La civilta islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. Traduzioni e sviluppi ebraici
Traduzioni e sviluppi ebraici
La tradizione filosofica che si sviluppò nelle comunità ebraiche all'interno della Dār al-Islām attribuiva un ruolo di primaria importanza all'astronomia. Il primo documento che attesta la conoscenza da parte di studiosi ebrei di una compilazione araba di tavole astronomiche è il commento di Se῾adiāh Gā᾽ôn (882-942) al Sēfer yeṣîrāh (Libro della creazione), il più antico trattato ebraico di cosmologia e cosmogonia, risalente al III-IV sec. ca.; infatti, la lista delle posizioni dei pianeti per la data del 31 maggio del 931 fu raccolta da Se῾adiāh Gā᾽ôn sulla base degli zīǧ di al-Ḫwārizmī. Non si tratta di una semplice coincidenza: dall'Iraq alla Spagna, i pensatori ebrei del X, XI e XII sec. commentavano il Sēfer yeṣîrāh, considerato un testo di antica sapienza scientifica ebraica, avvalendosi della letteratura araba dell'epoca. Una delle rare citazioni in lettere ebraiche di al-Bīrūnī, ṣāḥib al-tafhīm, riguardante la chimica, si trova anch'essa in un frammento di due pagine di un commento anonimo al Sēfer yeṣîrāh conservato a Pietroburgo. Prima di scrivere la sua Dalālat al-ḥā᾽irīn (Guida dei perplessi; tradotta in ebraico con il titolo Mōrēh nevūkīm), l'opera più importante della filosofia ebraica medievale, Maimonide (Mōšeh ben Maymôn, m. 1204) aveva offerto un contributo alla scienza astronomica, curando l'opera di Ǧābir ibn Aflaḥ, Iṣlāḥ al-Maǧisṭī (La rettifica all'Almagesto), e scrivendo alcuni capitoli sul calcolo della prima apparizione della Luna. Inoltre, un intero capitolo e numerosi altri passaggi della Guida dei perplessi trattano in dettaglio argomenti astronomici. Il capitolo dedicato all'astronomia (Libro II, cap. 24) si occupa della contraddizione fra i modelli planetari di Tolomeo e la fisica aristotelica; in effetti, Maimonide è ancora oggi la nostra unica fonte per conoscere le soluzioni di Tābit ibn Qurra e di Avempace, che egli analizzò e rifiutò. Maimonide calcolò anche, sulla base della monografia di al-Qabīṣī (X sec.), che i centri delle orbite eccentriche di alcuni pianeti devono essere situati 'oltre la sfera della Luna', ossia i centri non coincidono con il centro della Terra ma sono completamente al di fuori del reame inferiore, quello sublunare. Poiché egli riteneva fondamentale che anche il più semplice membro della comunità avesse un minimo di familiarità con l'astronomia, inserì un capitolo sulla cosmografia di base nella sezione che apriva la sua compilazione giuridica Mišneh Tôrāh (Seconda Legge). Gli ebrei yemeniti mostrarono un grande interesse per l'astronomia e anche i loro scritti religiosi sono pieni di allusioni e digressioni astronomiche; essi avevano, infatti, molti contatti con la setta sciita degli ismailiti, per i quali il Cosmo descritto dagli astronomi rappresentava un simbolo religioso centrale.
