La civilta islamica: scienze della vita. Fra scienza e religione: la 'medicina del Profeta'
Fra scienza e religione: la 'medicina del Profeta'
Due sono i significati che si attribuiscono alla locuzione 'medicina del Profeta'. In senso stretto, essa indica un gruppo di oltre venticinque testi, composti tra il IX e il XVIII sec., in cui si tramandano i detti del profeta Muḥammad attinenti alla medicina; in senso più ampio ‒ e in genere negli scritti degli studiosi occidentali ‒ con tale denominazione s'intende un genere letterario che comprende un corpus eterogeneo di opere in cui sono andati a confluire i veri e propri scritti della medicina del Profeta e quelli della 'medicina beduina'. Tali classificazioni si rintracciano già nello storico Ibn Ḫaldūn (m. 808/1406) che nella celebre Muqaddima (Introduzione) menzionava due tipi di medicina: quella scientifica (῾ilm al-ṭibb) e quella popolare dei beduini (al-ṭibb li-'l-bādiya); all'interno della seconda egli comprendeva ‒ quale sua forma particolare ‒ la medicina tramandata nei testi della legge religiosa islamica (al-ṭibb al-manqūl fī 'l- šar῾iyyāt), nota come 'medicina del Profeta' (ṭibb al-Nabī, o al-ṭibb al-nabawī). Contrariamente all'opinione dei teologi musulmani, infatti, secondo Ibn Ḫaldūn i detti di Muḥammad attinenti alla medicina non sono da ritenersi parte del messaggio profetico di ispirazione divina e non hanno in genere alcun carattere vincolante per il credente: il Profeta è stato inviato da Dio per impartire all'uomo insegnamenti sulla fede, non sulla medicina o su altre materie profane. Ciò che Ibn Ḫaldūn si limita ad ammettere è che coloro che si rivolgono alla medicina del Profeta, spinti dalla fede e dalla speranza di ottenere la benedizione di Dio, possono trarne grande giovamento; essa propone infatti un tipo di rimedi spirituali che la medicina scientifica non è in grado di offrire.
I testi che costituiscono la vera e propria medicina del Profeta sono testimoniati da dozzine di manoscritti. Essi godono ancora oggi di una certa popolarità, come dimostrano le numerose ristampe eseguite negli ultimi decenni e che di norma non sono edizioni scientifiche, ma semplici riproduzioni di singoli manoscritti destinate essenzialmente all'uso pratico. Gli autori di questi testi sono quasi senza eccezione studiosi delle tradizioni canoniche musulmane: tradizionisti e giuristi. Sino a tempi piuttosto recenti gli storici hanno dedicato scarsa attenzione a questi testi antichi; di conseguenza sussistono ancora numerose incertezze per quanto riguarda le attribuzioni delle opere. Ciò vale in misura ancora maggiore per la 'medicina degli imām' (ṭibb al-a᾽imma), il corrispettivo sciita della sunnita medicina del Profeta. Questa variante sciita della medicina religiosa, ancora scarsamente studiata, si richiama prevalentemente ai detti degli imām, ossia delle guide religiose ritenute infallibili discendenti da Fāṭima, figlia prediletta del Profeta, e da ῾Alī ibn Abī ṭĀlib, che gli sciiti considerano il suo unico successore legittimo.
Le conoscenze di cui disponiamo attualmente consentono di individuare alcune caratteristiche distintive della medicina del Profeta, sia nel suo carattere di genere letterario, sia, in particolare, per ciò che riguarda i testi più evoluti di epoca più recente.
Il punto di partenza di tutti gli scritti di medicina del Profeta è costituito da quella parte dei ḥadīṯ, ossia delle tradizioni di detti e azioni del profeta Muḥammad ‒ il modello della comunità islamica ‒ e dei suoi compagni, che ha per oggetto la medicina e l'igiene nel senso più ampio. Queste tradizioni sono contenute nei grandi compendi di ḥadīṯ compilati tra la fine dell'VIII e il IX secolo. Fra le tradizioni contenute in queste raccolte, che abbracciano e regolano tutti gli ambiti della vita del credente, quelle relative alla medicina costituiscono solo una piccola parte, e nei compendi più antichi non sono ancora riunite sotto un'unica rubrica.
