L'Ottocento: chimica. Chimica e industria all'inizio del secolo
Chimica e industria all'inizio del secolo
Nei primi anni del XIX sec. la chimica offre un panorama particolarmente originale; se da un lato, sul piano dell'applicazione industriale, si assiste a un movimento importante dal punto di vista storico come quello della diffusione della rivoluzione industriale nel mondo occidentale, dall'altro lato, sul piano scientifico, si afferma progressivamente una nuova concezione dei fenomeni chimici. Infatti, la comprensione di numerosi esperimenti e osservazioni dei secoli precedenti, soprattutto del Settecento, dà origine a una moderna teorizzazione che aspira a caratteri di generalità e unificazione, e che viene adottata dagli scienziati della generazione di Lavoisier. È questa generazione ad affermarsi gradualmente in Europa e nell'America Settentrionale diffondendo le idee della 'rivoluzione chimica' e imponendo un nuovo linguaggio normalizzato, nonché un'interpretazione razionale sia dell'organizzazione dei composti utilizzati dall'uomo sia dei fenomeni riguardanti la loro trasformazione.
L'industrializzazione ebbe inizio in Gran Bretagna nel XVIII sec., penetrando poi in Francia alla fine del secolo e raggiungendo, all'inizio di quello successivo, tutti i paesi europei e gli Stati Uniti d'America. A tale fenomeno si deve lo sviluppo dell'industria chimica, la quale era tecnicamente e geograficamente collegata a quella tessile, anch'essa in piena espansione in questo periodo, ed era sollecitata dalle operazioni necessarie alla produzione dei tessuti, quali lisciviatura, sbiancamento, apprettatura, tintura, stampa e finitura, alla fabbricazione dei saponi e così via. Fino ad allora, però, il frazionamento di tali operazioni pratiche di tipo chimico non permetteva ancora di considerarle come una vera e propria industria; si trattava piuttosto di un insieme di attività artigianali che, in varia misura, si andavano progressivamente organizzando e strutturando nei diversi paesi. Questa attività comunque era già ben definita alla fine del XVIII sec. e sarebbe divenuta uno dei settori trainanti nella crescente domanda di prodotti chimici. Esistevano già impianti industriali per le tre grandi innovazioni dell'epoca: la fabbricazione industriale dell'acido solforico, quella della soda artificiale secondo il procedimento di Nicolas Leblanc (1742-1806) e, infine, quella dei prodotti al cloro per la decolorazione delle fibre. Con il XIX sec. si moltiplicheranno i legami tra le diverse attività e si avvierà la grande industria della chimica minerale.
In questo movimento, fondato su tali innovazioni decisive, la nascente industria sollecita la scienza chimica per ottenere una migliore padronanza delle sue filiere di tipo tecnico. L'incontro tra chimica e industria, entrambe a una svolta della loro storia, caratterizzò la prima parte del XIX sec.: un periodo ricco di scoperte scientifiche, accompagnate da uno sviluppo altrettanto dinamico sul piano industriale. Una nuova generazione di uomini prese parte a tale processo: scienziati e industriali si adoperarono per introdurre, nei limiti del possibile e con i mezzi disponibili all'epoca, il controllo scientifico delle tecniche vecchie e nuove, ma anche innovazioni tecnologiche frutto della ricerca scientifica.
All'inizio dell'Ottocento, anche se il bilancio della partecipazione della chimica scientifica all'industria era ancora modesto, l'industriale non diffidava più dello scienziato. Uno dei personaggi di rilievo dell'epoca, Jean-Antoine-Claude Chaptal (1756-1832), infatti, nel saggio De l'industrie française (1819) affermava che "in quest'epoca la chimica ha appena compiuto progressi talmente notevoli che non può porsi il problema della natura delle proprie operazioni e contemporaneamente non avere il controllo di quella delle arti: la sua utilità è riconosciuta da tutti e le sue applicazioni talmente numerose da diventare uno dei capisaldi della pubblica istruzione [...] per gli studenti oggi essa rappresenta una professione; e non si vede già più una sola fabbrica la cui direzione non sia affidata a un uomo istruito in tale scienza" (Chaptal 1819 [1993, p. 268]).
Scienziato, medico e chimico, industriale, fondatore di aziende chimiche, statista, organizzatore dello sviluppo economico, Chaptal rappresenta la generazione dei chimici che hanno assicurato il passaggio tra le due 'rivoluzioni' e favorito, come vedremo in seguito, l'instaurazione di solidi rapporti tra il mondo scientifico e quello industriale.
Nate nel momento in cui si afferma la nuova scienza chimica e influenzate in parte dalle sue scoperte, le tre innovazioni sopra menzionate, vale a dire la fabbricazione dell'acido solforico, della soda artificiale e dei prodotti al cloro, godettero del sostegno costante degli scienziati. La ricerca scientifica, inoltre, seppure ancora a uno stadio embrionale in questo settore, svolse un ruolo fondamentale riguardo l'organizzazione del lavoro all'interno di istituzioni finalizzate alla formazione, come le scuole di ingegneria, le istituzioni private o le società scientifiche.
L'acido solforico
Primo importante composto chimico di sintesi, l'acido solforico, ottenuto dalla combustione dello zolfo mediante il procedimento delle camere di piombo, all'inizio dell'Ottocento diventa il perno delle attività industriali di tipo chimico. è necessario nella prima tappa per la fabbricazione della soda artificiale (carbonato di sodio) a partire dal sale marino (cloruro di sodio) secondo il procedimento inventato, nel 1790, da Leblanc; è altrettanto essenziale, inoltre, nella preparazione dei prodotti clorati per la decolorazione e per lo sbiancamento dei tessuti, rivelatisi più pratici del cloro in soluzione scoperto, nel 1785, da Claude-Louis Berthollet.