I lettori ebrei dell'Almagesto di Tolomeo, opera fondamentale per l'astronomia medievale, studiavano sul testo arabo sia direttamente, trascrivendolo in caratteri ebraici (esistono due copie di questo tipo), sia attraverso traduzioni dall'arabo in ebraico. Tuttavia, soltanto pochi manoscritti in ebraico dell'Almagesto contengono le tavole o il catalogo delle stelle e in essi appare un numero molto ridotto di figure geometriche. Si può supporre, quindi, che gli studiosi attingessero la conoscenza di base dell'astronomia da altre fonti e che le copie dell'Almagesto servissero principalmente da testi di consultazione. Alcuni lettori che fecero uso della versione ebraica erano in grado di consultare anche quella araba: per esempio, il più vasto commento ebraico dell'Almagesto, dovuto a Ēliyyāh Mizrāḥī di Costantinopoli (1450 ca.-1526), contiene citazioni occasionali sia della versione araba sia di quella greca. Il Muḫtaṣar al-Maǧisṭī (Compendio dell'Almagesto) scritto da Averroè (m. 595/1198), il più popolare compendio arabo dell'Almagesto, ci è noto soltanto nella traduzione ebraica preparata da Ya῾aqōv ᾽Anaṭôlî nel XIII sec., dal titolo Qiṣṣur alMaǧisṭī. Sembra che questa versione sia stata molto diffusa, poiché ne sono state identificate più di una dozzina di copie. Nel suo sunto, il filosofo andaluso si propose di sintetizzare la conoscenza astronomica necessaria per raggiungere la perfezione umana; per portare a compimento il progetto, egli utilizzò tutto quello che la tradizione astronomica araba metteva a disposizione, registrando alcune delle critiche tecniche e filosofiche avanzate da Ibn al-Hayṯam (m. dopo il 1040), da Abū Isḥāq al-Zarqālī e da Ǧābir ibn Aflaḥ. Quest'opera di Averroè, però, è in larga misura un'esposizione fedele del sistema tolemaico; in essa non vi è alcuna traccia del rifiuto categorico di tale sistema espresso dallo stesso autore nel suo lungo commento alla Metafisica di Aristotele. Delle discussioni sulle difficoltà dei modelli tolemaici nell'ambiente andaluso fanno fede, oltre al già citato capitolo della Guida dei perplessi di Maimonide, le reazioni contrastanti all'insieme alternativo di modelli proposto dal suo contemporaneo Nūr al-Dīn al-Biṭrūǧī registrate fra gli studiosi ebrei: l'opera di al-Biṭrūǧī, tradotta in ebraico da Mōšeh ibn Tibbōn nel 1259, fu respinta da Lēwî ben Gēršôm (1288-1344), mentre fu lodata da Yôsēf ibn Naḥmî᾽aś (XIV sec.) nel suo trattato in arabo Nūr al-῾ālam (La luce del mondo), in cui proponeva alcune migliorie ai modelli di al-Biṭrūǧī.
Il sistema tolemaico, insieme a quello di al-Biṭrūǧī, è esposto in dettaglio nel Midraš ha-ḥokmāh (La ricerca della sapienza) di Yehûdāh ben Šelōmōh ibn Matqa; si tratta di una vera e propria enciclopedia che, scritta inizialmente in arabo nei primi decenni del XIII sec., fu poi tradotta in ebraico dallo stesso autore, dopo che questi si trasferì da Toledo nell'Italia meridionale. Quest'opera testimonia un'attenta lettura sia di Tolomeo sia di al-Biṭrūǧī; Ibn Matqa talvolta muta l'ordine di esposizione degli argomenti, eliminando varie osservazioni storiche e altre discussioni da lui ritenute superflue, incluse le tavole delle osservazioni astronomiche, e riporta alcune delle critiche di Ǧābir ibn Aflaḥ, nonché una difesa di Tolomeo da parte di un astronomo ebreo che sarebbe altrimenti rimasto ignoto, Dāwīd ben Naḥmî᾽aś. Infine, Ibn Matqa aggiunge alcune critiche personali e fornisce informazioni sulle opere di al-Zarqālī e del qāḍī di Toledo, Ṣā῾id al-Andalusī. Per quanto concerne la geografia matematica, il computo del tempo, il calcolo delle eclissi e altri argomenti preliminari, Ibn Matqa si affidò a Tolomeo; tuttavia, giunto all'astronomia planetaria gli preferì al-Biṭrūǧī. Il sistema di quest'ultimo, nel quale tutta l'energia che anima il Cosmo è trasmessa verso il basso dalla sfera superiore (che compie una rotazione ogni ventiquattro ore), era molto interessante da un punto di vista teologico, poiché spiegava in maniera chiara ed esatta il modo in cui la divinità, provocando il movimento rapido di una singola sfera, imprime energia all'intero Universo. Il criterio astronomico principale utilizzato per scegliere fra i due sistemi antagonisti era l'ordine dei pianeti. Ibn Matqa fornì numerosi argomenti in favore dell'affermazione di al-Biṭrūǧī, secondo il quale la disposizione dei pianeti interni vede Venere sopra il Sole e Mercurio sotto di esso.
