L'Ottocento: biologia. La paleontologia
La paleontologia
Durante la prima metà del XIX sec. la paleontologia fu una delle discipline scientifiche maggiormente innovative; tra i suoi studiosi annoverava alcuni dei più eminenti naturalisti del tempo, come Georges Cuvier, Richard Owen e Jean-Louis-Rodolphe Agassiz, importanti promotori e organizzatori di collezioni di storia naturale. Essa divenne una parte integrante della geologia, che nel corso di questo periodo aprì un'ampia e inconsueta prospettiva sulla storia della Terra, paragonabile, per le sue implicazioni intellettuali, alla rivoluzione copernicana: la geologia, infatti, riduceva l'importanza dell'uomo nel tempo geologico, così come l'astronomia al principio dell'Età moderna l'aveva ridimensionata rispetto allo spazio. Lo studio delle rocce e dei fossili mostrò che la storia della Terra non coincideva nella sua estensione temporale con la storia dell'umanità, ma precedeva di gran lunga la comparsa della specie umana. Ancor più importante fu la scoperta che la storia della Terra, prima della comparsa dell'uomo, non era stata caratterizzata da un unico periodo continuo, ma da un susseguirsi di periodi geologici, ciascuno contraddistinto da una particolare flora e fauna, in seguito estintesi. Inoltre, la successione storica sembrava essere stata progressiva: i mondi successivi assomigliavano sempre più al nostro mondo attuale, sia per quanto riguarda gli esseri viventi che li abitavano sia per le condizioni ambientali.
L'estinzione, ossia la scomparsa di specie, non era affatto una nozione scontata nel XVIII sec. e furono necessari molti decenni di lavoro e di dibattiti per stabilirne la realtà. I teologi naturali dell'epoca sostenevano che l'annientamento anche di una sola specie non sarebbe stato permesso dalla Provvidenza e credevano in una 'catena degli esseri' ininterrotta e perfetta. Altri affermavano che tale catena poteva essere vista in una prospettiva storica e che le forme di vita estinte ne colmassero i vuoti e ne arricchissero la contemplazione. Un passo importante verso l'accertamento dell'estinzione fu lo studio di ossa fossili di mammiferi rinvenuti all'interno di grotte dell'Europa settentrionale, in particolare in Germania. Alla fine del XVIII sec., studiosi di formazione medica con conoscenza dell'anatomia comparata riuscirono a identificare con precisione i resti di alcuni mammiferi delle caverne. L'orso delle caverne (Ursus spelaeus), per esempio, fu riconosciuto come una specie a sé stante quando, nel 1795, Johann Christian Rosenmüller presentò nella sua dissertazione di dottorato una comparazione dettagliata, lato per lato, dei crani di un orso delle caverne, di un orso bruno (Ursus arctos) e di un orso polare (Ursus maritimus) dimostrando le differenze fra le tre specie. Poco dopo, nel 1806, un membro dell'Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana di San Pietroburgo sottopose all'attenzione internazionale il mammut, di cui nel 1799 era stato rinvenuto nel permafrost siberiano un esemplare intero, incluse carne e pelliccia.
Chi negava l'estinzione credeva che la forma e le dimensioni inconsuete dei fossili rinvenuti fossero state prodotte da influenze ambientali, quale il clima; o suggeriva, per esempio, che il mammut fosse un mostro favoloso, come il centauro, ancora sopravvissuto in regioni inesplorate del mondo. Tuttavia, l'identificazione dell'orso delle caverne e di molti altri resti di quadrupedi accertò l'estinzione al di là di ogni dubbio e divenne chiaro che non soltanto le specie ma anche i generi e le unità tassonomiche superiori erano scomparsi dalla superficie della Terra.
