La civilta islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. Geografia matematica e cartografia
Geografia matematica e cartografia
Lo storico delle scienze esatte dell'Islam deve spesso confrontarsi con una quantità molto consistente di materiali: centinaia di fonti manoscritte che non sono ancora state studiate. Nel caso della geografia descrittiva, avviene proprio questo. Il lettore troverà indicazioni al riguardo nelle voci 'Djughrāfiyā' e 'Khāriṭa' dell'Encyclopédie de l'Islam curate da S. Maqbul Ahmad. Quando, però, si passa a considerare la parte di questa disciplina in cui viene utilizzata la matematica, la frustrazione nasce dalla scarsezza piuttosto che dall'abbondanza dei documenti. Una fonte attendibile, per esempio, ci fa sapere che l'astronomo Ibn Yūnus (m. 1009 ca.) realizzò una carta del mondo per il califfo fatimide al-῾Azīz (r. 365-386/975-996), ma non possediamo alcuna informazione precisa sul metodo di proiezione adottato e ancora meno sulla carta stessa.
Le informazioni di cui disponiamo riguardano sia la geografia sia la cartografia, e questo capitolo è organizzato secondo questi due soggetti principali. Per il primo, la questione della determinazione delle latitudini conduce a quella della geodesia propriamente detta, poi al calcolo delle longitudini e del meridiano zero sul quale si basano. Questa parte si conclude con un'indicazione dei risultati di queste operazioni: liste di nomi di luoghi con le loro coordinate. Nella parte successiva, dedicata alla cartografia, l'assenza d'informazioni precise, come anticipato, costituisce un serio ostacolo per valutare il grado di penetrazione della geografia ellenistica nel mondo musulmano. Come vedremo, i casi di al-Bīrūnī e al-Idrīsī sono opposti: per il primo, le proiezioni sono descritte bene ma non è possibile trovarne alcuna applicazione a carte reali fino al Rinascimento e oltre; per il secondo, disponiamo di numerose copie superstiti delle carte ma i metodi di proiezione impiegati sono ampiamente congetturali. Forniremo anche la descrizione di carte realizzate da altri scienziati senza però occuparci delle carte marittime arabe.
Determinazione delle latitudini
Poiché la latitudine φ di un luogo è uguale all'altezza del polo celeste in quello stesso luogo, questo valore si determina facilmente per mezzo di metodi astronomici. L'osservatore può annotare l'altezza meridiana h del Sole in un dato giorno e calcolare la declinazione δ al momento dell'osservazione. Per le località situate nell'emisfero nord la latitudine sarà:
[1] φ=90°−(h−δ),
poiché l'altezza del punto culminante dell'equatore celeste è il complemento dell'altezza polare. Di notte si può anche osservare l'altezza meridiana di una stella particolare di cui si conosce la declinazione e quindi applicare la stessa formula. Oppure, l'osservatore può annotare le altezze di una stella circumpolare, nei due punti in cui interseca il meridiano; la media fra le due altezze dà φ. Nel Kitāb Taḥdīd nihāyāt al-amākin (Libro sulla determinazione delle coordinate delle località), composto verso il 1010, al-Bīrūnī fornisce due esempi dettagliati di questi metodi, tratti dai documenti dei suoi predecessori e dei suoi contemporanei.
Data la facilità della determinazione delle latitudini, ci si sarebbe potuti aspettare che i valori che ci sono pervenuti fossero abbastanza esatti. Su 506 località di cui al-Kāšī, nel 1400 ca., fornisce le coordinate, a 381 sono attribuiti valori che concordano con quelli moderni. La media delle differenze fra le latitudini indicate da al-Kāšī e i valori moderni è solamente di 4 minuti di arco. Eppure, la media dei valori assoluti dello stesso insieme di differenze, 1;15°, non costituisce un esito molto brillante e i risultati trovati da al-Kāšī sono comuni alle cinquanta fonti su cui sono state condotte analisi statistiche. Per attenuare la critica, bisogna ricordare che gli autori erano in grado di verificare da soli soltanto un esiguo numero di latitudini, dovevano accettare gli altri calcoli sulla parola e probabilmente numerose città non potevano vantare un astronomo competente; nonostante questo, i risultati registrati forniscono molte latitudini con un'approssimazione di circa un quarto di grado.
La dimensione della Terra
Poniamo questo argomento di proposito dopo il precedente poiché nel Medioevo il metodo più ricorrente per trovare la lunghezza di 1° lungo il meridiano terrestre era fondato sulla determinazione delle latitudini.
