui proviene la registrazione. Tuttavia è prevista una sorta di deroga: la p.g. deve informare il p.m. di tale circostanza, in modo che quest’ultimo con decreto motivato possa autorizzare le trascrizioni dei dati che esso qualifica come rilevanti (co. 84, lett. a), n. 5). Il co. 84, lett. b), invece, prevede la formulazione di un nuovo delitto, che viene già delineato in tutto: la diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese visive o di registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente è punibile con pena non superiore a quattro anni. La punibilità è esclusa quando la registrazione o le riprese sono utilizzate nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.
Il co. 84, lett. c) e d) della delega, poi, contiene dei generici inviti: di tener conto della Convenzione europea e della relativa giurisprudenza a tutela della liberà di stampa e del diritto all’informazione; di semplificare l’impiego delle intercettazione per i più gravi reati contro la p.a. dei pubblici ufficiali.
Infine il co. 84, lett. e), regola l’uso del captatore informatico. Qui la delega è particolarmente ricca di indicazioni. Si richiede in primo luogo che la registrazione sia attivata da apposito pulsante e non avvenga perciò automaticamente con l’istallazione del virus. Di conseguenza nel verbale delle operazioni (che possono essere compiute sia dalla p.g. che da apposito personale tecnico autorizzato) devono sempre essere indicate la data e l’ora di inizio e di conclusione delle registrazioni. La finalità è evidente: poter controllare e gestire le registrazioni a distanza.
In secondo luogo si individuano i presupposti. Il captatore può essere sempre utilizzato per i reati di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, mentre per gli altri reati dell’art. 266, co. 1, le intercettazioni di comunicazioni fra presenti in luoghi domiciliari devono presupporre l’attività criminale in corso di svolgimento. In ogni caso il decreto di autorizzazione deve indicare il motivo per cui è necessario usare tale peculiare mezzo.
Dal punto di vista operativo, per garantire la genuinità del materiale captato, il trasferimento delle registrazioni deve essere predisposto automaticamente ed esclusivamente verso il server della Procura e al termine delle operazioni il dispositivo deve essere disattivato definitivamente.
Inoltre, sono previste delle indicazioni tecniche: i virus da istallare dovranno essere conformi a determinati requisiti tecnici, che saranno indicati da un decreto ministeriale.
Si prevedono infine due direttive volte ad estendere, con delle peculiarità, alle intercettazioni raccolte con i captatori informatici alcune regole processuali valevoli per le intercettazioni classiche.
In tema di atti urgenti, l’impiego del captatore informatico può essere autorizzato dal p.m. solo per i reati di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater e in tal caso il p.m. nel decreto di autorizzazione deve indicare sia le ragioni d’urgenza sia perché ha necessità di impiegare il captatore.
In tema di uso delle intercettazioni in altri procedimenti, invece, si estende la disciplina vigente: le intercettazioni con captatore informatico sono utilizzabili in procedimenti diversi solo per i delitti di cui è consentito l’arresto in flagranza di reato. In ogni caso poi, se sono coinvolti soggetti estranei, le registrazioni non sono divulgabili o pubblicabili in alcun modo.
Sicuramente il filo conduttore della riforma in relazione alle intercettazioni telefoniche è la privacy, che andrà tutelata attraverso una disciplina che “blindi” i dati riservati [1]. E da oggi in poi nel processo penale per dati riservati si dovranno intendere tre cose: le informazioni «irrilevanti quanto a oggetto o soggetti», le informazioni «sensibili che non sono pertinenti ai fatti oggetto di accertamento», le informazioni «inutilizzabili».
Infatti le conversazioni riservate, nel senso appena indicato, non possono essere trascritte nei verbali d’ascolto, non possono essere acquisite come prove e quindi devono essere stralciate dalle conversazioni che vengono assunte processualmente, non possono essere poste a sostegno delle misure cautelari, sono conservate in un archivio riservato custodito dal p.m., non possono essere oggetto di copia.
Tutti i soggetti processuali devono quindi essere responsabilizzati sul tema. La polizia giudiziaria, che non può documentare tali conversazioni nei brogliacci. Il p.m., che deve disporne da solo lo stralcio se chiede una misura cautelare, o chiederne lo stralcio al giudice prima dell’avvio del processo vero e proprio. I difensori, che non possono estrarne copia. Il giudice, che deve ammettere solo le intercettazioni rilevanti e non più escludere solo le manifestamente irrilevanti.
