Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le osservazioni cosmologiche degli ultimi anni indicano che la teoria standard della nascita ed evoluzione dell’universo descrive realmente il nostro universo. Lo straordinario successo del modello standard cosmologico è anche una prova indiretta delle teorie fisiche gravitazionali e nucleari che conosciamo.
Il modello standard cosmografico
Negli ultimi 20 anni la conoscenza dell’evoluzione del nostro universo è aumentata in maniera impressionante. Prima degli anni Ottanta del Novecento, la cosmologia, come scienza del cosmo, poteva ancora essere considerata puramente teorica e quindi speculativa. Oggi le misure su quantità fisiche del nostro universo hanno promosso la cosmologia a scienza sperimentale oltre che teorica. Il nostro universo può essere considerato come un laboratorio dove le ipotesi fisiche e chimiche degli ultimi 100 anni e quelle future possono essere testate. Nel 1985, per esempio, si conoscono le posizioni di sole 1.100 galassie, mentre oggi conosciamo la posizione tridimensionale di oltre mezzo milione di galassie!
Il primo modello di universo “relativistico” è proposto subito dopo la nascita della teoria della relatività generale dallo stesso Einstein, nel 1917. Data la scarsità di misurazioni cosmologiche, Einstein, per ragioni del tutto estetiche, si convince che l’universo dovesse essere statico, immutabile. Per dimostrare questa proprietà, Einstein introduce quello che più tardi dichiara essere il più grande errore della sua carriera: la costante cosmologica. La costante cosmologica rappresenta l’“anti-gravità” necessaria per frenare l’espansione (o contrazione) dell’universo dovuta all’attrazione gravitazionale tra la materia. Nello stesso anno Willelm De Sitter mostra che se l’universo fosse dominato dalla sola costante cosmologica di Einstein, allora sarebbe stato accelerato. Ironicamente, le attuali misurazioni sembrerebbero favorire l’idea che l’universo, nella sua fase primordiale e nel presente, sia accelerato in maniera simile all’universo di De Sitter.
Dal punto di vista teorico la cosmologia predice, statisticamente, la distribuzione di punti caldi e freddi nel nostro universo come risultato di processi avvenuti durante la sua nascita ed evoluzione. Questa predizione è spettacolarmente sempre più verificata dagli esperimenti e quindi, in maniera indiretta, lo sono le teorie fisiche e chimiche usate per queste previsioni. È importante sottolineare il fatto che il “nostro” universo è l’unico universo accessibile ai nostri strumenti. Questo implica che le misure ottenute osservando il cielo non possono indicarci per quale ragione il nostro universo è così come lo vediamo. Questo punto debole dello studio sperimentale del cosmo, permette il proliferare di svariate teorie fondamentali per l’interpretazione di quello che è oggi chiamato il modello standard cosmologico, che si articola intorno a tre concetti essenziali che vedremo in dettaglio.
L’universo è in espansione in tutte le direzioni in egual misura
Se prendiamo due punti qualsiasi dell’universo, questi saranno stati più vicini ieri e saranno più lontani domani. Immaginiamo un quadrato di lato unitario. Due punti successivi sopra i vertici di questo quadrato avranno la stessa distanza gli uni rispetto agli altri e questa distanza sarà 1 (chiameremo questa distanza comovente). Ora consideriamo una deformazione della nostra unità di misura di distanza tale per cui tutti i lati del quadrato siano moltiplicati per un numero a, chiamato fattore di scala. In questo modo il quadrato si trasformerà in uno più “grande”, dove la distanza fra due punti sarà ora 1xa = a. Supponiamo che il fattore di scala aumenti col passare del tempo, allora tutti i punti diverranno sempre più “distanti” gli uni dagli altri pur rimanendo “fermi” rispetto ai vertici del quadrato. Questa è l’espansione osservata nel nostro universo.
Per spiegare il concetto di evoluzione delle distanze, abbiamo bisogno della teoria della relatività di Einstein. In questa teoria, infatti, le distanze tra due punti possono evolvere nel tempo. Si può forse chiarificare questo concetto nel seguente modo: prendiamo un palloncino e segnamo due punti sulla sua superficie. Questi due punti non possono muoversi sopra la superficie del palloncino perché non possiedono un moto proprio. In ogni modo se il palloncino è gonfiato, i due punti si allontanano. Gonfiando il palloncino non abbiamo fatto altro che cambiare la distanza tra i due punti, pur mantenendo i punti fermi rispetto al palloncino.
