L'Ottocento: fisica. La fisica francese di inizio secolo
La fisica francese di inizio secolo
Nella storia della scienza, come del resto in altri campi, la ricerca delle origini è un'impresa piuttosto vana. Se di fatto nessuno è in grado di fissare una data di nascita per la fisica moderna, esistono comunque periodi fondanti nei quali le conoscenze prendono una forma nuova. È quanto accade in Francia dopo il 1800, quando entra in scena una generazione di uomini di scienza che pratica una fisica diversa da quella del secolo precedente, operando un notevole cambiamento sia istituzionale sia intellettuale: si sperimentano nuove forme di indagine e si aprono nuovi campi di ricerca, ponendo le basi del formidabile sviluppo della fisica del XIX secolo.
Nel corso degli ultimi quarant'anni, grazie a numerosi lavori di ricerca, sono stati compiuti grandi progressi nella ricostruzione di questo processo anche se la portata e la natura del cambiamento avvenuto agli inizi dell'Ottocento in Francia sono ancora oggetto di analisi tra gli storici della scienza. Si discute infatti se si debba parlare di rottura, di rivoluzione, o semplicemente di evoluzione in continuità con gli ultimi decenni del XVIII sec.; e ancora se la spinta al cambiamento vada cercata all'interno della disciplina o ai confini della stessa, interrogandosi sul ruolo da attribuire ai rivolgimenti istituzionali e politici in Francia, che influirono in modo notevole sul mondo scientifico. Sono problemi di carattere generale, che riguardano la separazione tra le discipline, le trasformazioni nella pratica della ricerca e le evoluzioni dei modelli fisici.
Intorno al 1800 la fisica, come accennato, conosce un profondo cambiamento. Dopo essere stata a lungo considerata come la scienza della Natura, senza ulteriori specificazioni, essa tende a ridursi allo studio delle proprietà generali dei corpi e di alcuni fenomeni come il suono, la luce, il calore, l'elettricità e il magnetismo; ma soprattutto essa diventa, insieme, una disciplina sperimentale, quantitativa e matematica. Questa evoluzione è lenta nella sua prima fase, ma accelera dopo il 1780, soprattutto in Francia, incoraggiata dagli scienziati dell'Académie Royale des Sciences, in modo particolare da Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794). La Rivoluzione francese fornisce un quadro nuovo per questo sviluppo, con la fondazione dell'École Polytechnique, nella quale la nuova generazione di fisici riceverà una formazione matematica di alto livello, acquisendo una mentalità di rigore e di precisione.
Il quadro istituzionale
Oggetto di studio nelle università fin dal Medioevo con il nome di Filosofia della Natura, alla vigilia della Rivoluzione la fisica veniva insegnata in Francia nel secondo anno di filosofia, nelle classi dette 'di fisica' delle principali scuole. L'insegnamento era in parte in francese, mentre il corso di filosofia propriamente detto restava interamente in latino. Il fatto che i professori fossero perlopiù specialisti della materia permise alla fisica di acquisire nell'istruzione una propria autonomia, pur restando parte integrante della filosofia. Alla fine del XVIII sec., oltre a essere insegnata nelle scuole, aveva un suo spazio anche nelle istituzioni pubbliche, in particolare nell'Académie, divisa, dalla fine del Seicento, in tre classi di scienze fisiche e tre di scienze matematiche. Nell'Académie, tuttavia, tale disciplina non aveva ancora uno status preciso e soltanto nel 1785 fu espressamente creata una classe per la fisica generale, stranamente inserita, però, tra le scienze matematiche e non tra quelle fisiche.
In linea generale, nell'opinione pubblica più illuminata della fine del XVIII sec. esisteva un diffuso interesse per la fisica, che si traduceva nello sviluppo della cosiddetta 'fisica dilettevole' ‒ la physique amusante ‒, interessata soprattutto ai fenomeni elettrici, che riscuoteva successo in corsi pubblici, promuoveva la nascita di molti gabinetti privati di fisica e stimolava l'attività di 'fisici' dilettanti e fabbricanti di strumenti. Alcuni di essi, come René-Just Haüy (1743-1822), che insegnava latino in una scuola di Parigi, o Jacques-Alexandre-César Charles (1746-1823), figlio del duca di Castries, tesoriere delle stazioni di monta equina al Bureau des Finances, effettuarono ricerche la cui importanza era riconosciuta dall'élite degli scienziati; altri però, come Jean-Paul Marat (1743-1795), erano considerati ciarlatani. L'invenzione del pallone aerostatico, il successo del parafulmine, la moda del mesmerismo testimoniano in ogni caso, negli ultimi anni dell'Ancien Régime, l'entusiasmo per una fisica sperimentale che vuol essere contemporaneamente spettacolare e utile.
La Rivoluzione provoca un cambiamento profondo nel mondo degli scienziati. Se il posto occupato dalla fisica nell'organizzazione accademica non era interessato dai rivolgimenti istituzionali, in compenso la creazione del sistema metrico esercitava una sicura influenza su questa disciplina. Avviata nel 1791 e conclusa nel 1799, essa mobilitò tutte le competenze in materia di misure esatte, allo scopo di determinare la lunghezza del meridiano terrestre o quella di un pendolo che batte i secondi, oppure di realizzare unità campione; contribuì così a diffondere in tutte le scienze fisiche quella cultura della precisione che l'astronomia di osservazione aveva acquisito da tempo. La fine della censura e del monopolio accademico favorì poi lo sviluppo di una stampa scientifica specializzata; al "Journal de physique" di Jean-Claude de La Métherie (1743-1817), ostile alla nuova fisica quantitativa e già attivo durante l'Ancien Régime, si aggiunsero in primo luogo le "Annales de chimie", fondate da Lavoisier e dai suoi amici nel 1789, il "Bulletin des sciences" della Société Philomatique de Paris nel 1791, il "Journal des mines" nel 1794 e il "Journal de l'École Polytechnique" nel 1795. Le novità più importanti riguardarono però l'insegnamento. Sulle rovine delle vecchie istituzioni scolastiche i rivoluzionari vollero organizzare un sistema generale di istruzione pubblica. In questa impresa sarà decisivo il ruolo degli scienziati riformatori: nei loro progetti le scienze avranno un posto di rilievo; in particolare, Jean-Antoine-Nicolas Caritat de Condorcet presentò nel 1792 un piano generale che prevedeva l'insegnamento della fisica sperimentale a tutti i livelli d'istruzione. Il progetto non sarà attuato, ma ispirerà l'opera della Convenzione dopo Termidoro che, per sostituire le vecchie scuole, istituì in ogni dipartimento una scuola centrale, dotata di una cattedra di fisica e chimica sperimentale. L'insegnamento della fisica venne così definitivamente separato da quello della filosofia. Per la formazione dei nuovi insegnanti, nel 1795 funzionò per qualche mese una École Normale, i cui professori di scienze erano membri della vecchia Académie. Haüy fu incaricato delle lezioni di fisica dalle quali nascerà il Traité élémentaire de physique, pubblicato nel 1803, una sorta di manuale per l'insegnamento nei licei.
Nel campo scientifico la novità più importante è rappresentata dalla costituzione dell'École Centrale des Travaux Publics, fondata per iniziativa di Gaspard Monge nel 1794 e rinominata l'anno seguente École Polytechnique. Lo scopo principale di questa scuola era non soltanto la formazione di ingegneri, ma, più in generale, l'insegnamento e la diffusione delle scienze. Come all'École Normale, i professori erano tutti scienziati; tra essi, durante la Rivoluzione, si annoverano Claude-Louis Berthollet per la chimica organica, Joseph-Louis Lagrange, Monge e Jean-Baptiste-Joseph Fourier per la matematica; sotto la loro direzione duecento allievi ricevevano ogni anno lezioni di alto livello e alcuni di essi, come Jean-Baptiste Biot o Joseph-Louis Gay-Lussac, intraprenderanno la carriera scientifica. Il programma dell'École Polytechnique comprendeva un corso di fisica, affidato a un ingegnere minerario amico di Monge e Lavoisier, Jean-Henri Hassenfratz (1755-1827), e numerosi corsi di chimica. Tuttavia, furono soprattutto i corsi di analisi, di meccanica e di geometria descrittiva, senza equivalenti in Europa, che fecero dell'École Polytechnique un istituto di eccellenza nelle scienze, garantendo ai giovani studiosi una cultura matematica ben superiore a quella dei loro predecessori.
Da questa presentazione, risulta chiaro che alla fine del XVIII sec. la fisica non ha ancora acquisito una vera e propria identità, malgrado i cambiamenti dovuti alla Rivoluzione francese sul piano istituzionale.
L'idea che la fisica costituisca parte integrante della filosofia scompare definitivamente, insieme all'uso del latino e alla denominazione di 'filosofia naturale', mentre l'idea che la fisica possa comprendere tutte le scienze della Natura è messa in discussione, ma non scompare. Lo dimostra il fatto che nella Prima Classe dell'Institut de France viene mantenuta una divisione delle scienze fisiche che raggruppa discipline tra loro tanto diverse come la chimica, la mineralogia, la botanica, la medicina e la chirurgia. Centrale tuttavia è lo sviluppo che avrà durante la Rivoluzione l'insegnamento delle scienze, sia a livello superiore sia a livello secondario. Le scienze fisiche beneficiano di questo rivolgimento generale, ma la loro posizione resta liminare rispetto alla matematica. La fisica sperimentale risente positivamente delle iniziative tese a svilupparne l'insegnamento; essa perde l'aspetto amatoriale che ancora la caratterizzava negli anni Ottanta del Settecento, guadagnando in compenso un pubblico più preparato e sicuramente più esigente; grazie principalmente all'École Polytechnique, emerge una generazione di studiosi, assetata di scienza e appassionata di matematica che realizzerà, tra il 1800 e il 1830, le promesse annunciate dalla nuova fisica alla fine del secolo precedente.