Infine il sistema si chiude con una sorta di tutela preventiva. La selezione del materiale andrà fatta al più tardi prima dell’invio dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari o prima del decreto di giudizio immediato. Ma non solo: il rilascio delle copie potrà essere accordato solo rispetto alle intercettazioni rilevanti già selezionate dal giudice nella procedura di stralcio. Le due previsioni impongono, in altre parole, che al momento in cui scatta il diritto alla copia delle registrazioni, le intercettazioni siano state già selezionate, cosicché dal materiale che eventualmente inizierà a “circolare” già sarà stato eliminato ciò che potrebbe nuocere alla privacy qualora fosse pubblicato.
Venendo al captatore informatico, invece, la legge delega desta qualche perplessità [2].
Il presupposto da cui bisogna prendere le mosse è capire bene cosa sia il captatore informatico. È una normale intercettazione ambientale, che si caratterizza solo per lo strumento di registrazione: non più una micro-spia, ma l’apparecchio informatico contaminato? O invece è qualcosa di diverso?
Invero sembrerebbe proprio che il captatore sia una nuova tipologia di intercettazione: il mezzo infatti, si caratterizza per essere una intercettazione di comunicazioni non solo telefoniche, non solo ambientali, non solo informatiche; ma piuttosto una intercettazione di conversazioni e comunicazioni che avvengono “sul” sistema infettato e “intorno” al sistema infettato. È un’intercettazione polifunzionale” in quanto “onnicomprensiva”, “indeterminata” e “itinerante”. Siamo di fronte, in definitiva, ad un “pedinamento di comunicazioni”.
È polifunzionale quanto a tipologia di comunicazioni captate: o fra presenti, o telefoniche o telematiche.
È polifunzionale quanto ad apparecchi intercettati: non solo quello infettato, ma anche tutti quelli che si trovano intorno ad esso, siano o meno a loro volta intercettati. Dunque sia apparecchi telefonici (mobili o fissi), che altri apparecchi informatici.
È polifunzionale quanto a luoghi: se è inserito in un dispositivo informatico mobile, il trojan segue il suo detentore e dunque capta conversazioni che avvengono in luoghi pubblici, aperti al pubblico, semiprivati, domiciliari.
È polifunzionale quanto a persone che registra: il proprietario dell’apparecchio o chiunque altro a cui venga definitivamente o momentaneamente consegnato, o chiunque altro che venga per qualsiasi motivo a trovarsi nel raggio d’azione dello stesso, sia qualora venga lasciato per più o meno tempo in un certo luogo, sia qualora venga “portato in giro”.
La polifunzionalità dunque fa sì che si possa predisporre con esso un’intercettazione itinerante, un pedinamento di comunicazioni a esito imprevedibile, potendo essere coinvolto nella registrazione chiunque anche solo accidentalmente si trovi nello spazio di azione dell’apparecchio.
Sicché emerge subito la potenzialità dello strumento, così come la sua invasività dal punto di vista della privacy.
La logica allora dovrebbe essere quella del “tutto o niente”: o si usa o non si usa. Pensare che si possa prevedere – ai fini dell’autorizzazione – il dove, o il chi, o quale tipologia di conversazione si registrerà è impensabile ma, soprattutto non ha senso.
Da questo punto di vista va condivisa la pronuncia delle Sezioni Unite Scurato che, nel legittimare lo strumento prima di un intervento normativo, si è proprio mossa nell’ottica del tutto o niente. E dunque ha ritenuto che per i reati più gravi potesse essere utilizzato, senza però condizionarlo o subordinarlo a requisiti di alcun genere. E di contro al di fuori di tale ipotesi ne ha vietato l’utilizzo.
La delega, invece, esce da questa logica e sembra concepire lo strumento come una alternativa alle intercettazioni ambientali effettuate con la classica microspia. In effetti la disciplina che si invita a regolare ripropone il classico sistema di un doppio binario.
Per i reati più gravi, che sono indicati all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, il captatore è liberamente utilizzabile, anzi è “sempre utilizzabile”. Quindi nessun riferimento a un regime differenziato rispetto ai luoghi in cui il captatore potrebbe trovarsi a registrare.