Il miglioramento dei rendimenti e dei prodotti immessi sul mercato, il risparmio di materie prime, il perfezionamento dei procedimenti sono gli obiettivi principali dell'attività di ricerca degli scienziati in questo periodo. In Francia un esempio è offerto appunto da Chaptal, da Berthollet e da altri chimici che, intorno al 1809, si lanciarono nell'industria chimica, quando le élites scientifiche vicine a Napoleone I Bonaparte riuscirono ad assumerne il controllo. Studi e ricerche si svolgevano all'interno delle stesse manifatture, prima versione del laboratorio di fabbrica dove si ottennero i risultati concreti che diedero impulso all'industria chimica. Per la produzione dell'acido solforico, Nicolas Clément e Charles-Bernard Desormes studiarono nel 1806 le diverse reazioni che intervengono nel processo ed evidenziarono per la prima volta il ruolo di un catalizzatore. Nel 1822 la Compagnie de Saint-Gobain interpellò Clément per la costruzione della fabbrica di soda di Chauny, successivamente si rivolse a Joseph-Louis Gay-Lussac il quale, nel 1807, aveva studiato le proprietà degli ossidi di azoto presenti in quel processo di fabbricazione; questi installò a Chauny una torre per il recupero degli ossidi, la cui dispersione comportava costi aggiuntivi. Il procedimento della 'torre di Gay-Lussac', brevettato nel 1842, permetteva di economizzare due terzi del nitrato di potassio e di sodio utilizzati come materie prime e limitava l'inquinamento atmosferico dovuto ai vapori nocivi che prima non venivano condensati. Gli scambi tra scienza e industria sono all'origine della ricerca volta a ottenere un acido solforico più concentrato; l'effetto catalitico del platino, osservato da Humphry Davy nel 1817 e, più tardi, da Johann Wolfgang Döbereiner, Pierre-Louis Dulong e Louis-Jacques Thenard diede luogo a tentativi di produzione industriale tanto in Francia, nel 1838, da parte di Charles-Frédéric Kuhlmann, quanto in Inghilterra. Tuttavia, i problemi legati al catalizzatore e alla purificazione del prodotto finale vennero risolti in Germania non prima del 1875.
Fu esplorata, inoltre, un'altra via per la produzione dell'acido solforico per la cui sintesi si potesse fare a meno dello zolfo; infatti, allorché negli anni Trenta il prezzo dello zolfo importato dalla Sicilia era raddoppiato in seguito alla concessione del monopolio del commercio di questo prodotto a un consorzio di commercianti francesi da parte di Ferdinando IV di Borbone, re delle Due Sicilie, i chimici avevano rivolto nuovamente la loro attenzione alle piriti metalliche, che abbondavano in numerosi paesi. In Francia le piriti di rame, troppo ricche di zolfo e troppo povere invece di rame per essere impiegate nell'estrazione di questo metallo, vennero utilizzate dal 1833 per la produzione di acido solforico nella fabbrica di Michel Perret (1814-1900), situata nei pressi di Lione. Nel 1836 il procedimento di arrostimento di queste piriti permetteva di ottenere un acido solforico due volte più economico di quello ricavato dalla combustione dello zolfo. In Inghilterra le piriti di ferro e di rame furono utilizzate per questo scopo a partire dal 1840.
Il carbonato di sodio
L'industria della soda artificiale suscitò l'interesse delle manifatture che la utilizzavano quali la tessile, la vetraria e quella dei saponi; tuttavia la sua introduzione pose di conseguenza agli scienziati alcuni problemi da risolvere.
Il procedimento, brevettato in Francia da Leblanc nel 1791 e messo sotto sequestro dal governo rivoluzionario, avrebbe conosciuto una rapida diffusione nei primi anni del XIX sec. in seguito alla pubblicazione, nel 1795, dei suoi dettagli tecnici da parte del Comité de Salut Public. Esso ebbe, tuttavia, particolare sviluppo in Inghilterra, quando Charles Tennant, produttore di acido solforico e di cloro a St. Rollox presso Glasgow, nel 1816 si recò in Francia per consultare Chaptal e Jean-Pierre-Joseph Darcet e ottenere informazioni prima di aprire la sua fabbrica; e successivamente nel 1822, quando l'irlandese James Muspratt avviò una fabbrica di soda a Liverpool; verso il 1820 il procedimento entrò in uso anche in Prussia e in altre regioni tedesche, ma non sembra che sia stato adottato negli Stati Uniti d'America.
La mobilitazione dei chimici investì anche i due sottoprodotti del procedimento di Leblanc: l'acido cloridrico e il solfuro di sodio. Il primo, che nel procedimento veniva liberato nell'atmosfera, grazie agli studi di chimica si rivelò presto una fonte di cloro con proprietà decoloranti molto ricercate: William Gossage nel 1836 riuscì a raccoglierlo in torri speciali contribuendo nello stesso tempo a diminuire l'inquinamento atmosferico. L'acido cloridrico avrebbe inoltre trovato uno sbocco sul mercato grazie alla preparazione dei cloruri decoloranti. Il secondo sottoprodotto, il solfuro di sodio, restò invece inutilizzato per decenni.
Per la preparazione del carbonato di sodio i chimici cercarono anche altre strade: nel 1811 Augustin-Jean Fresnel, ingegnere dell'École Polytechnique meglio conosciuto per i suoi lavori di ottica fisica, scoprì un nuovo metodo che, ricavando il bicarbonato di sodio per reazione dell'anidride carbonica su una salamoia ammoniacale e previo un semplice riscaldamento, permette di ottenere il carbonato di sodio. Per circa quarant'anni, tuttavia, il passaggio dalla produzione del carbonato in laboratorio alla sua fabbricazione industriale fu tutt'altro che automatico e gli ostacoli si moltiplicarono nel corso del tempo. Numerosi scienziati e industriali francesi e inglesi si mobilitarono a questo fine (in particolare negli anni Cinquanta del secolo), ma senza conseguire alcun successo, in parte anche a causa dei prezzi di costo troppo elevati. Il procedimento Leblanc subì la concorrenza di quello Solvay soltanto a partire dal 1863.
Un terzo campo di ricerca: i decoloranti
è soprattutto in Gran Bretagna che i decoloranti attirarono l'attenzione dei chimici. I fratelli Alban a Javel (Parigi) ottennero un liquido decolorante che è il risultato dell'assorbimento del cloro in una soluzione di potassa; successivamente Antoine Labarraque (1777-1850) propose l'uso della soda e il prodotto prese il nome di 'eau de Javel'. Nel 1797, invece, Tennant brevettò una polvere per sbiancare a base d'ipoclorito di calcio ottenuto impregnando la calce spenta con il cloro. Più pratiche e meno pericolose del cloro in soluzione, tali innovazioni misero a disposizione dei tintori due prodotti decoloranti, concepiti sulla base della scoperta di Berthollet, che ebbero un enorme successo.