Il califfo al-Ma᾽mūn, che regnò dall'813 all'833, organizzò una o più spedizioni in vista di questo lavoro. Le fonti variano quanto ai dettagli ma sono unanimi riguardo al metodo utilizzato. L'idea era di scegliere uno spazio piano adatto nel deserto siriaco e osservare φ a partire da un determinato punto iniziale. Gli osservatori si dirigevano sia verso nord sia verso sud, misurando la distanza percorsa. Questo fino a quando la spedizione raggiungeva un luogo in cui il valore di φ differiva di 1° da quello del punto iniziale. La distanza percorsa corrispondeva allora alla lunghezza di 1° del meridiano.
Sarebbe stato, sembra, molto più pratico percorrere una distanza qualsiasi, preferibilmente la più lunga possibile, e in seguito semplicemente dividere la distanza per la differenza dei valori di φ, poiché ottenere Δφ=1° suppone una serie di arresti successivi prima di giungere alla differenza totale cercata. è probabile che gli osservatori praticassero questo ragionevole procedimento.
Comunque si era ottenuto il valore di 56 più 2/3 di miglia arabe per grado, valore che fu usato generalmente dai ricercatori successivi, per esempio al-Bīrūnī e al-ṭūsī. Nelle fonti sono citati altri risultati ma sono tutti molto vicini a questo valore canonico, che moltiplicato per 360/π dà il diametro della Terra corrispondente.
Interrogarsi sulla precisione di questo valore significa affrontare il problema metrologico difficile, e forse insolubile, della conversione fra unità medievali e moderne. La questione è stata studiata in maniera esaustiva da Carlo Alfonso Nallino (1892-93) che ha stabilito che 56 più 2/3 di miglia arabe equivalgono a 111,8 km per grado, valore incredibilmente prossimo a quello corretto che è 111,3. Si tratta probabilmente di una coincidenza fortunata, ma Nallino fornisce anche i risultati delle ricerche di altri nove scienziati, che vanno da 104,7 a 133,3 km; in questi termini il valore di al-Ma᾽mūn si può considerare un buon risultato.
Meridiani di base
Tutte le liste geografiche descritte oltre possono essere divise in due categorie secondo la scelta del meridiano zero della tavola. Tolomeo, il padre della geografia matematica, misurò le longitudini verso est a partire dalle isole Fortunate (al-ǧazā᾽ir al-ḫālidāt, le isole Canarie). Circa la metà delle fonti musulmane fece riferimento a lui e questo gruppo è designato, per comodità, come classe C. Il secondo gruppo, designato A, seguì al-ḫwārizmī (820 ca.) nella scelta della riva ovest dell'oceano occidentale (sāhil al-baḥr al-muḥīṭ al-ġarbī) come primo meridiano, rimanendo inteso che il meridiano A si trova 10° a est del meridiano C, com'è riportato nella letteratura. Non è noto da dove derivi questa divisione. Nallino (1944) ha mostrato che al-ḫwārizmī non aveva intenzione di cambiare il punto zero. Per una ragione qualsiasi gli astronomi di al-Ma᾽mūn decisero che la longitudine della capitale abbaside, Baghdad, fosse di 70°. Tuttavia, situandola ragionevolmente su una carta conforme alla geografia di Tolomeo, Baghdad avrebbe una longitudine vicina a 80°, e più della metà delle fonti musulmane danno questo valore. Ciò si spiega considerando che, come esporremo oltre, la 'cupola della Terra' (qubbat al-arḍ), com'era concepita dagli Orientali, si trovava 13;30° a est della 'cupola' di Tolomeo, poiché il valore di 13;30° non è molto diverso da quello di 10°. Al-Bīrūnī fornisce uno spostamento di 10°; al-ḫwārizmī corregge di 10° l'importante sopravvalutazione fatta da Tolomeo per la lunghezza del Mediterraneo, ma questo non ha rapporto con la questione del meridiano di base.
A ogni modo, l'esistenza delle categorie A e C è un dato di fatto. Le longitudini di una stessa città, nelle tavole dei due gruppi, tendenzialmente differiscono proprio di 10°. Inoltre, si è calcolata la differenza media fra le longitudini medievali e quelle moderne per le località di cui si conosce la longitudine moderna (Greenwich): per alcune fonti considerate individualmente, la differenza fra le medie è considerevole, ma quelle della classe A si raggruppano intorno a 24°; quelle della classe C sono vicine ai 34°.