L'emergere di una nuova fisica
Sviluppata dapprima in Inghilterra e poi in Olanda, la fisica sperimentale, associata allora al nome di Isaac Newton, viene introdotta in Francia negli anni Quaranta del Settecento grazie soprattutto all'abate Jean-Antoine Nollet (1700-1770); essa si basa interamente sull'uso di strumenti che servono a dimostrare i fenomeni. Si tratta di dimostrazioni in lingua vernacolare, che si rivolgono a un pubblico colto attratto dalle meraviglie della scienza e che mirano a rivelare fenomeni nuovi. Il successo della fisica dimostrativa apre un mercato ai fabbricanti di strumenti specializzati e favorisce lo sviluppo e la diffusione di conoscenze legate direttamente allo svolgimento di un esperimento. Fino al 1770 la fisica sperimentale rimane però una disciplina interessata principalmente agli aspetti qualitativi della ricerca: si preferisce esibire fatti piuttosto che misurarli. Questa situazione comincia a cambiare negli anni successivi; si fa strada allora una nuova pratica sperimentale, più accurata e più qualificata, la cui evoluzione in Francia è dominata dalle figure di Lavoisier e Charles-Augustin Coulomb (1736-1806).
Lavoisier solleva la questione dei rapporti tra fisica e chimica alla fine del XVIII sec.; queste due scienze sono infatti da tempo associate: la chimica costituisce la cosiddetta 'fisica particolare', distinta dalla fisica generale. Chimici e fisici sono tuttavia due comunità del tutto distinte, ognuna con le proprie tradizioni e la propria attività di ricerca. Mentre la fisica resta una scienza speculativa, pur potendo essere anche sperimentale, la chimica è una scienza pratica, legata a numerose industrie e soprattutto alle professioni dell'ambito sanitario. Coloro che la praticano dispongono di una formazione sperimentale spesso eccellente; il laboratorio di chimica è per loro un luogo di lavoro e di scoperta, mentre per gli esperti di fisica dimostrativa il gabinetto di fisica è spesso un magazzino di strumenti. Rivoluzionando la chimica, Lavoisier, che si considera un fisico, ha l'ambizione di eliminare la separazione tra le due discipline; poiché l'unità delle scienze è metodologica, si tratta di determinare le leggi della Natura per mezzo di misure sperimentali rigorose e accurate ed esprimerle in forma quantitativa mediante relazioni algebriche. è un'impresa che richiede da un lato l'ideazione e la costruzione di strumenti nuovi, più affidabili e più precisi ‒ l'esempio paradigmatico è la bilancia di Fortin ‒ e dall'altro lato la creazione di una nomenclatura e di un metodo di calcolo rispondenti a questa nuova pratica. Tuttavia l'importanza di Lavoisier non risiede soltanto nelle sue scoperte, ma anche nel ruolo di promotore svolto, soprattutto dopo il 1780, raccogliendo attorno a sé, all'Arsenal, un gruppo di studiosi conquistati dal suo programma. In quegli anni egli avvia la collaborazione con alcuni scienziati di formazione matematica, come Pierre-Simon de Laplace e Jean-Baptiste Meusnier de la Place, promuovendo attivamente la nuova fisica sperimentale all'Académie.
Lavoisier non è dunque isolato nell'ambiente accademico ma fa parte di un movimento collettivo del quale partecipano studiosi provenienti da ambiti diversi. Alla fisica sperimentale di tipo quantitativo si riallacciano così, negli anni Ottanta, i lavori di Lavoisier e Laplace sui calori specifici, quelli di Haüy sulla morfologia dei cristalli e soprattutto le importanti scoperte di Coulomb nell'ambito di elettricità e magnetismo. Ingegnere del genio, Coulomb inventa la bilancia di torsione per misurare le forze; grazie a questo strumento, egli giunge a calcolare accuratamente l'intensità delle forze elettrostatiche tra due corpi carichi e delle forze magnetiche tra due calamite. L'interesse del lavoro di Coulomb non si riduce però all'uso del nuovo strumento di misura, né all'originalità e alla precisione degli esperimenti quantitativi, riguardando anche l'interpretazione dei risultati, che sembrano confermare l'analogia, postulata dai newtoniani, tra forze elettriche e magnetiche e forza di gravità. Per il metodo, che associa l'esperienza al calcolo, come pure per la teoria, fondata sulle forze attrattive e repulsive tra particelle di fluidi, la fisica di Coulomb annuncia, più di ogni altra, quella dei laplaciani dei primi del XIX secolo. Il fatto che egli sia un ingegnere non è privo di significato; a partire dagli anni Settanta si assiste infatti in Francia alla comparsa di un nuovo tipo di ingegnere-scienziato, con un curriculum scolastico e una buona preparazione in matematica, che cerca principalmente di applicare la scienza alla risoluzione dei problemi di meccanica pratica, unendo l'esperienza al calcolo. Lo stesso Coulomb studia l'attrito dei corpi, la meccanica del suolo e il movimento delle macchine; Jean-Charles Borda (1733-1799) lavora sulle ruote e sul deflusso dei fluidi; Lazare Carnot (1753-1823) pone i principî di una teoria generale delle macchine. Alcuni di questi scienziati sono interessati alle scienze fisiche; Monge, che senza essere ingegnere insegnerà a lungo all'École du Génie, intraprende, dopo il 1780, ricerche di fisica e chimica, mentre Meusnier collabora strettamente con Lavoisier. Per tutti gli ingegneri-scienziati, la preoccupazione per la precisione nello studio dei fenomeni fisici sembra comunque essere legata a un notevole interesse per la matematica.
Tale interesse è vicino a quello dei teorici della meccanica celeste, i quali sviluppano e perfezionano nel XVIII sec. i metodi dei Principia di Newton tradotti nel linguaggio dell'analisi. Questi scienziati sono 'geometri' e non fisici, ma cercano, ancora timidamente, di applicare i loro metodi ai fenomeni terrestri, trasformando poco a poco il campo tradizionale della matematica 'mista' (principalmente meccanica e ottica) in una nuova e più ampia specializzazione: la fisica matematica. In Francia questo lavoro di lungo respiro è opera di un piccolo gruppo di accademici, in primo luogo Alexis-Claude Clairaut, Jean Le Rond d'Alembert e Laplace, ma anche Lagrange, giunto a Parigi nel 1787. Interessati soprattutto a questioni matematiche (stabilire le equazioni differenziali e alle derivate parziali che governano i fenomeni e cercarne le soluzioni), questi fisici matematici, a eccezione di Laplace, interagiscono poco con i fisici sperimentali. D'altra parte, per essere operativi i calcoli di meccanica celeste esigono dati di osservazione sicuri e precisi. Grazie a strumenti sempre più sofisticati, le misure in astronomia e geodesia raggiungono un grado di precisione senza paragone nelle altre scienze; per i nuovi fisici sperimentali è un esempio da seguire.
Il primo decennio del XIX sec. vede fiorire i lavori di fisica di una nuova generazione formatasi all'École Polytechnique. Il merito di questo straordinario sviluppo è soprattutto, se non esclusivamente, di Laplace. Nel 1800 egli ha già più di 50 anni; scienziato della vecchia Académie, fin dagli anni Ottanta è considerato uno dei primissimi astronomi e matematici del suo tempo; durante la Rivoluzione è professore all'École Normale ed esaminatore all'École Polytechnique; nel 1796 pubblica l'Exposition du système du monde, nella quale presenta a un pubblico colto le proprie teorie astronomiche; tre anni dopo, nel 1799, compaiono i primi due libri del grande Traité de mécanique céleste. Il colpo di Stato di Brumaio ne fa un personaggio ufficiale: diventa infatti ministro degli Interni di Napoleone per sei settimane, poi senatore e cancelliere del Senato nel 1803. Posizione e fortuna personale gli danno ormai i mezzi per esercitare la propria influenza e aiutare i propri protetti. Fino alla morte, nel 1827, Laplace sarà uno degli uomini più potenti e influenti della scienza francese.
Laplace e la fisica
Laplace mostra da subito un grande interesse per la fisica; a partire dalla fine degli anni Settanta del Settecento studia con Lavoisier la vaporizzazione dei fluidi. Nel 1783 e 1784 i due scienziati effettuano insieme ricerche sui calori specifici, e Laplace inventa in questa occasione il calorimetro a ghiaccio, un lavoro importante, che resterà però senza seguito; lo scienziato sarà infatti assorbito per quindici anni dalle ricerche di astronomia e di matematica, pur frequentando ancora la cerchia di Lavoisier. Solo dopo il 1800 manifesterà nuovamente un vivo interesse per la fisica. L'influenza dell'amico Berthollet, che condivide le sue posizioni sulla natura fisica delle affinità chimiche, contribuisce senza dubbio a questo nuovo orientamento. L'interesse di Laplace si manifesterà negli anni seguenti con pubblicazioni, ma, anche e soprattutto, scoprendo giovani scienziati e sostenendoli nella loro carriera. Il suo primo protetto è uno studente entrato nel 1794 all'École Polytechnique, Jean-Baptiste Biot (1774-1862), al quale affida la correzione delle bozze dei primi due volumi del Traité e, nel 1800, fa chiamare per una cattedra di fisica matematica che era stata istituita al Collège de France.