Alla luce di tutte queste novità, che si susseguirono nell'arco di pochi decenni, diventa sempre più chiaro che si era acquisita una notevole padronanza delle reazioni della chimica minerale. La conoscenza scientifica di questi composti contribuì all'interconnessione dei tre filoni, rendendo possibili ‒ in una stessa fabbrica ‒ produzioni diverse con reciproco vantaggio ed economia di materie prime. L'acido solforico venne prodotto vicino alle fabbriche di soda Leblanc e queste ultime furono a poco a poco associate alla produzione di cloruri decoloranti il cui uso andò progressivamente crescendo nel corso dell'Ottocento.
Il quadro appena delineato sarebbe incompleto se non si tenesse conto degli effetti degli eventi bellici che in Europa turbarono il corso normale delle scoperte e della loro diffusione. Le guerre che seguirono la Rivoluzione francese e il Primo Impero non facilitarono lo sviluppo dell'industria tessile, che era fondata sul cotone, materia importata dalle Indie e dall'America, né quello delle altre industrie ormai essenziali per l'economia. Spesso i chimici furono mobilitati dai governi in guerra nello sforzo di trovare prodotti sostitutivi, in particolare nel caso di economie autarchiche. Le industrie dell'epoca subivano infatti la mancanza dello zolfo siciliano, per esempio, o dell'erba cali spagnola, ricca di soda, o della potassa scozzese, del salnitro indiano, della cocciniglia del Perù o, ancora, dello zucchero di canna delle Antille. La chimica fu sollecitata anche dall'industria bellica: salnitro, polvere da sparo, nitrati rappresentavano le esigenze più immediate. Il Comité de Salut Public fece appello ad Antoine-Laurent Lavoisier, Berthollet e ad altri scienziati per l'estrazione del salnitro, in cantine e luoghi umidi, e per la preparazione di prodotti esplosivi. Inoltre, per produrre sul campo di battaglia, a partire dall'acido solforico e da un metallo, l'idrogeno gassoso necessario a gonfiare i palloni frenati, sulla scia degli esperimenti effettuati da Lavoisier nel 1794, venne proposta la decomposizione di vapore acqueo in un tubo di ferro arroventato (una canna da fucile); ciò rese possibile il lancio di palloni d'osservazione da parte del reggimento francese degli aerostieri.
In seguito a laboriose ricerche Napoleone Bonaparte introdusse la produzione dello zucchero da barbabietola. Il procedimento industriale, messo a punto dal fisico tedesco Franz Karl Achard (1753-1821), si diffuse in Francia dopo esser stato realizzato su grande scala da Benjamin Delessert (1773-1847) a Passy nel 1812. Questa data segna l'avvio di una nuova industria chimica: la fabbricazione dello zucchero estratto dalla barbabietola diede infatti vita a un'industria essenziale nel processo di innovazione dei decenni successivi. L'organizzazione di alcune operazioni prefigura la concezione futura dei processi di fabbricazione dell'industria chimica (per es., il ciclo continuo) e spinge scienziati e ingegneri a unire le forze per mettere a punto apparecchiature sempre più complesse per l'estrazione, il filtraggio, la concentrazione dei succhi e la loro cristallizzazione. In effetti, le materie organiche coinvolte sono fragili e facilmente alterabili dalle operazioni alle quali sono sottoposte; inoltre, il consumatore esige zucchero perfettamente bianco e lo Stato, che riscuote tasse considerevoli su questi prodotti, vigila su eventuali frodi, contribuendo indirettamente allo sviluppo di alcuni perfezionamenti tecnici; l'industria dello zucchero, quindi, stimolò numerosi lavori di ricerca chimica.
Occorre ricordare che, agli inizi dell'Ottocento, esistevano altre tecniche, frutto di vecchi procedimenti chimici, perduranti in settori non ancora industrializzati, quali l'estrazione di coloranti naturali, la tintura e la stampa delle stoffe, la ceramica, l'estrazione di profumi, di medicamenti e di metalli, la metallurgia, l'elaborazione di prodotti alimentari, e così via. Progressivamente la chimica allargò i suoi interessi a tutti questi settori, che già controllava ma che erano ancora privi di basi scientifiche.
Un'altra caratteristica dei primi decenni dell'Ottocento è la creazione di nuove industrie, alcune delle quali nate dalle ricerche in campo chimico, condotte, però, ancora sporadicamente; alcuni governi coinvolgono gli scienziati, mentre vedono la luce nuove istituzioni che svolgono un ruolo di mediazione tra scienza e industria.
Un esempio è la Société d'Encouragement pour l'Industrie Nationale, istituita nel 1801 e ispirata alla Society of Encouragement of Arts di Londra. Fondata da Chaptal, allora ministro degli Interni, la Société riunisce alti funzionari, amministratori del Conservatoire des Arts et Métiers, membri dell'Institut de France, industriali e banchieri. Il suo obiettivo, come scrive E.-J. Guillard-Senainville nella Notice sur les travaux de la Société d'encouragement pour l'industrie nationale (1818), è quello di "assecondare il progresso dell'industria per assicurarle tutto lo sviluppo del quale è capace; per questo è necessaria ogni sorta di aiuto: i lumi dell'istruzione, incoraggiamenti saggiamente concepiti e applicati e l'influenza generale dello spirito pubblico" (p. 6).
Organizzata come un'accademia, al momento della fondazione la Société era composta da cinque comitati specializzati, di cui uno dedicato alle 'arti chimiche'. Il primo presidente eletto fu lo stesso Chaptal e i premi che furono banditi sollecitarono l'impegno dei chimici. Così, su 102 premi proposti dalla Société tra il gennaio del 1802 e il settembre del 1818, 17 furono attribuiti alla chimica. Come riportato nel Tableau des prix et médailles décernés depuis l'origine de la société pubblicato nel 1852, 10 di questi premi riguardavano in particolare la fabbricazione del bianco di piombo, del blu di Prussia e del minio, la tintura della lana con l'alizarina o della seta con il blu di Prussia e la distillazione del legno. I premi conferiti tra il 1801 e il 1851 riguardano campi molto vari: le belle arti, con la fabbricazione dell''oltremare artificiale' o il 'perfezionamento della fotografia'; le arti della ceramica, con la 'fabbricazione del flint e del crown glass'; il riscaldamento e l'illuminazione a gas; la carta con la 'fabbricazione della carta di Cina'; i prodotti chimici per la fabbricazione di colla e gelatina; le sostanze alimentari, in particolare le sofisticazioni della farina di grano e gli zuccheri; la tintura o il candeggio dei tessuti. Fra i nove membri del Comitato delle arti chimiche, che erano tutti personalità influenti, gli scienziati ricoprivano cariche accademiche autorevoli. Inoltre, in quel periodo ben tre chimici si avvicendarono alla presidenza della società: dopo Chaptal, Thenard nel 1832 e Jean-Baptiste-André Dumas nel 1845. Numerosi altri chimici francesi contribuirono in seno alla Société a creare punti di contatto tra chimica e industria.