Nei circoli ebraici l'alternativa al sistema tolemaico, sviluppata nei territori orientali dell'Islam nel XIII sec. da Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī e dai suoi allievi e colleghi, esercitò un'influenza assai minore. Questa corrente lasciò tuttavia alcune tracce evidenti: un commento al codice di leggi di Maimonide ‒ molto peculiare in quanto composto da un musulmano, ῾Alā᾽ al-Dīn al-Muwaqqit al-Ḥalabī, seppure in collaborazione con un discendente diretto di Maimonide ‒ cita sia al-Ṭūsī che al-῾Urḍī; si è conservato, inoltre, un ampio frammento (68 ff.), trascritto in caratteri ebraici, della Nihāyat al-idrāk fī dirāyat al-aflak (L'estrema comprensione della conoscenza delle sfere) di Quṭb al-Dīn al-Šīrāzī, la cui opera, in particolare la difesa dell'esistenza dell'epiciclo solare, era conosciuta molto bene nei circoli degli ebrei yemeniti.
Uno dei settori della letteratura astronomica più diffuso sia tra gli astronomi sia tra quegli intellettuali che, in sintonia con i valori del periodo medievale, consideravano necessario possedere un insieme di conoscenze di base dell'astronomia, era quello delle opere di hay᾽a, ossia dei libri che offrivano una descrizione fisica di base del Cosmo, in una forma accessibile a un pubblico colto ma non necessariamente specialista. Sebbene queste opere contenessero in generale brevi descrizioni dei quattro elementi terrestri e molta geografia, la maggior parte del loro contenuto verteva sul cielo. Si trattava per lo più di narrazioni piuttosto dettagliate dei fenomeni solari, lunari e relativi all'interazione fra Sole e Luna (eclissi, fasi lunari), unitamente a trattazioni più sommarie concernenti i cinque pianeti e le stelle fisse. Uno dei primi esempi arabi di questo genere di opere, che conobbe grande favore nella sua traduzione ebraica, fu il libro di al-Farġānī, del quale esistono circa venticinque manoscritti della traduzione di Ya῾aqōv ᾽Anaṭôlî. Inoltre vi è un sommario, Qiṣṣur Sēfer al-Farġānī, sempre in ebraico, conservato a Londra in un manoscritto inedito, e numerosi commenti scritti da Maimon di Montpellier, Moses Chandali, Yiṣḥāq ben Šemû᾽ēl Abū al-Ḫayr (1497), ᾽Avrāhām ben Yôm ṭÔv Yerûšalmî (1510 ca.) e Yehûdāh ibn Wērgā᾽ (XIV sec.). Quest'ultimo si sofferma a discutere alcune credenze cosmologiche che all'epoca erano quasi universalmente accettate: egli osserva, per esempio, che al-Farġānī aveva dovuto addurre prove suppletive della sfericità del Cosmo per rispondere all'obiezione che 'i cieli sopra l'orizzonte sono sferici, ma quelli sotto di esso sono piatti'; e solleva e confuta la possibilità che il Cosmo fosse ovale invece che sferico. Inoltre, egli presenta i differenti sistemi utilizzati per misurare la longitudine, un topos importante nell'Andalus, e cita un insegnamento di Lēwî ben Gēršôm, che altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto, per concludere che dopo la sfera di Saturno ve ne sono altre sette, senza contare quella a rotazione diurna.
Accanto al libro di al-Farġānī, un altro testo arabo, appartenente allo stesso genere, che esercitò una notevole influenza e godette di grande popolarità in ambito ebraico fu la Maqāla fī hay᾽at al-῾ālam (Trattato sulla configurazione del mondo) di Ibn al-Hayṯam, della quale sono state identificate non meno di cinque traduzioni complete o parziali, nonché un certo numero di frammenti appartenenti alla genīzā (ripostiglio presso le sinagoghe nel quale erano deposti libri sacri e altri oggetti) del Cairo, in cui il testo arabo è trascritto in caratteri ebraici; il numero totale dei manoscritti ammonta circa a trenta, mentre del testo in arabo sono state trovate soltanto tre copie. La popolarità di quest'opera è dovuta al fatto che, oltre a non essere tecnica, si sofferma a spiegare come le rappresentazioni geometriche bidimensionali corrispondano ai corpi tridimensionali che sono gli attori effettivi dei movimenti celesti. Un altro trattato che conobbe una certa notorietà, in particolare nelle regioni orientali, fu al-Tabṣira fī ῾ilm al-hay᾽a (Spiegazioni sull'astronomia) di al-Ḫiraqī, del quale sono state identificate sei copie scritte in arabo con caratteri ebraici: una di queste fu redatta da un diretto discendente di Maimonide, spostatosi ad Aleppo; un altro ampio frammento è stato vergato nel XIV sec. per mano di un orientale; le restanti copie provengono dallo Yemen. Sull'opera di al-Ḫiraqī scrisse un commento l'ebreo yemenita ᾽Alû᾽êl ben Yeša῾ alla fine del XV sec.; mentre a Nātān ha-Me᾽ati (molto noto per le sue traduzioni del Canone di Avicenna) si deve una traduzione in ebraico, che si trova in un manoscritto conservato a Firenze.