Una fonte riporta latitudini misurate a partire da un terzo meridiano di base. Al-Hamdānī (m. 946) stabilisce che gli Orientali (ahl al-mašriq), gli Indiani e quelli che li hanno seguiti, misuravano le longitudini verso ovest a partire dalla costa est della Cina. Era comunemente ammesso che la parte abitata del globo fosse la superficie di un emisfero delimitata da un grande cerchio che passava per i poli. Il suo centro geografico, chiamato 'cupola della Terra', era un punto dell'equatore, polo di questo cerchio limite. Gli Orientali, prosegue al-Hamdānī, collocano la cupola 90° a ovest del loro meridiano di base. Dato che è menzionato anche il Sindhind (dal sanscrito Siddhanta), la cupola è senza dubbio supposta essere sul meridiano che passa per Ujjayn, il 'Greenwich' dell'astronomia degli antichi Indiani. Nella letteratura araba il nome è stato deformato da Uzayn ‒ per omissione di un punto su una lettera ‒ in Arīn e poi in qubbat Arīn. Al-Hamdānī stabilì più avanti che, con ogni verosimiglianza, la cupola di Tolomeo è 90° a est del suo meridiano di base e che le due cupole non coincidono, essendo l'indiana 13;30° a est di quella di Tolomeo. Se si annotano le longitudini misurate verso est e verso ovest, rispettivamente λE e λW, allora per una località data la longitudine indiana e quella di Tolomeo dovranno soddisfare la relazione:
[2] λE+λW=90°+13;30°+90°=193;30°.
Al-Hamdānī fornisce le coordinate indiane di ventidue città situate per la maggior parte nella penisola araba, ma includendo anche Gerusalemme e Damasco. Tre delle città inserite nella lista di al-Hamdānī non figurano nelle altre liste dei nomi di luoghi e delle loro coordinate stabilite dagli Arabi. Fra le altre diciannove se ne contano nove le cui longitudini soddisfano la regola precedente con 1° circa di approssimazione rispetto a molte fonti della categoria C (quella di Tolomeo).
Ernst Honigmann (1929) parla di un "sistema persiano" in cui le longitudini sono misurate verso ovest a partire da un primo meridiano che passa per l'estremo est dell'Asia. Egli si riferisce senza dubbio al "meridiano degli Orientali" di al-Hamdānī; infatti quest'ultimo attribuisce alcune coordinate ad al-Fazārī (760 ca.) e altre a Ḥabaš al-Ḥāsib (850 ca.), e i due furono influenzati dall'astronomia dell'Iran dei Sasanidi come da quella dell'India.
Al-Bīrūnī suppone che in un gruppo più ristretto di tavole, ormai non più disponibili, il meridiano di base fosse quello della cupola stessa.
Una fonte, contenuta nel ms. Utr. Or. 23 conservato presso la biblioteca di Leida, presenta l'originalità di reperire le longitudini a partire da Bassora: senza dubbio, la città dell'anonimo compilatore. Nonostante questo, poiché nell'intestazione della colonna iniziale delle longitudini si legge "differenze delle longitudini" e non 'longitudine' com'era nell'uso, non si deve considerare il meridiano di Bassora come meridiano di base.
Determinazione delle longitudini
Una volta che si è trovato un accordo sulla scelta del primo meridiano, trovare la longitudine di un luogo dato si riconduce al problema della determinazione della differenza di longitudine fra questo e un luogo di cui si conosce la longitudine. In teoria, è ancora più semplice che determinare la latitudine; infatti, in virtù della rotazione della Terra, 360° corrispondono a 24 ore e la differenza di longitudine alla differenza del tempo locale medio fra le due località. In pratica, però, si ha bisogno di un segnale orario valido simultaneamente in questi due luoghi, e, nell'epoca medievale (senza cronometro preciso, né radio), questo era tutt'altro che semplice.
Un'eclissi di Luna costituisce un segnale di questo tipo, poiché le sue fasi appaiono simili in tutti i punti della Terra da cui è visibile. Una coppia di osservatori, ciascuno in un luogo, poteva stabilire i rispettivi tempi locali dell'inizio e della fine del contatto e della copertura massima o totale. Al-Bīrūnī riporta un'operazione di questo tipo, compiuta in coppia con Abū 'l-Wafā᾽, osservando lui stesso a Kath (in Asia centrale) e quest'ultimo a Baghdad. Una difficoltà proviene dal fatto che, contrariamente a quelle di un'eclissi di Sole, le fasi di un'eclissi di Luna non sono differenziate nettamente.
Al-Bīrūnī sfruttò ugualmente a fondo, nel suo Taḥdīd, un metodo geodetico per il calcolo delle differenze delle longitudini. Si suppongono conosciute le latitudini di due località e la loro distanza su un grande cerchio. Per ognuno dei due punti passano un meridiano e un parallelo. Questi quattro cerchi si intersecano in quattro punti che determinano un trapezio isoscele. Al-Bīrūnī applicò a quest'ultimo un teorema di Tolomeo sui lati e le diagonali dei trapezi inscrivibili, da ciò poteva ricavare questa notevole espressione:
,
in cui Δ designa una differenza, λ rappresenta la longitudine terrestre per un generico angolo θ, corda θ è la lunghezza della corda del cerchio unitario sotteso da un angolo al centro θ, e A e B sono le località in questione.