Il Belgio ebbe un'istituzione simile, la Société d'Émulation, nata nel XVIII sec. e trasformata in Société d'Encouragement all'epoca dell'annessione alla Francia sotto il Primo Impero. Non sembra, però, che il modello della Société d'Encouragement francese sia stato immediatamente imitato in altri paesi europei. La Francia cercava di recuperare il ritardo accumulato rispetto all'Inghilterra, dove già dal XVIII sec. esistevano società che guardavano con favore allo sviluppo dell'industria. Chaptal, sempre ispirandosi al modello della londinese Society of Encouragement of Arts, si spinse più lontano e organizzò le relazioni tra scienza e industria sotto il controllo dello Stato. Agli inizi del secolo furono create altre istituzioni analoghe in diversi paesi europei, come la Società d'Incoraggiamento di Milano nel 1808, la Società Politecnica di Monaco nel 1819, o la Società Industriale di Prussia nel 1821, ma poche, tranne quest'ultima, sembrano essere il risultato di una forte volontà dei governi di sostenere e orientare le invenzioni nazionali e, allo stesso tempo, favorire l'appropriazione di tecniche straniere.
In Francia, a livello regionale, il sostegno all'industria era stato assicurato per mezzo di società di emulazione e di incoraggiamento, come era già avvenuto in Inghilterra a partire dal XVIII secolo. Il caso dell'Alsazia, con la Société Industrielle de Mulhouse creata nel 1826, costituisce un esempio di grande rilievo al di fuori di Parigi. Fondata da industriali, questa società richiama al suo interno numerosi scienziati, diventando così un punto d'incontro paragonabile a quello delle società inglesi; essa bandisce concorsi per favorire lo sviluppo delle industrie locali prevalentemente tessili, conferendo in tal modo alla chimica e alla meccanica una posizione di primo piano. La società alsaziana, inoltre, sostiene la formazione contribuendo alla creazione di diverse scuole professionali, la più importante delle quali è quella di chimica che venne istituita nel 1822: luogo di formazione privato, nato dalla volontà degli industriali, specializzato in chimica tintoria, essa fu la più grande scuola di chimica francese fuori Parigi fino al 1871, anno dell'annessione dell'Alsazia e della Lorena all'Impero tedesco. Oltre a quello alsaziano ci furono anche altri esempi di questa mobilitazione locale, nella quale scienza e industria operarono congiuntamente per soddisfare le necessità dell'economia.
È stato detto che nel XIX sec. "lo scopo della ricerca chimica […] non era limitato alla scoperta delle proprietà della materia, ma era diretto anche a mettere a punto nuovi prodotti e/o procedimenti che consentissero di modificare le condizioni di vita dell'uomo e di migliorare i metodi di produzione" (Caron 1985, pp. 70-71). In effetti, questo è il filo conduttore da seguire per comprendere la dinamica del rapporto fra chimica e industria in un sistema tecnico in piena evoluzione.
L'emergenza di nuovi bisogni che spingono i chimici a divenire attori dell'innovazione si materializza nell'apparizione di nuove filiere tecniche. In quest'epoca, per esempio, nasce la chimica del legno, con un orientamento ben distinto dalla chimica del carbon fossile. Secondo un diffuso punto di vista, l'illuminazione a gas di carbon fossile, nata in Inghilterra alla fine degli anni Novanta del Settecento a opera di William Murdock (1750-1839), è stata l'invenzione determinante in questo campo. In particolare, cinquant'anni dopo, quando per la fabbricazione dei coloranti sintetici i chimici dovettero procurarsi composti organici derivati dal catrame di carbon fossile, in diversi paesi furono soprattutto le fabbriche di gas a fornire questa materia prima.
L'altra filiera, che invece fa ricorso al legno come materia prima, è meno conosciuta. La rivoluzione industriale, che in gran parte utilizza il carbon fossile sia per il funzionamento delle macchine a vapore sia per la fabbricazione o la trasformazione della ghisa, nonché per gli usi termici, poneva seri problemi a paesi, come la Francia, nei quali tale risorsa scarseggiava. I chimici, quindi, rivolsero la loro attenzione al legno, fonte di energia rinnovabile, e l'industria si giovò ampiamente di tali ricerche.
I prodotti della trasformazione termica del legno in assenza di ossigeno (pirolisi in vaso chiuso) sono costituiti da gas infiammabili ‒ che nel 1799 l'ingegnere Philippe Lebon riuscì a utilizzare per l'illuminazione, anche se con un successo limitato ‒, da liquidi pirolegnosi, da catrame e da carbone di legna. Dando seguito ai lavori di Lebon, il chimico e industriale Jean-Baptiste Mollerat, molto vicino agli ambienti scientifici ‒ era il nipote di Louis-Bernard Guyton de Morveau (1737-1816) ‒, brevettò nel 1804 un procedimento per la valorizzazione di questi prodotti e creò, assieme ad altri chimici, tra cui Nicolas-Louis Vauquelin (1763-1829), le 'carbonaie', cioè fabbriche come quella di Pouilly-sur-Saône in Borgogna. Il mercato dei derivati della carbonizzazione del legno è costituito sia dalle industrie tessili ‒ nelle quali l'acido pirolegnoso serve per la fabbricazione dell'acido acetico e degli acetati metallici, usati come mordenti per la tintoria ‒ sia da quelle metallurgiche, grandi consumatrici di carbone di legna. Valutato positivamente dall'Académie des Sciences di Parigi, il procedimento inaugura una filiera chimica che in Francia dura per più di un secolo e mezzo; esso, inoltre, permette di ottenere prodotti chimici senza grosse difficoltà di approvvigionamento. La filiera del legno, analogamente a quella del gas per l'illuminazione, avrebbe attirato con continuità l'attenzione degli ambienti scientifici: negli anni Trenta dell'Ottocento, per esempio, ricerche come quelle di Jacques Ebelmen (1814-1852), professore di docimasia (chimica analitica minerale) all'École des Mines di Parigi, hanno contribuito a migliorare il rendimento di tale filiera. Possiamo aggiungere che sono state altre ricerche di Ebelmen sui composti gassosi presenti nei forni industriali a fornire i primi dati sui fenomeni fisico-chimici che avvengono ad alta temperatura. Così, sebbene meno nota della filiera della chimica del carbon fossile, cioè della futura carbochimica, quella fondata sul legno si sviluppò tanto in Europa quanto negli Stati Uniti per ottenere, a seconda delle essenze utilizzate, una vasta gamma di composti, che vanno dalla pece al catrame per turare gli scafi delle navi, all'essenza di trementina, alla colofonia, all'acido acetico e ai suoi derivati, al metanolo nonché ad altri prodotti chimici, sempre producendo anche carbone di legna.