Ibn Abī Šayba (m. 235/849) fu il primo a raccoglierle in un testo autonomo, il Kitāb al-ṭibb (Libro di medicina), seguito dal suo allievo, il famoso tradizionista al-Buḫārī (m. 256/870) e, successivamente, anche da altri autori. Nello stesso periodo, tra il 750 e il 900, fu tradotta in arabo gran parte dei testi greci di medicina e di biologia che costituirono il corpus di sapere laico posto a fondamento della medicina scientifica in terra d'Islam. Intorno alla metà del X sec., quando il primo importante manuale arabo di medicina, il Kitāb al-ṭibb al-manṣūrī (Libro di medicina dedicato ad al-Manṣūr) di al-Rāzī (251-313/865-925) aveva già visto la luce, gli studiosi delle tradizioni canoniche musulmane cominciarono a estrarre dai grandi compendi di ḥadīṯ quelli attinenti alla medicina, raccogliendoli in scritti separati sotto il titolo di 'medicina del Profeta'. Il più antico scritto di questo tipo a noi noto è il Ṭibb al-Nabī (La medicina del Profeta) attribuito a Ibn al-Sunnī (m. 364/974) che fu in seguito notevolmente ampliato da Abū Nu῾aym (m. 430/1038). Infatti, mentre per ogni argomento Ibn al-Sunnī cita non più di tre ḥadīṯ, Abū Nu῾aym ne menziona circa quaranta. Data la ricchezza del materiale presentato, la compilazione di Abū Nu῾aym divenne una fonte preziosa per tutti gli scritti successivi sulla medicina del Profeta. Ciò che contraddistingue questi testi più antichi è il fatto di essere semplici raccolte di ḥadīṯ ordinati per argomento, senza alcun commento. Le tradizioni, come osservò giustamente Ibn Ḫaldūn, rispecchiano sostanzialmente la medicina beduina in uso all'epoca del Profeta: le regole per conservarsi in buona salute hanno un ruolo preponderante, mentre le indicazioni terapeutiche si limitano a semplici trattamenti come la cauterizzazione e il salasso per eliminare le sostanze dannose; sono raccomandati inoltre rimedi spirituali, come la preghiera e la recitazione del Corano.
Gli autori di questi testi non fanno ancora riferimento alla medicina scientifica, ma strutturano le loro opere sul modello dei manuali di medicina dell'epoca. Ciò sembra avvalorare l'ipotesi che i primi scritti sulla medicina del Profeta fossero una reazione alla diffusione della medicina profana di origine greca. Già in passato alcuni teologi musulmani avevano cominciato a porsi il problema della legittimità della medicina sotto il profilo religioso e ad assumere una posizione a riguardo. In particolare mistici e asceti giungevano a negare che al credente musulmano fosse lecito ricorrere alle cure mediche in caso di malattia, e ricusavano ogni terapia come segno della loro assoluta fiducia in Dio (tawakkul). Anche alcuni mutaziliti, i rappresentanti della teologia speculativa, giunsero a posizioni simili: poiché il destino dell'uomo, e dunque anche la sua salute, sono predeterminati da Dio, ogni trattamento medico sarebbe risultato inutile e avrebbe anzi rappresentato un colpevole tentativo da parte dell'uomo di interferire nelle decisioni divine.
Tali posizioni estreme rappresentavano tuttavia un'eccezione. I teologi, alcuni dei quali erano anche autori di testi di medicina del Profeta, opponevano in genere agli argomenti di coloro che avversavano la medicina alcune famose tradizioni di Muḥammad come, per esempio, il detto con cui egli avrebbe esortato i propri seguaci a ricorrere alle cure mediche, in quanto Dio non manda una malattia senza predisporre un farmaco in grado di combatterla. Tuttavia musulmani pii, che intendevano seguire il modello del Profeta e dei suoi compagni in tutti gli ambiti della vita, e dunque anche per ciò che riguarda la salute e la malattia, manifestavano molte riserve nei confronti della medicina secolare. Dopo tutto, la medicina scientifica si basava su testi profani e conteneva, inoltre, concezioni e prescrizioni che apparivano difficilmente conciliabili con i principî della religione. Si presentava allora per i credenti l'esigenza di una medicina di tradizione islamica che fosse in armonia con la religione, e fu proprio a questa esigenza che cercarono di rispondere gli autori degli scritti sulla medicina del Profeta. Tuttavia, i testi più antichi, ossia le raccolte di ḥadīṯ relativi alla medicina, erano diretti prevalentemente agli studiosi delle tradizioni canoniche, che probabilmente li utilizzavano per l'insegnamento e come fonti per legittimare i pareri legali.
