La Chiesa di Roma e il potere temporale dei papi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Chiesa inizia a gestire lasciti e oblazioni che costituiscono ben presto un ingente patrimonio, amministrato dai vescovi. Il Patrimonium Petri viene utilizzato per opere caritative, ma anche per surrogare interventi statali sempre meno incisivi o addirittura assenti, specie durante le migrazioni barbariche. Il processo sfocia nella creazione di uno “Stato pontificio” con una notevole consistenza territoriale e potere politico sempre crescente.
La locuzione “potere temporale”, cui oggi è quasi sempre associato un giudizio morale severo, in quanto essa evoca la defezione della Chiesa dalla vocazione pauperistica e dai doveri evangelici, e la contaminante contiguità coi valori della civitas terrena, ha assunto storicamente valori semantici e contenuti politici assai sfumati. Nell’inaugurare la cosiddetta “età della Chiesa imperiale”, cioè il secolo in cui l’ormai vincente comunità religiosa dei cristiani si dispone a negoziare i propri valori per integrarsi negli apparati del potere e orientarne le scelte, Costantino concede alle ormai compattate gerarchie ecclesiastiche una serie di privilegi che costituiranno l’ossatura del potere esercitato in seguito, nonché un’autorevole legittimazione del medesimo.
La vacatio muneris publici, cioè l’esenzione dalle funzioni decurionali (vedi Codex Theodosianus, XII, 1,163), il diritto a incamerare bona testamentari, la giurisdizione civile dei vescovi, concorrenziale rispetto a quella magistratuale (vedi Ammiano Marcellino, Res Gestae, XXX-XXXXI, dove si denuncia l’ignoranza dei causidici e si invoca l’intervento imperiale nella revisione delle fasi processuali e nella selezione dei testi legislativi), costituiscono altrettanti puntelli all’attività sociale e politica della Chiesa. I vescovi, eminenti nell’apparato ecclesiastico, spesso eletti dal popolo e provenienti per lo più dai ranghi del senato (Occidente) o dalla nobiltà periferica (Oriente), gestiscono ingenti patrimoni. A partire dal III secolo le chiese cittadine si attribuiscono il diritto di acquisire beni immobili e i cospicui lasciti dei convertiti. Cipriano elabora la formula della Cathedra Petri, istituzionalizzando, per così dire, l’attività assistenziale e caritativa svolta dalla Chiesa su territori devastati dalla crisi economica e dalle migrazioni barbariche.
Papa Damaso, additato da Teodosio I nell’editto di Tessalonica del 380 come depositario del credo ortodosso, è il primo ad attuare una “politica pontificia”, a mediare tra poteri e a svolgere attività diplomatica. La decadenza delle scuole fa dei vescovi i più validi detentori della cultura greco-romana, i cui valori giuridici e teoretici vengono trasmessi ai barbari. Dove l’interazione tra vescovi e nuovi dominatori si realizza pacificamente e durevolmente, i regna occidentali prosperano, come nel caso dei Visigoti e dei Franchi – Clodoveo si converte dal paganesimo; gli altri barbari, invece, fanno del loro arianesimo un contrassegno identitario –; dove tale fusione non si determina, il regnum entra in crisi (Goti, Vandali, Longobardi). In verità, nel caso italiano, è anche la vocazione (e la pretesa) universalistica di Roma che impedisce all’Italia di costituirsi come “nazione romano-germanica”.
Nel VI secolo, durante il regno di Teodorico educato in gremio civilitatis (Ennodio, Panegirico 11, in M.G.H. A.A. 7, cur. F. Vogel,1961 2, p. 210) cioè a Bisanzio, dove aveva trascorso l’adolescenza come ostaggio, e quindi pieno di reverentia nei confronti dell’aristocrazia e dei vescovi, si verifica un episodio dai dolorosi strascichi, il cosiddetto scisma laurenziano che lascia trasparire tutte le contraddizioni della Chiesa romana, impegnata anche in un serrato confronto dottrinale e politico con Bisanzio.
Nel 498, Simmaco, candidato dell’aristocrazia cattolica e Lorenzo, candidato filobizantino dell’aristocrazia “laica” romana, vengono eletti simultaneamente. Teodorico rimane neutrale ed evita ingerenze. Violenti scontri, però, turbano l’ordine pubblico fino al 506, quando l’ennesimo concilio stabilisce che Simmaco – che gli avversari volevano processare per indegnità con inusitata procedura – debba essere considerato il papa legittimo.
Dietro le pretese dei sostenitori di Lorenzo si agitavano molte questioni, tra le quali vanno annoverate l’espulsione dei Goti da parte di Bisanzio, da molti auspicata, e la soppressione dell’autonomia dei vescovi nella gestione del patrimonio ecclesiastico, costituito da beni immobili per lo più appartenenti a nobili che volevano scongiurarne l’alienazione o la riconversione. Durante lo scisma vengono diffusi libelli apocrifi, allo scopo di riportare all’età costantiniana i fondamenti delle rispettive rivendicazioni. Tra questi, figura il Constitutum Silvestri, un falso che fornirà la base al più famoso Constitutum Constantini.
Gregorio Magno è il papa che, sotto la pressione dei Longobardi, crea un vero e proprio “Stato pontificio”, su cui i successori eserciteranno naturaliter la sovranità.