Preso dalla redazione del Traité, Laplace si limiterà a pubblicare un breve studio di elettrostatica, nel 1801, e due note sulla fisica dei gas nell'Essai de statique chimique di Berthollet, nel 1803. In compenso egli suggerisce a Biot un lavoro importante sulla teoria del suono, pubblicato nel 1802 nel "Journal de physique"; contribuisce probabilmente anche a indirizzare l'assistente di Berthollet, Gay-Lussac, allo studio della dilatazione dei gas. Sarà però la pubblicazione del Libro X del Traité nel 1805, seguita da quella dei due supplementi nel 1806, a segnare l'ingresso vero e proprio di Laplace nel campo della nuova fisica. In quest'opera egli sviluppa una teoria della rifrazione atmosferica e una della capillarità che saranno un modello per i suoi allievi più vicini.
Nel 1806 Laplace acquista ad Arcueil una proprietà attigua a quella in cui Berthollet ha installato un laboratorio di chimica e fisica e prende a ricevervi giovani chimici, tra i quali Louis-Jacques Thenard (1777-1857) e Gay-Lussac. Da questo momento i due scienziati riuniscono attorno a sé una piccola cerchia di studiosi per scambiare idee e organizzare il lavoro di ricerca in chimica e in fisica.
Arcueil e Parigi
Si costituisce così nel 1806, con l'appoggio di Napoleone, la Société d'Arcueil, che l'anno dopo si doterà di uno statuto. Nel 1807 la Société conta soltanto nove membri: Laplace, Berthollet e suo figlio Amédée, Gay-Lussac, Thenard, Biot, Alexander von Humboldt, Augustin-Pyramus de Candolle e Hippolyte-Victor Collet-Descotils; poco più tardi si aggiungeranno Étienne-Louis Malus, Dominique-François Arago, Jacques-Étienne Bérard, Pierre-Louis Dulong e, più saltuariamente, Jean-Antoine-Claude Chaptal e Siméon-Denis Poisson. Nella bella stagione si tengono sedute regolari due volte al mese, nel fine settimana, presiedute a turno da Berthollet e da Laplace. I lavori di ciascuno dei membri, compresi quelli di questi ultimi, vengono presentati e discussi; alcuni di tali lavori sono pubblicati nei Mémoires de physique et de chimie de la Société d'Arcueil, il primo volume dei quali appare nel 1807, il secondo nel 1809 e l'ultimo, già pronto nel 1813, solamente nel 1817. Vengono proposti nuovi temi di ricerca, come quello dei calori specifici dei gas o della doppia rifrazione, mentre il laboratorio di Berthollet è utilizzato per gli esperimenti. La Société dispone anche di un gabinetto di fisica e di una biblioteca; malgrado le piccole dimensioni e la breve esistenza ‒ si scioglierà nel 1816 ‒ la Société d'Arcueil ricopre un ruolo importante nello sviluppo della nuova fisica. Come ha dimostrato Maurice Crosland, essa forniva ai propri membri un ambiente ideale per scambi informali e per strette collaborazioni, e a Laplace, in particolare, un'opportunità per esercitare la propria influenza su giovani sperimentatori di talento. Senza la Société d'Arcueil, Laplace non avrebbe potuto dare impulso con lo stesso successo a quello che era un vero e proprio programma collettivo di ricerca fisica.
Laplace è contemporaneamente molto attivo anche a Parigi, dove la sua posizione scientifica e politica gli offre i mezzi per promuovere le proprie idee in fisica. Nella Prima Classe dell'Institut, dove fa eleggere i propri protetti, la sua influenza è preponderante: con il suo appoggio sono nominati Biot nel 1803, nella sezione di geometria, Gay-Lussac nel 1806 in quella di fisica generale, Arago nel 1809 in quella di astronomia, Malus e Poisson, rispettivamente nel 1810 e nel 1812, nella sezione di fisica generale. Laplace si serve inoltre del sistema dei premi accademici per indirizzare la ricerca, e contribuisce perciò alla scelta degli argomenti oggetto del premio: nel gennaio del 1808 la doppia rifrazione, nel gennaio del 1809 le superfici elastiche, nel gennaio del 1810 la diffusione del calore e nel dicembre del 1811 la distribuzione dell'elettricità sulla superficie dei corpi; i calori specifici dei gas sono infine l'argomento di un premio di fisica nel gennaio 1811. Come membro del Bureau des Longitudes, egli determina l'ingresso nell'istituzione di Arago nel 1805 e di Poisson nel 1808, mentre gli esperimenti sulla rifrazione nei gas effettuati nel 1806 da Biot e Arago su sua richiesta danno una misura dei mezzi di cui egli dispone. Per questi esperimenti Laplace ottiene infatti l'appoggio ufficiale tanto dell'Académie, che gli accorda ben 2700 franchi, quanto del Bureau des Longitudes, il quale concede in prestito il cerchio ripetitore, un teodolite perfezionato inventato da Borda. Gli esperimenti sono poi effettuati, con l'assistenza del fabbricante di strumenti Jean-Nicolas Fortin (1750-1831), presso il Palais du Luxembourg, nei locali del Senato di cui Laplace è il cancelliere.
In generale, la fisica di Laplace si inscrive nella tradizione inaugurata da Newton: è una fisica delle forze a distanza, a carattere, insieme, matematico e sperimentale. Il modello è quello della meccanica celeste fondata dall'autore dei Principia e sviluppata dai matematici del Continente, fino allo stesso Laplace. L'ambizione di quest'ultimo, come quella di Newton, consiste nella possibilità di estendere ai fenomeni terrestri i metodi che avevano dato buoni risultati nello studio dei fenomeni celesti. La gravitazione universale gli fornisce a questo scopo il paradigma delle leggi fisiche che si appresta a scoprire e applicare. Per meglio coglierne il carattere distingueremo qui tre aspetti della fisica di Laplace: l'aspetto filosofico, quello matematico e quello sperimentale.
Un modello fisico
La fisica di Laplace è innanzitutto una filosofia naturale, cioè un modello della Natura: il mondo è pieno di corpi e di fluidi materiali o immateriali, quali la luce, l'elettricità, il magnetismo e anche il calore. Ponendosi nella tradizione dell'Opticks di Newton, Laplace afferma che questi corpi e questi fluidi sono tutti composti di particelle, o molecole, che interagiscono a distanza secondo forze centrali attrattive o repulsive e che i fenomeni fisici sono una conseguenza di tali interazioni molecolari. La tesi sostenuta da Laplace nel 1783, e poi ancora nell'Exposition du système du monde, viene esplicitamente presentata come il fondamento della sua fisica in una nota che pubblicherà nel 1810; in essa Laplace sostiene di aver cercato di dimostrare che i fenomeni della Natura si riducono in ultima analisi ad "azioni a distanza da molecola a molecola" e che la considerazione di queste azioni deve servire di base alla teoria matematica di fenomeni come la rifrazione della luce, la capillarità, l'elasticità dei corpi e la diffusione del calore, ai quali si aggiungono il moto degli astri, come pure i fenomeni elettrici e magnetici e le affinità chimiche.
Si tratta di idee, a dire il vero, non originali né nuove. L'esistenza di molteplici forze connesse sia con i corpi materiali sia con i fluidi immateriali è ammessa da tutti gli autori della fine del XVIII sec., anche se tra aspre discussioni riguardo al numero e alla loro natura. Alcune forze si possono infatti esercitare tra corpi materiali: è il caso della gravità, dell'affinità chimica e delle forze capillari; altre, come le forze elettriche e magnetiche connesse con fluidi immateriali, si esercitano su certi corpi materiali; altre ancora, connesse con i corpi materiali, si esercitano su fluidi immateriali, come le forze di rifrazione sulla luce, e altre possono perfino esercitarsi tra fluidi immateriali. Anche il carattere molecolare di queste forze di interazione è un'idea antica, risalente almeno a Newton, e condivisa da Haüy, Lavoisier, Coulomb e Berthollet alla fine del XVIII secolo. Il modello della fisica di Laplace è quindi per certi versi banale, tanto che John L. Heilbron ha potuto definirlo ironicamente 'il modello standard dell'Ottocento'. La novità del programma di Laplace va quindi cercata altrove.
Una matematizzazione
Nella nota del 1810 che abbiamo citato Laplace precisa che lo studio delle azioni molecolari a distanza deve servire di base alla teoria 'matematica' dei fenomeni fisici, ai quali vanno pertanto applicati i metodi che hanno avuto successo in meccanica celeste. Laplace, dunque, s'inserisce in una tradizione di fisica matematica che risale almeno ai Principia e prosegue nel XVIII secolo. Nello studio della propagazione del suono il punto di partenza di Laplace e di Biot si ritrova infatti nello stesso Newton ed è poi precisato da Lagrange; nelle indagini sulla rifrazione atmosferica e sulla capillarità Laplace si ispira prima alle idee di Clairaut; più tardi, nell'esaminare la doppia rifrazione, Malus e Laplace riprendono la costruzione matematica di Christiaan Huygens (1629-1695), anche se per darne una spiegazione diversa mediante l'azione delle forze a distanza. Questi riferimenti possono dare l'impressione di una pura e semplice continuità tra la fisica matematica del XVII e del XVIII sec. e la fisica di Laplace degli inizi dell'Ottocento. C'è però un elemento di novità che consiste nel modo di matematizzare la fisica; mentre i fisici matematici del XVIII sec. sviluppavano, a partire da principî ammessi come evidenti, teorie puramente matematiche senza riferimento al significato fisico né ai dati sperimentali, i nuovi fisici hanno cura di articolare il loro modello matematico sul modello fisico delle interazioni molecolari a distanza e di confrontare i risultati con quelli degli esperimenti che tali risultati suggeriscono.