Cuvier fu lo scienziato che più di chiunque altro applicò il metodo zoologico comparativo alla geologia. Abilissimo zoologo, s'interessò soprattutto alla paleontologia dei vertebrati ‒ anfibi, rettili, uccelli e mammiferi ‒ dei quali però è più frequente trovare ossa o denti sparsi piuttosto che esemplari interi. Grazie all'anatomia comparata, tuttavia, era possibile identificare l'animale da cui questi frammenti provenivano e persino ricomporne l'intero scheletro. Tale ricostruzione era ottenuta in base alla 'legge della corrispondenza organica', formulata da Cuvier nei termini seguenti: "Ogni individuo organizzato costituisce di per sé un sistema unico e chiuso, le cui parti corrispondono l'una all'altra e concorrono a produrre un certo risultato definito, per reazione reciproca. Alcune di queste parti possono cambiare senza che anche le altre cambino; e pertanto ognuna di esse, presa separatamente indica tutte le altre" (Cuvier 1825, p. 95). Egli concludeva con qualche eccesso di fiducia "cominciando da ciascun [singolo osso] chi possieda razionalmente le leggi dell'economia organica, potrebbe rifare tutto l'animale" (ibidem, p. 99).
Nelle Recherches sur les ossemens fossiles (1812) Cuvier presentò una descrizione sistematica dei resti dei mammiferi provenienti dai depositi superficiali del cosiddetto diluvium (oggi Pleistocene, la metà inferiore del Quaternario, che copre il periodo da 1,6 milioni di anni a 10.000 anni fa). Da rocce più antiche, cioè del Terziario (da 66,7 milioni di anni a 1,6 milioni di anni fa), egli trasse ulteriori esempi di mammiferi estinti, per esempio il palaeotherium o l'anoplotherium, pachidermi fossili rinvenuti nelle cave di gesso di Montmartre, nei pressi di Parigi, e ne tracciò lo schema del tessuto molle: furono le prime ricostruzioni del corpo dei vertebrati estinti. Questi e altri esempi fecero sì che l'estinzione fosse accettata dalla maggior parte dei naturalisti del tempo.
I fossili che nella fase iniziale della paleontologia moderna contribuirono alla formazione dell'immagine popolare della vita estinta e dei mondi precedenti non furono, tuttavia, quelli dei grandi mammiferi, ma di due rettili acquatici, l'ittiosauro e il plesiosauro, e due terrestri, il megalosauro e l'iguanodonte. Il primo a scoprire resti di dinosauro fu William Buckland (1784-1856) nel 1818, ma nonostante la convinzione di Cuvier che da un unico osso si potesse ricostruire in maniera affidabile l'animale intero, le rappresentazioni dei dinosauri rimasero per diversi decenni decisamente poco accurate. Il megalosauro e l'iguanodonte furono descritti come quadrupedi, mentre si scoprì in seguito che erano bipedi, e lo sperone osseo del pollice dell'iguanodonte fu collocato sul naso, come un corno di rinoceronte. Soltanto la scoperta di scheletri molto più completi di iguanodonte, compiuta nel 1878, a Benissart in Belgio, rivelò la natura bipede di questa particolare razza di dinosauro. Infine, gli scheletri di grandi dinosauri, che sarebbero divenuti gli esemplari tipici esposti nelle sale dei musei di storia naturale, furono rinvenuti in America Settentrionale. In quest'area Joseph Leidy (1823-1891) iniziò la revisione della morfologia e della locomozione del dinosauro, attribuendo all'esemplare che chiamò Hadrosaurus una postura simile a quella del canguro.
Sebbene la scoperta dei fossili di vertebrati fosse stata esaltante, interessanti ritrovamenti avvennero anche nella paleontologia degli invertebrati, in particolare artropodi, molluschi ed echinodermi. La conoscenza acquisita sui fossili di invertebrati divenne, alla fine degli anni Venti dell'Ottocento, uno strumento efficace per delineare, suddividere e mettere in relazione le formazioni rocciose.
Una delle conquiste della cosiddetta 'epoca eroica' della geologia (1790-1820) fu la scoperta che il disordine che sembrava caratterizzare le formazioni rocciose era soltanto apparente, poiché di fatto queste sono organizzate in maniera sistematica: la posizione di una particolare formazione in rapporto ad altre sovrastanti e sottostanti è fissa e identica in tutte le parti del mondo.
