L'Ottocento: scienze mediche. Psichiatria e istituzioni
Psichiatria e istituzioni
Il termine 'psichiatria' è entrato nell'uso comune soltanto verso l'inizio del XX sec., ma la nascita di una branca della medicina inerente alla cura delle malattie mentali si può far risalire al secolo precedente. Prima del 1800 la cura dei malati di mente era affidata ai medici generici, oltre che a una serie di volenterosi ecclesiastici, di proprietari di manicomi privati e di farmacisti e chirurghi locali. Francis Willis, per esempio, che nel 1788 curò per la prima volta Giorgio III, era un medico e al tempo stesso un religioso.
Nel corso del XIX sec. la cura delle malattie mentali venne modificata e riformata in tutta Europa, con grande soddisfazione della popolazione. Fino a quel momento, in Gran Bretagna, si era provveduto essenzialmente a livello locale; le famiglie avevano curato le persone afflitte da disturbi mentali come meglio potevano, aiutate dai sovrintendenti delle parrocchie e dai giudici, applicando talvolta i rimedi generalmente accettati dalla medicina dell'epoca come salassi, purghe e sedativi. Con il passaggio del paese da un'economia rurale liberistica all'efficiente apparato del capitalismo vittoriano, l'approccio istituzionale si sostituì gradualmente a qualsiasi altro metodo di assistenza ai malati di mente. L'idea dell'esclusione sociale e della segregazione fisica e l'entusiasmo ideologico per le case di cura rivoluzionarono il contesto assistenziale e nel contempo consentirono alla professione psichiatrica ancora ai suoi inizi di uscire dall'ambito della ciarlataneria per acquisire una certa rispettabilità. I primi riformatori sociali vittoriani considerarono i malati di mente come oggetto di studio al fine di perfezionare una soluzione nazionale centralizzata al 'problema' e, al tempo stesso, crearono le condizioni che avrebbero consentito alla medicina di includere la malattia mentale nel proprio ambito professionale.
In tutta Europa, la presenza di un gran numero di pazienti nei manicomi e nelle cliniche permise ai medici di osservare, catalogare, classificare e delineare le sintomatologie dei disturbi mentali. Lo studio della psicopatologia diagnostica favorì una maggiore comprensione dei problemi neurologici e anche il concomitante aumento di interesse per la psicologia del comportamento umano contribuì a modificare la visione della follia: non più considerata come una possessione demoniaca passiva o un fallimento morale personale ma come una 'malattia' somatica o psicologica.
Nel corso del secolo la cura dei malati di mente si trasformò in psichiatria, una specializzazione che in Gran Bretagna si concentrò soprattutto sull'amministrazione dei manicomi e sulla gestione di alcuni tipi di disturbi, mentre nell'Europa continentale rimase associata alla neurologia e interessata alle origini della malattia mentale e alla cura degli individui che ne erano affetti. Il significato che venne attribuito alla malattia mentale nell'Ottocento è sostanzialmente ancora oggi valido.
L'opera dello storico sociale Andrew Scull, attivo nella seconda metà del XX sec., ha profondamente modificato l'interpretazione della nascita e della diffusione dei manicomi pubblici come soluzione, generalmente condivisa, al problema dell'infermità mentale. Inizialmente, l'istituzione dei manicomi nell'Inghilterra vittoriana fu considerata come una forma di benevolo liberalismo tuttavia, alla fine degli anni Settanta e nel corso degli anni Ottanta, Scull propugnò un'interpretazione più scettica ritenendo tale istituzione un meccanismo finalizzato ad attuare un maggior controllo sugli emarginati e gli indesiderati della società. Traendo spunto dai brillanti saggi di Michel Foucault sui rapporti di classe e di potere, l'opera di Scull diede inizio a una letteratura revisionistica, attualmente sottoposta a critiche; studi recenti hanno infatti evidenziato un quadro assai più complesso. Le motivazioni politiche e sociali che portarono all'istituzione dei manicomi non sono facilmente definibili come positive o negative e vanno inquadrate invece nel contesto della nascita di un'amministrazione centralizzata e della graduale perdita di autonomia da parte delle diverse comunità locali.
I tanto disprezzati manicomi privati, che evocano visioni infernali di uomini incatenati e frustati o picchiati da brutali guardiani, si trasformarono in istituzioni ordinate e rispettabili, accettate dall'opinione pubblica e oggetto di sostanziosi finanziamenti.
La realtà della cura dei malati di mente nel XIX sec. non fu quasi mai così squallida e brutale come è stata rappresentata dai riformatori successivi, ansiosi di raccogliere consensi a favore di un sistema pubblico omogeneo. Esistevano alcuni manicomi privati sinistri e raccapriccianti, soprattutto quelli istituiti specificamente per i poveri delle parrocchie londinesi, ma la maggior parte di quelli gestiti dall''industria della follia' era di piccole dimensioni, aveva sede nelle case dei loro proprietari o in edifici più grandi appositamente trasformati e ospitava circa una dozzina di pazienti. Si trattava in molti casi di istituzioni rispettabili, che offrivano un ambiente relativamente confortevole e mettevano a disposizione le cure conosciute all'epoca, una varietà di occupazioni e spazi aperti per fare del moto. Il contenimento fisico con corde e catene era tuttavia abbastanza diffuso nella terapia dei pazienti seriamente disturbati, a rischio di suicidio oppure molto aggressivi, dal momento che era considerato da molti come l'unico modo sicuro per tenere a bada persone dal comportamento imprevedibile.
Il movimento riformista, che nacque come spinta rivoluzionaria a 'liberare i pazzi dalle loro catene', richiedeva la creazione di istituzioni alternative fondate su una diversa filosofia. A Philippe Pinel (1745-1826), direttore del Bicêtre di Parigi nonché entusiasta e illuminato sostenitore della Rivoluzione francese, viene attribuita la prima 'rottura delle catene', un atto simbolico ma anche profondamente coraggioso. Nella sua monografia, il Traité médico-philosophique sur l'aliénation mentale ou la manie (1801), che ebbe varie edizioni, Pinel confessava che, se non fosse stato per l'incoraggiamento e l'entusiasmo del custode del manicomio Pussin ‒ il quale, insieme ai suoi assistenti, se ne assunse il compito ‒ l'iniziativa sarebbe potuta facilmente fallire. L'approccio di Pinel era scettico nei confronti delle teorie eziologiche dell'epoca: egli riteneva che la causa più probabile dei disturbi mentali fossero eventi specifici piuttosto che una patologia cerebrale di tipo fisico; osservando l'anatomia del cervello, infatti, nella maggior parte dei casi non si rilevava alcuna anomalia. In questo Pinel si distingueva dai suoi colleghi parigini, in maggioranza rimasti fedeli all'idea che l'infermità mentale fosse sintomo di una patologia cerebrale. Pinel era convinto piuttosto che questi ammalati dovessero essere curati in modo fermo ma dolce, cercando di recuperare le emozioni umane e le capacità intellettive di cui erano ancora dotati; il trattamento doveva infatti essere diretto alla psicologia dell'individuo. Pinel definì questo tipo di terapia traitement moral, espressione tradotta fin da allora come 'trattamento morale' ma che forse sarebbe meglio tradurre come 'cura del morale'.