I due libri originali ebraici di astronomia che conobbero maggior diffusione furono scritti, in parte o per intero, seguendo il modello dei testi di hay᾽a: si tratta della Surat ha-Ares ve-Tavnit ve ha-Shamayîm di ᾽Avrāhām bar Ḥiyyā (XI o XII sec.) e dello Yesōd ῾ōlam (Il fondamento del mondo) di Yiṣḥāq Yiśre᾽ēlî (metà del XIV sec.). La prima opera, della quale esistono dozzine di copie manoscritte, nonché un certo numero di riassunti e commenti, è divisa in dieci sezioni dedicate agli argomenti seguenti: cosmografia generale; le sfere, in particolare il Sole; la Luna; le eclissi; i cinque pianeti; il moto retrogrado; la latitudine dei pianeti; il sorgere e il tramontare del Sole; la distanza e le dimensioni della Terra e dei pianeti; le stelle fisse. L'opera di Yiṣḥāq Yiśre᾽ēlî, invece, si prefigge lo scopo di descrivere, con estrema precisione tecnica e storica, il calendario ebraico; di conseguenza, essa ignora completamente i pianeti e le stelle fisse. Tuttavia, questo testo fornisce in forma introduttiva tutta l'informazione generalmente presente nelle opere di hay᾽a. Inoltre, è uno dei pochi libri ebraici che prende in considerazione i modelli alternativi sviluppati da al-Biṭrūǧī e fornisce interessanti informazioni storiche a proposito dei gruppi di studiosi che compilarono le Tavole di Toledo e le Tavole alfonsine. Sebbene il libro sia stato scritto molti secoli dopo la riconquista cristiana di Toledo, è evidente che l'autore, come molti altri membri dell'élite ebraica, era ancora profondamente immerso nella cultura letteraria araba: in alcune copie manoscritte è infatti presente qualche riga in giudeo-arabo, per mano presumibilmente dell'autore. Il figlio di Yiśre᾽ēlî, Yôsēf, scrisse un riassunto in arabo dell'opera del padre, conservato solamente in traduzione ebraica.
Ci sono pervenute molte copie di trattati in ebraico relativi all'astrolabio, mentre dello strumento vero e proprio si conoscono ben pochi esemplari autentici con iscrizioni in caratteri ebraici; inoltre, solamente uno di essi riporta i nomi delle stelle e altri dati in giudeo-arabo. Sembra, perciò, verosimile che gli astronomi ebrei utilizzassero astrolabi con iscrizioni in arabo o in latino o, in alternativa, che studiassero prevalentemente i trattati sull'astrolabio per il loro interesse teorico. Il trattato sull'astrolabio di Ibn al-Ṣaffār di Cordova (m. 1035) ebbe una notevole diffusione in ambito ebraico; anche in questo caso esistono molte dozzine di copie della traduzione ebraica di Ya῾aqōv ben Makir, in versioni leggermente differenti, la cui provenienza deve essere ancora oggetto d'indagine, nonché una copia dell'originale trascritto in caratteri ebraici. L'opera di ᾽Avrāhām ibn ῾Ezrā᾽ (m. 1167), Kelī Neḥōšet (L'astrolabio), fu, invece, scritta originalmente in ebraico; di essa si sono conservate varie versioni rivedute, che sembrano essere di mano dello stesso autore. Prima di lasciare l'Andalus per l'Europa cristiana, Ibn ῾Ezrā᾽ aveva studiato approfonditamente l'astronomia araba e, anche se le sue fonti devono ancora essere identificate, è ragionevole supporre che nel suo trattato sul principale strumento astronomico, come nelle sue altre opere scientifiche, egli abbia trasmesso a un pubblico in grado di leggere l'ebraico, ed eventualmente il latino, informazioni scientifiche che aveva raccolto da fonti arabe.