La tavola di classificazione che mostra la successione verticale delle formazioni rocciose è stata denominata 'colonna stratigrafica' ed è una delle più grandi e intricate costruzioni della scienza moderna. Nella sua versione antica questa colonna era definita in base al confronto di sezioni geologiche di parti separate dell'Europa, correlate sulla base delle sovrapposizioni, della composizione e, in misura minore, del contenuto fossile. Durante la prima metà del XIX sec. ricevette una forma pressoché definitiva. I periodi (unità di tempo) o i sistemi principali (le corrispondenti formazioni rocciose) furono quasi tutti denominati fra il 1799 e il 1841 (il Terziario già nel 1759; l'Ordoviciano fu aggiunto nel 1879). Fino al 1820 i geologi continuarono a non essere concordi sulla possibilità di ottenere una stratigrafia globale unica; però la correlazione delle formazioni rocciose in Europa, dovuta a Buckland, e quelle intercontinentali, a opera di Alexander von Humboldt (1769-1859), suffragarono la congettura che le sequenze stratigrafiche riscontrate a livello locale in Inghilterra, in Francia e in Germania fossero dappertutto fondamentalmente identiche e che l'ordine di successione degli strati osservato in Europa valesse anche per l'America Settentrionale e Meridionale, anzi per tutta la Terra.
I più antichi sistemi stratigrafici erano basati principalmente sulla composizione mineralogica delle formazioni rocciose e la più influente scuola di stratigrafia mineralogica ebbe origine grazie ad Abraham Gottlob Werner (1749-1817). Una prima versione della sua stratigrafia apparve sotto il titolo Kurze Klassifikation und Beschreibung der verschiedenen Gebirgsarten (Breve classificazione e descrizione dei diversi tipi di rocce, 1787), ma Werner sviluppò più compiutamente le sue idee nelle ultime lezioni. Egli attribuì l'origine di tutte le rocce ignee a fenomeni di sedimentazione marina; la sua teoria, però, fu superata da quella del naturalista scozzese James Hutton (1726-1797), il quale, correttamente, sosteneva l'origine magmatica del basalto. Il sistema di Werner, tuttavia, non fu soltanto una teoria di litogenesi chimica ma una stratigrafia mineralogica che stimolò e orientò la geologia storica, mentre l'uniformismo di Hutton, con la sua teoria ciclica della dinamica terrestre, non si rivelò altrettanto proficuo. Cuvier elogiò il sistema di Werner e insieme al suo collaboratore Alexandre Brongniart (1770-1847) ne sviluppò la parte superiore, relativa al Terziario, studiando in dettaglio la successione di rocce nel bacino di Parigi. Cuvier e Brongniart scoprirono che il criterio più affidabile per caratterizzare un letto di rocce e correlarlo con rocce uguali ma distanti non è la composizione mineralogica, bensì il contenuto fossile. "Il mezzo che abbiamo impiegato per riconoscere, fra un così gran numero di letti calcarei, un letto già osservato in una zona molto lontana, viene ricavato dalla natura dei fossili racchiusi in ogni strato; questi fossili sono generalmente sempre gli stessi negli strati corrispondenti e presentano differenze di specie abbastanza notevoli da un sistema di strati a un altro" (Cuvier 1808b, pp. 307-308). Più di Werner, Cuvier e, in Inghilterra, William Smith (1769-1839) richiamarono l'attenzione dei contemporanei sull'importanza dei fossili quali veri e propri documenti della storia della Terra e indicatori dell'età relativa nella cronologia geologica.
Verso il 1830 una colonna stratigrafica standard era ormai ben determinata e non suscitava più controversie e disaccordi, anche se molte divergenze, talvolta importanti, si sarebbero manifestate su alcune definizioni e sull'uso statistico dei fossili per designare singoli sistemi e ridefinirne le suddivisioni. Una tavola stratigrafica abbastanza uniforme, proposta da Jean-Baptiste d'Omalius d'Halloy (1783-1875), venne largamente accettata; tavole analoghe, realizzate in seguito, non furono più collegate al nome di un particolare autore, ma piuttosto divennero proprietà comune dei manuali, parte dell'alfabeto della geologia. Si diffusero carte murali che in modo più o meno dettagliato raffiguravano la crosta terrestre in sezione trasversale come una successione, fissa e universale, di formazioni rocciose.