Nel frattempo era alle porte un'importante innovazione anche nel campo dell'illuminazione domestica: la candela stearica, nata da ricerche puramente scientifiche che contribuirono al progresso della chimica organica soprattutto con l'analisi dei 'principî immediati' (composti chimici costituenti le sostanze vegetali o animali); tale progresso è dovuto in massima parte all'opera di un allievo di Vauquelin, Michel-Eugène Chevreul (1786-1889), il quale nel 1823 dimostrò che i grassi animali sono formati da acidi grassi e glicerina. Avendo notato che alcuni di questi acidi sono solidi, nel 1824 Chevreul depositò con Gay-Lussac un brevetto d'invenzione per l'impiego degli acidi stearici e margarici ottenuti dalla saponificazione di grassi, lardi, burri e oli. Tuttavia, il passaggio dal laboratorio alla fabbrica non fu immediato perché i procedimenti proposti non permettevano di produrre quegli acidi. Il compito di trovare il metodo più economico per ottenerli fu affidato dai due scienziati ad altri chimici, con l'obiettivo di imitare la candela di cera tradizionale, molto costosa e usata soltanto dagli aristocratici e dal clero. Dopo lunghe ricerche, la fabbricazione industriale della nuova candela venne messa a punto tra il 1834 e il 1836; infine altri due chimici, Nicholas-Christien de Milly (1728-1874) e Louis-Claude-Adolphe Motard, riuscirono a fabbricare un prodotto soddisfacente a un prezzo conveniente.
La candela stearica, diffusa con il sostegno della Société d'Encouragement, dà luogo a uno sviluppo industriale in tutta Europa a partire dagli anni Quaranta del secolo. Filiera parallela a quella della fabbricazione dei saponi, in quanto utilizza le stesse materie prime, la produzione di candele steariche occupa un posto importante nel panorama delle industrie chimiche della metà del XIX sec. nella maggior parte dei paesi europei.
Altre industrie che utilizzavano materie prime di origine animale, vegetale o minerale videro la luce nel corso dei decenni successivi. Emerse e si fece strada un approccio più scientifico ai procedimenti, unitamente a una gestione più razionale dei prodotti. Cominciò a svilupparsi, per esempio, l'industria organica di estrazione e di trasformazione. Così la filiera della barbabietola da zucchero conobbe un'espansione costante nella quale l'intervento dei chimici permise di introdurre tecniche innovative come la decolorazione dello zucchero per mezzo del carbone animale (1813), la concentrazione dei succhi zuccherini sottovuoto (1830-1840), la cui applicazione riuscita in altri settori contribuì alla possibilità di realizzare produzioni a circuito chiuso.
Anche nella filiera dei corpi grassi, nella quale la candela stearica acquistava un'importanza sempre crescente, ci si rivolse agli scienziati per una migliore gestione delle diverse reazioni, come le idrolisi e le saponificazioni, e per ottenere un risparmio di materie prime. Il trattamento sotto vuoto parziale, per esempio, venne introdotto in tale filiera negli anni Quaranta, poco dopo l'applicazione di questo trattamento nel settore dello zucchero. L'industria dei saponi, le cui fabbriche si erano moltiplicate insieme a quelle per la produzione della soda con il metodo Leblanc, usufruì del supporto della scienza chimica approfittando anche dei risultati dell'industria della candela stearica; si hanno così 'grappoli' di innovazioni, per usare la nota espressione dell'economista Joseph Schumpeter (1883-1950).
Nel frattempo si rafforzarono antichi legami nel settore dei coloranti e dei medicinali, prodotti naturali al confine tra chimica e farmacia. Per i bisogni dell'industria tessile gli scienziati non soltanto cercarono la composizione dei coloranti per uso industriale (alizarina, indaco, ecc.), ma cominciarono anche a impiegare metodi scientifici per il controllo della loro applicazione, fino a quel momento interamente empirica e basata su ricette più o meno segrete. In questo campo Chevreul, responsabile delle tinture nella Manifattura dei Gobelins, a partire dal 1838 compì esperimenti sistematici, allo scopo di mettere in evidenza i fattori che intervengono in una chimica ancora incerta dei procedimenti di tintura. Seguiti con attenzione nell'industria tessile, i risultati raggiunti da Chevreul negli anni Cinquanta contribuirono alla nascita della chimica tintoria. Anche nel settore dell'agricoltura emerse la domanda di prodotti chimici e alcuni concimi, frutto della ricerca scientifica, cominciarono a diffondersi proprio negli anni Quaranta dell'Ottocento.