Le idee di Pinel si diffusero rapidamente in tutta Europa grazie alle traduzioni del suo trattato. Un sostenitore della riduzione al minimo del contenimento e di un trattamento umano fu per esempio il fiorentino Vincenzo Chiarugi (1759-1820). In Gran Bretagna, nel 1796, William Tuke fondò lo York Retreat, un manicomio nazionale per quaccheri, dopo aver saputo dello spaventoso trattamento al quale era stato sottoposto un paziente quacchero nell'ospedale locale gestito da volontari, lo York Asylum. La famiglia Tuke intendeva gestire lo York Retreat come se i pazienti fossero membri di una grande famiglia, senza alcuna limitazione, in tranquillità e serenità. I Tuke erano importatori di tè e caffè e pensavano che la medicina avesse ben poco da offrire ai malati di mente; proponevano pertanto un metodo molto più interessante e umano per la cura dei folli. Le loro idee attirarono l'attenzione del parlamento che, negli anni 1815-1816, ordinò un'inchiesta del Select Committee on Madhouses, dalla quale emerse l'evidente contrasto con il pernicioso regime di incatenamento e segregazione scelto dal Bethlehem, la più grande e nota istituzione filantropica londinese nonché unico manicomio finanziato con denaro pubblico.
In Gran Bretagna la riforma del trattamento delle malattie mentali era stata avviata su scala nazionale prima ancora che questi due esempi di eccezionale umanità da una parte e di nauseante orrore dall'altra fossero resi noti. Nel 1808 il County Asylum Act fu la risposta del governo a quanto un precedente Select Committee del 1807 aveva scoperto sul trattamento riservato ai malati di mente indigenti e ai criminali. Sir George O. Paul, uno sceriffo del Gloucestershire che si era attivamente dedicato alla riforma delle prigioni, aveva viaggiato molto, documentando le condizioni di vita nei riformatori parrocchiali e nelle case private in cui venivano segregati i malati di mente. Queste condizioni, a suo parere, erano 'disgustosamente disumane'.
Penso che non esista parrocchia di dimensioni degne di nota, nella quale non si possa trovare qualche disgraziata creatura di questo genere, che, se il cattivo trattamento l'ha resa frenetica, viene tenuta incatenata nella cantina o nel solaio di un ricovero di mendicità, legata alla gamba di un tavolo, al palo di una capanna, o magari rinchiusa in un rudere disabitato; o se la sua pazzia è inoffensiva, lasciata vagare mezza nuda e affamata per le strade, schernita da tutte le persone volgari, ignoranti e insensibili. (Paul 1806 [1963, p. 624])
L'eloquente prosa di Paul e il suo invito a istituire manicomi pubblici ebbero un grande influsso sulla legge successiva. Il Committee raccomandò che venisse istituito in ogni contea un manicomio nel quale potessero essere mandati sia i malati di mente indigenti sia quelli criminali. I giudici delle contee furono autorizzati a costruire gli edifici, a imporre una tassa locale per coprirne i costi e a obbligare le parrocchie a utilizzare il manicomio per i loro malati. I riformatori miravano a eliminare i peggiori eccessi e gli atti di crudeltà e di abuso che si verificavano nel sistema privato, prendendo a esempio anche istituzioni gestite da volontari già esistenti e ben funzionanti come il St. Luke's Hospital for the Insane di Londra e lo York Retreat. I manicomi pubblici piacevano sia all'alta borghesia cristiano-evangelica sia ai radicali liberali, perché non generavano profitto e mantenevano l'ordine sociale.
In Gran Bretagna vennero fondati in base alla legge del 1808 soltanto quindici manicomi, poiché la maggior parte dei magistrati trovava troppo gravoso raccogliere i fondi necessari. I primi manicomi di contea furono costruiti soprattutto nelle zone rurali, dove alcuni benestanti socialmente impegnati sostennero la causa e furono in grado di suscitare sufficiente entusiasmo nella raccolta dei finanziamenti. Il birraio filantropo Samuel Whitbread, per esempio, svolse un ruolo fondamentale nel promuovere e finanziare il Bedford Asylum. In altri casi, essi furono realizzati da alcuni riformisti, spinti dall'ambizione di rivoluzionare ogni genere di istituzioni, come i magistrati del Middlesex, che fondarono lo Hanwell Asylum, nella zona occidentale di Londra. Questi primi istituti erano modellati sui vecchi ospedali gestiti da volontari. Le parrocchie non erano obbligate a servirsi dei nuovi manicomi, anzi, molte di esse preferirono continuare a trattare con i proprietari privati locali, con i quali i loro sovrintendenti e medici avevano istituito da tempo un rapporto di reciproca fiducia. Una maggiore diffusione del sistema pubblico sopravvenne soltanto quando la legislazione garantì incentivi economici straordinari per incoraggiare l'uso dei manicomi pubblici e proibì il ricorso al settore privato, fatta eccezione per alcuni casi rigorosamente specificati.