Buckland s'impose sui contemporanei per la ricostruzione, non soltanto dell'anatomia e della morfologia di varie specie di vertebrati estinte, ma anche delle loro abitudini di vita e del loro ambiente. Molto prima di Louis Dollo (1857-1931), Buckland si occupò di paleoecologia, un argomento centrale per la ricostruzione dei mondi precedenti. Nelle Reliquiae diluvianae (1823) egli illustrò l''ultimo mondo' (o periodo geologico), quando le iene e gli orsi delle caverne predavano nelle regioni settentrionali dell'Europa. Un mondo ancora più antico era quello in cui rettili giganteschi vagavano per la Terra, un periodo che il chirurgo-paleontologo inglese Gideon A. Mantell (1790-1852) designò come 'l'era dei rettili' e che Buckland, insieme a Henry T. De la Beche (1796-1855), primo direttore del British Geological Survey, contribuì a ricostruire.
Secondo Cuvier e molti altri paleontologi, i fossili che caratterizzano in tutto il mondo singole formazioni rocciose, o gruppi di esse, non erano semplicemente indicatori dell'età relativa, ma la registrazione di periodi di storia della Terra. Determinati periodi, infatti, apparivano dominati da specifiche forme di vita; i rettili, per esempio, avevano contrassegnato il cosiddetto Secondario o 'Medioevo' della storia della Terra (da 250 milioni di anni a 66,7 milioni di anni fa), mentre il dominio dei mammiferi coincise con il Terziario. Un'attenzione particolare fu dedicata dalla geologia storica alla relazione tra una determinata concentrazione di fossili e quella successiva. Ci si chiedeva se esistesse una sequenza concatenata o una legge di successione degli organismi. Nel corso dei primi decenni del XIX sec. si stabilì, in modo unanime, che i mondi fossili che si erano succeduti mostravano un rapporto di progressione nel tempo, cioè uno sviluppo progressivo.
Il progresso era definito con riferimento a due diversi criteri, uno tassonomico e l'altro ambientale. In rapporto alla tassonomia, progresso significava che le forme di vita più remote nella registrazione geologica erano anche le più semplici e che le categorie tassonomiche più alte e complesse erano apparse successivamente, come nel caso della sequenza dai rettili del Secondario ai mammiferi del Terziario, agli umani del Quaternario. Il criterio ambientale collegava la successione degli organismi al cambiamento dell'ambiente e il progresso era definito come una capacità crescente della Terra di ospitare forme superiori di vita e, in particolare, gli umani. La forma dominante di vita durante uno specifico periodo della storia della Terra era stata quella che più si era adattata alle condizioni contingenti di temperatura, umidità, composizione dell'atmosfera, e così via. Quindi, i rettili a sangue freddo erano stati la forma di vita predominante con il clima caldo e uniforme, mentre i mammiferi a sangue caldo avevano dominato quando la Terra si era nel tempo raffreddata e le variazioni stagionali erano diventate più marcate. Questo criterio riduceva il progresso tassonomico a un effetto complementare del cambiamento ambientale e collegava la paleontologia allo studio della Terra come pianeta.
Cuvier riteneva che non fosse mai venuto alla luce alcun fossile attribuibile con certezza all'uomo e poiché Buckland, avendo cercato invano fossili umani del diluvium, sostenne con decisione la posizione di Cuvier, i geologi usarono i resti umani come marcatore stratigrafico per l'Olocene, l'epoca più recente della storia della Terra. Nel 1858, tuttavia, in una grotta nei pressi di Brixham, in Inghilterra, furono scoperti, insieme a ossa di mammiferi estinti del Pleistocene, alcuni strumenti primitivi in selce scheggiata. Questo rinvenimento, che attestava senza dubbio alcuno che gli umani avevano vissuto fra i mammut, diede inizio a ulteriori ricerche sulla presenza dell'uomo in tempi preistorici; il culmine di tali indagini si ebbe nel 1863 con la pubblicazione dell'opera Geological evidences of the antiquity of man di Charles Lyell.
