La caza
(Spagna 1966, La caccia, bianco e nero, 93m); regia: Carlos Saura; produzione: Elías Querejeta; sceneggiatura: Carlos Saura, Angelino Fons; fotografia: Luis Cuadrado; montaggio: Pablo González del Amo; scenografia: Carlos Ochoa; costumi: Angelines Castro; musica: Luis de Pablo.
José, Paco e Luis sono tre amici (e, pare, compagni d'armi durante una guerra civile combattuta dalla parte dei vincitori) che non si vedono da parecchio tempo. I tre decidono di ritrovarsi per andare a caccia di conigli, in compagnia del ventenne Enrique, in un'assolata tenuta nelle vicinanze di Toledo, ora di proprietà di Paco ma già teatro di battaglia durante la guerra. Tutti e tre stanno attraversando momenti di profonda crisi personale o finanziaria, tutti e tre sono chiusi nella solitudine e nella nevrosi: e quella che doveva essere una gioiosa occasione di incontro si trasforma fatalmente in uno scontro feroce fino al massacro fra i tre adulti, in una resa dei conti alla quale assiste, impaurito e impotente, il rappresentante della nuova generazione.
Premiato con l'Orso d'argento al Festival di Berlino nel 1966, La caza sancì il riconoscimento internazionale del 'nuovo cinema spagnolo', sostenuto dal Ministero per l'Informazione e il Turismo per avvalorare l'impressione che anche nella Spagna segnata da un quarto di secolo di 'pace franchista' spirassero venti di apertura. Il film valse a Carlos Saura una fama che durò almeno un decennio, durante il quale il regista rappresentò il cinema spagnolo come in precedenza avevano fatto Juan Antonio Bardem e Luis Berlanga e come poi avrebbe fatto Pedro Almodóvar. La caza consolidò anche il prestigio del suo produttore, Elías Querejeta, con il quale Saura collaborava per la prima volta (il regista afferma di aver coperto la metà dei costi del film, che ammontavano a due milioni di pesetas) e col quale avrebbe lavorato ancora per molto tempo. In Spagna il film suscitò un'eco inusitata e sollevò polemiche tra entusiasti sostenitori e oppositori 'ideologici', ma ebbe detrattori anche tra coloro che, pur da posizioni vicine, lo giudicavano eccessivamente schematico, forzato ed effettistico, in definitiva vago e confuso: l'accusa era di simulare più che di esprimere un vero sentimento politico. La caza perfezionò comunque un modello di linguaggio allusivo e indiretto, anche se non propriamente simbolico, teso ad aggirare obliquamente i molteplici ostacoli posti dalla censura: nulla era ciò che sembrava a prima vista, ma piuttosto rappresentava un 'qualcosa d'altro' suggerito attraverso indizi molto generici come un paio di baffetti fascisti, una frase di denuncia, un atteggiamento caricaturale. Una volta effettuata una sorta di 'traduzione' da parte dello spettatore in possesso del codice adeguato (in Spagna facilmente accessibile, non altrettanto all'estero), l'opera acquisiva una risonanza politica sufficientemente vaga e indeterminata da evitare una censura automatica, mentre la sua carica allusiva spingeva gli 'iniziati' a una forma di complicità con gli autori e all'attribuzione di significati spesso indimostrabili. La formula, com'era prevedibile, ebbe fortuna fino al 1978 e alla soppressione della censura, atto che privò di un linguaggio e di uno stile molti cineasti, incapaci poi di recuperare quel grado di comunicazione con il pubblico che il gioco delle implicazioni e dei sottintesi, non sempre così trasparente come in La caza, aveva garantito loro per più di un decennio. Oggi, più della parabola manichea su chi abbia beneficiato della Guerra Civile e sulle sue durature conseguenze (di fatto, il film negava implicitamente quella 'pace' della quale i promotori ufficiali del film avevano appena festeggiato il venticinquesimo anniversario), ciò che resta della Caza è il suo aspetto più fisico, l'asprezza visiva dovuta a un bianco e nero assolato e implacabile, e l'inedita ambientazione in scenari naturali, con sequenze realizzate quasi totalmente in esterni (sullo sfondo di un paesaggio arido, desolato e ancora recante i segni della guerra, cosa che invitava a una lettura simbolica). Girato in quattro settimane di caldo terribile e rispettando l'ordine cronologico della vicenda, aperto a un certo grado di improvvisazione, La caza è un film di grande violenza, scarno nonostante l'insistenza (sottolineata dalla musica) con la quale insinua tra i protagonisti tensioni esasperate, fino all'esplosione gratuita quanto prevedibile dei rancori e delle invidie; e la brutalità degli scontri finali lo avvicina all'ormai prossimo spaghetti western. Tutto accade in un paesaggio talmente desolato e ostile da rasentare l'astrazione e la fantascienza, come se si trattasse di un duello demente tra i sopravvissuti a un olocausto nucleare; il lontano modello figurativo potrebbe essere il quadro di Goya che Saura aveva cercato di imitare nel suo film precedente (e fallito) Llanto por un bandido (I cavalieri della vendetta, 1963). Gli attori recitano impersonando dei 'tipi' (Fernando Sánchez Polack è il proletario, Emilio Gutiérrez Caba il giovane allucinato), abbandonando il realismo e la verosimiglianza a favore di eccessi istrionici che risultano comunque coerenti alle scelte formali e drammatiche del film.
Oggetto eccentrico logicamente legato alla propria epoca, abitato da uno schematismo talora irritante, La caza esibisce ancora un duplice motivo d'interesse: da un lato, svela la mancanza di libertà espressiva che ha costretto gli autori a ricorrere a formule metaforiche e a un grado di elaborazione oggi scomparso dalla produzione spagnola; dall'altro, con una costruzione visiva che rende astratte le circostanze storiche cui allude (oggi inimmaginabili e dunque probabilmente incomprensibili agli spettatori spagnoli cresciuti in epoca postfranchista), il film costituisce un bizzarro esempio di 'cinema d'azione', quasi paragonabile alla fantascienza apocalittica degli anni Cinquanta ‒ o persino a un film di guerra, nonostante nessuno indossi un'uniforme. Dominato da un antagonismo latente e represso che affonda le proprie radici nel passato e oppone tra di loro vincitori eterogenei e 'non riconciliati', La caza conserva un'autonoma forza drammatica sufficiente a muovere nuovo interesse tra le giovani generazioni.
Interpreti e personaggi: Ismael Merlo (José), Alfredo Mayo (Paco), José María Prada (Luis), Emilio Gutiérrez Caba (Enrique), Fernando Sánchez Polack (Juan), Violeta García (Carmen), María Sánchez Aroca (madre di Juan), Gene Wesson.
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 152, novembre 1975.