Al-Bīrūnī otteneva valori vicini alle distanze sul grande cerchio a partire dalla lunghezza in leghe (farsaḫ) delle rotte delle carovane moltiplicando per un certo coefficiente, a seconda che il tragitto fosse più o meno diretto o difficile, e convertendo poi il risultato in miglia e in gradi. Per trovare la differenza di longitudine Δλ fra Baghdad e Ghazna (nel moderno Afghanistan), capitale del suo maestro, applicò numerose volte il suo algoritmo ai posti di cambio passando per Rayy, Jurjaniya e Balkh. Poiché dubitava, a ragione, del risultato ottenuto in questo modo, fece dei calcoli complementari lungo un itinerario più a sud passando per Shiraz e Zaranj, tentando anche una variante attraverso Bust. Stabilì quindi la media aritmetica dei tre risultati così ottenuti. Il risultato finale è inesatto di circa un terzo di grado su ventiquattro: un risultato molto buono se si considera il carattere grossolano dei suoi dati di partenza.
Non si conosce geografo che abbia adottato il metodo di al-Bīrūnī, e una soluzione geodetica, esposta da al-Kāšī, è eccessivamente inesatta. Tutto considerato, le longitudini che appaiono nei testi sono meno inesatte delle latitudini.
Liste geografiche
Una collezione di liste di nomi di luoghi con l'indicazione delle latitudini e delle longitudini rivela la quantità e l'estensione delle conoscenze geografiche del mondo musulmano durante il Medioevo. Le fonti possono essere divise in tre categorie: (1) manuali d'astronomia, manoscritti per la maggior parte non pubblicati contenenti tavole geografiche (zīǧ) che permettevano a chi le utilizzava di rendere compatibili le osservazioni compiute in un determinato luogo con quelle realizzate in ogni altro luogo che figuri nella tavola; (2) compilazioni effettuate allo scopo di stabilire una carta; (3) lavori di carattere geografico più generale che riportavano le coordinate delle località. A tutt'oggi sono stati informatizzati i dati provenienti da settantaquattro fonti e questo numero in futuro potrà aumentare. Queste liste sono di dimensioni variabili e possono comprendere da due fino a più di seicento località. La maggior parte delle città che compaiono nelle liste sono città del bacino mediterraneo, del Medio Oriente e dell'Asia centrale, ma vi sono inserite anche alcune città dell'Europa, del Nord della Spagna, dell'Africa centrale, dell'India e della Cina. Questa collezione è stata pubblicata nel 1987. Si possono stabilire famiglie di fonti collegate fra loro ma non ve ne sono mai due identiche; d'altra parte, nessuna fonte è completamente indipendente dalle altre.
L'eredità ellenistica
Il primo cartografo il cui lavoro influenzò gli Arabi è Marino di Tiro (100 ca.). Nella carta del mondo di Marino, il sistema delle coordinate era costituito da due famiglie di linee parallele, perpendicolari fra loro. Dato che la sfera non è sovrapponibile a un piano, ogni carta di una porzione della Terra comporta delle distorsioni. Il cartografo può scegliere fra una rappresentazione conforme (che conservi gli angoli) o una rappresentazione che conservi le aree e una rappresentazione in cui sono conservate alcune distanze; ma non può mantenere tutto contemporaneamente. Nella carta di Marino, le distanze sono conservate lungo tutti i meridiani e lungo il parallelo della latitudine di Rodi (φ=36°) ma, poiché la dimensione dei paralleli decresce quando φ aumenta, le distanze lungo i paralleli a nord di Rodi sono allungate mentre quelle dei paralleli a sud di Rodi sono ristrette.
Tolomeo impiegò due tipi di carte in cui i meridiani convergono, a differenza dello schema cilindrico proposto da Marino. Nel primo, le distanze sono conservate lungo tutti i meridiani e ciò origina una famiglia di linee rette concorrenti. I paralleli si proiettano su cerchi concentrici, perpendicolari ai meridiani che, di conseguenza, passano per il centro comune. Quest'ultimo è scelto in maniera tale che: (1) lungo il parallelo che passa per Rodi le distanze sono conservate; (2) il rapporto fra le distanze è conservato sia lungo il parallelo che passa per Thule (φ=63°) sia lungo l'equatore (φ=0°). Nel secondo tipo di carta i cerchi concentrici sono considerati come tracciati dei paralleli delle latitudini, ma le distanze si conservano lungo tre di essi, vale a dire quelli che hanno come latitudini 63°, 23;50° e 16;25°. Ne risulta che i tracciati dei meridiani non possono più essere linee rette ma una famiglia di cerchi, ciascuno determinato dai tre punti di uguale longitudine sui tre paralleli enumerati sopra. Di conseguenza, le distanze lungo i meridiani non si conservano in modo esatto. Si nota una progressione fra queste tre carte. In quella di Marino il reticolato delle coordinate è rettilineo e ortogonale; nella prima di Tolomeo uno degli insiemi di curve e coordinate è costituito da cerchi; nella seconda i due insiemi sono cerchi.