Se si tralasciano quegli scritti ‒ come il Kitāb al-Šifā᾽ fī 'l-ṭibb al-musnad῾an al-sayyid al-Muṣṭafā (Libro della guarigione nella medicina quale è stata tramandata dal Profeta) di al-Tifāšī (m. 651/1253), oppure al-Ṭibb al-nabawī (La medicina del Profeta) di al-Ba῾lī (m. 709/1309) ‒ in cui si trovano ancora soltanto alcune raccolte di ḥadīṯ prive di spiegazioni mediche, nella maggior parte degli autori di scritti sulla medicina del Profeta si osserva, a partire dal XII sec., un avvicinamento alla medicina scientifica. La medicina greca, infatti, era ormai stata assimilata completamente nella cultura islamica, diventandone parte integrante, e poiché i ḥadīṯ si dimostravano inadeguati a risolvere i problemi medici dell'epoca, gli autori cominciarono ad accogliere molte nozioni dalla medicina contemporanea. Un primo tentativo in questo senso era stato già compiuto in Spagna nel IX sec. da Ibn al-Ḥabīb al-Ilbīrī (m. 238/853), che nel suo Muḫtaṣar fī 'l-ṭibb (Compendio di medicina) si era richiamato, oltre che alle tradizioni religiose, alla medicina profana; ma l'opera di al-Ilbīrī ‒ a quanto ci risulta, l'unica del genere che sia stata scritta nell'Andalus ‒ non ebbe alcuna influenza né nell'Occidente islamico né in Oriente e può quindi essere considerata un'eccezione.
Il vero iniziatore del genere misto, in cui si utilizzavano fonti sia religiose sia profane, può essere considerato il teologo di Baghdad Ibn al-Ǧawzī (m. 597/1200), autore di un manuale medico-religioso intitolato Luqāṭ al-manāfi῾ fī 'l-ṭibb (Gli utili ritrovati della medicina), che abbraccia l'intero ambito della medicina dell'epoca. In quest'opera, Ibn al-Ǧawzī menziona i ḥadīṯ prevalentemente in riferimento ai rimedi di ordine spirituale; nelle sezioni dedicate specificamente alla medicina, che costituiscono la parte preponderante, egli li introduce invece piuttosto raramente e, come gli autori dei testi più antichi, non vi aggiunge alcun commento medico. L'orientamento cambiò invece nel XIII sec. quando singoli medici cominciarono a occuparsi della medicina del Profeta, apportandovi le proprie cognizioni scientifiche (Perho 1995). Uno dei primi fu certamente il famoso medico e studioso di ḥadīṯ ῾Abd al-Laṭīf al-Baġdādī (m. 629/1231), cui viene attribuito lo scritto Kitāb al-Arba῾īn al-ṭibbiyya (Libro dei quaranta [ḥadīṯ] sulla medicina), anche se, come risulta dall'introduzione, il testo è stato compilato da un suo allievo, il tradizionista al-Birzālī (m. 636/1239), il quale si sarebbe basato sui consigli di al-Baġdādī per presentare l'interpretazione medica delle tradizioni. Anche lo scritto di ῾Alā᾽ al-Dīn al-Kaḥḥāl ibn Tarḫān (m. 720/1320), un medico specializzato nella cura degli occhi, intitolato al-Aḥkām al-nabawiyya fī 'l-ṣinā῾a al-ṭibbiyya (Le prescrizioni del Profeta in relazione all'arte medica) contiene quaranta ḥadīṯ, con la relativa esegesi medica.