Dopo una serie di gravi problemi che suscitarono scandalo, fu istituito un ispettorato per controllare il funzionamento dei manicomi privati, soprattutto a Londra. Nel 1828 furono creati i Metropolitan Commissioners in Lunacy, i quali, scelti tra un gruppo di persone nominate dal College of Physicians, avrebbero dovuto rilasciare licenze e monitorare le condizioni di vita nelle strutture private; cinque dei quindici nuovi commissari erano perciò medici e alcuni di loro erano anche specializzati in malattie mentali. Particolarmente significativa fu tuttavia la nomina del giovane lord Ashley, figlio maggiore del sesto conte di Shaftesbury, che divenne la figura centrale intorno alla quale la riforma del trattamento delle malattie mentali avrebbe ruotato nei cinquant'anni successivi. Ashley fu uno dei parlamentari che spinsero per l'approvazione della legge sulla demenza del 1845, in seguito alla quale furono istituiti i National Commissioners in Lunacy. Come presidente di quell'organismo, dal 1845 alla sua morte avvenuta nel 1885, insieme ad alcuni suoi amici della Commissione, influì in modo significativo e duraturo sulla politica nazionale. Ashley era un aristocratico Tory membro della chiesa evangelica, dotato di carisma, bell'aspetto e impeccabili relazioni politiche ma di mezzi modesti, la cui ambizione di migliorare le sorti dei socialmente svantaggiati è nota, oltre che per la sua profonda e duratura influenza sul movimento per uniformare e nazionalizzare la cura dei malati di mente, anche per le sue campagne contro il lavoro minorile, per la difesa dei piccoli spazzacamini, per il movimento delle 'scuole straccione' e per un'infinità di altre cause.
Nel frattempo, il trattamento morale di Pinel si stava affermando in Gran Bretagna come altrove. In Inghilterra il suo maggior sostenitore fu John Conolly (1794-1866), dal 1839 al 1844 primario del Middlesex County Asylum di Hanwell, il più grande manicomio del paese, con mille posti letto; se la tecnica del non contenimento funzionava in quella sede, poteva funzionare dovunque. Le dimensioni del manicomio di Hanwell e l'influenza carismatica di Conolly sui suoi colleghi e sulla stampa gli conquistarono fama a livello internazionale; egli, tuttavia, riconobbe sempre che quel tipo di pratica non era stata una sua invenzione e che Robert G. Hill, nel più piccolo Lincoln Asylum, l'aveva sperimentata prima di lui. I suoi libri, An inquiry concerning the indications of insanity (1830) e Treatment of the insane without mechanical restraints (1856) gettarono le basi della politica del non contenimento nel contesto di un più ampio approccio umanitario, che echeggiava quella gentilezza cui aspiravano i Tuke, inserita però in un quadro istituzionalizzato.
Conolly sposò la teoria, generalmente condivisa, dell'origine organica cerebrale della malattia mentale, pur conservando un sano scetticismo nei confronti dei fallimentari trattamenti medici tipici del suo tempo; stranamente, tuttavia, era attratto dalla frenologia, che fu di moda per un certo periodo. Elaborata dagli austriaci Franz Joseph Gall (1758-1828) e Johann Gaspar (Christoph) Spurzheim (1776-1832), tale dottrina sosteneva che la morfologia del cervello e del cranio rifletteva alcuni tratti della personalità e delle facoltà intellettuali. All'inizio del XIX sec. 'tastare i bernoccoli' era un po' come oggi controllare i riflessi, un'opportunità per discutere i problemi, instaurare un contatto fisico rassicurante con un terapeuta non minaccioso e un modo per enfatizzare la possibilità di miglioramento. Non c'è da meravigliarsi, dunque, se catturò l'immaginazione del pubblico e fu adottata dagli specialisti, che ormai venivano chiamati alienisti, desiderosi di prendere le distanze dai terribili 'trattamenti' ancora attestati nella prima parte del secolo.
Le medicine erano di solito prescritte con il metodo 'culinario': un pizzico di questo, una goccia di quello, una piccola dose di tartrato di antimonio, canfora, giusquiamo, morfina, lozioni rinfrescanti per la testa, vescicanti sulla nuca, ma con moderazione, un po' di canapa indiana. Alcuni alienisti, tuttavia, preferivano la più 'coraggiosa' somministrazione di dosi debilitanti di calomelano (solfuro nero di mercurio), purganti, oppiacei e sedativi di vario tipo, salassi. Dettagliati regimi terapeutici per stati maniacali e melanconia, proposti dai sovrintendenti medici dei manicomi, sono documentati nel Lunacy Commissioners' Annual Report del 1847. La cura della psiche deviata tramite bagni e docce sulla testa e qualche eccentrico macchinario riscosse un temporaneo entusiasmo nei primi anni del secolo, ma fu perlopiù abbandonata intorno agli anni Quaranta. Al Bethlehem, Edward T. Monro (1759-1833) era un sostenitore dei pediluvi a base di mostarda; Sir Alexander Morison (1779-1866) riteneva che valesse la pena di provare lassativi di ogni genere mentre il dottor Bucknill, del Devon Asylum, pensava che niente fosse meglio delle sanguisughe. Molti famosi alienisti del XIX sec., tuttavia, credevano poco nel valore curativo dei farmaci: James C. Prichard (1786-1848), Conolly e, più tardi, Henry Maudsley (1835-1918) erano tutti scettici.
Sull'altra sponda dell'Atlantico, la psichiatria americana si stava sviluppando in modo abbastanza simile. Il Friends' Asylum, vicino a Filadelfia, fu aperto nel 1817 ed era esplicitamente modellato sullo York Retreat; il McLean Hospital di Boston, il Bloomingdale Asylum di New York e lo Hartford Retreat del Connecticut furono istituiti poco dopo. La terapia morale fu esposta dal famoso Benjamin Rush (1746-1813) nel suo testo del 1812, sebbene egli includesse nel suo schema di cura generale alcuni trattamenti violenti e alcune pratiche decisamente aggressive, tra le quali numerosi salassi. Samuel Woodward (1787-1850) del Worcester State Hospital e Pliny Earle (1809-1892) del Bloomingdale Asylum avevano invece adottato una versione più morbida e umana della terapia morale. Entrambi erano stati tra i fondatori, nel 1844, della American Association of Medical Superintendents of American Institutions for the Insane (AMSAII) e avevano diffuso la teoria del non contenimento e della terapia morale attraverso le pagine dell'"American journal of insanity" di Amariah Brigham. In Gran Bretagna, uno sviluppo simile portò alla pubblicazione dell'"Asylum Journal", che più tardi sarebbe diventato il "Journal of mental science", portavoce dell'Association of Medical Officers of Asylums and Hospitals for the Insane. Nel 1852 già diciassette Stati americani avevano istituito manicomi, che tuttavia non erano affatto quelle istituzioni perfette che i loro sostenitori avevano auspicato. Dorothy Dix (1802-1887), una formidabile donna americana che durante i suoi viaggi in America e in Europa denunciò molte pratiche violente, combatté con successo diverse battaglie per migliorare le strutture e le condizioni di vita dei manicomi.
