Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La diffusione della civiltà islamica in Occidente costituisce uno dei momenti più importanti per la crescita delle forme di sapere scientifico e tecnologico tra antichità e Rinascimento. Infatti la comunità culturale araba, venendo a contatto con il popoli del Mediterraneo, ha contribuito all’evoluzione delle tecniche manifatturiere europee e, attraverso le traduzioni dei testi greci, al recupero delle conoscenze dell’epoca classica. Frutto di una più che evoluta tecnologia meccanica di tale civiltà, i prodigiosi manufatti arabi hanno stupito le più grandi corti medievali dell’Occidente.
La cultura araba, attraverso un intenso processo di acquisizione del sapere dei popoli con i quali era giunta in contatto, risulta essere una preziosa collezione di nozioni bizantine, siriache ed ebraiche, a loro volta fondate, per buona parte, su conoscenze registrate nei testi di età greca e ellenistica. Il suo ruolo storico è stato dunque quello di portare a una più dettagliata definizione il bagaglio di informazioni risalenti all’età ellenistica, cui si aggiungeranno contributi originali soprattutto nei settori dell’alchimia, della matematica e dell’astrologia.
Dall’Oriente si diffondono così in Europa nuove pratiche e prodotti, specialmente in campo medico e farmaceutico, nell’arte della tintura, nella fabbrica di strumenti di misura, precisione e osservazione: è sufficiente pensare alla diffusione dell’astrolabio nelle sue diverse tipologie, della sfera armillare, del globo celeste e degli apparati alchemici.
Le conoscenze custodite nei testi arabi raggiungono l’Occidente attraverso i centri culturali islamici, soprattutto Toledo e Cordova, e vengono qui diffuse anche attraverso nuove traduzioni in latino. Maestranze tecniche e artigianali arabe si spostano da un luogo all’altro, specie attraverso la Spagna e la Sicilia, portando con sé oggetti e materiali nuovi, realizzati con tecniche innovative. Le arti decorative, la lavorazione del metallo e del vetro, l’arte della ceramica e della tessitura acquisiscono metodi di produzione sino ad allora sconosciuti all’Occidente. Il vasellame coperto con smalti lucenti e colorati è particolarmente ricercato; a prova di fuoco, questi contenitori sono inoltre utilissimi per gli esperimenti. Proprio la migliore qualità del vasellame a disposizione e dei forni nei quali sono collocati gli alambicchi contribuiscono al successo delle ricerche condotte dagli alchimisti arabi.
La manifattura di tappeti di lana per pareti e pavimenti è un’arte tipica della civiltà islamica, dalla quale abbiamo adottato molti nomi di tessuti: il damasco deriva dall’omonima città, il termine “taffetà” dal persiano taftah, il fustagno da Fostat, quartiere del Cairo. Se l’Egitto eccelle per la produzione di lino, la Mesopotamia è rinomata per la lana, come la Persia per il cotone.
Gli scambi culturali sono facilitati anche dai pellegrinaggi delle popolazioni occidentali nelle città sante orientali: i pellegrini rientrano in Europa portando con sé reliquie, ricordi, testi elegantemente illustrati e stoffe preziose. Infatti, se tra il VI e il VII secolo i telai di Costantinopoli lavorano in notevole quantità sete preziose provenienti dalla Cina; successivamente, sotto il controllo musulmano anche i broccati prodotti dai telai egizi e siriani cominciano a essere esportati in concorrenza con Bisanzio. Sono queste le pregiate stoffe che non solo vestono i personaggi importanti dell’Occidente, ma anche avvolgono le reliquie dei santi; inoltre i popolari motivi ornamentali che tanto spazio hanno nella scultura del Medioevo europeo, come l’aquila, il dragone alato e il grifone, traggono ispirazione proprio dal repertorio decorativo dei tessuti orientali.
Quella che comunemente indichiamo come cultura araba è frutto di una comunità di studiosi assai allargata, diffusa su un territorio vastissimo che copre la zona compresa tra l’attuale Pakistan e la Spagna, unificata sotto il potere politico della dominazione islamica e dall’uso della lingua araba sebbene vada estesa anche agli Iraniani, che pur utilizzano la lingua persiana.
A tal proposito, val la pena citare la definizione dello storico della scienza Aldo Mieli, secondo il quale “con il termine ‘arabo’tout court intendiamo tutto ciò che è sottoposto all’influsso diretto o indiretto dell’ambiente creato dalla conquista musulmana e che si realizzò nell’impero arabo dei califfi e negli stati, rimasti musulmani, che se ne distaccarono in seguito” (A. Mieli, La science arabe et son rôle dans l’évolution scientifique mondiale, 1966).