Lo stato di emergenza indotto dagli assedi, le stragi e le spoliazioni, unitamente all’impotenza dell’esarca, rappresentante di Bisanzio nell’Italia riconquistata da Giustiniano ma non governata, forzano il papa a surrogare il potere statale, a svolgere funzioni amministrative, a negoziare per gli approvvigionamenti, trasformando la sede vescovile romana in un’entità politica pleno iure. Nel 595 Gregorio patteggia a nome dell’imperatore la ritirata del duca Ariulfo, che minaccia Roma e Ravenna, offrendogli una forte somma e mostrando, così, all’esarca, quale tattica adottare per stornare la minaccia di saccheggi ulteriori.
Il Patrimonium Petri, durante il suo pontificato, diventa fonte di sostentamento unica per Roma e i territori circostanti. Gregorio riceve e controlla i conti dai conductores dei vasti fondi siciliani, campani e calabresi dell’ecclesia; escogita strategie per aumentare la produttività e finanziare opere di assistenza, restauro ed evangelizzazione. Teologo e pensatore scaltrito, nonostante le aspirazioni eremitiche, egli serve la sua Chiesa a livello materiale, dottrinale e disciplinare. La sua azione non è solo reattiva rispetto al cesaropapismo bizantino: egli immette i barbari nel disegno provvidenziale della storia e si dispone, perciò, ad iniziarli alla fede. Teodolinda, moglie dei sovrani Autari e Agilulfo, si converte nel 603, battezzando il figlio Adaloaldo, ma sul trono si susseguiranno ancora sovrani ariani e persecutori.
Liutprando tenta la fusione tra Longobardi e Romani e porta a termine il processo di conversione dei primi. Approfittando del clima di tensione determinato dalla lotta iconoclasta, avanza nei territori italici dell’Esarcato e della Pentapoli bizantina. Alle porte di Roma viene affrontato da Gregorio II, che lo induce a restituire le terre.
Il castello di Sutri, in quella circostanza (728) viene però donato ai “beati Pietro e Paolo” cioè alla Chiesa, costituendo il primo nucleo dello Stato pontificio e la base concreta del “potere temporale” dei papi. In realtà le donazioni erano già state numerose in precedenza; il rilievo che si conferisce a quella di Sutri è dovuto al fatto che ad essa si accompagna il riconoscimento politico del diritto papale all’amministrazione di un territorio. Non maturano, tuttavia, le condizioni perché nasca un regno a carattere nazionale, a motivo della “universalità” della missione della Roma cristiana, renitente a circoscrivere la propria azione al solo territorio italico.
L’ecumenicità del ruolo di Roma come caput ecclesiae è il principale motivo dell’intervento dei Franchi in Italia, sollecitato prima da papa Stefano II contro Astolfo e poi da papa Adriano I contro Desiderio. I Franchi non erano certo più devoti dei Longobardi, per cui la richiesta di aiuto dei papi si configura come atto squisitamente politico-strategico, in vista della preservazione ovvero dell’affermazione dell’egemonia della Cathedra Petri. Pipino, figlio di Carlo Martello e suo successore, si fa ungere dal santo missionario Bonifacio, che avrebbe trovato il martirio presso i Frisoni, e da papa Zaccaria, rimettendo a loro, ufficialmente, l’elezione del sovrano franco.
Con tale gesto simbolico, egli si candida a divenire il braccio secolare della Chiesa, ottenendone in cambio l’investitura come monarca per diritto divino. Il papa Stefano II, poi, unge anche Carlomanno e Carlo Magno, figli di Pipino, nello stesso incontro in cui viene richiesto l’aiuto militare contro i Longobardi.
Si dice che Pipino si sia impegnato a consegnare al papa le terre a sud della linea Luni-Monselice; pare, poi, che in quella contingenza sia stato redatto anche il celebre Constitutum Constantini, che fa risalire la donazione di Sutri a Costantino il Grande, per evitare che si eccepisse al papa l’accettazione di un territorio da parte degli stessi barbari che cercava di debellare. L’inautenticità del documento sarà poi svelata e dimostrata dal grande umanista e filologo Lorenzo Valla, a partire da una rigorosa analisi linguistico-stilistica. Dopo la sconfitta di Astolfo, con l’ascesa al trono di Desiderio, ossequente e incline al dialogo, la situazione sembra stabilizzarsi. Carlo sposa la figlia del re longobardo, ma la ripudia alla morte del fratello Carlomanno, sposo dell’altra figlia del re, che viene rimandata in Italia con i figli.
In seguito all’attacco sferrato da Desiderio, Adriano I invoca l’intervento di Carlo, che, sconfitto il Longobardo, colonizza il territorio con la sua aristocrazia ed “esporta” in Italia quei rapporti vassallatico-beneficiari che, in concorso con la concezione allodiale del potere (divisibilità e frazionamento delle competenze e attribuzioni), danno origine a quello che si definisce comunemente come sistema feudale.
Monaci e vescovi colti indottrinano Carlo e lo proiettano nella dimensione universalistica del potere romano.
Nell’anno 800, il discusso papa Leone III incorona Carlo Magno imperatore dei Romani, sancendo la nascita del Sacro Romano Impero.
La Chiesa, dunque, si conferma unica fonte legittimante dei poteri ecumenici. Nei decenni successivi, le funzioni civili svolte dai vescovi verranno a comprometterne la missione, e l’osmosi funzionale dei compiti, garantita dal carisma di Carlo e dalle sue lungimiranti politiche culturali, volte a istruire ed educare vescovi e funzionari, si tradurrà in feroce lotta per il predominio ideologico e politico tra rappresentanti del potere imperiale ed esponenti dell’alto clero.