Al di fuori di questa ipotesi, invece, dovranno essere ribadite le consuete regole. È necessario cioè distinguere gli ambienti, perché nel domicilio il captatore può essere usato solo se l’attività criminale è in corso di svolgimento.
L’obiettivo della legge delega in tema di intercettazioni è dunque chiaro: il legislatore delegato dovrà far in modo che le intercettazioni che non saranno usate per la prova dei fatti (non importa se inutilizzabili o irrilevanti) non siano mai riprodotte in alcun atto processuale, non siano mai duplicate e non siano mai de-secretate.
I quesiti che si pongono sono evidenti: si è correttamente bilanciato il diritto alla riservatezza con il diritto di difesa? E, di contro, si è correttamente bilanciato fra riservatezza e necessità dell’accertamento penale?
La prima domanda nasce dalla difficoltà per la difesa di poter appieno analizzare il contenuto delle conversazioni in vista della richiesta di ammissione.
L’accesso al materiale solo in loco (con il divieto cioè di poterne chiedere copia), in vista dell’udienza di selezione, è onere difensivo di fatto inesigibile. E l’inesigibilità è configurabile sia se fra i due momenti trascorrerà un certo tempo, sia, a maggior ragione, se si configureranno come temporalmente contigui. Il doversi rapportare con gli orari di ufficio per l’ascolto delle conversazioni, mette la difesa in una situazione di difficoltà oggettiva.
È noto che ad oggi la prassi ci dice che le intercettazioni sono per lo più depositate con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e in tale momento le parti hanno diritto alla copia dei supporti. Dopodiché la richiesta di selezione delle intercettazioni è normalmente trasmessa al giudice insieme alla richiesta di rinvio a giudizio. Nell’udienza preliminare la difesa interloquisce sul punto e il provvedimento di ammissione, con contestuale convocazione del perito per il conferimento dell’incarico, è adottato dal giudice contestualmente alla citazione a giudizio, come adempimento immediatamente successivo al decreto di citazione. In alcune sedi, invece, tutta la procedura è tenuta addirittura in dibattimento, al momento di richiesta di ammissione delle prove. In ambo i casi le parti hanno mesi – se non anni – per studiare il materiale e già dispongono delle copie.
La riforma, invece, sembra finalizzata a creare un momento specifico di selezione del materiale, precedente all’avviso di conclusione delle indagini, proprio per evitare che con il deposito di tutti gli atti di indagine siano messi in circolazione files audio ancora non depurati dei dati sensibili.
Tuttavia anticipare la selezione a tale momento e, nel contempo, vietare la copia del materiale intercettato fa sorgere il dubbio che il sistema delineato metterà in seria difficoltà il legislatore delegato dal punto di vista del rispetto dei principi costituzionali.
Il diritto di difesa, il diritto a tempi ragionevoli per difendersi, il diritto alla parità fra le parti appaiono come le norme costituzionali più a rischio di vulnerazione.
Quanto al diritto di difesa, è onere gravoso il dover ascoltare le intercettazioni soltanto negli uffici della Procura, senza cioè averne una copia. Da questo punto di vista la difficoltà di analizzare i files audio è più che altro una questione di fatto, e non già di diritto, sicché un’eventuale sindacato si anniderà tutto sulla ragionevolezza della scelta normativa. Quanto al diritto a tempi ragionevoli, qui molto dipenderà dal tempo che il legislatore delegato riterrà di accordare fra l’accesso ai files e le richieste di ammissione. Da questo punto di vista la delega sembra già tutelarsi, là dove prevede la possibilità che vi sia un secondo momento di selezione del materiale (co. 84, lett. a), n. 3): «il giudice autorizzi anche successivamente la copia e la trascrizione». Così che tutto ciò che non potrà essere richiesto prima, per la ristrettezza del tempo, potrà comunque essere ammesso dopo. Tuttavia la delega, chiedendo che la selezione avvenga prima della conclusione delle indagini, mette in seria difficoltà il legislatore delegato nella scelta della tempistica procedurale.
La disparità fra le parti, infine, potrebbe essere compromessa, ponendo la mente al tempo che è concesso al p.m. per selezionare il materiale di cui vorrà chiedere l’acquisizione. L’accelerazione della procedura di selezione del materiale non può certo ritenersi una giusta compensazione del ruolo della difesa rispetto alla necessaria posizione di forza che spetta al p.m., il quale ha la disponibilità delle singole registrazioni man mano che vengono eseguite.