Precisamente, la fisica di Laplace si basa sull'ipotesi che le forze di interazione agiscono solo a distanza microscopica, per cui gli effetti macroscopici che esse producono sono indipendenti dalle loro espressioni matematiche esatte. Tecnicamente, il passaggio a livello macroscopico si effettua sommando tutte le infinite forze di interazione molecolare, senza tener conto del fatto che le distanze reali sono sempre finite. Nelle formule così ottenute la natura incognita delle forze di interazione determina univocamente i valori dei parametri fisici, espressi matematicamente sotto forma di integrali definiti. Questi valori, che così sfuggono al calcolo, devono essere cercati sperimentalmente. Le formule forniscono in compenso informazioni sui rapporti tra i parametri, siano essi geometrici o fisici. Nella teoria della rifrazione atmosferica Laplace dimostra, per esempio, che il rapporto tra il seno dell'angolo d'incidenza e il seno dell'angolo di rifrazione è costante (legge di Snell); nella teoria della capillarità, che l'altezza del liquido, proporzionale al seno dell'angolo di contatto del menisco, è inversamente proporzionale al diametro del tubo (legge di Jurin). Gli integrali definiti, nella fisica di Laplace, hanno in qualche modo il ruolo di scatola nera per le forze molecolari, e ciò in proporzione riduce l'importanza del relativo modello fisico. L'arte del fisico matematico consiste allora principalmente nella manipolazione di formule che si devono ridurre a relazioni semplici tra parametri fisici e geometrici; nel caso della capillarità, un'analisi puramente geometrica fornisce così a Laplace l'equazione alle derivate parziali della superficie del menisco.
Dal modello all'esperimento
Se nella ricerca effettiva delle leggi il modello fisico ha un ruolo più apparente che reale, in quanto in ultima analisi tutto si fonda sul calcolo analitico, la fisica di Laplace non si riduce per questo alla sola matematica. Da un lato, infatti, è l'ipotesi fondamentale delle forze di interazione molecolare a fornire il quadro del programma di ricerca; dall'altro, la determinazione dei parametri fisici che entrano nelle equazioni è lasciata interamente alla sperimentazione. La matematizzazione che caratterizza la fisica di Laplace apre in tal modo un nuovo spazio alla misura sperimentale accurata; il suo vecchio lavoro in calorimetria fornisce un esempio da seguire. Dopo il 1800 Laplace, capo della ricerca, affida, d'accordo con Berthollet, la parte sperimentale del programma ai suoi allievi e collaboratori, spesso riuniti in équipe. Biot esegue esperimenti sulla pila voltaica, dapprima con Cuvier, poi autonomamente (1801-1803), sulla diffusione del calore (1804), sul magnetismo terrestre con Humboldt e Gay-Lussac (1804), sulla rifrazione nei gas con Arago (1805-1806), e sulla propagazione del suono (1807). Gay-Lussac lavora sulla dilatazione dei gas (1802) e sulla capillarità (1806). Nel periodo successivo il gruppo riunito intorno a Laplace effettua ricerche sperimentali molto importanti: sulla luce, con Malus, Arago e Biot (1807-1815), sui calori specifici dei gas, con Delaroche e Bérard (1811-1812). Laplace non contribuisce personalmente alla sperimentazione che caratterizza tutti questi lavori, ma il suo ruolo indiretto è notevole. Non soltanto, infatti, è lui a indicare quali ricerche devono essere effettuate, ma fornisce anche il programma: misurare con la massima accuratezza i parametri fisici che entrano nella formulazione delle leggi. Queste stesse misure possono a loro volta permettere di precisare le leggi; per esempio, utilizzando i risultati, anche se sbagliati, di Delaroche e Bérard sui calori specifici, Laplace dimostra, nel 1816, che la velocità del suono in un gas dipende dal rapporto tra i suoi calori specifici (a pressione e volume costanti). Sei anni più tardi, Gay-Lussac e Jean-Joseph Welter confermano questo importante risultato misurando con precisione il rapporto tra i calori specifici nel caso dell'aria.
La fisica di Laplace non ha mai ottenuto consensi unanimi, neppure nella stessa Francia, e la sua influenza declinerà rapidamente. Ne è stato criticato il dogmatismo, soprattutto dagli storici della scienza, ma è un rimprovero che si rivolge sempre ai 'perdenti', il cui torto sarebbe quello di essere ancorati a idee superate; l'accusa vale in modo particolare per i più vecchi seguaci di Laplace, Biot e Poisson. Un attento esame delle posizioni di Laplace e dei suoi discepoli è sufficiente a rendere giustizia di questa accusa. Laplace è convinto che la dottrina delle forze molecolari a distanza sia il fondamento della vera fisica. Tutti i fenomeni macroscopici devono potersi ridurre a conseguenze di queste interazioni microscopiche; il riduzionismo che ne deriva fornisce un programma di ricerca. Laplace non pretende con questo di scoprire le vere cause dei fenomeni, che sembrano essere fuori della portata delle scienze fisiche; la validità della sua dottrina non risiede sul piano ontologico, bensì su quello metodologico. Una risposta plausibile al perché ci si debba affidare al modello delle forze a distanza si può sicuramente trovare nell'esigenza della matematizzazione. In effetti, secondo Laplace, il modello autorizza lo sviluppo di un metodo generale e uniforme di ricerca delle leggi fisiche basato interamente sull'applicazione dell'analisi matematica. Ritroviamo dunque il matematismo, mutuato dalla meccanica celeste, che caratterizzava già la fisica matematica del XVIII secolo. La caratteristica che tuttavia distingue Laplace dai suoi predecessori è il ruolo preponderante affidato alla sperimentazione, che permette non soltanto di confermare le leggi ottenute con il calcolo, ma anche e soprattutto di determinare il valore dei parametri che entrano nelle formule.
La fisica di Laplace è quindi molto meno dogmatica di quanto a volte si è potuto affermare. Il valore del modello delle forze a distanza, per coloro che lo accettano, sta nella sua solidità dal punto di vista della matematizzazione: una dottrina fondamentalmente strumentalista, se non addirittura prepositivista. Lo stesso Auguste Comte (1798-1875) d'altronde ammirava Laplace quanto Fourier; si capisce quindi come molti seguaci del primo si siano poi progressivamente allontanati dalle sue idee senza avere l'impressione di rinnegare il maestro. Laplace non ha mai condannato apertamente ricerche come quelle di Fourier, di Augustin-Jean Fresnel o di André-Marie Ampère, condotte al di fuori del suo programma. Egli sosteneva semplicemente che gli stessi risultati si potevano ottenere a partire dal modello delle forze a distanza. In compenso, alcuni allievi, soprattutto Biot, tendevano ad adottare un punto di vista decisamente dogmatico, in polemica con coloro che osavano rifiutare il modello di Laplace. È tuttavia piuttosto tardi, negli anni Venti dell'Ottocento, che la dottrina delle forze molecolari a distanza acquista, presso alcuni studiosi di meccanica come Poisson, Augustin-Louis Cauchy e più tardi Adhémar-Jean-Claude Barré de Saint-Venant, il carattere di una vera e propria ontologia. Nella comunità dei fisici, al contrario, mentre si rinuncia progressivamente al dogma delle forze a distanza, si conserva una sorta di agnosticismo riguardo alle cause ultime dei fenomeni.
Il merito principale di Laplace è quello di aver favorito lo sviluppo di una nuova generazione di fisici durante il Primo Impero. In questo periodo la sua influenza, già notevole sia all'Institut de France sia all'Observatoire, si estende anche all'École Polytechnique. Pur non insegnando all'École e avendo rinunciato fin dal 1799 all'incarico di esaminatore, Laplace era membro del Consiglio di perfezionamento, in qualità di rappresentante della Prima Classe dell'Institut, e si interessava dell'insegnamento di fisica impartito agli studenti. Il professore di fisica Jean-Henri Hassenfratz (1755-1827), autodidatta diventato ingegnere minerario, benché fosse uno specialista di geologia mineraria e di metallurgia, era un fisico occasionale, che non conosceva la matematica ed era molto mediocre nella realizzazione delle dimostrazioni. Egli esponeva il sistema del mondo secondo le teorie di Laplace, ma non era in grado di avviare i suoi allievi al programma della nuova fisica che questi voleva sviluppare. Nel 1806 l'incarico di esaminatore di fisica è affidato a Malus, che diventerà di lì a poco uno dei protagonisti principali della nuova fisica. Nel 1810 Laplace ottiene un posto di ripetitore di fisica per un suo allievo, Alexis-Thérèse Petit (1791-1820). Nominato nel 1816 presidente di una commissione per la riorganizzazione dell'École Polytechnique, Laplace approfitta di questa posizione per far nominare il suo protetto professore ordinario al posto di Hassenfratz. Malgrado questo rinnovamento, l'insegnamento della fisica all'École Polytechnique resterà poco sviluppato e piuttosto tradizionale nello spirito. L'École si rivela in compenso in quegli anni un vivaio di giovani scienziati per la nuova fisica; oltre a Gay-Lussac, più chimico che fisico, quattro nomi si affermano sotto l'Impero: Biot, Poisson, Malus e Arago, tutti protetti di Laplace; si tratta di scienziati che hanno carriere, personalità e interessi diversi, accumunati dal fatto di aver ricevuto all'École Polytechnique una solidissima formazione matematica.