Intorno alla metà del secolo, la fiducia nei manicomi come luoghi di cura, in cui le menti malate potevano trovare sollievo, ristabilirsi e recuperare, crebbe su entrambe le sponde dell'Atlantico. Furono scritti molti panegirici sui successi terapeutici ottenuti in tali istituzioni; What asylums were, are and ought to be, pubblicato da William A.F. Browne nel 1837, si distingue per la sua popolarità e la chiarezza del messaggio. Nel frattempo, in Francia, i successori di Pinel, soprattutto Jean-Étienne-Dominique Esquirol (1772-1840), conducevano le loro campagne in favore di una politica nazionale della sanità mentale, finanziata con denaro pubblico. Nel 1838 il governo francese decretò che tutti i départements dovessero costruire un manicomio pubblico e ne fornì un sistema di classificazione, un progetto che ricordava molto i criteri guida per classificare gli indigenti contenuti nel British Poor Law Amendment Act del 1834; questa fu una grande conquista per Esquirol e i suoi allievi e alleati.
Esquirol fu senza dubbio il più eminente teorico della psichiatria del suo tempo. Nel suo manuale Des maladies mentales, pubblicato nel 1838, presentava un modello secondo il quale l'infermità mentale era essenzialmente il risultato di una patologia cerebrale organica e certi disturbi potevano essere scatenati da eventi sociali o psicologici.
Esquirol credeva nei benefici terapeutici che l'isolamento poteva apportare ai pazienti ricoverati nei manicomi, come i suoi contemporanei che volevano riformare le prigioni credendo nei benefici che la reclusione poteva esercitare sulla psiche dei criminali. Si riteneva che con la calma e il silenzio la mente tormentata potesse purificarsi e trasformarsi in una tabula rasa psicologica, pronta ad accogliere i nuovi pensieri assennati che l'alienista vi avrebbe impiantato. Esquirol e i suoi discepoli, Georget, Falret, Calmeil, Moreau de Tours e Baillarger, modificarono i metodi di classificazione e di diagnosi delle malattie mentali non soltanto in Francia ma in tutta l'Europa e l'America; il sogno istituzionale di Esquirol si concretizzò a Charenton, dove, a partire dal 1825, procedette alla modernizzazione di uno dei più antichi ospedali psichiatrici di Francia.
I manicomi però, inevitabilmente, non si dimostrarono all'altezza delle aspettative dei loro sostenitori. Poveri di fondi, si riempirono ben presto di casi cronici incurabili e divennero sempre più grandi, trasformandosi in monolitici depositi della follia; di conseguenza il loro ruolo andò leggermente modificandosi verso la metà del secolo. Da luoghi finalizzati all'attenzione e alla cura si trasformarono in luoghi che ospitavano un numero crescente di disadattati ed emarginati sociali, di incapaci e tutti quelli che erano al confine tra sanità di mente e follia. Era ormai evidente che l'infermità mentale non poteva essere curata con la terapia morale. Scull ha fatto notare che per gli uomini di medicina adottare la terapia morale non era affatto una scelta ovvia; essa non richiedeva alcuna particolare competenza medica e doveva essere applicata parallelamente ad altri loro interessi terapeutici e, di conseguenza, venne ben presto abbandonata come filosofia ispiratrice.
Fin dai primi anni di grande ottimismo ideologico si erano levate voci contrarie al sistema dei manicomi pubblici. Alcuni dei loro critici non godevano di grande credibilità perché erano proprietari di piccoli manicomi privati, ma altri non avevano alcun interesse personale. Dopo aver visitato il manicomio di Conolly a Hanwell nel 1840, il medico americano Edward Jarvis (1803-1884) osservò che le enormi dimensioni di quell'istituzione vanificavano la teoria dell'attenta cura personale sostenuta da Conolly. Quest'ultimo era in linea generale d'accordo con lui e riuscì a evitare che le dimensioni dell'istituto venissero ulteriormente raddoppiate su richiesta dei magistrati del Middlesex, nonostante i suoi colleghi avessero acconsentito alla realizzazione del progetto. In realtà ben poche voci si erano levate contro le istituzioni in sé, tutte le discussioni e i dibattiti tendevano a ruotare intorno al problema delle dimensioni e del regime da adottare, senza invece prendere in considerazione criteri di cura alternativi.
Verso la fine degli anni Cinquanta, in Gran Bretagna, il rinascente timore che con l'inganno venissero rinchiusi anche i sani di mente, timore ripetutamente espresso anche nei secoli precedenti, portò a maggiori controlli legali e a un temporaneo blocco del programma di costruzione dei manicomi. Nel 1860 il sovrintendente medico del Devon Asylum, Bucknill, si lamentava del continuo mutare dell'opinione pubblica: "Adesso l'opinione pubblica è decisamente contraria ai manicomi; ma ben presto la marea defluirà, e poi qualche episodio di violenza volgerà di nuovo i pregiudizi del mutevole pubblico contro la libertà dei dementi. Pochi esempi che la colpiscono in un senso o nell'altro sono sufficienti per far cambiare direzione all'opinione pubblica" (Bucknill 1860-61, p. 310).
La National Association for the Promotion of Social Science fu una delle poche organizzazioni che nel 1869 mise in discussione la validità della politica di istituzionalizzazione generalizzata, chiedendosi se: "[…] non si potesse ricorrere, in qualche modo, al sistema dell'assistenza e del trattamento domiciliare; se la stessa attenzione, interesse e denaro che oggi vengono spesi per curare le persone ricoverate nei manicomi, non potessero dare maggiori frutti se utilizzati per sostenere gli sforzi dei genitori e dei parenti nelle loro umili abitazioni" (Goldman 2002, p. 283).
Questa istituzione non riuscì comunque a impedire la diffusione dei manicomi e ne furono aperti in tutto l'Impero britannico, in Canada, in Australia, in Sudafrica e in India per accogliere gli squilibrati degli eserciti di occupazione, gli espatriati e i loro discendenti e, infine, i loro servitori indigeni e gli amici. Essi non furono mai destinati a curare le popolazioni indigene, bensì piuttosto i malati di mente bianchi, per contenere i più indisciplinati e ribelli tra i 'turbolenti ragazzi delle colonie' che il nuovo ambiente spingeva all'anarchia. Anche in patria, in Gran Bretagna, continuò l'inesorabile espansione dei manicomi.