Non può poi sottacersi il rischio che questa procedura possa essere censurata dalla C. eur. dir. uomo. La Corte sovranazionale, infatti, controlla proprio in concreto che sia garantito il diritto di difesa e i tempi ragionevoli del suo esercizio. È dunque ipotizzabile che si arrivi a qualche condanna, qualora venisse accertato che il materiale intercettato per la sua mole non è stato sufficientemente messo a disposizione delle parti, perché, fra il deposito del materiale e l’udienza stralcio, i tempi di fatto si sono rilevati troppo stretti.
Va poi ricordato che il divieto di copia non potrà mai riguardare il materiale su cui si basano le richieste cautelari, pena la violazione di un giudicato costituzionale [3], sicché in ogni caso dovrà continuare ad esistere in tale evenienza il diritto alla copia delle intercettazioni poste a fondamento della decisione.
Né si può ritenere che il diritto all’accesso al materiale dopo l’applicazione di una misura cautelare personale possa essere inteso come esclusiva possibilità di ascolto e non anche di copia. Da questo punto di vista sono chiare le parole della Corte costituzionale: «Il diritto all’accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro», cosicché è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 268, là dove non prevede che «il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate».
Sicché se la lesione del diritto di difesa o dei tempi per la difesa o della parità di posizioni delle parti si potrebbe delineare senz’altro nei procedimenti nei quali non si è fatto ricorso alla cautela; tuttavia non si può escludere che ciò avvenga anche per i procedimenti in cui vi sono stati dei provvedimenti cautelari. Non si può infatti escludere che il materiale di cui si è ottenuta copia sia sensibilmente irrisorio rispetto a quello depositato in vista della selezione definitiva e dell’acquisizione: perché si è continuato comunque a intercettare dopo l’applicazione del provvedimento cautelare; perché il p.m. ha usato poco del materiale a sua disposizione per la richiesta cautelare [4].
Possiamo poi chiederci se quell’inciso della Corte costituzionale, secondo cui «il diritto all’accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro», possa essere generalizzato, e dunque si debba ritenere che una volta depositate le intercettazioni, debba comunque accordarsi il diritto di copia.
Rispetto al secondo quesito, ovverosia se si configuri un giusto equilibrio fra tutela della privacy e esigenze di accertamento processuale, sorge il dubbio che il legislatore delegante imponga un adempimento processuale durante le indagini preliminari che si configura come un eccessivo carico di lavoro, non gestibile se non a costi procedimentali troppo alti. È noto che le indagini preliminari sono la sede elettiva della prescrizione. L’appesantire l’inchiesta di un nuovo giro di notifiche e di un’inedita udienza rischia di favorire troppo la consumazione della prescrizione. Ma non solo. In tal modo si va anche a incidere sulla scadenza dei termini di fase e dunque di fatto si costringe il p.m. a non chiedere le misure cautelari [5]. Senza contare poi che affidare l’incarico peritale senza che ci sia la certezza che la parte non opti per un rito speciale, appare un inutile spreco di risorse. È noto infatti quali siano i costi delle trascrizioni, così come è noto quanto sia alta la percentuale di processi chiusi, per esempio, con il rito abbreviato.
È vero certo che la delega sembra autorizzare la trascrizione a una richiesta di parte successiva alla selezione del materiale, (co. 84, lett. a), n. 3), cosicché il legislatore delegato potrebbe per esempio collocarla dopo che siano scaduti i termini per la richiesta dei riti speciali (o dopo il decreto di rinvio a giudizio del g.u.p., contestualmente all’udienza di formazione del fascicolo del dibattimento, o dopo la scadenza dei termini per chiedere i riti speciali in caso di giudizio immediato).
In conclusione l’invito che si può inoltrare al legislatore delegato è quello, da una parte, di cogliere l’occasione per formalizzare la pronuncia della Corte costituzionale, prevedendo che dopo l’applicazione di una misura cautelare personale (e magari anche reale) le parti abbiano il diritto all’ascolto e alla copia delle conversazioni utilizzate. Addirittura prevedendo che i files siano depositati presso il giudice con la richiesta di applicazione della misura, senza che le parti debbano richiederle al p.m. e magari attendere giorni per averne la disponibilità effettiva.