Negli scritti sulla medicina del Profeta il peso delle fonti religiose e di quelle mediche varia da testo a testo; in quale misura e in quale modo le diverse fonti vengano utilizzate dipende, ogni volta, dalle intenzioni dell'autore. L'epoca di massima fioritura del genere letterario misto iniziato da Ibn al-Ǧawzī si ebbe comunque nei secc. XIV e XV. Le opere di questo periodo si occupano essenzialmente delle regole per conservarsi in buona salute, delle patologie e delle terapie. A differenza di quanto accadeva nei primi scritti sulla medicina del Profeta, molto spesso vi sono raccomandati, oltre a rimedi semplici, anche quelli composti, per i quali gli autori in genere indicano gli ingredienti nelle loro diverse proporzioni. Questi scritti si distinguono da quelli dell'epoca precedente anche perché raccolgono i rimedi spirituali in capitoli separati, intitolati per esempio Ruqyat al-Qur᾽ān (La virtù magica del Corano) o al-Adwiya al-nabawiyya (Le medicine del Profeta) e così via. Essi inoltre raccomandano la recitazione del Corano e la preghiera, ma anche l'uso di amuleti e di formule magiche, nonché il ricorso ad altre pratiche superstiziose contro le malattie causate dal malocchio (῾ayn) e dalla magia (siḥr).
L'opera di al-Ḏahabī (m. 748/1348), al-Ṭibb al-nabawī, talvolta attribuita anche ad altri autori e in particolare ad al-Suyūṭī, merita di essere menzionata insieme a quella omonima di Ibn Qayyim al-Ǧawziyya (m. 751/1350), che ebbe grande diffusione (Perho 1995). In entrambe si riscontra un uso maggiore delle tradizioni rispetto a quello di Ibn al-Ǧawzī. Al-Ḏahabī e Ibn Qayyim al-Ǧawziyya, come altri autori dell'epoca e analogamente a Ibn al-Ǧawzī, si servono di ḥadīṯ sia per corroborare determinate concezioni o pratiche mediche esistenti e comunemente accettate, sia per rifiutarne altre ritenute inconciliabili con i principî della religione islamica. Essi inseriscono talvolta, oltre a vere e proprie citazioni dal Corano, anche alcune interpretazioni del diritto islamico fondate sul testo sacro e sui ḥadīṯ come, per esempio, quando affrontano la questione della liceità della prevenzione del concepimento o dell'impiego a fini terapeutici del vino o di altre bevande eccitanti. Sebbene, infatti, esclusi alcuni accenni alle virtù terapeutiche del miele e alla concessione di certe agevolazioni nell'adempimento del rituale per i malati, il Corano non contenga prescrizioni specificamente mediche, è chiaro che alcuni obblighi religiosi come il digiuno, la purezza rituale o l'osservanza di particolari prescrizioni alimentari possono essere interpretati come norme di tipo igienico e terapeutico. Questo vale anche per le affermazioni relative allo sviluppo prenatale dell'essere umano, dalle quali si possono trarre riferimenti alla medicina. Nel suo al-Ṭibb al-nabawī, d'altronde, Ibn Qayyim al-Ǧawziyya si prefigge proprio lo scopo di rendere manifesta la saggezza contenuta nelle parole di Muḥammad sulla medicina, la quale, secondo l'autore, resterebbe oscura anche ai medici più eminenti. In questo testo, infatti, Ibn Qayyim al-Ǧawziyya dà la preminenza all'interpretazione teologico-giuridica dei ḥadīṯ e dei passi del Corano, che adduce come argomento critico contro la medicina scientifica. Egli segue lo stesso approccio anche in un altro scritto sulla crescita dei bambini, la Tuḥfat al-mawdūd bi-aḥkām al-mawlūd (Il dono dell'amato sulle prescrizioni relative al neonato), in cui introduce una sezione della medicina del Profeta specificamente dedicata allo sviluppo dell'essere umano dalla fase prenatale sino all'età adulta.
Il Kitāb šifā᾽ al-ālām fī ṭibb ahl al-Islām (Libro della guarigione dei mali secondo la medicina dei seguaci dell'Islam) di al-Surramarrī (m. 776/1347) si rivolge ai musulmani, in generale, e ai medici, in particolare. I musulmani come tali ‒ e questa argomentazione si trova anche in al-Ḏahabī ‒ hanno bisogno di cognizioni mediche per potersi conservare in buona salute ed essere quindi in condizione di assolvere pienamente i propri obblighi religiosi; per questo al-Surramarrī raccomanda di ricorrere esclusivamente alla medicina del Profeta, ritenuta l'unica valida. Secondo al-Surramarrī si deve evitare il comportamento di molti musulmani i quali, quando sono malati, si rivolgono innanzitutto alla medicina scientifica perché, caduti nel dubbio, non nutrono sufficiente fiducia nella medicina religiosa o nei rimedi spirituali, ma poi, quando la medicina scientifica fallisce, ricorrono alla medicina del Profeta. D'altra parte, i medici sono esperti nella loro disciplina, ma di norma non ne conoscono gli aspetti religiosi, ed è proprio su di essi che al-Surramarrī si propone di istruire i suoi lettori. Conformemente al suo duplice obiettivo, il trattato di al-Surramarrī presenta tanto ḥadīṯ, citazioni dal Corano e discussioni teologico-giuridiche, quanto cognizioni mediche di tipo teorico e pratico.