Nel corso del XIX sec. i malati di mente furono sempre più catalogati, raccolti, segregati e allontanati. Gli amministratori fiduciari delle parrocchie dell'epoca e della vecchia legge sull'indigenza, che cercavano di risolvere i problemi individuali, preoccupati delle spese e delle difficoltà che comportava occuparsi di casi specifici, erano spinti da motivazioni molto più difficili da classificare di quelle dei distaccati tutori della nuova legge sull'indigenza. Nella Londra degli anni Sessanta il numero di malati di mente che venivano rinchiusi era in continuo aumento a causa degli incentivi economici del governo. Il Metropolitan Asylum Board, fondato nel 1871, studiò nuove istituzioni separate per i malati di mente e introdusse ulteriori sovvenzioni per trasferire il potere decisionale dagli amministratori locali al sistema governativo centrale. In questo modo i sovrintendenti del primo Ottocento se non altro vedevano e parlavano con gli individui, sulle cui vite avevano il potere di decidere, e con i loro familiari. Il contatto personale tra postulante bisognoso e amministratore, che avveniva in un luogo pubblico, era alla base del processo di contrattazione sociale previsto dalla vecchia legge inglese sull'indigenza. Quei primi funzionari delle parrocchie erano spesso distaccati e sconsideratamente negligenti ma, ciononostante, l'arbitrarietà delle loro decisioni era talmente legata al caso che poteva quindi anche produrre risultati positivi. All'epoca, infatti, i malati di mente potevano spesso contare su persone gentili e sensate nell'ambito del vicinato, ma l'ospizio poteva anche nascondere una sconfortante durezza.
Il resto d'Europa adottò ben presto le innovazioni introdotte in Gran Bretagna e Francia. Nel XIX sec. i manicomi si diffusero in tutta l'Italia, a partire dagli Stati settentrionali, e soprattutto in Toscana, dove a indirizzare e dare un'ideologia morale al movimento fu Vincenzo Chiarugi. In Spagna, i manicomi costituirono il naturale sviluppo di una serie di ospedali per i malati di mente che erano stati già istituiti nel corso del XVI e XVII secolo. In Belgio, la colonia Gheel aveva offerto un esempio di istituzione sovvenzionata i cui internati erano più integrati nella comunità locale di quanto non lo fossero quelli della maggior parte dei manicomi. Sulla base degli stessi principî venne fondata una seconda colonia modello ma, ben presto, furono istituiti anche i manicomi statali per soddisfare le esigenze di segregazione e separazione dei malati di mente dal resto della società.
Intorno alla metà del secolo anche la Germania costruiva manicomi ‒ uno dei primi fu quello di Illenau a Baden Baden ‒ ma, diversamente da quanto avveniva in Francia e in Gran Bretagna, la maggior parte dei medici tedeschi che si occupava della psiche rimaneva all'interno degli ospedali e delle cliniche universitarie, accanto ai medici generici. I manicomi offrivano ai medici interessati l'opportunità di raccogliere dati sui diversi tipi di disturbi, stilare statistiche sulle eventuali guarigioni e studiare schemi di classificazione. Gli specialisti tedeschi, tuttavia, erano più coinvolti nel dibattito sulle origini somatico-organiche o socio-psicologiche della patologia, sull'efficacia del trattamento personalizzato e sui rapporti tra disturbi neurologici, fenomeni psicologici e metafisica.
All'inizio del secolo Johann Christian Reil (1759-1813) adottò un approccio molto simile all'interpretazione di Willis del trattamento morale: una rigida, anche se non troppo coercitiva, combinazione di severo controllo psicologico, esercitato grazie alla pura forza della personalità, e di shock fisici e psicologici. Secondo la sua teoria, derivata dal nascente pensiero romantico, nonostante la malattia mentale fosse essenzialmente di origine somatica era meglio curarla esercitando un controllo sulla risposta del paziente. Johann C.A. Heinroth (1773-1843), docente di medicina all'Università di Lipsia e profondamente cattolico, tornò alla visione medievale dei disturbi psicologici come manifestazione del male, considerandola però la conseguenza di un abbandono volontario o di una scelta personale piuttosto che il risultato di una possessione demoniaca, come si riteneva nel Medioevo; anche Karl Ideler (1765-1860) traeva dal Romanticismo un'interpretazione metafisica delle motivazioni personali e delle pulsioni interiori inconsce, concetti che molto più tardi avrebbero in parte influito sui teorici della psicoanalisi.
Alla base della psichiatria tedesca, tuttavia, vi era un più pragmatico materialismo. Si riteneva che la diagnosi e il trattamento dovessero fondarsi su dati scientifici organici sperimentali piuttosto che sulle congetture letterarie degli 'psichisti'. Uno dei primi sostenitori dell'approccio somatico fu Karl Wigard Maximilian Jacobi (1775-1858) ma, tra i primi autori di manuali, il più influente fu Johannes Baptist Friedrich (1796-1862), che nel 1830 pubblicò l'opera Versuch einer Literärgeschichte der Pathologie und Therapie der Psychischen Krankenheiten (Tentativo di storia della letteratura sulla patologia e la terapia delle malattie mentali).
Wilhelm Griesinger (1817-1868), il padre della scuola di psichiatria organica tedesca, esercitò invece un profondo influsso sul successivo sviluppo della materia. Egli considerava la psichiatria una branca della neurologia e insisteva perché le due discipline rimanessero strettamente collegate. Dalle pagine della sua rivista, "Archiv für Psychiatrie", fondata nel 1868, incoraggiò la creazione di cliniche neuro-psichiatriche congiunte agli ospedali generali. Era profondamente convinto che l'anormalità psichica fosse di origine anatomica o fisiologica e che pertanto la malattia mentale fosse una patologia del cervello; la follia era semplicemente il sintomo di una patologia. Griesinger riteneva che un'irritazione cerebrale, conseguenza di un trauma, dell'ereditarietà, di un'infezione, di un'anemia o di una vasta gamma di cause ignote, producesse stati cronici irreversibili di degenerazione cerebrale, portando progressivamente e inesorabilmente alla disintegrazione della personalità e dell'intelligenza. Egli pensava che le malattie mentali potessero essere collocate lungo un continuum degenerativo, dagli stati depressivi meno gravi al deterioramento intellettuale totale della demenza, passando attraverso le psicosi croniche. L'ordinato schema di Griesinger affascinava gli psichiatri e sembrava concordare con le osservazioni condotte nei manicomi, dove lo stadio 'finale' delle psicosi durate tutta una vita pareva confondersi impercettibilmente con le demenze causate da infezioni cerebrali, traumi o vecchiaia. Un'opinione tanto influente risultava sorprendentemente difficile da confutare e a metà del XX sec. era ancora diffusa tra i medici degli ospedali psichiatrici. Griesinger ammetteva che in molti casi non era possibile identificare alcuna anomalia patologica durante l'autopsia del cervello dei pazienti, anche se due fisiologi suoi contemporanei, Hermann von Helmholtz ed Emil Du Bois-Reymond, stavano dimostrando l'esistenza di ogni genere di reazioni 'invisibili' associate alle funzioni vitali. L'atteggiamento personale di Griesinger, tuttavia, non era affatto così pessimistico come successivamente lo avrebbero considerato i suoi seguaci. Egli riteneva che i pazienti dovessero essere rassicurati poiché la malattia non era colpa loro più di quanto non lo fosse qualsiasi altra patologia fisica. Egli era convinto che la sua eziologia organica restituisse dignità ai pazienti e alimentasse la speranza di futuri trattamenti scientifici. I suoi discepoli, però, spesso interpretarono il continuum degenerativo come qualcosa di incurabile e irreparabile.