È quasi certo che, sotto una forma o sotto un'altra, la carta del mondo di Tolomeo fosse a disposizione dei geografi dell'impero degli Abbasidi. Al-Mas῾ūdī pretende di averne visti uno o più esemplari, ritenendola superata in eccellenza dalla carta di al-Ma᾽mūn (al-ṣūra al-ma᾽mūniyya), ma non ne è nota alcuna versione superstite risalente all'epoca degli Abbasidi. Le più antiche copie disponibili della Geografia sono state eseguite a Costantinopoli nei secc. XIII e XIV. Il testo fu tradotto in arabo per ordine del sultano Mehmet II verso il 1465. Una delle traduzioni è contenuta nel manoscritto 2610 conservato nella biblioteca di Aya Sofya (Istanbul), in cui la carta del mondo è stata riprodotta in facsimile ed è analoga a quella della fig. 8. Il manoscritto integrale è stato pubblicato in facsimile in Egitto nel 1929, benché il libro non riporti alcuna indicazione circa la sua provenienza o la sua data.
Tutto ciò è molto tardo rispetto all'epoca degli Abbasidi, e la natura di quanto poteva essere pervenuto dell'eredità geografica di Tolomeo resta oggetto di una discussione ancora aperta. Tuttavia, H. von Mžik (1915) pensa che essi abbiano probabilmente utilizzato una versione siriaca della Geografia, forse priva di una carta del mondo; J. Ruska (1918), d'altro lato, ritiene che essi abbiano potuto lavorare direttamente a partire dalla versione greca.
La carta di al-Ma᾽mūn
È ben noto che durante il suo regno (r.813-833) questo califfo invitò eminenti scienziati nel Bayt al-ḥikma (Casa della sapienza). Uno dei frutti della collaborazione fra questi ultimi fu una rappresentazione del mondo conosciuto che costituì, sotto molti aspetti, un miglioramento rispetto a quella di Tolomeo. Quel che ne è rimasto, però, si riduce alla carta geografica corrispondente di al-ḫwārizmī e a tre carte regionali: della carta principale non è stata ritrovata alcuna copia. Al-Mas῾ūdī afferma che, in quest'ultima, i limiti dei climi, costituiti da paralleli di latitudine, sono rettilinei. Di conseguenza, si può pensare che la proiezione era del tipo di quella utilizzata da Marino.
L'ipotesi diventa quasi certezza se si considera la tavola geografica di Suhrāb (930 ca.), molto simile a quella di al-ḫwārizmī. Nell'introduzione della sua opera, Suhrāb fornisce indicazioni accurate sulla maniera di costruire il reticolato delle coordinate sulle quali si devono collocare le località. Esso deve consistere in due famiglie di linee parallele, perpendicolari fra loro e tali da formare dei quadrati. Le distanze lungo l'equatore e i meridiani sono conservate; tuttavia, il fatto di provocare un maggiore dilatamento est-ovest nella zona temperata rende il reticolato meno preciso di quello utilizzato nella carta di Marino.
L'atlante dell'Islam
Nel X sec., alcuni studiosi fra cui al-Balhī, al-Iṣṭaḫrī, al-Muqaddasī e Ibn ḥawqal effettuarono lavori dai tratti talmente comuni che si è soliti designarli come geografi. Ognuno di questi lavori è costituito da un insieme standard di venti carte, di cui la prima è una carta del mondo. Queste carte tuttavia sono così schematiche da poter essere considerate, secondo l'espressione di Kramers, "caricature cartografiche".
Il contributo di al-Bīrūnī
Verso il 1005, questo matematico ed erudito dell'Asia centrale scrisse una piccola opera sulla cartografia del globo (Taṣtīḥ al-ṣuwar wa-ṭabtīḥ al-kuwar, La proiezione piana delle figure [delle costellazioni] e delle sfere), di cui recentemente è stata pubblicata una traduzione commentata, con una bibliografia dei lavori e delle edizioni anteriori e una riproduzione in facsimile del testo del manoscritto di Leida. In questo trattato, al-Bīrūnī discute otto tipi di proiezioni cartografiche. Ne descriviamo tre ‒ la prima e la terza sembrano attribuibili a lui, la seconda forse è anteriore ‒ dandone i nomi conformi allo standard dell'uso moderno.
1) Il metodo della 'doppia equidistanza' è effettuato come segue. Sulla sfera si scelgono un paio di punti fissi. Al centro del foglio su cui si vuole disegnare la carta si traccia il segmento di retta la cui lunghezza, con una scala opportuna, deve essere uguale alla lunghezza del grande arco di cerchio sotteso dai punti stessi. Allora, qualsiasi punto della sfera è individuato sulla carta dal vertice del triangolo i cui lati hanno come lunghezza rispettivamente i grandi archi di cerchio sottesi dal punto in questione e dai due punti fissi, e sono posti sul lato adeguato della base. Questo metodo cartografico è stato discusso in epoca moderna, ma non se ne conosce alcuna applicazione moderna e ancora meno medievale.