Il testo di al-Suyūṭī (m. 911/1505), Kitāb al-Manhaǧ al-sawī wa-'l-manhaǧ al-rawī fī 'l-ṭibb al-nabawī (Il giusto metodo e la fonte sulla medicina del Profeta), si presenta come un manuale di medicina religiosa, ma si distingue dagli altri scritti dello stesso genere in quanto le fonti religiose sono rigorosamente distinte da quelle mediche. Per ogni argomento trattato viene presentata prima una selezione di tradizioni sulla materia, cui si aggiungono talvolta i commentari teologici e, successivamente, le spiegazioni mediche. Al-Suyūṭī, che nell'introduzione si rivolge agli studenti, prevedeva evidentemente che nel corso della lezione fossero discusse e confrontate sia le concezioni della medicina religiosa sia quelle della medicina profana.
Infine, nel Tashīl al-manāfi῾ fī 'l-ṭibb wa-'l-ḥikma (La facilitazione dell'uso nella medicina e nel sapere) di al-Azraq, un autore vissuto tra la fine del XV e l'inizio del XVI sec., le argomentazioni teologico-giuridiche hanno un ruolo subordinato e i ḥadīṯ citati sono in numero sorprendentemente limitato. Il testo contiene perlopiù descrizioni di farmaci semplici e di alimenti, nonché una serie di ricette; tutti elementi, questi, come gli altri temi della medicina scientifica, che al-Azraq tratta nel proprio compendio e di cui non si ha riscontro nelle fonti religiose. Nei rari casi in cui l'autore, che è interessato essenzialmente agli scopi pratici della medicina, adduce esempi ricavati da fonti religiose, si riferisce a quelli citati da altri autori di scritti sulla medicina del Profeta. Anche in un'altra opera che dà prevalentemente indicazioni terapeutiche di tipo pratico, il Kitāb al-Raḥma fī 'l-ṭibb wa-'l-ḥikma (Libro della misericordia nella medicina e nella sapienza) di al-Ṣunbūrī (o al-Ṣanawbarī, m. 815/1412), un testo che è spesso attribuito ad al-Suyūṭī e che rappresenta una delle fonti principali di al-Azraq, i riferimenti ai detti del Profeta sono piuttosto rari.
Gli autori dei testi misti di medicina del Profeta risentono sotto molti aspetti dell'influenza delle opere dei medici arabi, dalle quali attingono abbondantemente. Anche i loro testi, come le semplici raccolte di tradizioni religiose dell'epoca precedente, sono in genere strutturati in base al modello dei manuali di medicina. L'elemento di novità è costituito dalla ricezione delle teorie galeniche (a partire dall'Isagoge di Ḥunayn), non sempre riportate in modo sistematico. La gamma degli argomenti trattati in questi testi è più ampia rispetto alle raccolte precedenti e comprende alcune nozioni specifiche della scienza medica, come per esempio quelle di elemento (rukn), umore (ḫilṭ) e complessione (mizāǧ). Gli autori, inoltre, si richiamano frequentemente sia alle fonti arabe di medicina del Profeta sia alle dottrine delle autorità greche e latine ‒ in particolare a quelle di Ippocrate e di Galeno ‒ e citano talvolta anche le opinioni di celebri medici arabi, come al-Maǧūsī e Avicenna.