Biot e Poisson
Jean-Baptiste Biot è il primo discepolo di Laplace e il più fedele, più laplaciano dello stesso maestro. Fino al 1822 la sua attività scientifica è frenetica e multiforme; egli, infatti spazia da lavori sul campo a calcoli di fisica matematica, passando per ricerche sperimentali. Nel giugno del 1803 Biot parte per condurre un'inchiesta a Laigle, nell'Orne, dove alcuni mesi prima era caduto un meteorite; nell'agosto del 1804 compie con Gay-Lussac un'ascensione in mongolfiera, finanziata dal governo, per misurare il magnetismo terrestre e la rifrazione atmosferica in altitudine; due anni dopo, su richiesta del Bureau des Longitudes, parte per la Spagna con Arago per misurare il meridiano di Cassini; nel 1808 determina con Charles-Léopold Mathieu la lunghezza del pendolo che batte i secondi, a Bordeaux e a Dunkerque; nel 1817 partecipa a operazioni di geodesia in Scozia e nelle isole Shetland. Le sue ricerche sperimentali sono notevoli: dopo quelle già ricordate sulla propagazione del suono, la diffusione del calore e la rifrazione nei gas, compiute prima del 1807, Biot si dedica, dal 1811, a ricerche sulla luce, entrando così in concorrenza con Arago, e più tardi con Fresnel. Questa intensa attività sperimentale non gli impedisce di scrivere: nel 1816 pubblica un imponente Traité de physique expérimentale et mathématique, in quattro volumi, che costituisce una sorta di summa della nuova fisica di Laplace. Dichiarando di voler ridurre la spiegazione di tutti i fenomeni all'attrazione e repulsione molecolare, presenta nel trattato, con profusione di particolari, le ricerche sperimentali effettuate in questo campo, corredate dai relativi calcoli.
Mentre Biot è soprattutto uno sperimentatore, Siméon-Denis Poisson (1771-1840) è esclusivamente un matematico. Uscito dall'École Polytechnique nel 1800, è subito nominato ripetitore di analisi, e poi, grazie a Laplace, supplente di Fourier presso la cattedra di analisi nel 1802 e titolare nel 1806. Poisson sostituisce Biot per qualche tempo alla cattedra di fisica matematica del Collège de France, ma soltanto nel 1807 inizia il suo primo lavoro in questo campo, il cui argomento, la propagazione del suono, fu probabilmente ispirato dalle ricerche sperimentali di Biot. Quattro anni dopo, nel 1812, Poisson ritorna alla fisica, questa volta per studiare un problema di elettrostatica per il quale la Prima Classe dell'Institut, sotto la spinta di Laplace, aveva appositamente creato un premio. Applicando la teoria del potenziale, sviluppata nella gravitazione, egli studia la distribuzione delle cariche su corpi di forma qualunque, e mostra che la teoria è in accordo, nel caso di due sferoidi, con i risultati sperimentali ottenuti da Coulomb nel 1789: questo eccellente lavoro gli valse immediatamente l'elezione nella sezione di fisica. Nelle ricerche successive Poisson si mostra un continuatore di Laplace: applica infatti il suo modello molecolare e i suoi metodi analitici in tutti gli ambiti della fisica matematica.
Malus e Arago
Se Biot e Poisson, ciascuno con il proprio stile, sono laplaciani ortodossi, per non dire dogmatici, Malus e Arago sono spiriti più indipendenti, benché entrambi risentano dell'impronta del maestro. Anche Malus entra all'École Polytechnique nel 1794, ma la sua carriera è del tutto diversa da quella di Biot. Diventato ingegnere del genio, partecipa alla spedizione d'Egitto ed è membro dell'Institut d'Égypte fondato al Cairo dai Francesi. Ammalatosi di peste, durante il periodo della convalescenza scrive i suoi primi lavori sulla teoria della luce, rimasti inediti; tornato in Francia, abbraccia la carriera militare e soggiorna a Lille, Anversa e Strasburgo. Le sue qualità scientifiche sono già riconosciute, anche se non ha ancora pubblicato nulla; è in questo periodo, lontano dalla capitale, che elabora i primi lavori importanti: una memoria di ottica geometrica, presentata all'Institut nel 1807, nella quale applica i metodi di Monge allo studio delle caustiche; una seconda memoria, presentata all'Institut nello stesso anno, in cui espone i risultati di esperimenti finalizzati a verificare la teoria della rifrazione nei corpi opachi, illustrati da Laplace nel Libro X della Mécanique céleste. Quando, qualche settimana dopo, l'Institut propone come argomento per il premio lo studio della doppia rifrazione, Malus comincia subito una nuova serie di esperimenti con un cristallo di spato d'Islanda; come Biot e Arago due anni prima, ottiene, grazie a Laplace, di poter usare il cerchio ripetitore di Borda; dimostra che i risultati degli esperimenti si accordano perfettamente con la costruzione geometrica del raggio straordinario data da Huygens e ne propone, come Laplace, una spiegazione in termini di forze attrattive e repulsive. Assegnato alla sede di Parigi, ammesso alla Société d'Arcueil, Malus scopre per caso, nell'autunno del 1808, il fenomeno della polarizzazione per riflessione, osservando attraverso un cristallo di spato d'Islanda il riflesso della luce solare sulle finestre del Palais du Luxembourg. È l'inizio di uno studio molto fecondo dei fenomeni di polarizzazione ‒ il termine è dello stesso Malus ‒ che proseguirà fino alla sua prematura morte.
Un anno prima della morte di Malus un altro protetto di Laplace, Dominique-François Arago (1786-1853), scopre un nuovo importante fenomeno di polarizzazione, quello della polarizzazione cromatica. Entrato all'École Polytechnique nel 1803, Arago intraprende, una volta terminati gli studi, una carriera scientifica folgorante: distaccato all'Observatoire come segretario grazie all'appoggio di Poisson, si lega a Biot con il quale collabora nel 1806 agli esperimenti sulla rifrazione nei gas e ottiene il favore di Laplace dando ripetizioni di matematica al figlio; si reca con l'amico Biot in Spagna per misurare il meridiano; al ritorno, nel 1807, viene nominato aggiunto al Bureau des Longitudes ed eletto due anni dopo all'Institut nella sezione di astronomia con l'appoggio di Laplace. Allora Arago ha solo 23 anni e una produzione scientifica ancora modesta. Diventato amico di Malus, che in quanto astronomo si interessa di ottica, riprende gli esperimenti di Newton sulle lamine sottili utilizzando una luce polarizzata; con l'occasione, scopre, nel 1811, i fenomeni di polarizzazione cromatica e, l'anno seguente, la polarizzazione rotatoria. Biot, però, lo supera in velocità e studia approfonditamente questi fenomeni, enunciando le leggi della polarizzazione rotatoria e scoprendo tre anni più tardi il potere rotatorio di alcuni liquidi. Arago si sente umiliato e i rapporti tra i due si guastano definitivamente. Reso critico verso la teoria dell'emissione dai suoi esperimenti sugli anelli di Newton, lontano dal dogma di Laplace incarnato da Biot, Arago sembra in questo periodo più o meno convinto dalle concezioni di Thomas Young (1773-1829) sulla luce e accoglie con simpatia il giovane Fresnel quando questi entra in contatto con lui nel luglio del 1815.
Se si prescinde da Poisson, troppo maldestro per realizzare esperimenti, nei lavori dei giovani fisici dell'Impero, tutti allievi dell'École Polytechnique protetti da Laplace e membri della Société d'Arcueil, si riconosce un'aspirazione comune: più che di un'adesione alle idee del maestro, si tratta di un modo particolare di concepire e praticare la fisica sperimentale. Riprendendo quanto già messo in evidenza dalla recente storiografia si sottolineano a questo riguardo tre aspetti caratterizzanti. Innanzitutto, l'originalità e la precisione degli apparecchi e degli strumenti: è sufficiente considerare, per esempio, gli apparecchi speciali inventati da Gay-Lussac per studiare le proprietà fisiche dei gas, o il cerchio ripetitore di Borda, utilizzato da Biot, Arago e Malus per misurare gli angoli in ottica. La loro fabbricazione, sempre delicata, era spesso costosa, e non sarebbe stata possibile senza l'appoggio di Laplace e il sostegno finanziario delle istituzioni dello Stato: Biot riceve così più di 5000 franchi dall'Institut tra il 1804 e il 1810 per la costruzione degli apparecchi necessari per gli esperimenti e, caso estremo, nel 1808, Napoleone accorda all'École Polytechnique 20.000 franchi per la costruzione di una pila gigante. Non bisogna tuttavia generalizzare: il materiale utilizzato a partire dal 1809 per gli esperimenti di Malus, Arago e Biot sulla doppia rifrazione e la polarizzazione è poco costoso.
Il secondo aspetto della nuova fisica sperimentale è la crescente preoccupazione per la precisione. Si compiono notevoli sforzi per descrivere in modo particolareggiato le condizioni degli esperimenti, eliminare le fonti di errore e moltiplicare i risultati delle osservazioni, poi presentate nelle pubblicazioni in forma sistematica e di tabulati; su questo punto il confronto tra gli esperimenti di Gay-Lussac, Biot e Malus, e quelli di Coulomb di vent'anni prima, mostra quanto siano cresciute le esigenze in questo breve lasso di tempo.
Il terzo e ultimo aspetto della nuova fisica sperimentale concerne l'uso della matematica. Per stabilire le leggi fisiche la geometria lascia sistematicamente il posto all'algebra, al calcolo infinitesimale, alla trigonometria e alla geometria analitica. Nello studio della doppia rifrazione, per esempio, Malus traduce analiticamente la costruzione geometrica fornita da Huygens. Le tecniche di calcolo restano piuttosto elementari, ma richiedono molta abilità nelle operazioni: il fisico sperimentatore deve essere anche un po' matematico.