L’islam, dunque, inteso come fattore culturale, ha storicamente favorito un continuo interscambio tra Medio Oriente e Occidente. Già a partire dalla sua fondazione, infatti l’Impero bizantino aveva avuto contatti con la cultura araba, accogliendo al suo interno molti personaggi di lingua siriana, che, a partire dal III secolo, aveva sostituito il greco nell’Asia occidentale. Viceversa, a partire dal IV secolo, i nestoriani di Costantinopoli si trasferiscono verso la parte sud-occidentale della Persia, spostando la loro intensa attività culturale nella città di Gondishapur e dando origine a una produzione letteraria in lingua siriana molto cospicua e comprendente anche la traduzione di opere di Platone e Aristotele, di Euclide, Archimede, Erone di Alessandria, Tolomeo, Galeno e Ippocrate.
Quando nel VII secolo gli Arabi irrompono nel Mediterraneo, entrano in contatto proprio con l’antico patrimonio culturale delle civiltà bizantina e persiana, frutto anche dell’opera di acquisizione fatta dai nestoriani. È per questo che l’accademia reale di Gondishapur, dove, in seguito alla chiusura dell’Accademia di Atene del 529, si erano rifugiati anche i filosofi neoplatonici, diviene il primo centro scientifico dell’impero islamico; da qui successivamente molti dotti si trasferiranno a Damasco, la capitale.
Il periodo di massima fioritura della cultura islamica coincide con il regno della dinastia degli Abbasidi, famiglia di tradizione persiana che si impadronisce del califfato nel 750 e trasferisce la capitale a Baghdad: tra il 750 e l’850, infatti, abbondano le traduzioni in siriaco, mentre nei cento anni successivi comincia il processo di acquisizione della cultura filosofica e scientifica degli antichi in arabo. Nell’828 a Baghdad viene istituito un osservatorio astronomico che sarà luogo di ritrovo degli uomini di cultura e nell’832 viene fondata dal califfo al-Ma‘mun una scuola di traduttori dotata di una grande biblioteca che poi diventerà un’università di cui faranno parte personaggi di spicco della cultura dell’epoca come Thabit ibn Qurra e Hunain ibn Ishaq, autori di traduzioni in arabo di opere e trattati tecnici greci.
È in questo periodo che vengono tradotti in arabo i testi greci di Aristotele, i trattati medici di Galeno, le opere di astronomia di Claudio Tolomeo, le pagine della Meccanica di Erone di Alessandria, della Pneumatica di Filone di Bisanzio, gli scritti di Ippocrate e altri testi di matematica e astronomia. È grazie a queste traduzioni che molte di queste opere finiranno col tornare nell’Occidente tradotte in latino.
Ai traduttori e agli studiosi capaci di assimilare le nozioni contenute negli antichi trattati di scienza e tecnica dobbiamo anche la nascita del linguaggio filosofico e scientifico arabo, la cui terminologia influenzerà le lingue moderne. Notevole anche il contributo nel settore dell’alchimia, che riceverà dal contatto con la cultura araba stimoli particolarmente vivaci e della matematica grazie anche a un proficuo scambio con la cultura indiana e cinese.
Tuttavia, per capire appieno il fenomeno delle traduzioni, non bisogna dimenticare di sottolineare il ruolo chiave giocato dalla diffusione della carta, ottimo (e più economico) materiale di supporto per i copisti che poterono contare su una manifattura messa in piedi dai Cinesi a Samarcanda verso il principio del VII secolo, presto seguita da un’altra installata a Baghdad nel 795. Allo stesso modo non va trascurato il ruolo dei califfi, veri artefici di questa operazione, resa possibile anche grazie ai fondi che essi mettono a disposizione per acquisire manoscritti greci da portare a Baghdad per la traduzione.
Un discorso a parte ben più dettagliato, infine, meritano i contributi degli Arabi nel settore della tecnologia meccanica già prima del X secolo. Il corpus delle conoscenze dei meccanici greci, Ctesibio, Filone di Bisanzio, Erone di Alessandria era passato a Bisanzio e, successivamente, alla Persia dei Sasanidi. In quest’area la combinazione tra elementi antichi e apporti culturali originali di ambito bizantino, iranico, siriano, indiano e cinese era andata consolidandosi al punto che oggi è complicato individuare con esattezza l’origine dei diversi contributi. Così rielaborata, la disciplina meccanica islamica trova la sua espressione più significativa nell’opera dei tre fratelli Banu Musa, il Libro dei meccanismi ingegnosi.