Dopodiché si dovrebbe immaginare un congegno normativo in cui da una parte il p.m., “insieme” (e non già prima) all’avviso di conclusione delle indagini, fa anche la richiesta di ammissione delle intercettazioni e deposita, con possibilità di copia, quelle che ritiene rilevanti e utilizzabili. Di contro, il provvedimento di ammissione definitivo e la trascrizione andrebbe collocato dopo: in udienza preliminare, contestualmente all’udienza di formazione del fascicolo del dibattimento, o, in sede di richiesta di ammissione delle prove in dibattimento in caso di giudizio immediato. Così che la difesa abbia intanto a disposizione la copia di tutto il materiale selezionato dal p.m., e l’ascolto in loco sia limitato al solo materiale già stralciato unilateralmente dall’organo d’accusa.
La logica del captatore informatico dunque, non è quella di uno strumento alternativo per eseguire le intercettazioni ambientali, ma è quella di un diverso mezzo di ricerca della prova, non è un’intercettazione di comunicazione in un ambiente, ma è un’intercettazione a tutto tondo, a 360 gradi: è un “pedinamento di comunicazioni”.
Siamo dunque di fronte ad uno strumento che serve per intercettare chi non frequenta luoghi fissi, chi non è abitudinario, chi è accorto e dunque non parla in luoghi consueti, chi non si sa se parlerà a distanza con un apparecchio o di persona. La finalità dello strumento, in definitiva, è quella di permettere le intercettazioni là dove non sia determinabile un “luogo bersaglio” o un “apparecchio bersaglio”. Chi, insomma, parla in luoghi o con apparecchi non individuabili a priori.
Ma la delega coglie questa logica solo a metà, perché continua a distinguere, per i reati diversi da quelli dell’art. 51, co. 3-bis e 3-quater, i presupposti di autorizzazione in base ai luoghi.
E del pari, sarebbe un grave errore da parte del legislatore delegato richiedere in ogni caso (ovverosia per ogni intercettazione autorizzata con questo mezzo) che nella richiesta e nel provvedimento autorizzativo vi sia sempre l’indicazione dei luoghi in cui avverranno le registrazioni. Eppure una previsione di tal genere è stata inserita nella bozza del decreto delegato che sta per essere adottato dal Governo.
Ma – ripetiamo – sia distinguere i luoghi ai fini dell’autorizzazione per i reati comuni, sia eventualmente prevederne comunque l’indicazione per ogni ipotesi delittuosa è un grave errore per una serie di ragioni. In primo luogo perché il capire, in contemporanea alla registrazione, la perfetta collocazione dell’apparecchio non è operazione di semplice realizzazione. Per quanto gli strumenti siano ormai precisi, non è sempre possibile distinguere, per esempio, fra l’ingresso di un appartamento o le scale condominiali o l’ambiente esterno: si tratta di pochi metri che le celle di agganciamento non sempre sono in grado di discriminare. Dunque, se pur tecnicamente è possibile accendere e spegnere il captatore (come prevede la delega e come si imporrà agli operatori per evitare di intercettare in luoghi non autorizzati), assai difficile è cogliere il momento in cui bisogna attivare o disattivare il contatto.
In secondo luogo perché in questo modo si incentiveranno motivazioni di stile. Nelle richieste e nelle autorizzazioni sarà sempre indicato una sorta di elenco di tutti i possibili luoghi: esercizi commerciali, strade, piazze, giardini, macchine, uffici, appartamenti, ecc. ecc., fino ad arrivare, piano piano, a individuare un elenco completo di ogni possibile tipologia ambientale, che sarà poi sempre allegato automaticamente. Sicché, se venisse inserito il requisito dell’indicazione obbligatoria dei luoghi, esso di fatto sarebbe eluso.
Infine, si verificheranno sempre delle situazioni in cui le intercettazioni saranno eseguite fuori dei casi consentiti, perché, come per le intercettazioni causali dei parlamentari, è praticamente impossibile evitare la registrazione fuori dai luoghi autorizzati. Sicché, per quanto il p.m. possa fare un vaglio preventivo per distinguere da subito le utilizzabili da quelle inutilizzabili, in continuazione verranno sollevate eccezioni per illegittimità della registrazioni: in via di fatto l’inutilizzabilità è configurabile solo a posteriori. Sicché in via di fatto si permette la lesione di interessi costituzionali, si consente in via di fatto la raccolta di dati “illegali”, di dati cioè di cui è vietato qualsiasi uso, non solo nel procedimento penale, ma anche in quelli, per esempio, di prevenzione o di ingiusta detenzione.