Tuttavia, per quanto riguarda la scelta delle questioni mediche da trattare, i criteri seguiti variano a seconda degli autori. Ibn Qayyim al-Ǧawziyya e al-Suyūṭī, per esempio, si occupano di norma soltanto di quei temi per i quali possono addurre anche testimonianze autorevoli tratte dalle fonti religiose. Altri autori, invece, come Ibn al-Ǧawzī, al-Surramarrī e al-Azraq trattano anche aspetti della medicina scientifica che non hanno riscontri nei testi canonici, ma contro i quali non v'è nulla da obiettare sotto il profilo religioso. Tuttavia, per quanto sostanzialmente ben disposti ad accogliere idee e concetti dai testi profani, questi autori affermano esplicitamente la priorità delle fonti religiose. Come scrive in proposito al-Surramarrī: "la medicina di Galeno sta alla medicina divina e profetica come la medicina popolare sta alla medicina galenica" (Kitāb Šifā᾽ al-ālām, f. 2r, 13). La superiorità della medicina religiosa si spiega con il fatto che questa, a differenza di quella profana, si basa su fonti ispirate da Dio. Ciò non significa peraltro che gli autori mettano in discussione l'autorità di Ippocrate o di Galeno, piuttosto, essi cercano di conciliare la medicina profana, fondata sulla tradizione greca, con le concezioni islamiche. Nell'accogliere le cognizioni mediche contemporanee questi autori sono sempre molto attenti a non andare contro i principî della religione islamica. Il loro principale obiettivo quindi è quello di creare un tipo di medicina islamica che costituisca un'alternativa a quella profana e alla quale il credente possa ricorrere senza andare contro la propria coscienza.
Se la medicina scientifica ha avuto una grande influenza sullo sviluppo della medicina del Profeta, non è vero il contrario. Nella letteratura medica era consuetudine introdurre la materia con un versetto del Corano o un detto del Profeta per conferirle una legittimazione religiosa, ma a parte ciò la medicina secolare non faceva minimamente riferimento al suo corrispettivo religioso. Talvolta, tuttavia, gli studiosi occidentali hanno accusato la medicina del Profeta di avere influito negativamente sulla medicina scientifica e di aver svolto un ruolo determinante nel suo declino. Secondo alcuni, la commistione di scienza e religione nella medicina del Profeta avrebbe portato a una subordinazione della ratio, in virtù di un processo da cui non sarebbe rimasta immune nemmeno la letteratura scientifica (Bürgel 1976). Una prova di ciò sarebbe data dal fatto che le opere di medicina di epoca più tarda accolgono concezioni e metodi terapeutici che sono da annoverarsi tra le credenze superstiziose. In anni più recenti, tuttavia, questo giudizio negativo è stato messo in discussione, considerando il decadimento della medicina profana come parte integrante di un declino generale che investe le scienze della Natura e le scienze dello spirito e che non è imputabile alla religione islamica (Rahman 1984). I teologi avrebbero piuttosto favorito l'integrazione della medicina nell'Islam, senza privarla del suo carattere scientifico.
Nella medicina popolare musulmana dei nostri giorni, per contro, si possono ritrovare concezioni e pratiche tipiche della medicina del Profeta. Come hanno dimostrato gli studi sul campo di Ghada Karmi (1985) per la Giordania e per la Siria e di Penelope Jonestone (1975) per la Palestina, ancora oggi le parole del Profeta e dei suoi compagni, nonché alcuni passi del Corano, costituiscono un riferimento essenziale per tutte le questioni attinenti alla salute e alla malattia. Sopravvivono in forma stemperata anche determinate concezioni della medicina tradizionale greco-araba, mescolate talvolta con credenze magiche e superstiziose. In genere, poiché la medicina popolare si è sviluppata soprattutto al di fuori della cultura scritta, non è però possibile determinare con certezza in quale misura gli elementi religiosi e scientifici degli scritti sulla medicina del Profeta siano stati da questa recepiti.
Si può affermare comunque che la medicina del Profeta non rimase ferma a livello della medicina beduina degli antichi Arabi tramandata nelle parole di Muḥammad e dei suoi compagni, ma si avvicinò gradatamente alla medicina scientifica della tradizione greco-araba, di cui accolse in gran parte i contenuti dando loro una legittimazione religiosa. La medicina del Profeta offriva al credente un sapere medico adeguato allo stato delle conoscenze dell'epoca e conforme all'Islam che è riuscito a sopravvivere accanto alla medicina scientifica sino a questo secolo. A giudicare, infatti, dal numero crescente di ristampe dei suoi testi, la medicina del Profeta sembra addirittura godere di una grande popolarità: un fenomeno che si ricollega alla sempre più vigorosa riaffermazione dei valori e delle tradizioni che si osserva nel mondo islamico a partire dalla fine degli anni Settanta.
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