Attivi nel corso dell’800, i Musa studiano a Baghdad, dove hanno modo di dedicarsi all’apprendimento della geometria, matematica, meccanica, astronomia e musica. Imprenditori e mecenati, si recano spesso a Costantinopoli in cerca di testi tecnico scientifici da acquistare.
Il tema guida dell’opera è la meccanica dei fluidi e le macchine descritte si basano sulla combinazione, sempre diversa, di dieci apparati idraulici di base. Il flusso dell’acqua è governato grazie alla combinazione di contenitori con valvole e recipienti a ribaltamento. Le numerose fontane zampillanti descritte confermano che la teoria di base è da vedere nella tradizione della pneumatica ellenistica portata al suo limite estremo: ciò che si poteva ottenere con una tecnologia fondata sul semplice trasferimento di liquidi da un recipiente all’altro trova qui la sua massima espressione. Destinata a grande fortuna, l’opera dei Banu Musa presenta anche due importanti intuizioni tecniche: la valvola conica, quasi sempre presente nei dispositivi descritti, che circolerà in Europa sulla base di un disegno di Leonardo per poi essere definitivamente diffusa con il lavoro di Agostino Ramelli nel XVI secolo; la manovella a gomito, descritta in due apparati, che anticipa di circa 200 anni l’albero a gomiti.
Macchine sempre più complesse azionate dall’acqua oppure dalla caduta controllata di un contrappeso costituiscono il vanto delle corti orientali. Ne Le chiavi delle scienze, l’opera enciclopedica scritta verso la fine del X secolo da Muhammad ibn Ahmad, sono descritti i diversi elementi usati dai costruttori di apparati meccanici; non vi figurano gli orologi, ma vi sono tutti i singoli componenti che ne determinano il funzionamento. Anche nell’opera dei Musa non figurano orologi ad acqua, ma molti dei loro apparati meccanici funzionano sul medesimo principio; inoltre, essi descrivono una lucerna che può, con lievi modifiche, essere adoperata come orologio.
D’altro canto, che questa tecnologia potesse determinare non solo il funzionamento di automi ma anche di veri e propri apparati di pneumatica era sicuramente noto da tempo. Le ricerche condotte in ambiente alessandrino da Ctesibio, Filone e Erone avevano mostrato che un flusso regolare di acqua poteva generare un movimento controllabile di un meccanismo in un determinato tempo; i meccanici di Alessandria trovano dunque nella civiltà islamica i loro eredi, capaci di realizzazioni che impressioneranno molto gli occidentali. A tal proposito, nell’807 l’ambasciata di Harun al Rashid ricevuta alla corte di Carlo Magno reca in dono, tra l’altro, un bellissimo orologio meccanico azionato dall’acqua. Eginardo, lo storico ufficiale della corte carolingia, descrive con evidente ammirazione questo complesso dispositivo, che allo scoccare di ogni ora lascia cadere una pallina in un contenitore indicando così lo scorrere del tempo, mentre allo scoccare del mezzogiorno dodici porte si aprivano consentendo la trionfale uscita di altrettanti cavalieri.
Lo stupore della corte di Carlo Magno davanti a questa meraviglia della tecnica evidenzia la novità che questo dispositivo doveva rappresentare anche in quella parte dell’Occidente europeo che stava evolvendo verso forme più marcate di civiltà. Oltre un secolo più tardi, l’ambasciatore di Berengario II, Liutprando da Cremona resterà abbagliato davanti agli straordinari effetti dell’automa meccanico visto alla corte dell’imperatore di Bisanzio. Si trattava di un albero in bronzo sui cui rami stavano vari uccellini, tutti diversi e anch’essi di bronzo, che cinguettavano ognuno col proprio canto; alle spalle dell’albero il trono, a guardia del quale stavano due leoni meccanici capaci di muovere la coda e ruggire. In mezzo a questo frastuono di animali, il trono imperiale, secondo la cronaca dell’esterrefatto Liutprando, si sollevava dal suolo probabilmente per mezzo di un albero a vite senza fine (Liutprando, Antapodosis, VI, 5). L’attrazione dei piccoli uccelli meccanici capaci di cantare supera anche i confini del Medio Oriente: infatti, nella saga nordica duecentesca di Tristano e Isotta si accenna ad un meccanismo analogo e a un cane automatico capace di muoversi da solo.
La precisione nel disporre il montaggio dei pezzi con le relative dimensioni in modo che l’effetto desiderato si manifesti dopo il tempo necessario costituirà una tappa fondamentale nella storia della tecnologia per i progressi che ne deriveranno, soprattutto nella costruzione di congegni automatici, planetari e orologi meccanici.