Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fra Due e Quattrocento si compie la parabola delle città marinare. Pisa, duramente sconfitta, si avvia verso un declino ben rappresentato dall’interramento del suo porto; Venezia e Genova, all’apogeo della propria forza, si scontrano per tutto il Due e il Trecento. Sarà Genova ad avere la peggio; ma i veri vincitori andranno ormai cercati fuori dal gioco delle città marinare, fra le ben più vaste formazioni politiche che, in Oriente come in Occidente, si vanno affermando.
Nel corso del XIII secolo si consumano le battute decisive del confronto fra Pisa e Genova.
Fra le aree in cui i due centri estendono i propri traffici (Tirreno, coste francesi meridionali, coste iberiche sudorientali, Maghreb, Medio Oriente), Pisa sembra più solidamente attestata in quella tirrenica: controlla infatti quasi tutta la Corsica ed è ben presente anche in Sardegna, malgrado le instabilità innescate dall’antagonismo con i Genovesi, cui si collegano persistenti tensioni con le popolazioni locali. Anche in Sicilia, intorno alla metà del secolo, per i Pisani si verifica un miglioramento, benché di breve durata, dovuto all’alleanza con Federico II, che si sta battendo con il papato.
L’incessante concorrenza genovese impedisce però ai mercanti pisani di sfruttare appieno le proprie posizioni: i rivali riescono a disturbare di continuo le comunicazioni con la penisola, sicché per Pisa il problema di un confronto risolutivo appare ineludibile. Quando lo scontro arriva, nel 1284 (battaglia della Meloria), per i Pisani, sconfitti, si avvia un lungo declino: saranno ancora presenti lungo le principali rotte commerciali del tempo, ma con un’attività meno intensa e di respiro più corto.
L’irreversibilità della flessione pisana, d’altro canto, è il risultato di una congiuntura negativa della quale la concorrenza genovese è solo un aspetto. Per la Repubblica toscana, ha il proprio peso negativo anche un bilancio demografico impoverito dalla malaria – endemica in gran parte del contado – e dall’emigrazione verso la Sardegna; non è di grande aiuto un’alleata come Venezia, disponibile a impegnarsi solo nei mari di proprio diretto interesse, e forse poco lungimirante sugli effetti del rafforzamento di Genova che il declino pisano avrebbe comportato; è logorante, infine, una conflittualità che si sviluppa non solo per mare, ma anche per terra, dal momento che negli stessi anni Pisa, ghibellina, è in urto anche con la lega guelfa guidata da Firenze.
Una volta ridefiniti i rapporti di forza, per Pisa e Genova è perfino possibile riprendere forme di collaborazione: la repressione della pirateria sul Tirreno, nel XIV secolo, torna a vedere iniziative congiunte pisano-genovesi, come nel X-XI secolo. Nel frattempo, si determina il passaggio istituzionale alla signoria; quindi Gian Galeazzo Visconti sottomette la città (1399) e, infine, la vende a Firenze, cui i Pisani cedono dopo un lungo assedio, nel 1406.
Mentre Pisa si avvia a diventare una concorrente marginale, per Genova si fa più serrato il confronto con Venezia.
Al principio del Duecento, nel Mediterraneo orientale, i Veneziani godono di una posizione di forza che non dipende solo dall’ormai secolare radicamento economico, ma anche da vicende più recenti, connesse con la quarta crociata.
Venezia partecipa e mette a disposizione i propri servigi; le difficoltà economiche dei crociati, però, le danno la possibilità non solo di farsi aiutare a togliere Zara agli Ungari (1202), ma anche di trarre massimo profitto dalla deviazione successiva, determinata da un complesso intrico di disegni teocratici papali, crisi politiche interne all’Impero d’Oriente e interessi di natura economica: anziché verso Gerusalemme i crociati si dirigono verso Costantinopoli. La capitale bizantina viene presa e saccheggiata, nasce l’Impero latino e Venezia viene ripagata del proprio ruolo con il controllo delle piazze commerciali più importanti (1204).
I Genovesi si trovano di fronte, quindi, una rivale che ha assunto un ruolo pressoché monopolistico in un’area nella quale anch’essi avevano, nei decenni precedenti, aumentato il proprio volume d’affari. Il loro scopo, nel XIII secolo, sarà proprio quello di scalzare il monopolio veneziano
La crisi si concentra inizialmente intorno al monastero di San Saba, a San Giovanni d’Acri, che i Genovesi occupano nel 1255, avviando le ostilità nel quartiere veneziano. La guerra che ne segue si conclude con la sconfitta dei Genovesi a opera di Veneziani e Pisani (1258).