Karl Westphal (1833-1890), il successore di Griesinger a Berlino, continuò sulla stessa linea, pubblicando saggi di argomento neurologico sui disturbi del cervello e del sistema nervoso. Nella seconda metà del XIX sec., la psichiatria tedesca si inserì nella corrente della tradizione medico-scientifica che sarebbe divenuta predominante nell'Europa continentale e avrebbe avuto come scopo quello di comprendere i fondamenti scientifici della follia. Le sue finalità non erano quindi terapeutiche. Ciò era in netto contrasto con l'isolamento dei medici dei manicomi britannici, irrigiditi negli schemi amministrativi e accademicamente lontani dalla neurologia e dagli altri settori della medicina orientati alla ricerca. Questo atteggiamento è tuttavia comprensibile dal momento che essi erano costretti a preoccuparsi dell'amministrazione del servizio pubblico e della 'gestione' dei pazienti, piuttosto che del trattamento e della cura dei singoli ammalati.
Dall'illustre scuola tedesca uscì un certo numero di ottimi neurologi ed esperti di patologia cerebrale, tra i quali Theodor Hermann Meynert, Carl Wernicke e Auguste-Henri Forel. Meynert (1833-1892) costruì tutta la sua carriera a Vienna, diventando professore di psichiatria; sembra che egli fosse più interessato agli studi classici di anatomia del cervello che alla medicina psicologica. Curava anche i pazienti psichiatrici ma, come altri prima e dopo di lui, con un approccio organicistico; trovò quindi ben presto frustrante la loro disordinata sintomatologia e la difficoltà di costruire una teoria ragionevole sulla base di disturbi psichiatrici non corrispondenti in modo soddisfacente agli schemi di classificazione che stavano emergendo nella medicina generale e nella neurologia. Seguendo la stessa strada, Carl Wernicke (1848-1905) ripose le sue speranze nello studio della localizzazione del linguaggio, partendo dalla sofisticata teoria che i disturbi mentali erano legati ad anomalie linguistiche e dovevano quindi essere associati con quelle parti del cervello in cui avevano origine il linguaggio e il pensiero. Questo approccio fu alla base di nuove e durevoli scoperte sui disturbi del linguaggio, ma contribuì molto poco a estendere le frontiere della psichiatria.
Nella seconda metà del XIX sec. il pessimismo in merito alla possibilità di curare la malattia mentale fu comunemente condiviso in tutta Europa. I disturbi progressivi e incurabili di Griesinger sembravano confermare quello che gli alienisti inglesi osservavano nella popolazione cronica dei loro manicomi, dove il trattamento morale era stato abbandonato da tempo come metodo di cura e gli era stato assegnato il più modesto ruolo di creare un contesto umanitario. La personalità un po' misantropica di Maudsley incombeva con il suo pessimismo sul pensiero psichiatrico britannico; gli psichiatri inglesi abbracciarono quindi l'idea che la malattia mentale fosse il prodotto di una degenerazione mentale e fisica. Due francesi, Joseph Moreau de Tours (1804-1884), un allievo di Esquirol, e Bénédict-Auguste Morel (1809-1873) svilupparono la teoria della degenerazione come causa della malattia mentale.
Secondo la teoria onnicomprensiva di Morel il problema consisteva nell'accumulo degenerativo ereditario che si verificava nel corso delle generazioni. Fattori cerebrali organici, sociali e psicologici si combinavano per spingere l'indole debole e nervosa del membro di una famiglia sulla strada della tossicodipendenza e della criminalità; nell'arco di varie generazioni questi stessi fattori portavano alla follia, all'idiozia e alla demenza. A tale teoria di base, Valentin Magnan aggiunse la teoria evolutiva producendo un inebriante cocktail di irreversibile declino. Griesinger fu influenzato dalle idee di Morel, come lo fu Richard von Krafft-Ebing, il cui esaustivo catalogo delle deviazioni sessuali, Psychopathia sexualis (1866), attribuiva la perversione sessuale alla degenerazione costituzionale. La teoria della degenerazione fu accettata in tutta Europa. Come Krafft-Ebing, Paul Möbius (1853-1907) era affascinato dai rapporti tra patologia sessuale e follia, dalle differenze tra i sessi nel controllo degli impulsi sessuali e dal rapporto tra genio e pazzia. Riteneva che le donne in genere fossero vittime dei propri istinti sessuali animali, mentre quelle molto intelligenti erano anormali al punto da cadere nella degenerazione. Gli uomini e le donne di genio erano visti come 'degenerati superiori' che rischiavano di cedere alla pazzia o di lasciarla in eredità alla generazione successiva. In Italia, Cesare Lombroso (1835-1909) metteva in relazione la criminalità con la malattia mentale, considerandole entrambe conseguenze separate, ma collegate, della degenerazione e trovando conferma alla sua teoria nella fisionomia scimmiesca che spesso caratterizzava entrambe queste categorie di infelici.
Intorno alla fine del secolo, era ormai comunemente accettata l'idea che la pazzia, l'immoralità e la reprensibilità sociale fossero tutte conseguenze di tratti ereditari che quindi la società aveva il dovere di eliminare con la sterilizzazione, l'isolamento, la rigorosa educazione e il controllo dell'immigrazione. Le classi più sane dovevano invece essere incoraggiate a riprodursi.