Nel 1815, l'anno della caduta di Napoleone, inizia il declino anche per la fisica di Laplace. Se appare vano cercare una relazione diretta di causa ed effetto tra l'avvenimento politico e l'evoluzione scientifica, la coincidenza delle date rivela che un'epoca è finita. La vecchia élite accademica del XVIII sec., ancora dominante durante l'Impero, scompare, e con essa il razionalismo illuminato dei tardi enciclopedisti (l'ultimo sopravvissuto, Laplace, muore nel 1827). Si afferma una nuova generazione, formatasi dopo il 1789 e libera dal giogo imperiale, sia nelle scienze sia in altri settori della vita intellettuale. Nelle scienze fisiche il giovane Arago diventa rapidamente il leader; attivo, seducente, appassionato, legato da rapporti di confidenza e amicizia a tutti i fisici del suo tempo, con la notevole eccezione di Biot, ha già rotto con il dogma laplaciano senza rompere con Laplace. Con le "Annales de chimie et de physique", delle quali diventa coeditore (responsabile della parte fisica) nel 1816, dispone di una rivista per promuovere le proprie idee. Appoggia fermamente Fresnel, che fa nominare a Parigi nel 1818, e sostiene Ampère e Fourier; nel 1822 manovra all'Académie allo scopo di far eleggere Fourier segretario perpetuo per le scienze matematiche, contro il rivale Biot; l'elezione di Fourier, quindi, segna simbolicamente la sconfitta dei laplaciani.
La teoria analitica del calore
Nel momento in cui diviene segretario perpetuo, Jean-Baptiste-Joseph Fourier (1768-1830) è membro dell'Académie, nella sezione di fisica, soltanto da cinque anni. Lo scienziato però non è certo un principiante: matematico di talento, promosso professore di analisi all'École Polytechnique durante la Rivoluzione, parte per l'Egitto al seguito di Napoleone nel 1798; al ritorno intraprende una carriera amministrativa che lo porta a risiedere a Grenoble, come prefetto dell'Isère, fino alla fine dell'Impero, e ad allontanarsi dall'ambiente scientifico parigino. È apparentemente durante il soggiorno al Cairo, dove dirige l'Institut d'Égypte, che comincia a interessarsi al problema del calore, ma è a Grenoble che effettua ricerche nel tempo libero lasciato dalle responsabilità amministrative. Nel 1807 presenta una voluminosa memoria alla Prima Classe dell'Institut, nella quale stabilisce l'equazione della diffusione del calore, le equazioni ai limiti per corpi di forma particolare e le soluzioni sotto forma di serie trigonometriche.
L'isolamento lo allontana dalla cerchia dei laplaciani e ciò influisce senza dubbio sul carattere della sua fisica, tradizionale e al tempo stesso molto innovativa. In effetti, da un lato egli è pienamente nel solco della fisica matematica del XVIII sec.: il rapporto con l'esperimento è debole, il ruolo del modello fisico accessorio e il lavoro verte essenzialmente sull'analisi matematica del problema; dall'altro lato, il suo contributo non consiste soltanto nell'uso di tecniche matematiche molto originali (ciò che oggi chiameremmo l'analisi di Fourier), ma anche nel metodo della ricerca fisica, che dà all'espressione matematica delle leggi uno status privilegiato rispetto ai fenomeni che tali leggi descrivono. Lo scopo della fisica non è scoprire la causa dei fenomeni, come pensano i laplaciani, ma determinare le equazioni (soprattutto differenziali e alle derivate parziali) che governano i fenomeni e risolverle. Come scrive lo stesso Fourier, non c'è bisogno di conoscere la natura profonda del calore per esprimerne le leggi.
La convinzione che le operazioni dell'analisi sono conformi a quelle della Natura garantisce d'altra parte la validità dei risultati che gli esperimenti confermeranno a posteriori; è ciò che permette a Fourier di trattare i corpi come mezzi continui per determinare l'equazione che governa il flusso del calore, e di rappresentare le soluzioni con serie trigonometriche che corrispondono alla sovrapposizione di un numero infinito di movimenti vibratori elementari. Questo punto di vista è quello della meccanica razionale del XVIII sec., in particolare della meccanica dei fluidi, ma è Fourier il primo a renderlo operativo in una questione di fisica pura. La sua memoria, premiata dall'Académie nel 1811, è una sfida per i laplaciani, dato che Laplace stesso aveva pubblicato nel 1810 uno studio che gli permetteva di ritrovare l'equazione del calore a partire dal modello delle forze di interazione molecolare. Poisson, che aveva criticato i metodi matematici di Fourier fin dal 1807, elabora una teoria del calore fondata sull'ipotesi del calorico, che perfeziona negli anni Trenta. Fourier non pubblica nulla sul problema prima del 1816, quando le "Annales de chimie et de physique" accolgono grazie ad Arago i suoi primi articoli. Nel 1822 Fourier pubblica finalmente la Théorie analytique de la chaleur; mentre la memoria premiata nel 1881 sarà data alle stampe soltanto nel 1824.
L'ottica ondulatoria di Fresnel
Più che sulla diffusione del calore, è sull'ottica che si affrontano dopo il 1815 i laplaciani di stretta osservanza e i loro sfidanti. Dalla fine dell'Impero, Arago, come si è visto, si schiera a favore della teoria delle onde di Young, ma è un giovane fisico ancora sconosciuto, Augustin-Jean Fresnel (1788-1827), a imporre l'interpretazione ondulatoria con una straordinaria serie di lavori. Entrato all'École Polytechnique nel 1804, Fresnel è ingegnere del Genio civile in provincia. Consigliato da Arago, che diventa il suo mentore a Parigi, tra il 1815 e il 1816 studia sperimentalmente le frange prodotte da un corpo diffrattore e ne rende conto precisamente mediante l'ipotesi di interferenza delle onde luminose. Poi, per mezzo di due specchi, mette direttamente in evidenza gli stessi fenomeni. L'Académie aveva scelto nel 1817 la teoria della diffrazione come argomento del premio che viene assegnato a Fresnel l'anno successivo per una memoria nella quale, adottando il principio dell'inviluppo delle onde elementari enunciato da Huygens, giunge a calcolare con molta precisione, sotto forma di integrali impropri (che oggi portano il suo nome) l'intensità della luce diffratta.
Tra il 1816 e il 1818, con il sostegno di Arago, Fresnel comincia a studiare la polarizzazione cromatica e la collega al fenomeno delle interferenze; i due scienziati sviluppano una teoria che è in concorrenza con quella formulata da Biot nel 1813. Nel 1818 Fresnel deposita all'Académie una memoria sull'argomento; incaricato di esaminarla, Arago sferra un attacco frontale alla teoria dell'emissione difesa da Biot nel rapporto presentato nel 1821, cui segue una vivacissima polemica tra i due, arbitrata dall'Académie. Approvando le conclusioni del rapporto a sostegno della pubblicazione della memoria di Fresnel, l'Académie decide in favore di Arago.
Dal 1818, lo studio dei fenomeni di interferenza, nel caso della polarizzazione cromatica, porta Fresnel e Arago, partendo da un'idea di Ampère, a supporre l'esistenza di vibrazioni trasversali in un'onda polarizzata, ma è solo dopo il 1819 che Fresnel formula l'ipotesi delle vibrazioni trasversali per un'onda luminosa qualunque. Egli espone la nuova teoria della polarizzazione alla fine del 1821, in una voluminosa memoria dedicata allo studio della doppia rifrazione nei cristalli a due assi. Riprendendo gli esperimenti di Biot del 1818, egli mostra l'assenza del raggio ordinario in questo tipo di cristalli. Giunge poi a costruire l'indicatrice ottica, che dà le direzioni di polarizzazione, come pure la superficie d'onda, che generalizza la costruzione data da Huygens nel caso dei cristalli a un asse. Fresnel viene nominato esaminatore per la fisica all'École Polytechnique nel 1821 ed eletto all'Académie nel 1823. Morirà quattro anni dopo di tubercolosi.