In questo panorama, la crescita progressiva del ruolo della chimica nello sviluppo industriale ebbe luogo nel quadro di un sistema tecnico anch'esso in piena evoluzione. Come si è già osservato, il compito dell'industria chimica era quello di rispondere ai bisogni di altri settori industriali. Rispetto a questi, sul piano economico il posto che essa occupava era ancora modesto e di fatto si limitava a fornire prodotti su richiesta dei settori trainanti, come il tessile, e di quelli di minore importanza, come l'industria cartaria, che utilizzava il cloro per imbiancare la pasta della carta, o come la vetreria e la cristalleria, che necessitano della soda artificiale per la fabbricazione della pasta di vetro. L'industria chimica, inoltre, forniva il carbone di legna alla siderurgia del ferro; provvedeva ai rifornimenti di sostanze necessarie per i saponifici e le fabbriche di candele; per le concerie, in relazione ai prodotti per il trattamento del cuoio e delle pelli; per le industrie estrattive organiche, come gli zuccherifici di canna; per quelle dei prodotti coloranti come l'alizarina (1820), o per quelle della gomma o degli alcaloidi quali la morfina (isolata nel 1803), la stricnina (1817), la brucina (1818), la chinina, la caffeina e la codeina (1820).
L'elemento decisivo di questo movimento sembra essere stato l'introduzione nelle diverse attività produttive di metodi diffusi da un numero crescente di istituzioni create allo scopo di insegnare la chimica. La professionalizzazione dei chimici prese forma in questo periodo e diede vita a nuove generazioni di scienziati, ingegneri e tecnici che misero la scienza chimica al servizio dell'industria. Sotto la spinta della concorrenza inglese, che influenzò le decisioni prese in Francia in questo settore, vennero operate scelte per favorire lo sviluppo della formazione in campo chimico. Il problema che si poneva a questo punto riguardava l'eventuale preferenza da accordare al sistema inglese rispetto alle nuove soluzioni.
Chaptal aveva esposto il proprio punto di vista nell'Essai sur le perfectionnement des arts chimiques en France (1794), elencando i mezzi che a suo avviso avrebbero conferito alla Francia un posto di rilievo tra le nazioni manifatturiere. Il primo era la formazione di 'fabbricanti illuminati', e dunque l'incoraggiamento dell'insegnamento tecnico. Con l'École Polytechnique, fondata nel 1794, e le scuole di applicazione (École des Mines, École des Ponts et Chaussées, École de Génie et d'Artillerie) si era formato un sistema d'istruzione controllato dallo Stato. Il profilo degli ingegneri che uscirono da queste scuole, tuttavia, fu quello del funzionario di Stato: furono rari i casi di coloro che si orientarono verso l'industria privata, in particolare nel settore chimico. Inoltre le prime Écoles de Pharmacie, create a Parigi e a Montpellier nel 1803 e le Facultés de Médecine, nate in queste stesse città nel 1808, tutte statali, impartivano insegnamenti di chimica per la medicina, senza alcuna vocazione industriale. Tutto ciò contrastava con l'aspirazione di Chaptal a un insegnamento più pratico che soddisfacesse i bisogni dell'industria. Come Chaptal, tutti i chimici sostenevano la necessità di incoraggiare l'insegnamento tecnico prendendo iniziative che dimostrassero quale fosse la natura dei problemi da risolvere in materia di formazione.
Così, la scuola privata creata a Parigi nel 1801 da Vauquelin, allora professore all'École Polytechnique e all'École des Mines, metteva insieme corsi di lezioni, un laboratorio di ricerca e una fabbrica di prodotti chimici. In un'epoca in cui i centri di formazione chimica teorica e pratica erano pochi (il Collège de France e il Muséum d'Histoire Naturelle erano istituti di ricerca), questa iniziativa d'avanguardia attirò giovani che la sceglievano in alternativa all'École Polytechnique. La scuola di Vauquelin fu frequentata da allievi brillanti: Thenard, Chevreul, Kuhlmann e altri, tutti scienziati al servizio dell'industria.
Una seconda tappa è rappresentata dalla formazione di tecnici; nei primi decenni del secolo, in particolare, furono create scuole di tintura a Parigi, Rouen e Lione. Successivamente, nel 1819, il Conservatoire des Arts et Métiers iniziò i primi corsi tecnico-scientifici e istituì una cattedra di 'chimica applicata alle arti', ricoperta da Clément (che aveva assunto il cognome di Clément-Desormes), del quale si è già parlato per i suoi numerosi interventi nell'industria chimica. L'École de Mulhouse si colloca anch'essa nell'ambito di questo movimento di sostegno alla tecnica.
Destinata alla formazione di ingegneri civili, la terza iniziativa è quella dell'École Centrale des Arts et Manufactures, fondata nel 1829 a Parigi, che fin dagli inizi previde un insegnamento di chimica teorica e pratica. Professore e cofondatore fu Dumas che ne avvertì la necessità in vista dello sviluppo delle sue industrie. Nell'arco di pochi anni si moltiplicarono in Francia le iniziative miranti a far sì che la chimica entrasse a far parte degli studi superiori. Sono gli stessi scienziati, interessati al perfezionamento dei procedimenti industriali, a collaborare alla creazione di corsi di formazione professionale. Infatti Chaptal, Vauquelin, Clément-Desormes e Dumas si impegnarono, anche in prima persona, nella costituzione di nuove istituzioni per la formazione o a ricoprire cattedre di chimica con orientamento industriale.
Il successore di Clément-Desormes al Conservatoire, Eugène Péligot (1811-1890), svolse ricerche sugli zuccheri; l'altra cattedra di chimica applicata all'industria, creata nel 1839, fu affidata ad Anselme Payen (1795-1871), che in origine era un industriale specializzato nel raffinamento degli zuccheri e che successivamente si interessò al borace, un fondente per la saldatura e la brasatura dei metalli. Negli anni Trenta, passato alla ricerca, Payen si occupò presso il laboratorio di Thenard della diastasi, un enzima responsabile della saccarificazione dell'amido, per dedicarsi in seguito alla chimica della cellulosa, un campo che acquistò molta importanza nella seconda metà del secolo.
Thenard, titolare della cattedra di chimica alla Sorbona dal 1809 al 1845, è poco conosciuto per la sua attività di industriale. Dedito sia alla chimica scientifica, come si è già visto, sia all'industria, con la quale durante la sua carriera collaborò in varie occasioni, egli appartiene alla categoria degli scienziati fortemente impegnati nell'avvicinare i due settori, convinto che il processo di industrializzazione non possa prescinderne. In particolare, egli sostiene questa posizione in seno al Comité des Arts Chimiques e poi come presidente della Société d'Encouragement pour l'Industrie Nationale.