2) Il metodo dell''equidistanza azimutale' è ugualmente facile da descrivere. Si sceglie un punto dato sulla sfera, A (non indicato in figura), e una direzione zero a partire da esso. Allora il punto A′, al centro della carta, è l'immagine di A, e un asse dato che passa per A′ determina le direzioni. Qualunque sia il punto P della sfera, la sua immagine P′ è l'estremità del segmento di retta A′P′ che ha come lunghezza la lunghezza del grande arco di cerchio AP; l'azimut di A′P′, relativamente all'asse dato, deve essere uguale all'azimut di AP sulla sfera. Al-Bīrūnī descrive il processo in termini meccanici come se si facesse rotolare la sfera sopra la carta a partire da una posizione iniziale tangente in A′, in direzione di P, finché P diventa il punto di tangenza e ciò determina P′. Un esempio primitivo e senza dubbio intuitivo d'un tale metodo è fornito dalla carta del mondo disegnata da ῾Alī ibn Aḥmad al-Šarafī di Sfax nel 1571. Egli ignorava senza dubbio l'opera di al-Bīrūnī, come Postel, il primo ad applicare questo metodo in Europa nel 1581. La proiezione dell'equidistanza azimutale è utilizzata correntemente ai nostri giorni.
3) Il sistema 'globulare' proietta un emisfero su un cerchio. Consideriamo un paio di diametri, EO e NS (Polo Nord, Polo Sud), che s'intersecano in o e dividono il cerchio in quadranti. EoO è la carta della metà dell'equatore tale che E ha longitudine λ=0°, o ha λ=90° e O ha λ=180°. Si dividono i quattro raggi e i quattro quadranti in un numero conveniente di graduazioni uguali, per esempio 90, una per grado. Si numerano le divisioni verso l'alto e verso il basso a partire da E, o e O in modo tale che N, la traccia del Polo Nord, abbia la latitudine φ=90°, e la traccia S del Polo Sud φ=‒90°. Il reticolato delle coordinate è formato da due famiglie d'archi circolari. La proiezione del meridiano di longitudine λ è l'unico arco di cerchio che passa per N, S e per il punto di EO determinato dalla longitudine λ data. La proiezione del parallelo di latitudine φ è l'arco di cerchio che passa per i tre punti su ciascuno degli archi NES, NoS e NOS per i quali φ ha il valore dato.
Al-Bīrūnī era visibilmente soddisfatto della sua costruzione, tanto da dedurne espressioni per il calcolo dei raggi e la localizzazione dei centri delle curve di coordinate. Aveva buone ragioni per essere soddisfatto: la distorsione è debole nella parte centrale della carta e le distanze radiali sono molto ben conservate attorno. La regione del più grande stiramento si situa nella periferia. Poiché questa costruzione assomiglia alla proiezione stereografica, essa è quasi conforme.
Ci si è domandati come al-Bīrūnī sia arrivato a pensare quest'ultimo sistema. Secondo John L. Berggren (1982), posto il reticolato di coordinate composte da archi di cerchio divisi regolarmente, questo sarebbe un'estensione all'emisfero del secondo sistema di Tolomeo. È più probabile, considerato che al-Bīrūnī forse non conosceva le carte di Tolomeo, che si tratti di un sistema assai vicino al metodo dell'equidistanza azimutale, avente per centro un punto dell'equatore e che rappresenti un solo emisfero. In questo caso particolare, i meridiani hanno come proiezioni delle curve regolari simmetriche, passanti ciascuna per i due poli e per una delle graduazioni regolarmente spaziate sulla proiezione rettilinea dell'equatore. I paralleli delle latitudini hanno come proiezioni delle curve regolari, passanti ciascuna per i due punti della circonferenza e per il punto del diametro verticale e per cui φ ha un valore dato. Queste curve non sono cerchi, sebbene gli somiglino molto, e al-Bīrūnī le disegna come tali. Si possono rappresentare in sovrapposizione i reticolati di coordinate dell'equidistanza azimutale e della proiezione globulare, e si vede che essi sono molto simili.
Non si conosce nessuna applicazione orientale della proiezione globulare. Essa riapparve in Europa, indipendentemente da al-Bīrūnī, dopo un lasso di tempo di dieci secoli. Nel 1660, un siciliano, Giambattista Nicolosi, ne pubblicò due esempi: uno era la rappresentazione dell'emisfero est, l'altro dell'emisfero ovest. Un'altra applicazione apparve a Parigi nel 1676 e altre seguirono ancora.
Nel 1701, lo scienziato francese Philippe de la Hire descrisse un sistema di cartografia in prospettiva di sua invenzione in cui alcune delle curve di coordinate erano ellittiche, ma il reticolato delle coordinate che ne risultava era molto simile a quello della proiezione globulare.
