La civilta islamica: antiche e nuove tradizioni in matematica. Il Libro V degli Elementi
Il Libro V degli Elementi. i commentari arabi sulla teoria delle proporzioni
La teoria delle proporzioni, adottata dai matematici per la misurazione delle grandezze da oltre duemila anni, è esposta nel Libro V degli Elementi di Euclide. Essa si applicava in generale a tutte le grandezze e si basava sulle prime definizioni del Libro V. Cinque di queste avevano un ruolo preminente. La def. III afferma che un "rapporto" (o ragione) fra due grandezze omogenee è "una certa relazione rispetto alla dimensione". La def. IIIa, oggi considerata un'interpolazione, afferma che "proporzione" è l'uguaglianza dei rapporti. Il testo della def. V, relativa proprio all'uguaglianza di rapporti, è il seguente: "Si dice che [quattro] grandezze sono nello stesso rapporto, una prima rispetto a una seconda e una terza rispetto a una quarta, quando risulti che, presi equimultipli qualsiasi della prima e della terza ed equimultipli qualsiasi della seconda e della quarta, i primi tra tali equimultipli sono o tutti e due maggiori, o tutti e due uguali o tutti e due minori rispetto ai secondi, ciascuno considerato nel rispettivo ordine". La def. VI stabilisce quindi che grandezze che hanno lo stesso rapporto si chiamino "proporzionali". Infine, la def. VII che introduce l'idea di "rapporto maggiore", afferma quanto segue: "Quando, tra gli equimultipli, il multiplo della prima grandezza è maggiore del multiplo della seconda, ma il multiplo della terza non è maggiore del multiplo della quarta, si dice allora che la prima grandezza ha, rispetto alla seconda, rapporto maggiore di quello che la terza ha rispetto alla quarta".
Occorre osservare che il significato dell'espressione "una certa relazione rispetto alla dimensione" della def. III non è mai spiegato negli Elementi, e ciò pone un problema d'interpretazione per questa definizione. La def. V era la pietra miliare della teoria delle proporzioni, perché si applicava a tutte le grandezze, a differenza delle altre definizioni di proporzionalità che si trovano nel Libro VII e che si applicavano soltanto a numeri e a grandezze commensurabili, come nel caso della def. XX: "[Quattro] numeri sono in proporzione quando, a seconda che il primo sia multiplo, sottomultiplo, o una frazione qualunque del secondo numero, corrispondentemente il terzo sia lo stesso multiplo, o lo stesso sottomultiplo, o la stessa frazione del quarto" (Elementa, Libro VII). La def. V del Libro V poneva però qualche problema. Prima di tutto, non sembrava affatto ovvio che il confronto tra multipli di grandezze avesse una relazione con il concetto di proporzionalità. Inoltre, Euclide non dava indicazioni su come la definizione fosse stata concepita o stabilita, e gli Elementi stessi non contenevano alcuna informazione che aiutasse a chiarirne il reale significato. Infine, questa definizione caratterizzava soltanto l'uguaglianza di due proporzioni, e quindi non permetteva di concepire un rapporto in sé.
Nessun commento greco della def. V del Libro V degli Elementi ci è pervenuto; la situazione è però diversa per quanto riguarda la matematica araba. Questa definizione suggerì infatti numerosi commenti ai matematici arabi: essi cercarono di giustificarla con una dimostrazione, o di sostituirla con una definizione dell'uguaglianza di rapporti basata sull'applicazione, a due grandezze omogenee, del procedimento noto come 'antiaferesi' (una parola greca che significa 'sottrazione alternata'), o anche come 'algoritmo di Euclide'. Date due grandezze diverse, l'antiaferesi consiste nella sottrazione della grandezza più piccola dalla più grande un certo numero di volte finché non si arriva a un resto inferiore alla grandezza più piccola; si sottrae poi il resto dalla più piccola un certo numero di volte finché non si arriva a un secondo resto, più piccolo del primo, e si prosegue allo stesso modo con tutte le coppie di resti. La successione di numeri così ottenuta si può considerare come una 'caratteristica' del rapporto delle due grandezze date. Se ora il rapporto di altre due grandezze è caratterizzato dalla stessa successione di numeri, le quattro grandezze si dicono proporzionali, o aventi lo stesso rapporto.
