Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Durante il XV secolo prende progressivamente forma e visibilità pubblica una nuova categoria socio-culturale di uomini di formazione tecnico-artistica che si distingue dai predecessori medievali per l’autocoscienza della propria identità culturale. Questa nuova figura dell’artista-ingegnere si caratterizza principalmente, oltre che nella produzione di beni materiali, anche per la creazione di un bagaglio di conoscenze comuni dalle quali prende il via una tradizione scritta per la conservazione, la trasmissione e la propaganda del sapere tecnico.
Il rinascimento delle tecniche
I protagonisti della cosiddetta rivoluzione tecnica medievale ai quali si devono le invenzioni di dispositivi tecnici fondamentali, come la biella-manovella, l’avantreno sterzante, la staffa, la bardatura del cavallo, la polvere da sparo, la rotazione triennale delle colture, l’aratro pesante, il trabocco, la bussola e le soluzioni architettoniche dell’edilizia gotica, hanno fatto il loro ingresso nella storia in maniera silenziosa e anonima, senza lasciare tracce della propria identità. Per quanto la tecnica costituisca un elemento di vitale importanza per la società medievale, i protagonisti di questa categoria culturale rivestono un ruolo sociale subalterno, caratterizzato da un orizzonte intellettuale ancora limitato alla conoscenza del “come fare”.
A partire dal XIV secolo, grazie alla progressiva presa di coscienza del valore economico, militare e culturale delle conoscenze tecniche, l’artista-ingegnere, che rispondono a tutte queste esigenze, diventa una delle principali figure di riferimento della società tardo-medievale e rinascimentale. Questa crescita sociale stimola gli artisti a cimentarsi in un arduo processo di riqualificazione culturale per emanciparsi dalla situazione di subalternità nei confronti degli umanisti, che in questo periodo costituiscono i principali esponenti della cultura al servizio dei principi e delle magistrature cittadine. Nel giro di pochi decenni gli artisti-ingegneri si trasformano da semplici operatori indotti, letterariamente muti, in autori di testi con pretese di organicità che prendono come modello i trattati tecnici antichi, da poco restituiti nella loro integrità proprio dagli umanisti. Il risultato di questi sforzi conduce a una graduale trasformazione della letteratura tecnica, che nell’arco di mezzo secolo lascia la forma zibaldonesca, caratteristica del libro di bottega e del ricettario, per assumere quella del trattato illustrato in cui le macchine e le soluzioni tecniche sono organizzate per tipologie e presentate per mezzo di disegni rigorosi.
Lo scenario entro il quale ha luogo il processo di affrancamento culturale degli ingegneri e la loro ribalta sociale è quello delle corti e delle città rinascimentali. Principi come Sigismondo Pandolfo Malatesta a Rimini, Federico da Montefeltro a Urbino sono tra i principali promotori della cultura tecnica e fanno del mecenatismo uno strumento per la legittimazione e il consolidamento del loro potere. Entrambi costruiscono la loro immagine pubblica come abili condottieri militari e cercano di trovare consenso politico, sia interno che esterno al proprio Stato, facendosi promotori di importanti iniziative culturali e opere architettoniche.
Questi principi vedono la cultura come uno strumento di potere e si impegnano intensamente per trasformare le loro corti da presidi militari in centri di irradiamento culturale dotati di imponenti biblioteche, nelle quali raccolgono opere di autori antichi e moderni. Il sistema del mecenatismo fa nascere un nuovo ambito culturale, parallelo a quello delle università e della cultura monastica, all’interno del quale i protagonisti principali sono gli umanisti e gli artisti, ed è in questo contesto che vengono redatti i primi trattati di ingegneria militare e civile. Per soddisfare l’interesse e le curiosità dei loro mecenati, alcuni umanisti si impegnano nella redazione di trattati sull’arte della guerra, inaugurando una tradizione letteraria nella quale si rievocano i protagonisti dell’ingegneria antica romana e alessandrina e che contribuisce a consolidare e ampliare il contesto culturale per la ricezione della cultura tecnica: pensiamo alla pubblicazione De re aedificatoria di Leon Battista Alberti e del De re militari di Roberto Valturio e anche ai tentativi sistematici per la ricostruzione dell’apparato iconografico del De architettura di Vitruvio, in cui si impegnano in maniera congiunta ingegneri e umanisti. Gli autori dei primi trattati di macchine non sono dei tecnici direttamente occupati nello sviluppo della tecnologia militare e civile, ma uomini colti, solitamente medici con una preparazione umanistica, che rivestono incarichi di segreteria o prestano servizio militare.
Guido da Vigevano
Il libro di macchine più antico prodotto nell’ambiente cortigiano del tardo Medioevo è il Texaurus Regis Francie del medico Guido da Vigevano, realizzato nel 1335 presso la corte di Carlo il Bello e di Filippo VI di Valois, al quale è dedicato.
Quest’opera, che l’autore dice di avere compilato a sostegno dell’idea di realizzare una nuova crociata per la liberazione della Terrasanta, presenta un apparato iconografico nel quale è illustrata una serie di macchine da guerra, in gran parte riconducibili a trattati militari della tradizione tardo -antica e bizantina. Nella scelta e nella descrizione di queste macchine emerge l’interesse dell’autore per le strutture modulari e per i carri semoventi che integrano un sistema di trazione a energia umana ed eolica. Per quanto il disegno continui a rivestire un ruolo subalterno nei confronti della parola scritta, il trattato di Guido da Vigevano rappresenta il primo tentativo di integrazione tra descrizione grafica e verbale, al fine di arrivare a una caratterizzazione della macchina di tipo quantitativo. I disegni del Texaurus sono realizzati mediante innovativi espedienti grafici bidimensionali che, seppure di difficile decifrazione, offrono una precisa scansione cinematica della macchina, alla quale è associata anche una puntuale descrizione verbale che fornisce le dimensioni degli organi principali. La tradizione manoscritta inaugurata dal Texaurus di Guido da Vigevano trova un seguito nella Germania e nell’Italia del XV secolo.