La chute de la maison Usher
(Francia 1928, colorato, 65m a 17 fps); regia: Jean Epstein; produzione: Les Films Jean Epstein; soggetto: da alcuni racconti di Edgar A. Poe; aiuto regia: Luis Buñuel; fotografia: Georges Lucas; assistente: Jean Lucas; operatore ralenti: Hébert; scenografia: Pierre Kéfer.
Un visitatore si reca presso la casa degli Usher, un castello avvolto dalla nebbia e che la leggenda vuole maledetto, a trovare il suo amico Roderick Usher che vive lì con la moglie Madeline. Roderick lavora ossessivamente a un ritratto della donna, afflitta da una misteriosa malattia legata al ritratto stesso. Il quadro sembra assorbire le sue forze vitali e a ogni seduta ella appare più debole, fino a cadere senza vita ai piedi del ritratto. Roderick è straziato dalla morte della moglie e cerca di impedire la chiusura della bara e la sepoltura. Ossessionato dall'idea che la moglie possa essere stata sepolta viva, si dedica a letture sui misteri esoterici del magnetismo. In una notte di tempesta, in cui la casa sembra animata da forze misteriose, Madeline riappare. Il castello prende fuoco e arde alimentato dal vento mentre Roderick e Madeline fuggono insieme e riescono a porsi in salvo. Davanti agli occhi del visitatore, la casa si dissolve tra le fiamme e lascia il posto a un cielo stellato che disegna un gigantesco Albero della Vita.
Quando Jean Epstein realizzò La chute de la maison Usher era già un maestro riconosciuto dell'avanguardia francese degli anni Venti. I suoi film precedenti, dall'esordio con Pasteur (1922) a Cœur fidèle (1923) fino a La glace à trois faces (1927), avevano contribuito, così come i suoi scritti, a renderlo uno dei personaggi più significativi e influenti del periodo. Tuttavia il film, pur realizzato nel periodo della raggiunta maturità della sperimentazione francese, non appare come una sintesi, quanto piuttosto come un tentativo di oltrepassare i limiti dello sperimentalismo stesso. La storia è nota, ed è tratta dall'omonimo racconto di Poe. Ma La chute de la maison Usher non può essere considerato l'adattamento di un singolo testo letterario: per Epstein rappresenta il tentativo di restituire attraverso il film delle impressioni intorno all'opera di Poe nel suo complesso, in una sorta di 'variazioni sul tema'. I riferimenti, oltre che al racconto del titolo, vanno infatti anche a The Oval Portrait, a Ligeia, Morella, The Man of the Crowd. Inoltre, rispetto alla sua fonte letteraria, la versione cinematografica comporta alcune significative modifiche, tra le quali la rinuncia alla narrazione in prima persona e il differente finale, che vede salvi Roderick e Madeline. La struttura narrativa è apparentemente semplice: se si esclude il breve prologo, essa si svolge completamente nell'intervallo che passa tra la prima apparizione del castello e il suo crollo. La progressione è assolutamente canonica e comporta una serie di passaggi che investono la relazione vita-morte: dalla vita alla non-vita con l'arrivo dell'amico al castello, dalla non-vita alla morte con la morte di Madeline, dalla morte alla non-morte con la sepoltura di Madeline e l'ossessione di Roderick che la pensa sepolta viva, dalla non-morte alla vita con la resurrezione di Madeline e il finale salvifico. Questo tipo di struttura narrativa, apparentemente non lontana dai canoni del gotico, unita ad alcuni elementi figurativi e stilistici, ha finito per accreditare una tradizione critica che vorrebbe il film debitore dell'espressionismo tedesco, esempio di cinema horror o gotico, se non addirittura influenzato da reminiscenze della cultura centroeuropea, attribuite all'origine polacca di Epstein.
In realtà tali interpretazioni appaiono decisamente fuorvianti e a ben vedere non trovano motivazioni forti nel film. I canoni gotici della narrazione vengono sfruttati come puro meccanismo, come congegno a orologeria non dissimile dal pendolo che vediamo oscillare nella galleria del castello. Non c'è nel film alcuna contrapposizione tra la vita e la morte, nessuna lotta tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male. La vita non è migliore della morte o la morte peggiore della vita, sono entrambi termini di un unico processo, privi di ulteriori investimenti. Non sono affatto il risultato di forze oscure o nascoste che muovono la superficie delle cose: la storia, il film, è solo quello che si vede, e il motore di tutto sembra essere un puro automatismo, che non ha causa né ragione. A ben vedere, vita e morte sono soltanto specificazioni ulteriori della vita stessa.
Si può sostenere per certi versi che La chute de la maison Usher risponde all'esigenza di realizzare un film 'astratto', in cui la struttura formale, esaltata dall'uso sistematico del ralenti, si libera dalle limitazioni dello psicologismo narrativo, alla ricerca di un cinema 'puro' realizzato però non con i materiali della pittura (come accade nell'astrattismo cinematografico tedesco), che danno luogo a un cinema 'caleidoscopio' stigmatizzato da Epstein, ma con i materiali propri del cinema, le immagini fotogeniche. Il film è dunque un esempio concreto di cinema puro, in cui i personaggi e la narrazione, più che vivere di vita propria, hanno la funzione, come in una grande macchina cinetica, di tracciare le linee di forza, i percorsi geometrici di un movimento complessivo che è l'immagine di un tutto esorbitante le sue parti, eccessivo, incommensurabile con la narrazione. A questo aspetto simultaneista, che racchiude il film in un'unica, enorme immagine astratta e spirituale, corrisponde il grande movimento pendolare dell'energia vitale, che è il primus movens della distruzione della casa Usher: e in realtà non propriamente di una distruzione si tratta, quanto piuttosto di una trasformazione energetica, dalla sua forma attuale, il castello brumoso che domina le vite dei singoli, alla sua forma potenziale, lo smisurato Albero della Vita. Questa è la via attraverso cui Epstein trova una sintesi, o meglio un'equivalenza, tra il vitalismo della tradizione francese e il macchinismo modernista e di derivazione futurista. Le mutate condizioni storiche, di cui il passaggio al sonoro è solo uno degli aspetti, resero impossibile per Epstein, dopo La chute de la maison Usher, proseguire sulla stessa strada: quello che era stato un tentativo di cambiare il volto del cinema divenne consapevole marginalità, poetica d'autore, sia pure senza compromettere una straordinaria volontà di sperimentazione i cui risultati, da Mor Vran (1931) a Le tempestaire (1947), non possono certo considerarsi minori.
Interpreti e personaggi: Jean Debucourt (Roderick Usher), Marguerite Gance (Madeline Usher), Charles Lamy (il visitatore), Fournez-Goffard (dottore), Luc Dartagnan, Pierre Hot, Halma.
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 313-314, octobre 1983.