Oltre a essere in espansione, l’universo sembrerebbe essere omogeneo eed isotropo a distanze molto maggiori della grandezza di una galassia, ossia su scale di milioni di parsec (un parsec, considerato come distanza astronomica, è la distanza che la luce percorrerebbe in 3,26 anni).
Omogeneo significa che, se consideriamo un raggio immaginario dal nostro punto di osservazione all’infinito, noteremmo che mediamente la densità di materia lungo questo raggio è costante a tempo fissato.
Isotropo significa che non solo la densità sarà costante lungo il raggio immaginario ma
anche indipendente dalla direzione in cui osserviamo. Un universo così fatto è teorizzato da Alexander Friedmann nel 1922 e da Lemaître nel 1927.
Le prima evidenza dell’espansione dell’universo è stata osservata nel 1929 da Edwin Hubble. Hubble nota che le galassie visibili si allontanano da noi con una velocità che aumenta proporzionalmente con la distanza. Il rapporto tra questa velocità e la distanza tra due punti dell’universo sarà poi chiamata costante di Hubble, calcolata in circa 72 km/(sec x Mpc). Anche se ancora ci serviamo della parola costante di Hubble per la velocità di allontanamento delle galassie, oggi sappiamo che questa non è sempre stata costante. Per misurare la velocità di allontanamento di una galassia lontana, Hubble si serve dell’effetto Doppler gravitazionale. A basse velocità di allontanamento, l’effetto Doppler gravitazionale implica che un corpo in allontanamento da noi sposta la sua frequenza verso il rosso, proporzionalmente alla velocità di allontanamento. La luce, infatti, è formata da onde elettromagnetiche e il suo colore è determinato dal numero di oscillazioni complete che quest’onda fa in un secondo, in altre parole dalla sua frequenza.
Il concetto di frequenza è molto semplice se si paragona a una corda vibrante. Questa oscillerà rispetto alla sua posizione di riposo andando su e giù un certo numero di volte per ogni secondo. Grazie alla teoria della relatività ristretta, sappiamo che il colore di una galassia che si allontana da noi a una certa velocità sarà a minore frequenza del colore originariamente emanato dalla galassia: si dice che la galassia si sposta verso il rosso. In questo modo si possono misurare le velocità di allontanamento delle galassie una volta stabilito il “colore” della galassia.
L’universo è piatto
Sembra sempre più evidente che il nostro universo sia infinito. Potrebbe sembrare questa una banalità, ma non lo è affatto. Infatti, riprendiamo come modello di universo a due dimensioni la superficie di un palloncino. Questo si può considerare praticamente una sfera. Se l’universo fosse come la superficie di un enorme palloncino allora avrebbe una distanza massima finita e si direbbe che l’universo è chiuso. Prendiamo, invece di un palloncino, un elastico di lunghezza infinita (senza una fine o un inizio) appoggiato su un piano. Possiamo ancora fare l’esperimento dei due punti, ma questa volta l’elastico dovrà essere tirato per aumentare la distanza tra loro. Un universo fatto in questo modo è infinito e si dice piatto. Un’ultima ipotesi è quella di un universo ancora infinito dove però i nostri due punti giacciono sopra un iperboloide (ossia una superficie a forma di sella da cavallo).
Supponiamo di emanare due raggi luminosi paralleli da un certo punto. Se l’universo fosse piatto allora questi due raggi rimarrebbero paralleli; se invece l’universo fosse chiuso, questi due raggi si avvicinerebbero sempre di più; mentre se fosse aperto si allontanerebbero sempre di più. Negli ultimi sei anni alcuni esperimenti sembrerebbero indicare con molta precisione che il nostro universo sia piatto e quindi infinito: del 2000 è l’esperimento BOOMERanG (Balloon Observations of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics) nato dalla collaborazione tra Italia e Stati Uniti, che ha permesso di ottenere la prima immagine dell’universo primordiale, ossia poco dopo il Big Bang: appare come una palla di fuoco, formata da gas incandescente, calda poco meno del Sole.; dello stesso anno è anche l’esperimento da pallone MAXIMA che attraverso una delle prime immagini ad alta risoluzione delle fluttuazioni della radiazione cosmica di fondo ha permesso di ottenere precisi vincoli sui modelli cosmologici, confermando che viviamo in un universo piatto; più recente (2003) è il WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe) della NASA, la missione finalizzata alla misurazione della temperatura delle radiazioni di fondo.