A metà Ottocento, l'inefficacia delle cure comunemente utilizzate per le malattie fisiche nel trattamento dei disturbi mentali e il riconoscimento che la terapia morale era un metodo di assistenza, piuttosto che di cura, indussero gli alienisti e i neurologi più audaci a sperimentare un proprio metodo. Le sedie rotanti, le docce al capo, i bagni freddi e gli shock improvvisi furono di moda per un certo periodo, ma dopo il 1840 furono perlopiù abbandonati; nessuno di questi metodi era universalmente accettato nei manicomi. I farmaci, oltre a non essere specifici, erano di modesto aiuto. La psiche inconscia e le sue dinamiche divennero il punto focale di un approccio diverso. Il metodo 'psicodinamico' non mirava a curare il tipo di demenza riscontrato nei pazienti dei manicomi, ma tentava piuttosto di comprendere le menti afflitte dall'ansia, da pensieri ossessivi, da depressione o da quei sintomi di nevrosi minori, comunque inquietanti, per i quali le classi medie consultavano i loro medici. L'ipnotismo, che aveva le sue radici nel 'magnetismo animale' di Mesmer, rivelò il mondo interiore della psiche, sollevando interrogativi sulla volontà, su quegli impulsi e comportamenti personali che erano cruciali per comprendere le origini di uno dei più sconcertanti gruppi di disturbi osservati nei pazienti clinici del XIX sec., le isterie.
Jean-Martin Charcot (1825-1893), un famoso alienista e neurologo che lavorava alla Salpêtrière, il grande ospedale pubblico di Parigi, usava l'ipnosi come strumento principale per indagare l'origine psicologica dei sintomi dei suoi pazienti. Sperava di trovare una spiegazione fisica organica dei sintomi dell'isteria, usando probabilmente l'osservazione più di quanto le generazioni successive gli abbiano riconosciuto. La spettacolarità delle dimostrazioni effettuate da Charcot per i suoi colleghi dipendeva dalle interessanti performance teatrali dei suoi pazienti più suggestionabili, dal suo carisma personale e dal desiderio del pubblico di trovare la 'cura' convincente. Ancora una volta, il trattamento psichiatrico sembrava dipendere dalla forza della personalità del medico e dalla sua determinazione a convincere il paziente della correttezza del suo metodo. Probabilmente lo stile di Sigmund Freud fu in parte condizionato dall'aver visto Charcot in azione a Parigi nel 1885.
L'ipnosi era alla base anche dell'approccio terapeutico di Hippolyte Bernheim e di Ambroise-Auguste Liebault. Tuttavia, essendo i sintomi isterici così comuni, era chiaro che molti problemi non potevano essere immediatamente diagnosticati con il metodo ipnotico. Una difficoltà di carattere pratico consisteva nel fatto che pochissimi medici erano in grado di ipnotizzare con facilità; Freud, per esempio, non divenne mai un esperto. Il mondo interiore della psiche, dunque, doveva essere studiato in un altro modo. Le idee di Freud e dei suoi colleghi psicanalisti erano essenzialmente ottocentesche, ma per veder fiorire la psicanalisi dovremo aspettare il XX secolo. Mentre il pensiero psicanalitico progrediva come attività marginale nelle cliniche, i malati di mente gravi erano relegati nei manicomi e avevano ben poche opportunità di essere curati. Venivano comunque classificati secondo varie tassonomie di disturbi, molte delle quali sono utilizzate anche oggi.
La psicopatologia descrittiva si occupa del linguaggio relativo alla descrizione di sintomi e segni dei disturbi psichiatrici, la nosologia invece studia le regole in base alle quali i sintomi si raggruppano in sindromi e malattie. In medicina, la diagnosi clinica e il trattamento dipendono dalla validità delle descrizioni psicopatologiche nell'identificare i sintomi, assegnandoli a gruppi che rispondono in un determinato modo al trattamento e che producono risultati prevedibili. Quando i disturbi mentali entrarono a far parte di una branca della medicina, per progredire nella cura dei disturbi individuali si rese necessario definire le malattie psichiatriche più comuni in base a schemi diagnostici. La nosologia psichiatrica, ossia la classificazione in gruppi dei fenomeni mentali anomali osservati nei pazienti, era già iniziata nei secc. XVII e XVIII, ma nel XIX l'osservazione e la previsione sulla base dell'esperienza assunsero maggiore scientificità grazie alla scuola tedesca e alla sua pratica sperimentale nelle cliniche.
I disturbi maniacali, vale a dire quegli stati cronici in cui permangono una o più idee fisse ma la personalità è meglio preservata che nei casi di schizofrenia, erano di solito inclusi, accanto ad altre forme di psicosi meno distruttive, in una categoria chiamata alla fine del Settecento 'monomania'. Nel 1810, tuttavia, Esquirol usava il termine monomania per riferirsi a una 'infermità mentale parziale' in cui le fissazioni maniacali del paziente generano comportamenti anomali, ma comprensibili in quanto logica conseguenza delle sue convinzioni. Egli includeva tra queste i disturbi affettivi, ossia alcuni tipi di quella che si potrebbe definire mania o alcune forme limitate di melanconia. Come accade in quella che più tardi sarebbe stata definita 'paranoia', il paziente era soltanto parzialmente folle e in molte situazioni era in grado di pensare e di comportarsi in modo razionale.
Anche se la nozione di depressione nacque verso la metà del XIX sec., la necessità di separare dal concetto generale di mania uno stato ciclico dal quale si poteva uscire, e che colpiva essenzialmente l'umore e il pensiero, era già stata riconosciuta da Esquirol, il quale chiamava questo tipo di monomania 'lipemania'. Prima di Esquirol, la melanconia era considerata una sorta di 'contenitore diagnostico' caratterizzato da poche fissazioni maniacali. Dopo il periodo delle guerre napoleoniche, le molteplici versioni cliniche della mania e della melanconia confluirono in nuove forme di infermità mentale alterne, periodiche o circolari.