Anche se non ci è pervenuta alcuna copia in ebraico delle Tavole di Toledo, sembra che tra gli astronomi che le compilarono ‒ primo fra tutti Abū Isḥāq al-Zarqālī (m. 1100) ‒ vi fossero alcuni studiosi ebrei, i quali poterono di conseguenza lavorare a contatto con al-Zarqālī; le idee innovative di quest'ultimo si diffusero ampiamente negli ambienti ebraici, in particolare per ciò che concerne il suo modello solare e la progettazione degli strumenti. Si conservano molte copie in ebraico del suo trattato sull'astrolabio universale (la cosiddetta ṣafīḥa), oltre a un manoscritto che contiene sia la versione in ebraico sia quella in latino. Mordecai Comtino, che lavorò a Bisanzio intorno alla metà del XV sec., scrisse un'opera esplicativa sulla ṣafīḥa. Numerosi altri trattati riguardanti gli strumenti astronomici vennero trascritti in caratteri ebraici: fra i manoscritti che ci sono pervenuti si possono citare una risāla (epistola) sull'astrolabio scritta da Abū ᾽l-Ṣalt Umayya al-Andalusī (XI sec.), un manoscritto che contiene un trattato sul quadrante scritto da Muḥammad ibn al-Ustāḏ, nonché alcuni cenni riguardo allo 'strumento inventato da Ǧābir ibn Aflaḥ'.
Il commento di Muḥammad ibn al-Muṯannā agli zīǧ di al-Ḫwārizmī ebbe due versioni in ebraico, una delle quali dovuta a Ibn ῾Ezrā᾽, cui sono attribuiti anche alcuni oroscopi, che potrebbero essere stati calcolati a partire dalle tavole di al-Ḫwārizmī. Šemû᾽ēl ben ᾽Ēlîyahû, attivo fra il 1347 e il 1386 a Salonicco, tradusse dal greco un testo da lui chiamato Le tavole persiane, le cui fonti sono le tavole di al-Ḫāzinī (1120 ca.) e di al-Fahhād (1150 ca.). Sembra, comunque, che l'insieme di tavole più diffuso sia stato quello redatto da al-Battānī, anche se non esistono copie in ebraico dei suoi zīǧ (in effetti, si è conservata una sola copia dell'originale arabo). Numerosi studiosi ebrei compilarono tavole proprie a partire dal lavoro di al-Battānī, tra i quali ᾽Avrāhām bar Ḥiyyā nel XII sec. e Immanuel Bonfils de Tarascon nel XIV sec.; mentre Lēwî ben Gēršôm preferì Tolomeo ad al-Battānī. Alcune versioni delle tavole di ᾽Avrāhām bar Ḥiyyā (note con il nome Luḥōt ha-Nasi, le Tavole del Principe, o Luḥōt Yerušalmiyyōt) contengono tavole addizionali, che riportano le differenze fra al-Battānī e Tolomeo riguardo al movimento dei pianeti, oltre a un testo esplicativo, che inizia come segue:
L'autore disse: fra coloro che lavorano nella scienza dell'astronomia, alcuni tendono a far affidamento sull'opinione di colui che è noto come al-Battānī il calcolatore [ha-ḥašban, termine chiaramente coniato in corrispondenza con il termine arabo al-ḥāsib], che visse nel regno islamico durante il tempo del re conosciuto come al-Ma᾽mūn, uno dei re arabi che regnò in Babilonia [ossia in Iraq]. Quest'uomo visse più di 700 anni dopo Tolomeo. Egli studiò i movimenti delle stelle, e paragonò le posizioni delle stelle che egli stesso osservò a quelle calcolate da Tolomeo. Poiché riscontrò una leggera discrepanza fra i due calcoli, sistemò questa discrepanza e determinò [o 'corresse'] il suo calcolo nel libro che prende il suo nome, e che si può trovare oggi nelle terre islamiche. Ai nostri giorni, molti islamici che eseguono calcoli fanno affidamento su di esso […]. (Chicago, Newberry College, Or. 101, f. 59v)
In numerosi trattati ebraici sono anche evidenti le tracce degli Zīǧ al-muqtabas (Tavole astronomiche acquisite), dell'astronomo andaluso del XII sec. Ibn al-Kammād. Nel XIV sec. queste tavole furono utilizzate nell'Andalus da Solomon Franco e Yūsuf ibn Waqār, e in Sicilia da Yiṣḥāq al-Ḥadīb. Franco, che cita anche le Tavole di Toledo, al-Battānī e 'gli studiosi persiani', scriveva: "Per la maggior parte delle questioni ho fatto affidamento sulle tavole al-Muqtabas" (BAV, Vat. eb. 498). Anche il compendio astronomico di Juan Gil, che ci è pervenuto in ebraico, contiene molto materiale tratto da Ibn al-Kammād, di cui egli utilizza il metodo.