La teoria elettrodinamica di Ampère
Come l'ottica ondulatoria di Fresnel, la teoria elettromagnetica di Ampère, elaborata nello stesso periodo, costituisce probabilmente il contributo più notevole della fisica 'alla francese' dell'inizio del XIX secolo. Il profilo di André-Marie Ampère (1775-1836) è tuttavia molto diverso da quello di Fresnel e degli altri fisici formatisi all'École Polytechnique. Quando intraprende le prime ricerche sui fenomeni elettromagnetici nel 1820, ha già 45 anni. È uno scienziato affermato, membro dell'Académie des Sciences e professore di analisi e meccanica all'École Polytechnique. Noto fino ad allora per i suoi lavori di matematica e per un contributo importante, ma isolato, di chimica, resta lontano dal movimento laplaciano durante l'Impero. Il suo spiritualismo ne fa un originale nell'ambiente scientifico parigino. Ampère s'interessa ai primi lavori di Fresnel ed è uno dei membri dell'Académie ad aderire subito, nel 1816, all'ipotesi ondulatoria. Bisogna tuttavia attendere gli esperimenti spettacolari di Oersted, nel 1820, per vederlo occuparsi attivamente di fisica. Il fisico Oersted scopre l'azione esercitata da una corrente elettrica su un ago magnetico: un risultato inatteso, che attira subito l'attenzione di tutti i fisici; Arago riproduce senza difficoltà l'esperimento all'Académie l'11 settembre 1820. Qualche settimana dopo Biot, aiutato da Félix Savart (1791-1841), misura sperimentalmente l'azione della corrente su una calamita e Laplace ne deduce la legge della forza. Da parte sua Ampère comincia subito una serie frenetica di esperimenti e già alla fine dell'anno dispone di risultati importanti, pubblicati nelle "Annales de chimie et de physique" e in altre riviste: scoperta della 'forza elettrodinamica' tra correnti elettriche parallele, attrattive o repulsive secondo l'orientamento relativo; riduzione di questa forza alla risultante di forze di interazione tra elementi infinitesimali di corrente; equivalenza tra 'solenoidi' e calamite; riduzione del magnetismo al movimento dell'elettricità e proprietà delle calamite spiegate mediante circuiti di correnti infinitesimali. Il 1821, contrassegnato da una polemica con Biot che, viceversa, vuole ridurre la forza elettrodinamica a interazioni tra particelle magnetiche, è un anno poco produttivo. Ampère si rimette al lavoro dopo la scoperta da parte di Faraday di un effetto sorprendente, quello della rotazione elettromagnetica, che pensa di poter spiegare con la sua teoria; l'anno seguente riprende gli esperimenti ottenendo infine l'espressione matematica esatta della forza elettrodinamica. La sua teoria giunge a maturità all'inizio del 1823; con l'aiuto di Félix Savary (1797-1841) ritrova le leggi di Coulomb e Biot-Savart sul magnetismo calcolando la forza elettrodinamica tra circuiti. Nel 1824 è nominato professore di fisica generale al Collège de France dove dà lezioni di elettrodinamica; nel 1827 pubblica infine la Théorie mathématique des phénomènes électrodynamiques uniquement déduite de l'expérience, nella quale espone in modo sistematico i risultati delle sue ricerche a partire dal 1820.
Dall'esperimento al modello
Per Ampère e Fresnel l'esperimento è la base della fisica: soltanto attraverso le misure si possono scoprire ed enunciare le leggi dei fenomeni. Nei loro esperimenti entrambi danno prova di inventiva e in generale si accontentano di apparecchi poco costosi e facili da montare, anche se spesso delicati da maneggiare, ma le somiglianze si fermano qui. Mentre Fresnel si rivela un eccellente sperimentatore, del genere di Malus, Ampère, che è principalmente un matematico, nella pratica sperimentale non è abile. Per determinare le leggi dell'elettrodinamica il primo opera su misure di grandissima precisione, mentre il secondo procede con un semplice metodo di equilibrio delle forze. Ampère, attribuendo all'esperimento un ruolo secondario nel processo della scoperta, non coglie il fenomeno dell'induzione elettromagnetica, che peraltro osserva per due volte. In conclusione, questo confronto mette in luce pratiche di sperimentazione molto diverse: l'esplorazione sistematica e quantificata dei fatti in Fresnel, la verifica della teoria con un dispositivo sperimentale ad hoc in Ampère.
La fisica sperimentale di Fresnel e Ampère è anche una fisica molto matematizzata; nessuno dei due, infatti, si fa scrupolo di usare tutte le risorse dell'analisi. Nel lavoro sulla diffrazione, come si è visto, Fresnel calcola l'intensità luminosa mediante integrali impropri; con il calcolo, Poisson dimostra che al centro dell'ombra di un oggetto circolare può esistere una macchia bianca. Questa conseguenza paradossale, presentata come un'obiezione, viene dimostrata sperimentalmente da Arago. Senza volerlo Poisson conferma così in modo spettacolare il potere di previsione della teoria di Fresnel. Più tardi, nel lavoro sulla doppia rifrazione, Fresnel scopre, mediante un'induzione puramente matematica, le leggi del comportamento dei raggi rifratti in un cristallo a due assi. Analogamente Ampère utilizza sistematicamente il ragionamento matematico nei suoi studi di fisica, ed è in questo modo che elabora la serie di esperimenti volti a determinare l'espressione della forza elettromagnetica. Più tardi dimostra matematicamente, con mezzi raffinati, l'equivalenza tra la propria teoria elettrodinamica e la teoria magnetica formulata da Poisson nel 1824. Questa costante preoccupazione di unire il calcolo all'esperienza inserisce a pieno titolo Ampère e Fresnel nella tradizione inaugurata da Coulomb, Laplace e Malus.
Nel caso di Ampère, tuttavia, il carattere della matematizzazione è diverso da quello di Fresnel; mentre quest'ultimo fa appello al calcolo soltanto come strumento per determinare ed esprimere le leggi dei fenomeni, senza cercare di sviluppare una teoria matematica della luce, Ampère cerca invece di formulare una vera e propria teoria matematica dell'elettrodinamica a partire dal 1823. È questa una differenza che si può collegare a quella che li separa sulla questione della teoria fisica. Fresnel e Ampère, come pure Arago, condividono grosso modo l'idea che occorra rinunciare ai vari fluidi imponderabili della fisica di Laplace in favore di un solo mezzo, l'etere, nel quale si abbia la propagazione dell'elettricità, del magnetismo, della luce e del calore, ma elaborare in questo quadro una teoria matematica è fuori delle loro possibilità. Fresnel, nel 1818, per la determinazione della superficie d'onda si limita a riprendere il principio di Huygens; nel 1822 abbozza quello che potrebbe essere il meccanismo di propagazione di un'onda luminosa trasversale in un etere elastico, senza tuttavia cercare di fornirne un'analisi matematica. Ampère, in compenso, rinuncia completamente a fondare, come avrebbe probabilmente desiderato, lo studio dei fenomeni elettrodinamici su una teoria dell'etere, e sceglie invece di sviluppare una teoria puramente matematica, nello stile di Laplace, partendo dall'ipotesi di forze di interazione a distanza tra elementi di corrente. Ampère non pretende però di spiegare la vera causa dei fenomeni; il punto di vista che adotta è vicino a quello di Fourier ed è lui che ispirerà la filosofia di Comte, per cui potremmo definirlo, in qualche modo, un positivista.
Uno degli aspetti più notevoli della fisica in Francia ai primi del XIX sec. è il ruolo svolto dagli ingegneri. I fisici francesi all'epoca erano stati quasi tutti professori o allievi dell'École Polytechnique e molti erano entrati nei grandi corpi tecnici dello Stato: Malus e Sadi Carnot nel genio militare, Fresnel, Navier e Cauchy nel genio civile. Per la formazione e per l'attività svolta questi ingegneri-scienziati acquisiscono una certa mentalità e determinate capacità pratiche; se Fresnel è, per esempio, motivato nella ricerca da interessi di fisico puro, come prima di lui Coulomb e Malus, egli non esita poi ad applicare nel servizio che svolge le proprie conoscenze di ottica inventando la lente a gradini per dotarne i fari. Questo interesse per le applicazioni tecniche non è tuttavia una novità; già il XVIII sec. aveva visto fiorire una fisica utile e ingegnosa. Ciò che invece è nuovo è il contributo, decisivo per lo sviluppo futuro della fisica, di ricerche teoriche intraprese in una prospettiva tecnologica.
La teoria dell'elasticità
Come si è già visto, Fourier studiò da un punto di vista matematico la propagazione del calore nei solidi, ma non volle pronunciarsi sulla natura fisica del fenomeno. Cauchy invece, che è un matematico, intendeva portare a termine il programma abbozzato da Fresnel nel 1821: costruire un etere meccanico che spieghi la vera natura dei fenomeni luminosi, in particolare la polarizzazione e la doppia rifrazione. Cauchy affronta questo programma ambizioso di fisica matematica sviluppando una teoria generale dei corpi elastici, considerati dapprima, al modo di Euler, come mezzi continui, e poi al modo di Laplace, come mezzi puntiformi nei quali ogni punto, o molecola, costituisce un centro di azione a distanza. Solo a partire dal 1829, cioè dopo la morte di Fresnel, egli applicherà la sua teoria alla propagazione della luce in un etere molecolare, giungendo così, poste alcune ipotesi, a ritrovare le principali proprietà dei cristalli birifrangenti. Questo lungo ritardo si spiega probabilmente con le difficoltà incontrate per costruire matematicamente l'onda luminosa.
Non si possono tuttavia trascurare le condizioni nelle quali viene elaborata la teoria dei corpi elastici. Cauchy in effetti non è il solo in quel momento ad affrontare il problema dell'elasticità e l'etere dei fisici non è l'unico argomento che abbia relazione con tale problema. Quest'ultimo interessa in realtà prima di tutto gli ingegneri, attenti a conoscere e studiare le proprietà dei corpi materiali con i quali lavorano. Nel XVIII sec. la meccanica razionale considerava soltanto corpi idealizzati: solidi rigidi, o, nel caso di corpi elastici, ridotti a linee e superfici, e fluidi perfetti, senza viscosità. Laplace nel 1810 suggerì di studiare il movimento interno dei corpi materiali tenendo conto delle interazioni molecolari; Poisson vi si dedicò fin dal 1814, ma soltanto per le superfici elastiche, già studiate da Sophie Germain negli anni precedenti.