In Francia, George-Louis Leclerc conte di Buffon, nelle Époques de la nature (1778), aveva sostenuto la nozione di un calore centrale, secondo cui la Terra originariamente era stata una massa incandescente raffreddatasi in seguito, conservando tuttavia un nucleo caldo. Sempre in Francia il paleobotanico Adolphe-Théodore Brongniart (1801-1876), figlio di Alexandre, il collaboratore di Cuvier, propose un'interpretazione particolarmente convincente del cambiamento climatico nel Prodrome d'une histoire des végétaux fossiles (1828), dedicato alla storia geologica delle piante fossili. Egli raggruppò le piante secondo la loro età geologica e compilò numerose tavole statistiche che mostravano come queste, al pari degli animali, nel corso della storia della Terra avessero presentato uno sviluppo progressivo. Dapprima, nel Carbonifero (periodo dell'era paleozoica che va da 360 milioni di anni a 290 milioni di anni fa), dominarono felci primitive ma gigantesche e altre piante crittogamiche; più tardi, ossia durante il 'Medioevo' della storia geologica, vi fu una preponderanza di gimnosperme, come le conifere e le cicadine; successivamente, si diffusero le angiosperme (dicotiledoni superiori) che diventarono il tipo di pianta dominante sulla Terra. Brongniart credeva che questi cambiamenti fossero dovuti non soltanto al raffreddamento climatico, ma anche a una diminuzione del contenuto di anidride carbonica nell'atmosfera nonché a un aumento dell'estensione della terra emersa.
In Gran Bretagna l'esposizione più completa della teoria secondo cui il progresso organico è funzione del cambiamento ambientale fu fornita dall'eminente chimico Humphry Davy nel suo curioso Consolations in travel: or the last days of a philosopher (1830). Tuttavia, il perfezionamento in senso paleontologico di questa teoria fu opera soprattutto di Buckland, secondo il quale un fossile non era soltanto un'entità tassonomica, ma rappresentava un elemento di un'antica comunità; egli rifiutava l'idea che il progresso fosse semplicemente un'ascesa lungo la scala tassonomica, da un livello meno perfetto a uno più perfetto di organizzazione. La perfezione doveva essere riconosciuta nell'adattamento a un particolare ambiente, e simili adattamenti potevano essere riscontrati appunto tanto in tempi antichi quanto in periodi più recenti della storia della Terra. Il principale trattato paleontologico sullo sviluppo progressivo di Buckland fu un libro pubblicato nella serie dei "Bridgwater Treatises", Geology and mineralogy considered with reference to natural theology (1836), scritto allo scopo ultimo di dimostrare "la potenza, la sapienza e la bontà di Dio, manifestata nel Creato".
Sebbene nelle Recherches sur les ossemens fossiles Cuvier avesse prestato scarsa attenzione ai pesci fossili, il potenziale interesse di questa classe di vertebrati per la geologia e la teoria dello sviluppo progressivo era considerevole: i pesci sono comparsi molto prima dei rettili e coprono un lunghissimo segmento di storia geologica. Tale lacuna fu colmata negli anni Trenta da Agassiz, che nelle Recherches sur les poissons fossiles (1833-1843) introdusse una classificazione dei pesci in quattro ordini, basata sulle squame, e dimostrò che la loro distribuzione geologica e stratigrafica era progressiva. Due ordini (Ganoidi e Placoidi) ebbero origine nelle prime cosiddette 'rocce di transizione' (parte del Primario o Paleozoico, da 570 milioni di anni a 250 milioni di anni fa), gli altri due (Cicloidi e Ctenoidi) apparvero più tardi, durante il Cretaceo (periodo dell'Era secondaria che va da 140 milioni di anni a 66,7 milioni di anni fa). Il progresso si era dunque verificato non soltanto al livello delle classi di vertebrati, ma anche degli ordini all'interno di una classe particolare.