La Big Bang nucleosintesi
Il nostro universo ha una temperatura media di circa 2,725 Kelvin. Questa temperatura è data da un tappeto di microonde elettromagnetiche chiamato Cosmic Microwave Background (CMB). L’energia di un raggio luminoso è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda ed è proporzionale alla temperatura dell’onda mediante la costante di Boltzman – circa 1,38 x 10(-23) m2 kg2/(sec2 x Kelvin). Riprendiamo la corda vibrante come modello della frequenza delle onde luminose e facciamone una fotografia a un istante fissato. La lunghezza d’onda è definita come la distanza tra punti ripetitivi di una forma d’onda. Dato che le distanze nell’universo cambiano col cambiare del fattore di scala, sapendo che questo è in aumento, dobbiamo concludere che nel passato l’energia di queste onde elettromagnetiche deve essere stata più grande. Quindi, poiché più piccolo, l’universo doveva essere in origine molto più caldo e denso nel passato che nel presente. Un tale stato iniziale è chiamato ironicamente Big Bang da Fred Hoyle, che nel 1948 formula un’alternativa a questa ipotesi: l’universo stazionario. Questa teoria sarà però poi abbandonata perché non compatibile con i dati sperimentali.
Alla temperatura di circa un milione di Kelvin le strutture atomiche – ossia la materia che osserviamo oggi – non esistevano. Infatti, se cercassimo di formare un nucleo atomico, questo verrebbe completamente distrutto dal calore di quelle temperature. L’universo era quindi formato originariamente da particelle relativistiche (con alte energie) e particelle non relativistiche (con basse energie). In particolare le particelle non relativistiche erano costituite dai componenti della materia nucleare, i barioni. L’universo è oggi formato principalmente da materia, quindi a temperature minori di un milione di Kelvin, quando le annichilazioni materia/antimateria divenivano efficaci, tutta l’ antimateria doveva essere stata annichilata completamente dalla materia. Sembrerebbe quindi che inizialmente il nostro universo non fosse simmetrico, ma sbilanciato in favore della materia. In particolare si può calcolare il rapporto tra il numero di barioni e il numero di particelle relativistiche nello stato primordiale dell’universo, questo è di circa un miliardesimo. I pionieri della teoria della Big Bang nucleosintesi furono George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman nel 1940.
Utilizzando le nostre conoscenze di fisica nucleare possiamo quindi predire la densità di elio e deuterio presente nell’universo, ossia delle sostanze chimiche con strutture più semplici e quindi nuclei più leggeri che sono all’origine di tutto l’universo. Le misure dell’evoluzione dell’universo, combinate con la teoria della relatività di Einstein, relazionano la velocità di espansione dell’universo con la densità di materia contenuta in esso. La materia visibile (barioni) fornisce solo il 5 percento della densità necessaria per spiegare l’evoluzione del nostro universo. Studi su formazione ed evoluzione di galassie ci indicano che però la materia autogravitante, cioè quella capace di formare stelle e galassie deve essere di almeno il 25-35 percento della densità totale dell’universo. La Big Bang nucleosintesi ci dice che il resto della materia autogravitante non può essere di tipo barionico. Questa materia è chiamata materia oscura dato che se ne conoscono le sue proprietà gravitazionali ma non è stato ancora possibile misurarne l’esistenza. Il resto della densità è dato da pura energia non autogravitante che è chiamata energia oscura. Sembrerebbe che le proprietà di questa energia oscura siano molto simili a quelle della costante cosmologica di Einstein, così che il nostro universo attuale sembrerebbe assomigliare molto a quello ipotizzato da De Sitter.
Inflazione
Uno dei problemi più grossi nella cosmologia moderna è capire perché il nostro universo è così omogeneo e isotropo. In particolare, misurando la temperatura di fondo cosmico, osserviamo che questa è la stessa a larghe scale in tutti i punti dell’universo, quindi tutti i punti dell’universo sono o sono stati in comunicazione. Dato che l’universo è in espansione, esiste un limite di distanza, chiamato orizzonte delle particelle, nel quale due punti qualsiasi dell’universo possano comunicare. Una omogeneità di temperatura su tutto l’universo sembrerebbe quindi improbabile. L’inflazione, proposta nel 1981 da Alan Guth, risolve questo problema con un meccanismo nel quale tutti i punti dell’universo erano all’inizio connessi gli uni agli altri, in altre parole potevano essere in “comunicazione”. Dopo essersi omogeneizzato, l’universo passò a una fase di accelerazione tale da disconnettere tutti i punti dell’universo come li vediamo oggi, entrando nella fase di nucleosintesi.