A Claude-Louis-Marie-Henri Navier (1785-1836) va il merito di aver formulato per primo, nel 1821, una teoria matematica dei solidi elastici. Ingegnere in attività, egli crea la teoria per applicarla allo studio della resistenza dei materiali e, su questa base teorica, analizza il comportamento dei pavimenti, quindi quello dei ponti sospesi; progetta anche un monumentale ponte sospeso, la cui costruzione, agli Invalides a Parigi, avrebbe fornito la prova concreta della teoria. Nel 1822 elabora la teoria dei liquidi viscosi, stabilendo la celebre equazione che porta il suo nome, per applicarla all'idraulica. Navier ottiene tutti questi risultati a partire da un'ipotesi molecolare, adottata per convenienza. Cauchy, che sembra aver concepito la propria teoria dell'elasticità soprattutto in relazione con Fresnel, non ignora i lavori di Navier e ne subisce l'influenza: lasciando per un momento da parte l'etere, s'interessa anch'egli ai corpi materiali. Quanto a Poisson, a partire dal 1827 sviluppa, parallelamente a Navier e a Cauchy, una teoria molecolare dell'elasticità, inscritta nel quadro generale di una 'meccanica fisica' che si propone di costruire: un progetto ereditato dalla fisica laplaciana che avrà lunga vita presso gli ingegneri, ispirando lavori anche dopo la scomparsa dell'ipotesi delle azioni molecolari dalla fisica.
Sadi Carnot e la nascita della termodinamica
La teoria dell'elasticità mostra la convergenza tra le preoccupazioni dei fisici e quelle degli ingegneri; gli inizi della termodinamica ne forniscono un esempio ancora più chiaro. Nel 1824 vengono pubblicate le Réflexions sur la puissance motrice du feu, di Sadi Carnot (1796-1832). Questo ingegnere, formatosi all'École Polytechnique, è il figlio di Lazare, noto scienziato e protagonista della Rivoluzione. Nel libro, che allora passò inosservato, Sadi si propone di sviluppare una teoria generale delle macchine termiche. Adottando l'ipotesi del calorico, egli dimostra che il rendimento di una macchina ideale, che funzioni in modo reversibile, dipende unicamente dalla differenza di temperatura tra la fonte calda e quella fredda e che, vista l'impossibilità del moto perpetuo, si tratta del rendimento massimo che una macchina termica può raggiungere. Dall'analisi di questa macchina ideale egli cerca di trarre insegnamenti per perfezionare quelle termiche reali, in particolare le macchine a vapore.
Per quanto il lavoro di Sadi Carnot, riscoperto da émile Clapeyron nel 1834 e poi da William Thomson nel 1845, sia considerato un classico della fisica, non bisogna dimenticare che fu concepito in un altro contesto. Si tratta di un'opera di tecnologia, ma i concetti principali provengono dalla 'scienza delle macchine', che studia l'effetto meccanico di queste e stabilisce, in base a principî generali, le condizioni del loro massimo rendimento. Alla fine del XVIII sec. ingegneri-scienziati come Jean-Charles Borda, Coulomb e Lazare Carnot fondano la teoria sul principio delle forze vive che applicano allo studio dei mulini a vento e soprattutto delle ruote idrauliche. Nel 1783 Lazare Carnot stabilisce l'impossibilità del moto perpetuo ed enuncia le condizioni per il rendimento massimo di una macchina ideale. Continuando questi lavori, dopo il 1815, Navier, Jean-Victor Poncelet e Gaspard-Gustave Coriolis mettono in evidenza l'importanza della nozione di lavoro meccanico, già intuita da Lazare, ma fino a Sadi lo studio della macchina a vapore sfugge alla teoria, che resta puramente meccanica. Per applicare le idee della scienza delle macchine alle macchine termiche occorre avere a disposizione una teoria del calore ed è quindi con questo problema che si trova a fare i conti la fisica di inizio Ottocento.
Sadi Carnot basa tutta la sua teoria sul principio della conservazione del calorico; che egli abbandonò, essendo errato, poco dopo la pubblicazione del suo libro, imponendosi di non scrivere nulla fino alla morte. Le sue idee sul calore, prese in prestito dai contemporanei, non sono sufficienti a permettere un ulteriore sviluppo della teoria; tuttavia egli beneficia indirettamente delle ricerche sui calori specifici dei gas effettuate allora dai fisici. Nel 1811, come si è visto, l'Académie des Sciences aveva proposto questo argomento per il premio; François Delaroche e Jacques-étienne Bérard lo vinsero l'anno seguente. Al concorso parteciparono anche due chimici, Nicolas Clément e Charles-Bernard Desormes, i quali, per misurare il rapporto tra i calori specifici a pressione e volume costanti, ebbero per primi l'idea di comprimere adiabaticamente un gas. Il procedimento sarà ripreso nel 1822 da Gay-Lussac e Jean-Joseph Welter, in esperimenti molto precisi che intendevano confermare indirettamente la formula data da Laplace per la velocità del suono. Nel frattempo lo stesso Clément abbozza una teoria delle macchine termiche ideali utilizzando il concetto della trasformazione adiabatica della sostanza motrice e la comunica a Sadi Carnot. È in tal modo che quest'ultimo è infine portato a concepire la decompressione adiabatica che entra nel ciclo della sua macchina reversibile. Esiste dunque un legame tra le ricerche dei fisici francesi contemporanei di Sadi Carnot e la sua opera che si situa, quindi, alla confluenza della scienza delle macchine e della fisica dei gas. Tuttavia siamo lontani da un lavoro di fisica sperimentale: nelle Réflexions non vi sono esperimenti, ma soltanto ragionamenti astratti, come avviene nella scienza delle macchine, senza formalismo matematico, e riguardanti una macchina ideale il cui funzionamento si ispira a determinate realizzazioni tecnologiche.
Molti dei grandi nomi citati scompariranno rapidamente dalla scena e non saranno sostituiti: Fresnel muore nel 1827, Fourier nel 1830, Sadi Carnot nel 1832, Ampère nel 1836, Cauchy si ritira nel 1830. La storiografia della fisica francese è ossessionata dall'idea del declino: ciò che è stato seminato a Parigi tra il 1800 e il 1830 sembra sia stato raccolto altrove, soprattutto in Germania e in Gran Bretagna. In realtà tale declino è solo apparente in quanto la ricerca in fisica, sia sperimentale sia matematica, resta notevole in Francia per tutto il XIX secolo. Si tratta invece essenzialmente di un riequilibrio, che corrisponde alla crescita di importanza di nuovi centri di ricerca in Europa.
L'evoluzione successiva al 1830 fa apparire a posteriori le debolezze strutturali della scienza parigina nel momento del suo splendore. Essa ha beneficiato dei rivolgimenti della Rivoluzione, poiché il dominio esercitato dall'Académie lascia il posto a un sistema di potere più diversificato, che permette ai giovani scienziati di trovare lavoro e fare carriera. In questo cambiamento alcuni storici della scienza hanno voluto vedere, con qualche esagerazione, l'inizio di una professionalizzazione della vita scientifica, che si caratterizza principalmente per l'importanza crescente delle istituzioni per l'insegnamento: dopo il 1800 gli scienziati sono dei professori. La particolarità del caso francese è però la scomparsa delle Università, smantellate durante la Rivoluzione. Le scienze sono quindi insegnate a livello di scuola secondaria nei licei e a livello superiore nelle scuole speciali, principalmente l'École Polytechnique. Le Facoltà di scienze, create da Napoleone, assumono un ruolo secondario in questo sistema. L'École Polytechnique, dove insegna l'élite parigina, assicura una formazione scientifica per lungo tempo senza pari in Europa, soprattutto in matematica, ma la sua vocazione principale è quella di formare una classe di tecnocrati civili e militari e non professioni intellettuali.
Sarà una generazione di fisici formatisi in questa scuola a realizzare, agli inizi del XIX sec., il programma degli scienziati della vecchia Académie des Sciences. Ciò non deve però nascondere il fatto importante che la nuova fisica, sia sperimentale sia matematica, è assente dall'École Polytechnique. Le nomine di Petit nel 1816 e poi di Dulong nel 1820 alla cattedra di fisica dell'École, e quella di Fresnel nel 1823 a esaminatore, non cambiano la sostanza delle cose: la fisica occupa un posto secondario nel curriculum studiorum rispetto alla matematica e alla chimica. Il suo insegnamento, basato sulla descrizione e sulla presentazione di apparecchi di dimostrazione, ignora la nuova pratica sperimentale come pure la matematizzazione. Nei licei, che succedono alle scuole centrali nel 1802, si insegna anche la fisica, con professori specialisti della materia; fabbricanti come Pixii e Soleil forniscono i gabinetti di fisica degli istituti; ma più ancora di quella dell'École Polytechnique la fisica dei licei sembra non avere rapporti con quella di fisici come Fresnel e Ampère, anche se vengono presentati alcuni dei loro risultati. Vi è dunque un abisso tra ricerca e insegnamento.
Isolato, il movimento della nuova fisica perde a poco a poco vigore in Francia. Invece di unire, come voleva Laplace, la fisica sperimentale e la fisica matematica, l'organizzazione delle materie impone una separazione tra le due specializzazioni che riflette quella dell'insegnamento. Il trionfo di una filosofia positivista concepita per i professori rafforza l'idea che esistano da una parte una fisica sperimentale, che studia i fenomeni della Natura e ne trae le leggi, dall'altra una fisica matematica che deduce queste leggi dalle teorie; l'una e l'altra completamente distinte. Tale divisione, a lungo dominante in Francia, confina la ricerca in fisica allo studio dei fatti e alla loro misurazione sperimentale, lasciando ai matematici il compito di studiare le teorie e di trarne le conseguenze; ignora in compenso il problema della costruzione delle teorie fisiche che non riguarda, in questa prospettiva, né la fisica sperimentale né la fisica matematica. Tale visione fornisce comunque alla fisica francese dopo il 1830 il carattere di scienza strettamente sperimentale, ben diverso da quanto desideravano i promotori della nuova fisica agli inizi del secolo.
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