Agassiz non aderì all'idea ambientalista di progresso, benché fosse patrocinata da Buckland. Educato nella tradizione dell'idealismo tedesco, egli propose una definizione trascendentalistica, strettamente tassonomica di progresso. Ciò riportava la successione paleontologica sul piano astratto dell'analogia tassonomica o persino embrionale. Agassiz considerò la successione di pesci, rettili, mammiferi e uomo come una sequenza internamente coerente nel quale si manifestava un piano divino, premeditato, di Creazione. Ogni stadio successivo costituiva una modificazione del tipo precedente di organizzazione, secondo una logica di perfezionamento anatomico, e preannunciava il tipo seguente. Gli stadi successivi erano internamente correlati fra loro come gli stadi evolutivi della crescita embrionale e Agassiz riteneva che la storia geologica di una classe fosse ricapitolata nei diversi stadi dei suoi attuali rappresentanti. Nel 1859 ‒ nell'Essay on classification ‒ egli definì il progresso con un triplice parallelismo di successione paleontologica, ordine di classificazione tassonomica e sviluppo embrionale.
Questi concetti astratti dell'idealismo tedesco erano completamente estranei all'empirismo anglicano di Buckland, ma penetrarono in Gran Bretagna attraverso la Scozia calvinista e in particolare con l'Università di Edimburgo. Un seguace del trascendentalismo edimburghese fu Owen; inizialmente cuvieriano e bucklandiano, nel corso degli anni Quaranta divenne un vigoroso promotore dell'epistemologia trascendentalistica e della sua applicazione in paleontologia e usò questo tipo di approccio per combattere Lyell e il suo antistorico uniformismo huttoniano. A questo scopo adottò la legge embriologica di Baer in riferimento alla successione dei fossili, dimostrando che il progresso può essere definito come un modello radiante, dal generale allo specifico. La legge di Baer, che sostituì la semplicistica nozione di ricapitolazione, affermava che i successivi stadi embrionali degli animali superiori assomigliano agli stadi permanenti, adulti, di quelli inferiori; e ciò accade non perché essi li ricapitolino, ma perché strutture più eterogenee o specifiche derivano da quelle più omogenee o generali. A tutto questo, Owen aggiunse che le fasi embrionali attraverso le quali passa un animale superiore assomigliano agli stati adulti dei precedenti membri estinti della sua classe. Così, le forme estinte mostrerebbero le strutture più generali, mentre le forme attuali quelle più specifiche.
Il punto debole della definizione tassonomica di progresso fossile consisteva nell'incapacità di spiegare le irregolarità della documentazione geologica. Un famoso esempio di tali irregolarità era l'opossum o didelfide, un piccolo mammifero marsupiale, scoperto in cave d'ardesia del Giurassico (periodo dell'Era secondaria che va da 210 milioni di anni a 140 milioni di anni fa) di un villaggio presso Oxford. Ciò significava che i mammiferi, per quanto in forme primitive, avevano vissuto durante 'l'era dei rettili' e molto prima del Terziario, quando si riteneva che avessero avuto origine. La posizione apparentemente anomala dei didelfidi suscitò molto interesse: alcuni suggerirono che il fossile non fosse stato trovato in quel luogo; altri misero in discussione l'età giurassica delle ardesie; altri ancora sostennero che la creatura trovata non fosse un mammifero, ma un animale a sangue freddo, molto probabilmente un rettile. Per Agassiz, l'anomalia era inquietante e non trovava spiegazione. Secondo Buckland, invece, l'esistenza di un mammifero primitivo durante il regno dei rettili costituiva un problema di scarsa importanza, come quello dell'attuale presenza di piccoli rettili durante il regno di mammiferi e umani. Un'altra ben nota anomalia era rappresentata dalla presenza già nel Triassico (inizio del Secondario, ovvero da 250 milioni di anni a 210 milioni di anni fa) di quelle che si reputavano impronte di zampe di uccelli giganteschi. In seguito si scoprì che queste impronte appartenevano a dinosauri bipedi.