Anche numerosi professori delle scuole di medicina e farmacia presero parte ad attività industriali: Vauquelin, Pierre-Joseph Pelletier e Joseph-Bienaimé Caventou, per esempio, si occuparono delle chine e giunsero nel 1820 alla scoperta della chinina; René-Louis Le Canu (1800-1884), in collaborazione con Antoine Bussy (1794-1882), lavorò sulla tecnica di produzione degli acidi grassi mediante distillazione nella fabbricazione delle candele steariche.
L'Inghilterra offre un panorama ben diverso da quello francese dove gli istituti si concentrarono soprattutto nella capitale e lo Stato era più presente nella formazione universitaria. Questo aveva ispirato alcune iniziative francesi, ma all'inizio del XIX sec. a Londra esistevano ancora pochi istituti superiori dediti all'insegnamento della chimica. Tale disciplina, infatti, veniva insegnata in diverse società come la Manchester Academy, dove fu attivo John Dalton tra il 1793 e il 1799, o la Society for Bettering the Condition and Increasing the Comforts of the Poor, della quale, nel 1801, entrò a far parte Davy. A Londra la scuola privata più famosa era quella diretta da Friedrich Christian Accum, assistente di Davy alla Royal Institution nel 1801, il quale nel suo laboratorio accoglieva studenti a pagamento.
Ancora negli anni Venti, tuttavia, si avvertiva la mancanza di istituzioni per l'insegnamento tecnico superiore di chimica. Per porvi rimedio nel 1826 fu fondato l'University College, un centro di istruzione privato che organizzò un corso di chimica, proseguito nel 1837 da Thomas Graham; nel 1845, inoltre, vi fu creata una cattedra di chimica applicata. L'University College divenne il vivaio della prima generazione di scienziati al servizio del governo: una fondazione con scopi utilitaristici che si ispirava alla situazione scozzese dove la chimica era insegnata a Edimburgo dall'inizio del Settecento e a Glasgow a partire dalla metà dello stesso secolo. In entrambi i casi nell'ambito delle Facoltà di medicina chimici illustri, interessati agli aspetti tecnici e applicativi della disciplina, si susseguirono nell'insegnamento. Thomas C. Hope, il successore di Joseph Black a Glasgow, vi tenne un corso di chimica applicata: dopo la sua morte, nel 1844, il Dipartimento di chimica diventò una facoltà a pieno titolo e un allievo di Justus von Liebig (1803-1873) ricoprirà la cattedra di chimica. Thomas Thomson, anch'egli allievo di Black, nel 1807 occupò la cattedra di chimica a Edimburgo e nel 1817 a Glasgow.
Anche negli Stati Uniti si affrontò la questione dell'insegnamento della chimica. Prima dell'indipendenza erano state fondate alcune università nelle quali la chimica era legata alla medicina, come la Columbia University o la Pennsylvania University. Nel 1792 alcuni allievi di Black istituirono corsi di chimica alla Columbia e al College of New Jersey, ribadendo l'influenza scozzese nella chimica del nuovo mondo; nello stesso anno veniva anche fondata una società di chimica a Filadelfia. L'insegnamento si sviluppò rapidamente: nel 1800, otto collegi propongono corsi di chimica; vent'anni dopo se ne contano ventidue. Anche la chimica applicata rientra dunque in questa operazione di diffusione delle conoscenze. Tuttavia, come in Scozia e in Inghilterra, il governo centrale non interviene, limitandosi semplicemente a finanziare, nel 1832, le ricerche di due chimici sulla coltivazione della canna da zucchero e sul raffinamento dello zucchero.
Nel mondo anglosassone, l'esempio di Davy dimostra come i chimici seguissero una via parallela a quella dei colleghi francesi. Dopo un periodo alla Pneumatic Institution di Bristol, dal 1803 Davy diventa membro della Royal Society e la sua carriera in campo scientifico si sviluppa nell'ambito della chimica moderna. Nel 1802, nominato professore di chimica alla Royal Institution, si occupa di elettrochimica, disciplina sulla quale avrà anche una disputa con Thenard e Gay-Lussac a proposito del sodio e del potassio da lui scoperti nel 1807. Come i due chimici francesi, anche Davy si interessa allo sviluppo e alle applicazioni di tecniche come quelle in uso nella concia e nelle pratiche agricole. Nel 1813-1814, studiando le esplosioni nelle miniere di carbon fossile e avendone scoperto la causa nel grisù (metano associato a particelle di carbone), lo scienziato inglese mette a punto una lampada di sicurezza per i minatori, nota come 'lampada Davy', che impedisce alla miscela esplosiva di prendere fuoco. Inoltre, cerca anche un mezzo per proteggere dalla corrosione del mare le fodere in rame delle carene delle navi. In un ambito istituzionale lontano da quello dei concorrenti francesi, avendo compreso il ruolo strategico della scienza applicata, Davy esalta i vantaggi di una stretta collaborazione tra scienza e industria. Accum, interessato all'illuminazione a gas di carbon fossile, diventa direttore della Gas Light & Coke Co. e nel 1815 pubblica un trattato sull'illuminazione, che diventa un classico sull'argomento.
Da questi esempi, risulta evidente come in Gran Bretagna la chimica sia sempre collegata all'industria. Gli studiosi citati non sono necessariamente affiliati a istituzioni scientifiche, quanto piuttosto a società culturali o di emulazione dell'industria, e, in questo particolare contesto, risultano influenti anche fattori come la religione, l'istruzione e le istituzioni.
Il quarto paese nel quale la chimica presenta un notevole sviluppo è la Germania dove il cambiamento in questo campo ha effettivamente luogo soltanto negli anni Trenta del XIX sec. per opera di Liebig. Anche prima di tale periodo, però, vi erano state diverse iniziative volte a favorire il progresso della chimica. La mancanza di studi accademici sull'argomento obbligava i futuri professori di questa materia a seguire, dopo un apprendistato in farmacia, un corso di studi di medicina, che poi completavano con soggiorni più o meno lunghi presso chimici residenti in città come Parigi, Leida, Londra o altrove. A partire dal 1805, lo sviluppo dell'insegnamento della chimica analitica all'Università di Gottinga, a opera di Friedrich Stromeyer, rappresentò l'occasione di formare un vivaio di futuri docenti per le università tedesche, svizzere, danesi e perfino inglesi. Tra il 1803 e il 1830 nei paesi di lingua tedesca (Germania, Svizzera settentrionale e Impero asburgico) vennero create ben sedici scuole politecniche. Nel 1830 si contano quarantuno professori di chimica nelle trenta università e altri quattordici nelle undici scuole politecniche di quei paesi. La chimica si diffuse a vari livelli di istruzione e in luoghi diversi. Per quanto riguarda i chimici delle manifatture, la loro formazione era ancora costituita da un apprendistato in loco. Infatti, "tra la fine del XVIII sec. e l'inizio del XIX, esistevano solamente due tipi di impiego a tempo pieno strettamente connessi alla chimica, sia come disciplina scientifica sia come pratica: il posto di insegnante o professore di chimica e il mestiere di chimico delle manifatture. Ciò dimostra che all'epoca la 'moderna' professione di chimico non aveva ancora preso forma" (Homburg 1998, p. 49).