Ebbene, se si parte dal presupposto che il trojan è sicuramente un mezzo che ha una potenzialità in più rispetto alle normali intercettazioni, esso dovrebbe allora essere consentito solo nei casi estremi in cui vi è la necessità di realizzare un monitoraggio a 360 gradi e non ci sono le condizioni per prevedere i luoghi o i mezzi in cui e con cui avverranno le comunicazioni. Da questo punto di vista, il precetto fondamentale previsto nella legge delega è proprio quello relativo all’obbligo, nella richiesta del p.m. e poi nell’autorizzazione del giudice, di indicare il motivo per cui è necessario utilizzare tale mezzo.
Si tratta di una previsione essenziale, perché essa sola legittima nel nostro sistema l’impiego del captatore informatico, anche alla luce della CEDU [6].
Infatti è necessario spiegare perché gli altri strumenti intercettativi non siano idonei nel caso di specie. Il captatore deve essere l’estrema ratio rispetto alle intercettazioni classiche.
Quindi, in prima battuta bisognerà argomentare sulla sussidiarietà rispetto agli altri mezzi di indagine, come per ogni altra intercettazione (la necessità ai fini di continuare le indagini), dopodiché bisognerà argomentare sulla sussidiarietà rispetto alle altre forme di intercettazione.
E qui bisognerebbe indicare proprio la necessità di un “pedinamento di comunicazioni”, perché rispetto alle persone che si vogliono intercettare non si è in grado di individuare dove e con quali modalità converseranno. Infine va segnalato un dato. Il captatore informatico ha molte altre funzionalità: duplica a distanza l’intero hard disk; visualizza a distanza le operazioni che vengono compiute sull’apparecchio in contemporanea al loro svolgimento; video-riprende attività in corso di svolgimento; e molto altro ancora. Il legislatore da questo punto di vista ha scelto chiaramente: non regolare nessuna di queste ulteriori attività. Sicché, in attesa di un nuovo provvedimento normativo, le molteplici attività investigative che possono realizzarsi attraverso il captatore rimarranno regolate dagli interventi giurisprudenziali.
[1] Sul tema v. Filippi, L., La legge delega sulle intercettazioni, in Baccari, G.M.-Bonzano, C.-La Regina, K.-Mancuso, E.M., a cura di, Le recenti riforme in materia penale: dai decreti di depenalizzazione (d.lgs. n. 7 e n. 8/2016) alla «legge Orlando» (l. n. 103/2017) e relativi decreti attuativi (3 ottobre 2017), Padova, 2017; Giordano, L., La delega per la riforma delle intercettazioni, in Marandola, A.-Bene, T., a cura di, La riforma della giustizia penale, Milano, 2017; Zampaglione, A., Delega in materia di intercettazioni: un costante bilanciamento di interessi, in Spangher, G., a cura di, La riforma Orlando, Pisa, 2017.
[2] Sul tema v. Curtotti, D.-Nocerino, W., Le intercettazioni tra presenti con captatore informatico, in Baccari, G.M.-Bonzano, C.-La Regina, K.-Mancuso, E.M., Le recenti, cit; Giordano, L., La delega per la riforma del captatore informatico, in Marandola, A.-Bene, T., a cura di, La riforma della giustizia, cit.; Filippi, L., La delega in materia di uso del captatore informatico, in Spangher, G., a cura di, La riforma Orlando, cit., 151 ss.
[3] C. cost., 15.10.2008, n. 336.
[4] Cfr. Gaito, A., I nuovi orizzonti, in Gaito, A., a cura di, Riservatezza e intercettazioni tra norma e prassi, Roma, 2011, p. 213 ss. e Santoriello, C., Il diritto alla traccia fonica, ivi, p. 225 ss.
[5] Cfr. Giordano, L., La delega per la riforma, cit.
[6] Cfr., ex plurimis, C. eur. dir. uomo, 2.9.2010, Uzun c. Germania.