Il primo trattato sulla teoria delle proporzioni che ci è pervenuto è Ziyādāt fī 'l-maqāla al-ḫāmisa min kitāb Uqlīdis (Aggiunte al Libro V dell'opera di Euclide) di al-῾Abbās ibn Sa῾īd al-ǧawharī (attivo nell'830 ca.). È un trattato molto breve, che contiene soltanto tre proposizioni elementari per mezzo delle quali l'autore intende dimostrare le deff. V e VII del Libro V degli Elementi. Al-ǧawharī, pur non menzionando esplicitamente le premesse del suo ragionamento, sembra basarsi su un concetto intuitivo di rapporto, e non su una diversa definizione di proporzionalità. Egli suppone infatti, nella dimostrazione della prima proposizione, che se quattro grandezze A, B, C e D sono proporzionali, allora A non può essere maggiore, uguale o minore di B se corrispondentemente C non è maggiore, uguale o minore di D. Ne deduce, anche se con un procedimento secondo noi errato, che se si prendono equimultipli E e G rispettivamente di A e C, allora E non sarà maggiore, uguale o minore di B, a meno che G non sia a sua volta maggiore, uguale o minore di D. Deduce poi, ma ancora erroneamente, che se si prendono equimultipli F e H di B e D rispettivamente, allora E non sarà maggiore, uguale o minore di F a meno che G non sia, corrispondentemente, maggiore, uguale o minore di H. Di conseguenza, se quattro grandezze sono proporzionali, esse soddisfano la condizione della def. V.
Nella seconda proposizione egli dimostra nello stesso modo che se il rapporto tra A e B non è come quello di C e D, allora gli equimultipli di A e B e quelli di C e D non possono soddisfare la condizione espressa nella def. V. Ne segue il reciproco della prima proposizione, e la def. V è 'dimostrata'. Nella terza e ultima proposizione egli dimostra come prima che se quattro grandezze A, B, C e D soddisfano la condizione espressa nella def. VII, allora il rapporto tra A e B sarà maggiore del rapporto tra C e D, basandosi anche qui su una nozione intuitiva di rapporto maggiore. È difficile stabilire quale fosse l'intenzione di al-ǧawharī; crediamo tuttavia che questo suo contributo debba essere considerato come un tentativo rudimentale di rendere le due definizioni più accettabili, e non come un tentativo di darne una dimostrazione rigorosa.
Il secondo commento del quale abbiamo notizia e che prende in considerazione i concetti di rapporto e di proporzionalità è la Risāla fī 'l-muškil min amr al-nisba (Epistola sulla difficoltà riguardo al rapporto), scritta da Abū ῾Abd Allāh Muḥammad ibn ῾īsā al-Māhānī (attivo nell'860 ca., m. 880 ca.). Questo autore dimostra le deff. V e VII in accordo con quanto prescrive ṯĀbit ibn Qurra (826-901), cioè considerando il rapporto in senso numerico. Per al-Māhānī, il rapporto tra due grandezze omogenee è la condizione in cui ciascuna di esse si trova quando è misurata dall'altra, ed egli spiega che ciò si verifica secondo tre modalità: o la più piccola misura la più grande senza resto, e la minore è 'parte' della maggiore; oppure il procedimento di antiaferesi termina, e la minore sarà 'più parti' della maggiore; o infine il procedimento non termina, nel qual caso le due grandezze sono 'incommensurabili'. Quattro grandezze saranno allora proporzionali, cioè il rapporto della prima alla seconda sarà come quello della terza alla quarta, se la condizione della prima quando è misurata dalla seconda è come quella della terza quando è misurata dalla quarta. Conformemente a ciò, due rapporti saranno lo stesso rapporto se sono caratterizzati dalla stessa successione di numeri dati dal procedimento di antiaferesi. Egli formula poi una definizione di rapporto maggiore basata anch'essa sull'antiaferesi.
Con queste premesse, al-Māhānī dimostra che la proporzionalità come egli l'intende è equivalente a quella di Euclide. Dimostra intanto che, se quattro grandezze soddisfano la condizione della def. V, esse saranno proporzionali secondo la corrispondente definizione basata sull'antiaferesi. Ora, siccome l'antiaferesi può comprendere un numero infinito di passi, egli aggira il problema come segue. Dimostra che poiché queste grandezze soddisfano la condizione della def. V, il primo passo dell'antiaferesi sarà lo stesso per ognuna delle due coppie di grandezze. Dimostra poi che restano altre quattro grandezze, che soddisfano anch'esse la condizione della def. V. Di conseguenza, il procedimento di antiaferesi sarà lo stesso anche nel secondo passo e in tutti i passi successivi. Le grandezze saranno pertanto proporzionali secondo la definizione basata sull'antiaferesi.