Le uniche parti esistenti dei canoni degli zīǧ di un altro astronomo andaluso, il succitato Ibn al-Ṣaffār, si trovano in una copia di una lettera in ebraico. Tra la fine del XV e l'inizio del XVI sec. gran parte dell'astronomia araba era stata recepita all'interno della tradizione ebraica. Tuttavia, l'ultimo e più noto astronomo ebreo andaluso, ᾽Avrāhām Zakkût, fece affidamento esclusivamente sulle fonti ebraiche per i numerosi insiemi di tavole astronomiche composte fra il 1473 e il 1513. Esistono sei copie di traduzioni arabe di queste tavole; una di esse è un esemplare che proviene dallo Yemen, e un'altra, in caratteri ebraici, è scritta seguendo una lezione fonetica che riflette la pronuncia del Marocco.
La tradizione astronomica degli ebrei yemeniti, come si è già detto, è molto ricca, e dallo Yemen proviene un importante gruppo di tavole, al-Zīǧ al-muẓaffarī (Le tavole astronomiche dedicate ad al-Muẓaffar) di Muḥammad ibn Abī Bakr al-Fārisī (m. 1231 o 1232); l'opera fu trascritta in caratteri ebraici in varie copie: se ne conoscono almeno sei, più di quelle scritte in caratteri arabi. Al-Fārisī scrisse inoltre Ma῾āriǧ al-fikr al-wahīǧ fī ḥall muškilāt al-zīǧ (I voli della mente illuminata sulla risoluzione dei problemi delle tavole astronomiche), opera molto popolare fra gli ebrei, che tra l'altro illustra la progettazione di alcuni strumenti di calcolo. ᾽Alû᾽êl ben Yeša῾ scrisse commenti di entrambe queste opere, e mise in evidenza le discrepanze fra le tavole di al-Zīǧ al-muẓaffarī e un altro gruppo di tavole compilato da al-Fārisī, al-Zīǧ al-ḫazā᾽inī (Le tavole astronomiche di al-ḫazā᾽in). Un altro ebreo yemenita, probabilmente Yôsēf ben Yêfēt ha-Lēwī, compilò uno zīǧ contenuto in un manoscritto trovato a Berlino, che risente notevolmente di al-Zīǧ al-muẓaffarī; la fonte originale di questo scritto è del 1390. Lo stesso autore scrisse un popolare trattato sul calendario ebraico nel quale viene citato un insieme di tavole più completo, che egli stesso avrebbe redatto. Esiste inoltre un'importante trascrizione yemenita di al-Zīǧ al-ǧāmi῾ (Tavole astronomiche universali) di Kūšyār ibn Labbān; il manoscritto contiene una nota di un certo Ibn Sa῾d ibn Binyamān al-Munaǧǧim, il quale afferma di aver trovato a Isfahan (Iran centrale) una copia autografa degli zīǧ di Kūšyār, a sua volta contenente una nota di un certo Abū Naṣr Bahrām ibn Binyamān al-Munaǧǧim, che criticava i risultati ottenuti da Kūšyār in relazione a Marte. La critica e la tavola corretta sono riprodotte nel manoscritto ebraico yemenita. L'ultimo capitolo degli zīǧ di Kūšyār, che tratta della dimensione dei pianeti e delle loro distanze rispettive, circolò in maniera indipendente; di questo testo esistono molte trascrizioni yemenite in caratteri ebraici. Infine, brevi estratti degli Zīǧ al-mumtaḥan (Tavole astronomiche verificate) e degli zīǧ di Ibn Yūnus (attivo al Cairo nel 1000) si trovano anche nei manoscritti yemeniti.