Il termine lipemania non attecchì mai né in Gran Bretagna né nell'Europa austroungarica. Reil Heinroth e Griesinger riconoscevano che la melanconia era un disturbo emotivo piuttosto che mentale e Carl Friedrich Flemming inserì nel suo manuale del 1859 un capitolo sugli stati d'animo anormali. Nella sua rassegna del 1879, Krafft-Ebing classificava i disturbi psichiatrici usando una serie di dicotomie: con o senza ritardo mentale, con o senza patologie organiche cerebrali, con o senza una storia di ereditarietà (degenerativa). Al livello più basso, le psiconevrosi erano divise in melanconia, mania e follia acuta e allucinatoria. In Germania, la classificazione di Krafft-Ebing ebbe un ruolo di primo piano fino a quando il genio di Emil Kraepelin (1856-1926) non offrì un'alternativa. Ulteriori classificazioni dei disturbi affettivi furono suggerite tra gli altri da Ritti (1876), Achille-Louis-François Foville (1882) e Mordret (1883), mentre all'inizio del XX sec. Kraepelin stabilì definitivamente il concetto di 'disturbi maniaco-depressivi'.
La psichiatria francese adottò il concetto di infermità mentale parziale come categoria diagnostica fondamentale. Sebbene negli anni Quaranta e Cinquanta la monomania di Esquirol fosse già declinata, nei primi decenni del secolo molte forme di monomania erano state descritte e presentate ai giudici francesi, peraltro scettici, in difesa di omicidi e criminali minori. Jules-Gabriel-François Baillarger (1809-1890) e Jean-Pierre Falret (1794-1870) introdussero quella che in seguito sarebbe divenuta nota come 'psicosi maniaco-depressiva' o 'malattia bipolare' e Morel fu il primo a descrivere la 'demenza precoce' di cui si è parlato. Ernest-Charles Lasègue (1816-1883) identificò in tutti i manicomi un gruppo di pazienti comuni che soffrivano di pronunciate e ripetute fissazioni maniacali, nelle quali l'idea della persecuzione era predominante. Oggi la parola paranoico implica uno stato emotivo caratterizzato dalla falsa convinzione di essere perseguitati; nel XIX sec., invece, il termine paranoia era esteso a tutte le convinzioni infondate, comprese le manie di grandezza, le fissazioni religiose e la convinzione del legame tra la malattia del corpo e i cambiamenti di umore, e non si faceva alcuna distinzione tra queste e le comuni forme di mania di persecuzione. Il contributo di Lasègue fu quello di dividere in gruppi diagnostici questi diversi tipi di sentire anomalo.
Anche in Germania gli psichiatri stavano individuando la specificità degli stati paranoici, ma verso la fine del secolo gli psichiatri francesi e quelli tedeschi avevano poco rispetto per le opinioni gli uni degli altri e le tensioni politiche tra i due paesi non incoraggiavano certo lo scambio di idee nelle discipline mediche e scientifiche. In Francia, Magnan, lo psichiatra più importante del manicomio Sainte-Anne a Parigi, era sempre più preoccupato della necessità di classificare le malattie mentali. Egli non condivideva la teoria dei suoi colleghi secondo la quale la degenerazione era alla base sia della follia ereditaria di tipo pervasivo e distruttivo, come la dementia precox, sia di quella cronica maniacale che si instaura in età avanzata in personalità ben preservate. Le convinzioni di Magnan aprirono un varco nella teoria onnicomprensiva della degenerazione, che nella Francia dell'epoca era ritenuta una scoperta tutta francese, importante e moderna; egli suggerì l'idea, già accettata in Germania, che come teoria eziologica quella della degenerazione fosse limitata. Le sue opinioni, tuttavia, furono respinte da quasi tutti i suoi colleghi, in particolare dal medico Benjamin Ball (1833-1893), titolare della cattedra di malattie mentali alla Facoltà di medicina di Parigi, che in passato era stato rivale di Magnan per il conferimento di quell'incarico. Nonostante l'antipatia personale nei confronti di Magnan, che amava elaborare le sue teorie psichiatriche da solo, e pur riconoscendo il debito che aveva con Lasègue, Ball era meno propenso a lodare gli sforzi dei suoi più stretti collaboratori; ciò forse contribuì a porre ostacoli all'affermazione delle sue idee. Nel frattempo l'approccio nosologico francese e quello tedesco presero strade diverse che non si sarebbero mai più incontrate.
Alexander 1967: Alexander, Franz G. - Selesnick, Sheldon É., The history of psychiatry. An evaluation of psychiatric thought and practice from prehistoric times to the present, London, Allen and Unwin, 1967 (1. ed.: New York, Harper & Row, 1966).
Bartlett 1999: Bartlett, Peter, The poor law of lunacy. The administration of pauper lunatics in mid-nineteenth-century England, London, Leicester University Press, 1999.
Berrios 1995: A history of clinical psychiatry. The origin and history of psychiatric disorders, edited by German Berrios and Roy Porter, London-New Brunswick (N.J.), Athlone, 1995.
Bynum 1994: Bynum, William F., Science and the practice of medicine in the nineteenth century, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1994.
Dowbiggin 1991: Dowbiggin, Ian R., Inheriting Madness. Professionalization and psychiatric knowledge in nineteenth century France, Berkeley, University of California Press, 1991.
Goldman 2002: Goldman, Lawrence, Science, reform and politics in Victorian Britain. The Social Science Association 1857-1886, Cambridge, Cambridge University Press, 2002.
Grob 1973: Grob, Gerald, Mental institutions in America. Social policy to 1875, New York, Free Press, 1973.
Hare 1991: Hare, Edward, The history of 'nervous disorders' from 1600-1840 and a comparison with modern views, "British journal of psychiatry", 159, 1991, pp. 37-45.
Hunter 1963: Hunter, Richard - Macalpine, Ida, Three hundreds of psychiatry, 1535-1860, London, Oxford University Press, 1963.
Melling 1999: Insanity, institutions and society. 1800-1914, edited by Joseph Melling and Bill Forsythe, London-New York, Routledge, 1999.
Micale 1994: Discovering the history of psychiatry, edited by Mark S. Micale and Roy Porter, New York-Oxford, Oxford University Press, 1994.
‒ 1995: Micale, Mark S., Approaching hysteria. Disease and its interpretations, Princeton, Princeton University Press, 1995.
Porter 1987: Porter, Roy, A social history of madness, London, Weidenfeld and Nicolson, 1987.
Rothman 1971: Rothman, David, The discovery of the asylum. Social order and disorder in the New Republic, Boston, Little Brown, 1971 (altra ed.: 1990).
Scull 1993: Scull, Andrew, The most solitary of afflictions. Madness and society in Britain 1700-1900, New Haven, Yale University Press, 1993.
‒ 1996: Scull, Andrew - Mackenzie, Charlotte - Hervey, Nicholas, Masters of Bedlam. The transformation of the mad-doctoring trade, Princeton, Princeton University Press, 1996.