La rapida riorganizzazione genovese sembra potersi incontrare con i disegni di Michele VIII Paleologo, che intende riconquistare Costantinopoli e farne di nuovo la capitale dell’impero: i Genovesi gli promettono appoggio, in cambio di enormi privilegi, dai quali dovranno essere esclusi i Veneziani (trattato del Ninfeo, 1261). Ma Costantinopoli cade prima dell’arrivo della flotta genovese, l’Impero latino d’Oriente crolla, e il Paleologo è libero dagli impegni assunti.
Veneziani e Genovesi riprendono presto a scontrarsi (1263 e 1266); il Paleologo, intanto, adotta una politica oscillante, legata alle contingenze del momento: mantiene ai Veneziani i propri privilegi ed espelle i Genovesi dalla capitale, salvo reintegrarli e concedere loro importanti basi commerciali sul Mar Nero, quando Venezia inizia a collaborare con gli Angioini per la restaurazione dell’Impero latino. Nel 1270 si arriva a una tregua, ma la coesistenza delle due città continua a essere punteggiata da un contenzioso aperto, che si esprime in atti di pirateria ripetuti, come pure in interminabili schermaglie diplomatiche.
Nel frattempo, la frontiera del commercio occidentale, sospinta anche dallo sviluppo demografico e produttivo, raggiunge la sua massima estensione, penetrando in profondità verso Oriente, dove l’estendersi dell’impero mongolo sulla regione che va dalla Cina all’Asia Minore, concluso nel 1260, amplia il flusso di merci e crea condizioni più sicure per il loro movimento. La resa dei conti: da Curzola a Chioggia. Alla fine del XIII secolo il conflitto torna a farsi aperto, e i Veneziani vengono battuti in Dalmazia, presso Curzola (1298). Gli equilibri orientali non vengono modificati in profondità, ma per Venezia comincia una fase delicata: alle ripercussioni della sconfitta si intersecano le tensioni politico-istituzionali, sfociate nella serrata del Maggior Consiglio del 1297; alla concorrenza commerciale genovese si aggiunge quella del Regno d’Aragona; l’Ungheria si impadronisce della Dalmazia; si fanno sentire i primi effetti delle epidemie di peste; si intensificano le pressioni esercitate dalle altre signorie venete e da quella milanese dei Visconti.
Genova, invece, attraversa una stagione vivace. I suoi marinai muovono all’esplorazione delle coste africane e si spingono fino al Mare del Nord; i suoi mercanti hanno basi in tutto il Mediterraneo; i suoi militari e i suoi diplomatici costringono Carlo d’Angiò a rimangiarsi un provvedimento di espulsione dalla Sicilia, preso per punire il ghibellinismo del capoluogo ligure (1276); le sue autorità municipali garantiscono per le imprese più rischiose delle società commerciali costituite da privati (Maone); le sue tecniche contabili e finanziarie si affinano e fanno scuola.
Il XIV secolo è però anche uno dei momenti più inquieti della storia politica genovese che è travagliata dagli scontri di fazione fra le maggiori famiglie, favorendo in questo modo l’instaurazione della signoria di Giovanni Visconti, duca di Milano (1353). Grava su Genova, inoltre, la capacità veneziana di trovare un’intesa con la potenza aragonese: è una flotta mista, per esempio, quella che affronta e sconfigge le navi genovesi in Sardegna, presso Porto Conte, nel 1353. La crisi politica genovese si aggrava a seguito delle sconfitte subite a opera dei Veneziani nella guerra di Chioggia (1378-1381), combattuta in tutto il Mediterraneo e incentrata, ancora una volta, sulla competizione per i mercati orientali. La guerra segna l’inizio del declino genovese: di poco successiva, infatti, è l’occupazione francese della città (1396-1409), destinata a riproporsi in futuro, quando ormai l’espansionismo turco avrà privato Genova di gran parte delle colonie orientali.
Sorte analoga, d’altronde, tocca anche a Venezia: gli Ottomani costringeranno l’una e l’altra a trovare una nuova strada. La Serenissima si volgerà con decisione verso l’espansione terrestre; la Superba si ritaglierà un ruolo nel più impalpabile dominio della finanza internazionale.