Nelle trascrizioni e traduzioni in ebraico di monografie arabe si trova traccia di altre questioni esaminate dall'astronomia islamica. L'opera sulla teoria della trepidazione scritta da al-Zarqālī, per esempio, si conserva soltanto nella versione in ebraico. L'opera sull'ottica di Aḥmad ibn ῾Īsā (IX sec.), al-Manāẓir wa-'l-marāyā 'l-muḥriqa (Sull'ottica e gli specchi ustori), nella sua versione in lettere ebraiche contiene alcuni capitoli sull'astronomia che non si trovavano nelle due copie scritte in caratteri arabi. Ibn ῾Īsā, che si prefiggeva di dimostrare, avvalendosi di argomenti ottici, la sfericità del Cosmo, riportò anche alcuni valori per le distanze planetarie. La sua critica riguardava sia l'affermazione manichea secondo la quale i cieli hanno la forma del qiṣtanu, ossia di un guscio di noce o emisferica, sia l'asserzione opposta, secondo la quale i cieli sono piatti, come una macina. L'autore, oltre a perseguire uno scopo polemico, desiderava probabilmente sostituire gli argomenti fisici contenuti nel Libro I dell'Almagesto con altri di natura matematica. La monografia di Abū ῾Abd Allāh Muḥammad ibn Mu῾āḏ sulla determinazione del crepuscolo e sul problema correlato dell'altezza dell'atmosfera terrestre fu tradotta in ebraico da Šemû᾽ēl ben Yehûdāh di Marsiglia; lo stesso argomento si trova in un frammento di un trattato arabo, trascritto in caratteri ebraici nello Yemen, che cita l'opera di Ibn Mu῾āḏ e di un certo Abū ῾Abd Allāh ibn Ṭāhir. L'altezza dell'atmosfera fu al centro di un vivace scambio epistolare fra l'astronomo toledano Yiṣḥāq Yiśre᾽ēlî e suo cugino Ḥayyîm; essi si scrivevano in arabo, ma tutto ciò che resta della loro corrispondenza è una breve memoria in ebraico redatta da Yiṣḥāq. Ḥayyîm, sfidando l'opinione consolidata della comunità scientifica, affermava che i differenti strati dell'atmosfera esistono esclusivamente nel 'quarto abitato' della Terra, mentre gli altri tre quarti rimangono sprofondati nel caos primordiale, come descritto nella Genesi 1,2. Sembra che questa opinione fosse fortemente influenzata dall'idea, allora ampiamente diffusa presso i geografi spagnoli e nordafricani, secondo la quale l'Atlantico era l''oceano oscuro'.
La questione del calcolo della prima apparizione della Luna crescente poneva un problema di non facile soluzione, in quanto sia il calendario musulmano sia quello ebraico erano basati sul mese lunare. Le due religioni richiedevano in principio che l'inizio della Luna nuova fosse fissato sulla base dell'avvistamento da parte di un testimone attendibile; tuttavia, in entrambe le confessioni la decisione giuridica di accettare o meno il testimone poteva, forse, essere influenzata da calcoli appropriati. In realtà, molto prima che l'astronomia araba fiorisse, nelle corti ebraiche il mese lunare non veniva più fissato sulla base di effettivi avvistamenti, ma calcolato a partire da un insieme definito di regole aritmetiche. Tuttavia, le regole per la determinazione del calendario costituirono motivo di controversia fra le sette dei rabbaniti e dei caraiti. Questi ultimi, che vivevano principalmente nell'orbita islamica, rifiutavano il calendario fisso e pretendevano invece che ogni mese fosse fissato mediante un avvistamento affidabile della Luna nuova; nello stesso tempo rifiutavano integralmente tutti i calcoli connessi al calendario, mostrando di non nutrire alcun interesse per la teoria della prima apparizione lunare. In seguito però, quando le polemiche di parte si stemperarono, gli studiosi caraiti iniziarono a trattare, nelle loro opere, il calcolo dell'apparizione della Luna nuova. Su questo argomento, comunque, continuarono a essere scritte o copiate numerose monografie. Maimonide inserì nel suo codice di leggi un dettagliato algoritmo relativo a tale questione, utilizzando