di Damiano Palano
Le elezioni politiche italiane del 25-26 febbraio 2013 hanno per molti versi segnato la fine della cosiddetta ‘Seconda repubblica’, quantomeno perché hanno comportato il passaggio da un sistema partitico bipolare a una configurazione multipolare ancora piuttosto instabile. Dal 1994 fino alle elezioni del 2006 il sistema partitico italiano ha presentato infatti le caratteristiche di un ‘bipolarismo frammentato’: un assetto contrassegnato dalla presenza di due grandi coalizioni, ognuna delle quali composta da una pluralità di formazioni, talvolta piuttosto piccole ma dotate comunque di un rilevante potenziale di ‘ricatto’. Rispetto a questo quadro, le elezioni del 2008 avevano sancito una parziale riduzione della frammentazione, grazie alla nascita di due nuovi grandi soggetti (Partito democratico e Popolo della libertà) e all’esclusione dall’arena parlamentare di alcuni piccoli partiti che non erano stati in grado di superare le soglie di sbarramento. Le consultazioni del 2013 hanno invece impresso una netta inversione di tendenza, dovuta sia all’insuccesso dei vecchi partiti, sia all’emergere di nuovi protagonisti. Un dato rilevante è innanzitutto costituito dalla diminuzione della partecipazione elettorale, che ha segnato un decremento del 5,3% rispetto al 2008, toccando così il livello più basso nella storia repubblicana. Un simile dato riflette soprattutto l’elevatissima sfiducia nei confronti della classe politica e dei partiti ‘tradizionali’, ulteriormente accresciuta dalle difficoltà legate alla crisi economica e alle misure fiscali e previdenziali adottate a partire dal 2011. Se la disaffezione si è tradotta in parte in una crescita dell’astensione, essa ha però alimentato anche una fortissima richiesta di cambiamento politico, testimoniata dalla consistente perdita di consensi da parte di PD e PDL, i due principali protagonisti del bipolarismo italiano. In termini percentuali, il PD ha perso infatti nel 2013 quasi 8 punti percentuali rispetto al 2008 (pari a circa 3,5 milioni di voti), nonostante la coalizione di centro-sinistra sia riuscita a ottenere grazie alla legge elettorale la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. Il PDL ha invece subito una flessione di 12 punti, che in termini assoluti equivale a un’emorragia di più di 6 milioni di voti. Se il tributo pagato da PD e PDL è probabilmente anche un effetto del loro sostegno alle misure di austerità adottate dal governo ‘tecnico’ presieduto da Mario Monti, a trarre benefici della loro sconfitta non sono state le forze di opposizione più consolidate e già presenti in Parlamento. La Lega nord, coalizzatasi peraltro col PDL, ha perso infatti circa metà del suo precedente elettorato (attestandosi al 4,1% alla Camera e al 4,3% al Senato), mentre Rivoluzione civile, un cartello che si colloca nell’area di sinistra, non è riuscita neppure a superare la soglia di sbarramento, fermandosi alla Camera al 2,3%. In minima parte, a raccogliere i voti in uscita dalle due principali coalizioni è stato invece il nuovo polo di centro, che alla Camera dei deputati (con Unione di centro, Futuro e libertà per l’Italia e Scelta civica) ha ottenuto il 10,6% dei voti, mentre al Senato (sotto l’unica sigla Con Monti per l’Italia) si è attestato al 9%. Ma il vero trionfatore delle elezioni del 2013 è stato senza dubbio il Movimento 5 Stelle. Presentatosi per la prima volta alle consultazioni politiche nazionali, il M5S alla Camera è diventato infatti addirittura il primo partito, con il 25,6%, mentre al Senato ha conquistato il 23,6% dei consensi. A rendere anomalo il M5S non è però solo la strabiliante performance elettorale, perché dal punto di vista organizzativo, comunicativo e ideologico esso rappresenta un caso per molti versi unico nell’intero contesto delle democrazie occidentali. Si tratta infatti di una formazione politica nata sul web, ma ciò che caratterizza maggiormente il movimento sono soprattutto, da un lato, la forte critica alla forma-partito e alla democrazia rappresentativa, e, dall’altro, il ruolo di leader esercitato da un ex comico, Beppe Grillo (il quale si limita peraltro a dirigere il movimento e la sua comunicazione, senza candidarsi direttamente a cariche pubbliche). La prima ossatura del M5S prese forma attorno al blog di Grillo, attivo dal 2005 su temi legati alla difesa dell’ambiente, alle promozione delle energie rinnovabili, agli scandali finanziari e alla corruzione politica. In seguito, iniziarono a costituirsi gruppi Meetup, che a livello locale raccoglievano attivisti impegnati su questioni e proposte specifiche. Un salto notevole dal punto di vista della visibilità nazionale fu però segnato l’8 settembre 2007 dal successo del cosiddetto ‘V-day’, una manifestazione indetta da Grillo contro la ‘casta’ dei professionisti della politica. Da quel momento, il movimento incominciò a promuovere la formazione di liste civiche per le elezioni amministrative, adottando come riferimento comune il simbolo delle cinque stelle (le quali rappresentano l’energia pulita, la connettività, l’acqua, la raccolta dei rifiuti, i servizi sociali). Solo a partire dal 2009, dopo l’infruttuoso tentativo di Grillo di partecipare alle primarie del PD, cominciò a prendere forma un vero e proprio soggetto politico nazionale. Alle elezioni regionali del 2010 il M5S si presentò infatti in cinque regioni, e nelle successive consultazioni amministrative del 2012 riuscì a conquistare diversi comuni e un capoluogo di provincia (Parma), preparando così il terreno per il successo del 2013. La rapida ascesa del M5S ha naturalmente molte cause, ma può essere spiegata soprattutto con la capacità di questo soggetto politico (e del suo leader) di utilizzare la campagna contro i partiti e la classe politica per intercettare voti provenienti sia dallo schieramento di centro-sinistra, sia da quello di centro-destra. D’altro canto, il M5S non si colloca lungo l’asse destra-sinistra, ma adotta piuttosto una posizione di critica verso tutti i partiti presenti in Parlamento. E anche il carattere di questa opposizione per alcuni versi ‘anti-sistema’, insieme al risultato interlocutorio delle elezioni, contribuisce a conferire al sistema multipolare una forte instabilità. Un’instabilità che si riflette sia sulla coesione interna dei singoli partiti e delle coalizioni elettorali (che in effetti si disgregano rapidamente), sia nei rapporti fra i partiti, e dunque nella debolezza del governo delle ‘larghe intese’, guidato da Enrico Letta e sostenuto da PD, PDL e Scelta civica.