Secondo il parere della maggioranza dei naturalisti della prima parte del XIX sec., lo sviluppo progressivo non aveva nulla a che fare con la trasformazione delle specie. Cuvier, Buckland, Agassiz e molti altri consideravano il progresso fossile come una successione nel tempo, non come una sequenza genetica di discendenza. Inoltre, lo sviluppo progressivo sosteneva una visione teleologica, di tipo specifico, nel caso del progresso ambientale, con la sua enfasi sull'adattamento individuale alle condizioni esterne, oppure, al contrario, generale, nel caso del progresso tassonomico, che si riteneva diretto verso Homo sapiens.
La definizione ambientale di progresso includeva anche una teleologia generale, in quanto lo sviluppo dell'ambiente fisico ‒ tanto l'atmosfera quanto la crosta terrestre con le sue risorse minerali ‒ era interpretato in funzione dello sfruttamento da parte dell'uomo che ne avrebbe tratto beneficio. Tuttavia, già verso il 1830, la documentazione paleontologica fu usata per attestare la trasformazione delle specie, sostenuta in precedenza da Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829). Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844) ipotizzò, nelle Recherches sur les grands sauriens trouvés à l'état fossile pubblicate nel 1831, che vari rettili fossili (ittiosauro, plesiosauro, pterodattilo, teleosauro) costituissero una sequenza sia temporale sia genetica, nel senso che ciascuna forma aveva dato origine a quella successiva, e il teleosauro a mammiferi come il megaterio. Le reazioni furono perlopiù negative, specialmente in Inghilterra, dove soltanto Buckland sottolineò che i reperti paleontologici non documentavano semplici trasformazioni lineari.
Vi era comunque un elemento di originalità nel considerare l'evoluzione organica nel contesto della geologia storica. Ciò divenne evidente quando Robert Chambers (1802-1871) pubblicò, anonima, l'opera Vestiges of the natural history of creation (1844), una cosmogonia popolare che ebbe un enorme successo editoriale nonostante fosse poco più che un sommario della geologia storica dell'epoca e trattasse anche di tassonomia, di società umana e della condizione mentale degli animali. Chambers faceva proprio il nucleo essenziale della geologia storica allo scopo di sostenere che l'evoluzione organica si era attuata per vie naturali, limitando quindi l'intervento della potenza divina.
Questa credenza nella 'creazione attraverso leggi naturali' venne condivisa da molti eminenti scienziati del tempo. Un'analoga interpretazione dello sviluppo progressivo fu sostenuta dal paleontologo e zoologo heidelberghese Heinrich Georg Bronn (1800-1862), in un saggio del 1850 sulla distribuzione dei fossili organici in tutta la documentazione sedimentaria, nel quale affermò che ogni particolare forma di vita ebbe origine quando si realizzarono le condizioni ambientali adatte per la sua formazione.
Il ragionamento di Chambers provocò anche attacchi sprezzanti, come quelli del professore di geologia di Cambridge Adam Sedgwick (1785-1873) e del giovane Thomas H. Huxley (1825-1895), che più tardi sarebbe diventato un convinto sostenitore di Darwin. Queste aggressioni e le critiche scientifiche che le accompagnavano potrebbero aver indotto Darwin a introdurre con cautela, nel suo On the origin of species (1859), l'argomento della 'successione geologica degli esseri viventi' anteponendogli un capitolo sull''imperfezione della documentazione geologica'. Sebbene includesse soltanto due capitoli su questioni geologiche e paleontologiche, l'opera influenzò programmaticamente il pensiero paleontologico di fine Ottocento. Secondo la 'teoria della discendenza con modificazione' di Darwin, la relazione tra le forme di vita più recenti e quelle più antiche era genetica. Inoltre, il gradualismo lyelliano della selezione naturale richiedeva l'esistenza di innumerevoli anelli di transizione, i quali però non erano noti, per cui Darwin dovette postulare e sottolineare l'imperfezione della documentazione geologica. Ne conseguì un'intensa ricerca di queste forme di transizione o dei cosiddetti 'anelli mancanti' e molta pubblicità fu data alla scoperta di particolari esemplari. Un famoso esempio fu l'Archaeopteryx, scoperto in Germania nel 1861 nel calcare litografico del Giurassico superiore di Solnhofen (Baviera); fu acquistato dal British Museum e descritto dall'allora sovrintendente di storia naturale Owen, che interpretò il fossile come un uccello primitivo con bocca dentata e una lunga coda scheletrica. Huxley affermò che l'Archaeopteryx era per molti aspetti simile al piccolo dinosauro Compsognathus e l'uccello-rettile giurassico divenne ben presto un riconosciuto 'anello mancante' di collegamento fra rettili e uccelli.