Nella seconda proposizione, egli dimostra che, se quattro grandezze soddisfano la condizione della def. VII, il rapporto della prima alla seconda sarà maggiore del rapporto della terza alla quarta secondo la sua definizione di rapporto maggiore. Questa dimostrazione, la più difficile e la più sottile del trattato, procede come segue. Applica l'antiaferesi alle due coppie di grandezze, dimostrando poi che siccome queste grandezze ottenute soddisfano la condizione della def. VII, allora o i quattro resti soddisfano una delle condizioni menzionate nella sua definizione di rapporto maggiore, oppure soddisfano la condizione della def. VII, ma con equimultipli tali che il numero di almeno uno di essi diminuisce. Ne segue che ogniqualvolta si applica il procedimento di antiaferesi si ha un intero positivo più piccolo. Si ottiene così una successione decrescente di numeri interi positivi. Questo procedimento deve quindi necessariamente terminare, con un passo nel quale i quattro resti soddisfano una delle condizioni espresse nella definizione di rapporto maggiore. Dimostra poi, per assurdo, il reciproco delle proposizioni precedenti. Con queste tre proposizioni al-Māhānī dimostra così che la sua nozione di uguaglianza di rapporti e di rapporto maggiore è effettivamente equivalente a quella di Euclide.
Anche Abū 'l-῾Abbās al-Faḍl ibn Hātim al Nayrīzī (attivo nell'897 ca., m. 922 ca.) interpreta i concetti di rapporto e di proporzionalità secondo l'antiaferesi. Egli considera che il rapporto tra due grandezze esprime la condizione di una di esse quando è misurata dall'altra ed è caratterizzato dall'esito del procedimento di antiaferesi: se questo termina, le due grandezze sono 'commensurabili', nel qual caso le grandezze o sono 'uguali', oppure la più piccola è 'parte' o 'più parti' della più grande; se non termina le due grandezze sono 'incommensurabili'. Considera proporzionali quattro grandezze se tra la prima e la seconda e tra la terza e la quarta si verifica la stessa situazione, vale a dire, due rapporti sono identici se il procedimento di antiaferesi si sviluppa nello stesso modo. Formula anche una definizione di rapporto maggiore di un altro basata sull'antiaferesi, che però è errata. Tuttavia, contrariamente al suo predecessore al-Māhānī, al-Nayrīzī pensa che la def. V non richieda una dimostrazione perché fa parte dei principî del Libro V degli Elementi, e quindi non cerca di stabilire un legame tra la definizione di Euclide e quella di proporzionalità basata sull'antiaferesi.
Anche Ibn al-Hayṯam, nello Šarḥ muṣādarāt kitāb Uqlīdis fī 'l-Uṣūl (Commento ai postulati dell'opera di Euclide sugli Elementi) commenta le definizioni del Libro V. Interpreta il rapporto tra due grandezze come un confronto tra la quantità di una di esse e la quantità dell'altra. Per quanto riguarda le grandezze proporzionali, considera la def. V vera ma non ovvia. Egli considera quindi le deff. V e VII come proposizioni intercambiabili che andrebbero dimostrate. A tale scopo, egli distingue due casi, numerico e non numerico. In primo luogo, suppone che le quattro grandezze siano proporzionali e che il rapporto tra la prima e la seconda sia numerico; allora anche il rapporto tra la terza e la quarta sarà numerico, e si otterrà il medesimo valore. Ciò equivale a dire che le quattro grandezze sono proporzionali secondo la def. XX del Libro VII degli Elementi. A partire da questo punto è in grado di dimostrare che le quattro grandezze soddisfano la condizione della def. V. Nel caso non numerico, egli ammette tre premesse: (a) se quattro grandezze sono proporzionali, la prima sarà parte della seconda come la terza lo è della quarta; (b) una grandezza si può dividere per due infinite volte; (c) date due grandezze diverse, se si moltiplica la più piccola un opportuno numero naturale, essa supererà la più grande. Queste premesse gli permettono di ridurre il caso non numerico a quello numerico. Non sembra che Ibn al-Hayṯam abbia studiato il legame tra la def. V e la corrispondente definizione secondo l'antiaferesi, né che abbia definito la proporzionalità mediante l'antiaferesi.
Nella Risāla fī šarḥ mā aškala min muṣādarāt kitāb Uqlīdis (Epistola sul commento alle difficoltà di alcuni postulati di Euclide), ῾Umar al-ḫayyām (1048-1131) si propone di chiarire quelli che considera i passi più difficili degli Elementi. Nel Libro II del suo commento tratta a fondo i concetti di rapporto e di proporzionalità tra grandezze. Pensa che il problema non sia mai stato affrontato in modo soddisfacente da un punto di vista filosofico, e si propone di porre rimedio a questa situazione. Due elementi entrano per al-ḫayyām nella nozione di rapporto tra grandezze: la 'relazione' tra queste grandezze per quanto riguarda l'uguaglianza e la disuguaglianza e la 'grandezza', o 'dimensione', di questo rapporto, che egli considera essere un numero. La sua interpretazione della relazione tra due grandezze è essenzialmente la stessa di alcuni suoi predecessori, e cioè che due grandezze o sono uguali, o la più piccola è parte o più parti della più grande, o infine la relazione è definita dal procedimento dell'antiaferesi. Ne segue che due rapporti saranno identici se il procedimento di antiaferesi a essi applicato dà la stessa successione di numeri. Anche la nozione di rapporto maggiore è definita in termini di antiaferesi. Dimostra poi che le definizioni secondo l'antiaferesi di uguaglianza di rapporti e di rapporto maggiore sono equivalenti alle corrispondenti definizioni degli Elementi, ossia le deff. V e VII del Libro V, e pertanto tutte le proposizioni già dimostrate nel quadro della 'teoria euclidea delle proporzioni' rimangono valide nella 'teoria delle proporzioni basata sull'antiaferesi'.