L'evoluzione degli anni Trenta-Quaranta era dovuta alla scomparsa della distinzione tra la sfera statale e quella privata, che rappresentava la linea di demarcazione tra università e politecnici. Almeno in teoria il criterio discriminante diventa la distinzione tra scienza pura e tecnologia: la nascita della figura del chimico universitario (dagli anni Trenta) è parallela a quella del chimico tecnico (tra il 1830 e la metà del secolo).
Per illustrare il tipo di attività che si svolgeva in uno Stato tedesco si può prendere a esempio il farmacista Johann Dingler. Egli si recò a Mulhouse negli anni 1804-1805 per imparare la tecnica di stampa sui tessuti e, al ritorno in Germania, fondò una fabbrica di mordenti e una scuola per coloristi. Nel 1815 divenne fabbricante di acido solforico; poi, nel 1822, realizzò una nuova tecnica per la stampa dei tessuti e fondò una scuola politecnica; infine, per diffondere informazioni di carattere scientifico e tecnico, nel 1820 diede inizio alla pubblicazione del celebre "Dingler's polytechnisches Journal".
Nello sviluppo della chimica tedesca tuttavia, come si è già detto, il ruolo centrale, anche per il suo versante applicativo, spetta a Liebig, il quale dal 1840 si dedicò a problemi d'interesse tecnico come quelli posti dall'agricoltura. Specialista della chimica dell'azoto, egli studiò il ciclo di questo elemento nelle piante, aprendo così la strada alla nascita dell'agricoltura scientifica, assieme al francese Jean-Baptiste Boussingault (1802-1887). Le sue ricerche sull'azoto lo portarono a studiare i concimi e quindi a penetrare nell'ambito industriale; infatti, nel 1845, fornì suggerimenti per la produzione di concimi artificiali a partire da sali minerali in lavori che contribuirono a dare un notevole impulso allo sviluppo dell'agricoltura, un settore chiave per l'industrializzazione. L'attività di Liebig in tali settori applicativi comunque non si limitò a questo, poiché si interessò anche alla fermentazione e perfezionò, brevettandola nel 1852, la preparazione di un concentrato o 'estratto' di carne di manzo che venne in seguito commercializzato.
Anche gli altri chimici contemporanei di Liebig sono stati attivi nell'industria. Döbereiner, professore di chimica e farmacia all'Università di Jena, dopo aver studiato le proprietà del platino, mise a punto un accenditore pneumatico, cioè un dispositivo che portava l'idrogeno sul platino in polvere, la cui ossidazione rendeva il metallo incandescente al calor bianco. Nel 1828 Döbereiner scriveva che ben 20.000 di questi accenditori venivano utilizzati in Germania e in Inghilterra e che egli non aveva depositato alcun brevetto. Christian Schönbein (1799-1868), dopo un apprendistato presso la fabbrica di prodotti chimici di Dingler ad Augusta, completò la sua formazione all'Università di Erlangen e poi nel 1827 a Parigi. Professore di fisica e chimica all'Università di Basilea, nel 1844 i suoi lavori sull'ozono lo portarono a scoprire le proprietà decoloranti di questo gas; nel 1846 annunciò la scoperta del fulmicotone, un esplosivo ricavato attraverso l'azione dell'acido nitrico sul cotone, e poi quella del collodio, ottenuto mediante dissoluzione del fulmicotone nell'etere. L'impiego del collodio in medicina e soprattutto nella fotografia rappresentò una grande innovazione. Infine, per i suoi contributi alla chimica industriale va citato anche Robert Bunsen (1811-1899), che fece una carriera universitaria classica, come professore all'Università di Gottinga nel 1836 e di Marburgo nel 1838. Dal 1838 al 1846 egli studiò i gas degli altiforni, ne osservò la composizione, stese un bilancio e propose di mettere a punto un sistema di riciclaggio; i suoi lavori sono analoghi a quelli del francese Ebelmen. Nel 1841 realizzò una pila galvanica con un elettrodo di carbonio, la 'pila Bunsen', apportando inoltre alcuni perfezionamenti a quelle già note perché potessero essere utilizzate per l'illuminazione.
Il tipo di attività organizzate in Germania conobbe una serie di imitazioni. Tra le più note si ricorda la creazione nel 1845 a Londra del Royal College of Chemistry di cui il tedesco August Wilhelm von Hofmann (1818-1892), allievo di Liebig, divenne il primo direttore. Per quanto riguarda la Francia deve essere menzionato il laboratorio privato di Dumas: nel 1832, come prima sede, fu collocato presso l'École Polytechnique, fu trasferito in seguito in rue Cuvier, di fronte al Muséum d'Histoire Naturelle, e più tardi alla Sorbona.
Infine è opportuno ricordare la nascita di movimenti analoghi a favore della ricerca chimica a vocazione industriale in altri paesi industrializzati, dove si tiene conto della chimica scientifica solo in alcuni settori e spesso in ritardo rispetto alle nozioni già considerate. Nel 1825 in Belgio viene creata una scuola di chimica industriale a Gand, che avrà però un successo modesto, mentre nel 1836 nascono scuole speciali per ingegneri civili presso le Università di Liegi e di Gand. Per quanto riguarda la Spagna, si assiste nel 1803 alla creazione, sul modello francese, del Conservatorio de Artes y Oficios a Madrid e di una Escuela de Química a Barcellona a opera di Francisc Carbonell (1768-1837), allievo di Chaptal.
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