Anche l'estinzione fu considerata sotto una nuova luce. Non si insisteva più tanto sulle catastrofi naturali e altri tipi di cambiamento ambientale, ma si sottolineava l'interazione biotica come causa principale della scomparsa delle specie. La competizione nella 'lotta per la vita' avrebbe portato alla 'conservazione delle razze avvantaggiate' e all'annientamento delle forme di vita sfavorite. Anche l'estinzione, così come l'origine delle specie, doveva essere stata un processo graduale e Darwin ridimensionò la prova delle estinzioni di massa, asserita ogni volta che, al di là di un importante limite stratigrafico, molte forme di vita scomparivano, attribuendo le improvvise comparse o estinzioni di specie all'imperfezione della documentazione geologica.
Un altro tratto tipicamente darwiniano della paleontologia evoluzionistica fu che non si diede più gran peso alla natura progressiva della documentazione paleontologica. Per Darwin, 'superiore' e 'inferiore' avevano significato soltanto in relazione al successo nella lotta per la sopravvivenza. Una simile competizione può aver luogo solo fra specie o gruppi di specie contemporanee, non fra animali e piante di diversi periodi geologici. Nell'unica illustrazione che correda On the origin of species, Darwin non presentava il modello progressivo-direzionale previsto dai sostenitori del progressionismo, ma un'evoluzione più divergente, secondo la quale alcune forme di vita abitano ambienti stabili e non cambiano (linea verticale), mentre altre specie, soggette a condizioni esterne mutanti, tendono a formare varietà, fra cui solamente una o due possono sopravvivere formando nuove specie.
Pochi paleontologi evoluzionisti seguirono Darwin nel ridurre l'importanza della natura progressiva della documentazione fossile. Uno dei massimi sostenitori di Darwin, lo zoologo Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919), fece propria la sintesi progressivista della geologia del primo Ottocento e la trasformò nell'argomento più interessante a favore di un'origine evoluzionistica delle specie. Egli si specializzò nella compilazione di dettagliate ed estese linee filogenetiche di discendenza, in cui la storia fossile della vita era illustrata come un albero. Inoltre, la ricerca degli 'anelli mancanti' portò alla costruzione programmatica di sequenze fossili ortogenetiche, tra le quali la linea filogenetica del cavallo divenne una delle migliori prove note dell'evoluzione, mostrando una serie praticamente continua, ortogenetica, di cambiamenti anatomici che portavano a una riduzione delle dita e di modificazioni verso una maggiore complessità dei denti.
Il culmine della paleontologia del XIX sec. fu segnato da uno sviluppo architettonico-istituzionale. Infatti, in seguito alle sensazionali scoperte e alle nuove conoscenze, vennero costruiti grandi edifici per musei paleontologici o musei di storia naturale con importanti sezioni paleontologiche; fra questi, il Natural History Museum di South Kensington a Londra, istituito nel 1882. Altri esempi di grandi musei con collezioni di fossili furono l'American Museum of Natural History di New York e lo Smithsonian Natural History Museum di Washington. Il possesso di particolari esemplari o collezioni era motivo di orgoglio e talvolta musei privati, provinciali e metropolitani gareggiavano fra loro per l'acquisizione di esemplari rari e ben conservati.
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