come fonte principale al-Battānī, anche se alcuni elementi del suo procedimento, come, per esempio, una correzione intermedia della posizione della Luna espressa in coordinate 'miste' (usando non il polo dell'equatore, ma il piano dell'eclittica), devono essere attribuiti ad altre fonti, forse indiane, diffuse nell'Andalus. In ogni caso, gran parte dei procedimenti messi in atto da Maimonide sono originali: egli introdusse alcune approssimazioni e modificò le equazioni in modo da ottenere risposte nette, del tipo 'sì' o 'no', piuttosto che curve continue; operò i suoi calcoli a partire dalle coordinate di Gerusalemme. Un metodo in un certo senso differente, associato al nome del discepolo di Maimonide, Yôsēf ben Yehûdāh (Abū 'l-Ḥaǧǧāǧ al-Sabtī), si trova unicamente negli zīǧ di Ibn Isḥāq. Anche Ibn ῾Ezrā᾽, nella sua opera Kelī Neḥōšet (L'astrolabio, v. sopra), insegnava a calcolare la prima visibilità della Luna mediante un astrolabio; la medesima questione è trattata in modo del tutto differente nel suo Libro de los fundamentos de las Tablas astronómicas. Il trattato di Juan Gil, prima citato, riporta il metodo di Ibn al-Kammād; numerosi sono anche i manoscritti in cui si trovano brevi note anonime sullo stesso argomento, talvolta accompagnate da tavole.
Nelle comunità ebraiche dell'Africa del Nord e del Vicino Oriente, i testi arabi che insegnavano l'astronomia medievale continuarono a essere studiati fino all'inizio del XX secolo. Oltre alle copie tarde degli scritti medievali e a quelle che contengono glosse e annotazioni posteriori, esistono anche esemplari in caratteri ebraici di opere scritte nel XVII sec. o anche più tardi, le quali, tuttavia, sono basate su principî medievali. Così, per esempio, degli zīǧ redatti per Tunisi durante il XVIII sec. sono stati identificati tre manoscritti compilati in una miscela di arabo ed ebraico, che presentano piccole differenze, inclusa la fonte originale risalente al 1757-1758. L'unica copia in caratteri ebraici degli Zīǧ al-ǧadīd (Nuove tavole astronomiche) di Ibn al-Šāṭir contiene una lista di fonti originali del 1844, di mano dello stesso copista, in cui è citata la città di Aleppo. Gli ebrei iracheni continuarono a comporre e a copiare gli scritti astronomici, principalmente quelli concernenti il calendario. Un esempio di questo tipo di scritti è il Kanfê Yônāh di Šemû᾽ēl ben Yônāh Mizrāḥî, scritto nel 1696-1697. In un manoscritto del XVIII sec., contenente una miscellanea di astronomia, di medicina e di magia, si trovano alcune tavole di notevole interesse, attribuite a un certo ῾Abd Allāh Yūsuf, che servono a calcolare l'alba, il tramonto e alcune ore di preghiera ebraiche per 'Babele' (Baghdad): si tratta probabilmente dell'unica versione ebraica esistente delle tavole del mīqāt, che erano assai diffuse nelle terre islamiche. Infine, per quanto riguarda la tradizione ebraica yemenita, ci sono pervenute due copie scritte in caratteri ebraici dell'ultima opera importante dell'astronomia yemenita, ovvero gli zīǧ di ῾Abd Allāh al-Sarḥī, intitolati Ġāyat itqān al-ḥarakāt li-'l-sab῾at al-kawākib al-sayyāra (La massima precisione dei movimenti delle sette stelle mobili), che fa riferimento a una fonte del 1670. Verso la fine del XIX sec., Rabbi Yaḥyā al-Qafīḥ copiò due opere sulle misure e sugli strumenti astronomici, scritte da Sibṭ al-Mārdīnī (m. dopo il 1486), i Raqā᾽iq al-ḥaqā᾽iq fī ma῾rifat ḥisāb al-daraǧ wa-'l-daqā᾽iq (Sottili realtà nell'aritmetica dei gradi e dei minuti) e il trattato sul quadrante noto come al-Šihābiyya, oltre a due lunghi commenti su quest'ultima opera.
Castells 1995: Castells, Margarita - Samsó, Julio, Seven chapters of Ibn al-Ṣaffār's lost zīj, "Archives internationales d'histoire des sciences", 45, 1995, pp. 229-262.
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