Il cartografo inglese Aaron Arrowsmith pubblicò nel 1794 una carta del mondo. Nelle note esplicative che l'accompagnano dice di aver scelto la proiezione di Philippe de la Hire perché era la migliore. In seguito descrive la costruzione di un reticolato di coordinate con gli archi di cerchio, esattamente nella stessa maniera di al-Bīrūnī. Non è il caso di dire che al-Bīrūnī avrebbe direttamente influenzato Arrowsmith, ma resta sbalorditivo che due uomini, uno nell'XI e l'altro nel XVIII sec., siano stati guidati dallo stesso motivo alla scelta della curva più semplice.
La proiezione stereografica equatoriale
In una proiezione stereografica, i punti di una sfera sono proiettati sul piano di un grande cerchio determinato a partire da uno dei suoi poli. La proiezione, così come la sua proprietà essenziale ‒ che i cerchi hanno per proiezione dei cerchi ‒, è stata scoperta molto presto, può darsi intorno al 150 a.C. La sua principale applicazione fu l'astrolabio standard in cui il punto di proiezione è il Polo Sud celeste.
Verso il 1050, comunque, l'andaluso al-Zarqālluh (Azarquiel) inventò un tipo di astrolabio chiamato al-ṣafīḥa (saphaea, in latino medievale), che utilizza la proiezione stereografica a partire da un punto dell'equatore. Questo strumento si diffuse in Europa e il suo tipo di proiezione venne adottato per le carte terrestri. Intorno alla fine del XVI sec., esso era diventato il sistema dominante utilizzato per rappresentare le carte del mondo. Questa proiezione è stata confusa con la proiezione globulare descritta sopra; ciò che consente di distinguerla è il fatto che, nelle carte stereografiche, la distanza fra le graduazioni dell'equatore aumenta leggermente verso il bordo della carta, mentre, al contrario, nel sistema globulare le distanze sono costanti.
La carta di al-Idrīsī
Il sovrano normanno Ruggero II di Sicilia annoverava la geografia fra i suoi numerosi interessi intellettuali. Egli incaricò il marocchino Abū ῾Abd Allāh Muḥammad al-Šarīf al-Idrīsī di lavorare alla compilazione di un atlante completo del mondo. Ruggero II sostenne il progetto con prodigalità e finanziò viaggi lontani i cui resoconti incrementarono le fonti scritte di cui disponeva al-Idrīsī. Dopo quindici anni di lavoro, nel 1154, l'opera era completata. Comprendeva una carta circolare del mondo, una carta rettangolare molto più grande, che descriveremo di seguito, e un testo in arabo (Tav. I).
La grande carta è composta di settanta fogli rettangolari che devono essere assemblati in sette rotoli di dieci fogli ciascuno. Il Nord, a differenza delle convenzioni moderne, è in basso. Vi si trovano molte centinaia d'elementi geografici e di città, ma il metodo impiegato per situarle sulla carta non è evidente; i bordi superiore e inferiore di ciascun foglio coincidono con i limiti superiore e inferiore di ciascuno dei sette 'climi' dell'Antichità classica. La definizione standard di queste zone sulla superficie della Terra dipende dall'astronomia. In linea di principio, il primo clima comincia sul parallelo della latitudine lungo il quale la durata massima del giorno è dodici ore e tre quarti; finisce laddove comincia il secondo clima, alla latitudine che gode di una durata massima del giorno di tredici ore e un quarto. La successione dei climi prosegue verso nord in questo modo, ogni limite corrisponde a un aumento di mezza ora della durata massima del giorno.
In conseguenza di questa definizione, la larghezza dei climi diminuisce quando ci si sposta verso nord. Tuttavia, sulla carta di al-Idrīsī, essi tendono ad avere una larghezza costante di 6°, come si può vedere su una scala parziale delle latitudini lungo il margine destro della carta. Tutto indica che al-Idrīsī non fosse un matematico molto avvertito e che ignorasse la trigonometria, ma che i suoi metodi, approssimativi però pratici, fossero molto adatti alla massa di dati, sovente contraddittori, di cui disponeva.
Nell'introduzione del suo testo indica dodici fonti di cui soltanto una, la Geografia di Tolomeo, è fondata su coordinate. La maggior parte dei geografi arabi, comunque, tendeva a presentare i propri dati in funzione dei climi, in maniera tale che al-Idrīsī avrebbe naturalmente collocato le località in modo adeguato all'interno dei loro propri climi senza preoccuparsi dei limiti precisi che li separavano. Una rapida ricerca mostra che in effetti i suoi errori non furono enormi.