Nella Maqāla fī šarḥ al nisba (Commento sulla Ratio) Abū ῾Abd Allāh Muḥammad ibn Mu῾āḏ al-ǧayyānī (attivo nel 1080 ca.) si propone di giustificare le deff. V e VII illustrando quello che considera il pensiero di Euclide. Il suo ragionamento poggia sulla seguente premessa: se quattro grandezze sono proporzionali, sarà impossibile che la prima contenga più parti della seconda, o meno, di quante la terza ne contenga della quarta. Per esempio, quattro grandezze non possono essere proporzionali se la prima è maggiore dei due terzi della seconda mentre la terza è uguale ai due terzi della quarta. Considera questa premessa così evidente da non avere bisogno di giustificazioni. Ne deduce un'altra definizione di grandezze proporzionali che fa intervenire parti invece di equimultipli. Questa definizione, che al-ǧayyānī considera come una proposizione invertibile, è una generalizzazione della def. XX del Libro VII applicabile a tutte le grandezze. Dimostra poi che la sua definizione è equivalente alla V del Libro V di Euclide e giustifica allo stesso modo anche la def. VII.
Anche Naṣīr al-Dīn al-ṭūsī (1201-1274) commenta le prime definizioni del Libro VII nel Taḥrīr al-Uṣūl li-Uqlīdis (Redazione degli Elementi di Euclide). Nella versione ampliata dell'originale, generalmente attribuita a uno Pseudo-ṭūsī, il rapporto tra due grandezze omogenee esprime la misura di una di esse mediante l'altra. Spiega che questa misura ha luogo secondo quattro modalità: o la prima grandezza misura la seconda una volta senza resto, e allora le due grandezze sono 'uguali'; oppure la minore misura la maggiore più volte senza resto, e allora la più piccola è 'parte' della più grande; oppure il procedimento di antiaferesi termina, e allora la minore è 'più parti' della maggiore; o infine il procedimento di antiaferesi non termina, e le due grandezze sono 'incommensurabili'. L'autore spiega anche che se una grandezza presa più volte supera un'altra, anch'essa presa più volte, allora le due grandezze sono omogenee perché in tal caso si misurano necessariamente l'un l'altra e il rapporto tra le due seguirà una delle quattro modalità. Viceversa, se due grandezze sono omogenee esse avranno un rapporto secondo una delle quattro modalità precedenti. Interpreta poi la proporzionalità come similitudine di rapporti. Riguardo alle deff. V e VII, al-ṭūsī le 'dimostra' esattamente come al-ǧawharī, riproducendo in quest'opera le medesime tre proposizioni del breve trattato di al-ǧawharī prima considerato.
Da questa rassegna emerge che per tutti i matematici arabi che abbiamo preso in considerazione le deff. V e VII del Libro V non sono definizioni, ma piuttosto implicazioni reciproche. Essi considerano cioè il definiendum come implicante il definiens, e viceversa. Un altro aspetto interessante è che alcuni matematici arabi sostituiscono deliberatamente alla def. V l'uguaglianza dei rapporti secondo l'antiaferesi. Ci si può chiedere il motivo di questa sostituzione; noi pensiamo che sia dovuta agli interessi specifici che questi matematici coltivavano e ai problemi che dovevano affrontare. Essi cercavano di considerare le grandezze geometriche come numeri, in particolare per poter applicare a queste le operazioni aritmetiche fondamentali. A tale scopo, fissata una grandezza arbitraria come unità, si considera il rapporto tra una grandezza e questa unità come un numero; ciò presuppone, ovviamente, che il concetto di rapporto sia stato caratterizzato per sé. La definizione basata sull'antiaferesi, diversamente dalla def. V, permette precisamente che ogni rapporto coinvolto in una proporzione sia caratterizzato autonomamente. Pensiamo quindi che la definizione di uguaglianza di rapporti basata sull'antiaferesi corrisponda alla tendenza, specifica della matematica araba, a considerare tutte le grandezze geometriche, razionali o irrazionali, come numeri.
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