Il Niger è un paese poco conosciuto che occupa una casella strategica nello scacchiere geopolitico del Sahel. Come effetto diretto della fine del regime di Mu’ammar Gheddafi in Libia (2011) e della conseguente guerra in Mali (2013), infatti, la nazione più povera del mondo secondo l’Indice di sviluppo umano è diventata un crocevia di traffici e conflitti per il dominio di una vasta regione desertica apparentemente incontrollabile. Migrazioni e terrorismo sono le due parole-chiave del Niger contemporaneo. Senza un’analisi delle attuali declinazioni di tali fenomeni, infatti, risulterebbe impossibile capire la profonda crisi interna e l’elevato credito offerto dal contesto globale che sta vivendo questo paese.
Il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, è oggi alle prese con il malcontento della popolazione che è stata fortemente impoverita durante i quattro anni di governo e che difficilmente accetterà una sua rielezione nel 2016. Il despota amico della Francia continua a reprimere ogni forma di dissidenza, incarcerando attivisti e intellettuali senza grandi proteste della comunità internazionale. Nella visione post-coloniale che caratterizza l’approccio delle grandi potenze coinvolte (Francia, Usa, Algeria), Issoufou rappresenta un’importante garanzia alla propagazione del terrorismo neo-jihadista e della migrazione irregolare, due demoni dell’Occidente odierno.
Con lo scoppio della guerra nel nord del Mali fra l’esercito francese – intervenuto in appoggio a quello maliano – e gli jihadisti di al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim) – che hanno occupato, grazie all’alleanza con gli indipendentisti tuareg dell’Mnla (Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad), i due terzi settentrionali del paese – sono cambiati gli equilibri di potere in tutto il Sahel. I francesi che bombardando Aqim sono riusciti a fermarne l’avanzata verso Bamako, come contropartita hanno ottenuto il controllo di alcune basi perdute alla fine del colonialismo e contese con gli Usa. L’Operazione Serval dispiegata nel nord del Mali si è trasformata nell’agosto 2014 in una missione antiterrorismo permanente su base regionale (Barkhane) con oltre 3000 soldati, forze speciali, droni, aerei, elicotteri, mezzi e basi sparsi fra Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Un dispositivo che si affianca e compete con la presenza militare statunitense (Africom) in un territorio che collega le coste occidentali dell’Africa al cuore orientale del continente e che registra grande ricchezza di risorse naturali (uranio, petrolio, oro e diamanti). In questa missione francese il Niger, con le basi di Niamey, Arlit e Madama, rappresenta uno snodo importante, considerato che le rotte dei traffici illeciti (cocaina, armi, sigarette ed esseri umani) hanno dovuto deviare dal troppo affollato Mali per approdare nel deserto nigerino che geograficamente collega Libia e Algeria al Sahel. Anche i migranti, merce illecita come le altre, sono stati costretti a cambiare rotte, trasformando Niamey, Agadez, Dirkou e Arlit nei centri di transito più frequentati della regione. Se alla minaccia jihadista del vicino Mali si somma la pressione della setta islamista nigeriana Boko Haram alla frontiera sud si ha un quadro più completo della centralità del Niger. Da inizio anno, cioè da quando Boko Haram si fa chiamare “Stato Islamico in Africa occidentale”, sono cominciati gli attacchi al di fuori dei confini della Nigeria nell’intera zona del Lago Ciad. In territorio nigerino le zone più colpite da tali scorrerie sono quelle di Bosso e Diffa. Come risposta a tale cambiamento strategico, gli stati che condividono le sponde del Lago Ciad (Ciad, Niger, Nigeria e Camerun) hanno istituito una forza multinazionale per sconfiggere militarmente Boko Haram. Ma dopo un primo periodo di successi ottenuti soprattutto grazie all’intelligence di Francia e Usa e alle capacità belliche del Ciad, da metà 2015 la situazione sul terreno registra una fase di stallo di cui ha approfittato la setta islamista per riorganizzarsi e tornare a colpire. Oltre ai continui attacchi kamikaze, la regione di Diffa, la più povera del più povero paese al mondo, è allo stremo per la crisi dei profughi nigeriani e degli sfollati interni nigerini in fuga dall’orrore di Boko Haram.
A profughi e sfollati, arrivati a 200.000 su una popolazione di 500.000 abitanti, secondo dati Un/Ocha dell’ottobre 2015, si aggiungono i migranti che, incuranti di tali giochi di potere, continuano a marciare. Secondo le più recenti stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Iom) disponibili, infatti, sarebbero circa 200.000 gli africani subsahariani che ogni anno transitano da Agadez, piccola cittadina del Niger alle porte del Sahara. Ad Agadez esiste un centro d’accoglienza per migranti costruito con fondi europei e gestito dall’Iom che sta per essere ampliato. Da quando è venuto a mancare il ‘gendarme’ Gheddafi che, con metodi discutibili, gestiva e rallentava i flussi migratori verso l’Europa, la prima frontiera a sud di Lampedusa è diventata proprio il Niger. Attraverso accordi bilaterali e convenzioni di cooperazione fra Unione Europea e paesi dell’Africa occidentale (vedi Processo di Khartoum e Processo di Rabat, il primo del 2014 e il secondo lanciato già nel 2006, ma su cui è stato raggiunto un accordo sempre nel 2014) paesi di transito come il Niger sono diventati preziosi partner nel tentativo europeo di esternalizzare il controllo e la dissuasione dei migranti in arrivo nel Mediterraneo.