Come per le longitudini, sulla carta non c'è nessuna traccia di una scala orizzontale. Abbiamo già visto le cause per cui nel Medioevo la determinazione delle longitudini fosse molto incerta; la sfiducia di al-Idrīsī al riguardo è dunque comprensibile. Se credeva (come all'epoca si riteneva comunemente) che la parte abitata del globo si estendesse su 180° di latitudine, allora ogni foglio doveva coprire 18°. Paragonando questo dato con la larghezza dei climi, si dimostra che la carta è del tipo di quella di Marino, poiché il grado di longitudine ha il valore di circa sei decimi del grado di latitudine. La distorsione è minima soltanto nel sesto e settimo clima. Dovunque, negli altri luoghi, le distanze est-ovest, paragonate con le distanze nord-sud, appaiono più corte di quanto dovrebbero essere.
Nella sua introduzione, al-Idrīsī menziona un "quadro di localizzazione" (lawḥ al-tarsīm) e una "scala di ferro". Forma e funzione di questi due elementi restano oscure. Le sue fonti, comunque, forniscono spesso le distanze fra le località. Un procedimento ragionevole sarebbe consistito nell'iniziare collocando le città abbastanza lontane in modo che le loro posizioni sembrassero incerte, poi nel completare i punti intermedi per mezzo di triangolazioni successive nel quadro di localizzazione, prima di trasferirle, eventualmente, sulla carta definitiva, incisa in origine su fogli d'argento.
Qualunque sia stato il metodo impiegato, il risultato fu il capolavoro della cartografia araba al quale ha attinto un'abbondante letteratura che comprende studi dedicati a singole regioni della carta, come le Isole Britanniche, la Scandinavia, la Germania, la Spagna, la Bulgaria, l'Africa e l'India.
La carta persiana a coordinate rettangolari
Esistono numerose copie di un'opera geografica scritta intorno al 1340 da Ḥamd Allāh al-Muṣṭawfī al-Qazwīnī, che include una carta di cui è stata pubblicata una riproduzione in facsimile. La carta copre la regione che si estende fra la Siria e il Kashmir da ovest a est e a partire dallo Yemen fino al Khwarizm da sud a nord. Il campo è suddiviso in rettangoli da famiglie di rette parallele ortogonali, distanti 1° l'una dall'altra. Centosettanta città sono riportate iscrivendone i nomi dentro il rettangolo corrispondente alle loro rispettive latitudini e longitudini. L'esame di circa dodici casi mostra che le loro coordinate coincidono, pressappoco in gradi interi, con quelle delle tavole geografiche degli zīǧ dei Persiani. Le caratteristiche geografiche sono assenti, a eccezione delle linee costiere.
La carta descritta è un esempio apprezzabile, ancorché primitivo, di un reticolo di coordinate, il solo di cui si disponga per la cartografia islamica del Medioevo. è un'applicazione delle indicazioni che compaiono nell'introduzione della carta di Suhrāb già menzionata. Un'altra carta del mondo, che figura anch'essa nel libro di al-Muṣṭawfī, rappresenta uno sforzo meno riuscito nella stessa direzione, ma è meglio discuterne contemporaneamente alla carta del mondo di Ḥāfiẓ-i Abrū (m. 1430), poiché si ha la netta impressione dell'influenza di al-Muṣṭawfī su quest'ultimo. Inoltre, dati gli errori dei copisti, è meglio trarre conclusioni a partire dal maggior numero possibile di manoscritti. Della carta del mondo di al-Muṣṭawfī sono state riprodotte due copie.
L'idea generale era quella di disegnare un reticolato quadrato di coordinate rettilinee, con longitudini comprese tra 0° e 180° e latitudini (secondo la terminologia moderna) che andavano da −90° a 90°. L'intervallo fra le linee era di 10° in al-Muṣṭawfī e di 5° in Ḥāfiẓ. Un cerchio era inscritto dentro il quadrato per rappresentare l'emisfero abitato. La carta propriamente detta si trovava all'interno, le regioni le cui coordinate cadevano negli angoli esclusi erano ignorate o semplicemente omesse. Al-Muṣṭawfī, saggiamente, evita di collocare le città, accontentandosi delle regioni; Ḥāfiẓ, invece, fornisce un buon numero di città, ma esse si trovano nella parte centrale della carta, in cui la distorsione è meno grave.
Giungere a una conclusione definitiva circa lo sviluppo della tradizione della geografia matematica araba è particolarmente difficile; infatti, ancor più che in altre discipline, molti documenti sono scomparsi e la loro eventuale riscoperta renderebbe probabilmente caduca e prematura qualsiasi affermazione. Quanto ai materiali che ci sono stati trasmessi e che sono stati analizzati in questo capitolo, si può comunque affermare che ci sono stati due scienziati che hanno contrassegnato questa storia: al-Bīrūnī, per l'aspetto matematico delle proiezioni, e al-Idrīsī per la cartografia pratica che sembra essere fondata, in parte, su basi empiriche.
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