La chiesa della Santa Croce di Aghtamar
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’isola di Agthamar è caratterizzata dalla cappella palatina voluta, all’interno del palazzo oggi sparito, da re Gagik I; essa presenta una pianta a croce quadriabsidata ed è coperta da una cupola impostata su un tamburo circolare. La peculiarità di questa chiesa è la serie di rilievi figurativi che ricoprono le pareti esterne, combinazione di formulari bizantini e iconografie di retaggio iranico o centroasiatico.
In una fase di relativa calma dell’Armenia, contesa tra l’impero di Bisanzio e il califfato di Bagdad, Gagik (870 ca. - 937) della famiglia Arcruni, riesce ad ottenere dall’emiro di Georgia e Azerbaijan il titolo di re del Vaspurakan, la regione circostante il lago di Van. Sull’isola di Agthamar, presso la sponda meridionale del lago, re Gagik I fonda il proprio palazzo, provvisto di una cappella palatina costruita dall’architetto Manuel, come tramanda una fonte dell’epoca. La chiesa, dedicata alla Santa Croce, è tutto ciò che rimane di questo complesso residenziale. Dopo un recente restauro, è stata trasformata in museo.
L’edificio presenta una pianta a croce quadriabsidata ed è coperto da una cupola impostata su un tamburo circolare, secondo soluzioni architettoniche ispirate da precedenti locali di VI o VII secolo. L’interno conserva un esteso ciclo pittorico di soggetto biblico, poco comune nella regione. A rendere la Santa Croce di Aghtamar un assoluto unicum, non solo in Armenia, è però la serie di rilievi figurativi che ne ricoprono per intero le pareti esterne, combinando formulari bizantini e iconografie di retaggio iranico o centroasiatico aggiornati sulla produzione aulica abbaside. Le sculture sono aggregate in fasce. Lungo le due bordure estreme si sviluppano girali vegetali popolati da animali e piccoli personaggi, derivati dal motivo del tralcio abitato di classica ascendenza. Invece nella fascia principale, al centro, si susseguono senza alcuna pretesa narrativa episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, santi martiri armeni e santi guerrieri greci, in un intreccio di significati politici ed escatologici. Così nel registro mediano del prospetto meridionale coabitano un piccolo ciclo dedicato alle vicende di Giona, allusive al tema della resurrezione, una Madonna con Bambino in maestà e una coppia di santi identificati dalle più tarde iscrizioni come Sahak e suo fratello Hamazasp. Questi ultimi secondo il martirologio armeno sono principi della famiglia degli Arcruni giustiziati nel 785 dai dominatori arabi. La loro presenza trova quindi chiare ragioni dinastiche e nazionaliste. San Sahak (Sant’Isacco) veste un lungo caftano stretto in vita da una cinta con pendenti tipica del costume centro asiatico. Un analogo lungo caftano qualifica il ritratto del committente dell’impresa, re Gagik, raffigurato al centro del prospetto occidentale in atto di offrire il modellino della chiesa a Cristo. Questo tipo di vivaci annotazioni e la sbalorditiva ampiezza di temi e motivi compensano l’icastica semplificazione disegnativa delle figure.